Maggio 17th, 2024 Riccardo Fucile
LUCA ZAIA UFFICIALMENTE TACE, MA I LEGHISTI IN VENETO NON PERDONANO, PREPARIAMO I POP CORN…CHE RIPERCUSSIONI CI SAREBBERO SUL GOVERNO SE SALVINI SI RITROVASSE AZZOPPATO DOPO LE EUROPEE?
Luca Zaia ha incassato il colpo e ha taciuto. Quando Salvini si è presentato a Padova dicendo “di nomi per il dopo Zaia ne ho dieci”, il governatore del Veneto non ha fiatato. Ma il suo silenzio non deve essere scambiato per immobilismo. Che abbia voglia di vendicarsi, è chiaro. Uno che governa da 15 anni, bagnato dal consenso, una delle regioni più ricche d’Italia, non puo’ essere scaricato come un kleenex usato.
Ecco che il voto europeo del 9 giugno rappresenta una ghiotta occasione per affondare il colpo contro il “Capitone” ingrato. Storici elettori leghisti sussurrano a Dagospia: “Qui in Veneto voteremo tutti per Forza Italia…”, lasciando immaginare un voltafaccia massiccio al Carroccio.
Non pesano solo le parole di Salvini su Zaia o il progetto (poi abortito) di una Lega nazionale: incide, e non poco, la candidatura del generale Vannacci, vissuto come corpo estraneo dalla storica base leghista.
Il ministro delle Infrastrutture continua a ripetere che il militare sarà uno dei candidati più votati, eppure il sospetto che qualcosa nella Lega si stia muovendo per sabotarne l’elezione è forte.
I soliti “addetti ai livori” sussurrano: cosa accadrebbe se i tre governatori del Carroccio (Zaia in Veneto, Fedriga in Friuli e Fontana in Lombardia) si limitassero al compitino elettorale senza spronare più di tanto la base ad andare alle urne?
Cosa succederebbe se la Lega, nonostante la discesa in campo di Vannacci, non andasse oltre il 7-8%, o addirittura prendesse meno voti?
E continuando con i “se”: cosa accadrebbe al governo se il vicepremier Salvini si ritrovasse improvvisamente alla guida di un partito punito dagli elettori, spaccato in mille rivoli e con pezzi da novanta in fuga, magari verso la Liga Veneta, alla ricerca della purezza ideologica del progetto originario di Umberto Bossi?
Il generale Vannacci sarà la ciliegina sulla torta o la pietra tombale per Matteo Salvini, che tanto ha voluto l’ex parà nelle liste della Lega, ignorando le critiche dei suoi, da Romeo a Molinari da Centinaio a Garavaglia?
(da Dagoreport)
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Maggio 17th, 2024 Riccardo Fucile
I SICILIANI SI SONO INCAZZATI PER IL MERDONE PESTATO DAL “COGNATO D’ITALIA” CHE IN SENATO AVEVA DETTO: “PER FORTUNA LA SICCITÀ COLPISCE MOLTO DI PIÙ ALCUNE REGIONI DEL SUD, IN PARTICOLARE LA SICILIA”
“La tua fortuna la nostra siccità, ministro Lollobrigida che quel vino dei tuoi compari del Nord ti vada di traverso” è la scritta su uno striscione piazzato da tre persone nel cancello della sede dell’assessorato regionale all’Agricoltura. Il palazzo si trova in viale della Regione siciliana, a Palermo.
Il riferimento è alle parole del ministro, che si è poi scusato, pronunciate durante il question time al Senato, rispondendo all’interrogazione del parlamentare leghista Giorgio Maria Bergesio sulle misure per contrastare gli effetti della carenza idrica sul comparto vitivinicolo in Piemonte: “Per fortuna, quest’anno, la situazione legata alla siccità colpisce molto di più alcune regioni del Sud, in particolare la Sicilia e per fortuna molto meno le zone dalle quali lei proviene ma che producono un valore del vino eccezionalmente rilevante”.
(da agenzie)
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Maggio 17th, 2024 Riccardo Fucile
MA PER SALVINI E’ IL MODELLO DA SEGUIRE
Uno dei filoni delle indagini che stanno travolgendo il presidente della Liguria, Giovanni Toti, riguarda la costruzione della nuova diga di Genova, l’opera in assoluto più importante e costosa del Pnrr. In una delle tante intercettazioni cui si fa riferimento alla diga, Toti ammetteva infatti che l’opera era «sostanzialmente per Spinelli», l’ex presidente del porto, anche lui agli arresti. L’opera appariva già controversa, tanto che l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) l’ha attenzionata: i lavori, che sono affidati senza gara al gigante WeBuild di Pietro Salini, dovevano avanzare fino al 12% del completamento entro la fine del 2023, invece sono fermi al 2,5%. Il costo era stimato in 300 milioni ma è lievitato fino a 1,3 miliardi. Tuttavia il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, ha difeso a spada tratta la prosecuzione dei lavori, dichiarando: «Verrò a inaugurare la posa in acqua del primo cassone della diga di Genova, nessuno usi le inchieste per bloccare lo sviluppo del Paese». Salvini aveva già fatto richiesta di affidare al consorzio Eurolink, capeggiato proprio da WeBuild, anche i lavori per il ponte sullo Stretto di Messina.
La relazione dell’ANAC
Nel maggio dell’anno scorso, il Tar della Liguria aveva annullato l’affidamento dei lavori per la diga a causa della mancanza del requisito del curriculum del consorzio vincente. Trattandosi di un’opera finanziata con le risorse previste dal Pnrr, però, l’annullamento dell’affidamento «non comporta la caducazione del contratto già stipulato», dunque i lavori non si sono fermati. Ma all’orizzonte c’è un grande rischio di impennata dei costi. A delineare lo spaccato è l’ANAC, l’Autorità Nazionale Anticorruzione, all’interno della sua relazione annuale al Parlamento. Soffermandosi sull’appalto del capoluogo ligure, il Presidente dell’ANAC Giuseppe Busia ha sottolineato come la prospettiva di «significativi aumenti dei costi» è riconducibile alle disposizioni che “in caso di annullamento degli affidamenti finanziati dal Pnrr, non prevedono la caduta del contratto affidato illegittimamente, ma riconoscono il diritto al risarcimento agli operatori pretermessi”. Il risultato finale è che, ovviamente, “la stazione appaltante finisce per dover remunerare entrambi”. Ma c’è di più. Nella relazione, infatti, l’ANAC ha fatto espresso riferimento a “numerose criticità nello svolgimento delle procedure di affidamento che attengono alla corretta attuazione dei principi inderogabili di concorrenza”. Nello specifico, si fa riferimento “alla mancata motivazione sottesa alla procedura negoziata senza bando, al mancato rinnovo della procedura di gara a seguito di gara andata deserta, all’adozione di un prezziario non aggiornato, all’assenza di criteri per l’attribuzione dei punteggi per la formazione della graduatoria, all’alterazione delle condizioni iniziali della gara e alla nomina del collegio degli esperti a buste aperte”.
L’inchiesta di Genova
A pesare sulla vicenda della nuova diga di Genova ci sono anche gli spunti di indagine della maxi-inchiesta sulla corruzione in Liguria, che hanno tra gli altri portato all’arresto il governatore Giovanni Toti, l’ex presidente dell’Autorità portuale e attuale ad di Iren, Paolo Emilio Signorini, e l’imprenditore portuale Aldo Spinelli. All’interno delle intercettazioni, il progetto – fortemente voluto da Spinelli, che puntava a ritagliarsi nuovi spazi nel porto – viene menzionato molto spesso. Nel giugno del 2022, a gara aperta, Toti parla con Signorini, spiegandogli di aver sentito il numero uno di WeBuild, Pietro Salini, che avrebbe ritenuto troppo basso il prezzo: «Lui vuol capire se poi noi glieli diamo sto 20 per cento di incremento dei prezzi, perché se no dice poi come ca…o facciamo?», dice Toti. In risposta, Paolo Signorini cerca di rassicurarlo: «Noi la Diga la finanziamo in ogni modo». I due interlocutori si accordano poi sulla volontà di prendere appuntamento con Salini di lì a poco per mettere un punto sulla questione. Il 30 giugno il bando andrà deserto per la mancata partecipazione dei due principali gruppi interessati, Webuild-Fincantieri più Fincosit e la cordata di Acciona, Gavio e Rcm. Spinelli e Signorini continueranno a parlare dell’opera, il cui progetto verrà successivamente diviso in due fasi, di cui la prima sarà aggiudicata alla cordata di WeBuild. In un’altra intercettazione, commentando un pranzo avuto da Spinelli con l’ex presidente della Regione Claudio Burlando, Signorini riferisce a Toti che Burlando è intenzionato a sostenere la linea dell’inutilità della nuova diga. «Così impara Spinelli a farci i suoi pranzi, visto che la diga sostanzialmente è per Spinelli», risponde piccato Toti.
Le parole di Salvini
Ad ogni modo, nonostante i rilievi di ANAC e quanto emerso dall’inchiesta, il Ministro dei Trasporti e leader leghista Matteo Salvini non arretra di un millimetro. Dopo aver dichiarato che, quando sarà il momento, approderà a Genova per «la posa in acqua del primo cassone della diga», ha detto che farà di tutto affinché l’indagine non fermi quel «rinascimento economico, turistico, commerciale, industriale, infrastrutturale» di cui Genova e la Liguria sono protagoniste, impegnandosi affinché «i cantieri che servono non a Salvini, ma ai liguri, agli italiani, vadano avanti e quindi non si interrompano i lavori sul porto, sulle ferrovie, sulle autostrade della Liguria e su quella straordinaria città che è Genova». Secondo Salvini, infatti «solo in Italia si riesce a politicizzare una ferrovia, un’autostrada, una diga o un ponte». Lo stesso Salvini è colui che, da ministro, ha deciso di ripristinare il progetto del 2011 per la realizzazione del Ponte di Messina del consorzio Eurolink, capeggiato sempre da WeBuild. Nella sua relazione, ANAC ha osservato che i costi per la realizzazione del Ponte, che oggi arrivano a ben 14 miliardi, “potrebbero subire notevoli aumenti in considerazione di ulteriori richieste e prescrizioni che potrebbero essere formulate da Eurolink”.
Rischi e difetti
Tra i più qualificati oppositori della realizzazione della diga di Genova c’è il consulente internazionale Piero Silva, che è stato anche direttore tecnico nella prima fase del progetto e che poi, non condividendolo, si è dimesso.
In una lettera aperta, l’anno scorso l’esperto aveva evidenziato i difetti e l’antieconomicità dell’opera. In primis, secondo Silva, “la diga proposta dall’Autorità portuale è un progetto mastodontico, assolutamente sovradimensionato se paragonato ai modesti obiettivi raggiunti”, con un layout “inadeguato”, constando di “un cerchio di evoluzione delle grandi navi troppo ad ovest per servire al bacino storico e una doppia imboccatura a levante che aumenterà l’energia in ingresso del moto ondoso proprio dalla direzione da cui – dai dati degli ultimi anni – le onde aumentano la loro frequenza”. Il rischio tecnico, per Silva, risulterebbe “altissimo”, poiché si prevede che la diga sia costruita “su uno spesso strato limoargilloso inconsistente, a profondità dove la consolidazione di tale strato – indispensabile – è considerata dagli esperti impossibile”. Inoltre, l’opera metterà a suo dire “in conflitto porto e città, in controtendenza con l’attuale impegno di realizzare ‘Green Ports’”, per il “progressivo sviluppo di un terminale per grandi navi contenitori davanti alle abitazioni del lungomare Canepa” e per la “lunga durata di un grande cantiere di opere marittime proprio dentro alla città”. In merito a spese e tempistiche, Silva non ha dubbi: “Avrà costi (2 a 2,5 miliardi) e tempi (12 a 15 anni di lavori) spropositati, mascherati da promesse che non potranno essere tenute”.
(da lindipendente.online)
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Maggio 17th, 2024 Riccardo Fucile
I DEBITI DI UNA FONDAZIONE PRIVATA SONO STATI RIVERSATI AL PUBBLICO… ORA LA CORTE DEI CONTI INDAGA
C’era una volta l’Ospedale pubblico San Gerardo di Monza, incastonato in Brianza, territorio fra i più popolosi d’Italia, tremila abitanti per chilometro quadrato. Tanto che il suo Pronto Soccorso ha il record di affluenza. Succede che nel 2020, mentre imperversa la pandemia e il Paese ammira la sanità veneta, in Lombardia l’allora assessora al Welfare, Letizia Moratti, oggi candidata alle Europee con Forza Italia, fa l’opposto: con delibera regionale, a fine 2021 taglia di netto il rapporto tra l’Ospedale di Monza e il territorio, aprendo di fatto un mercato da milioni di euro ai privati. L’esperimento del San Gerardo è il cavallo di Troia che insidia l’intero Servizio sanitario nazionale: se il modello non sarà arginato, la sanità pubblica si inginocchierà agli interessi dei privati.
Moratti è una politica entusiasta, lo ha dimostrato danzando sulle note di “Simply the Best” in campagna elettorale. Con altrettanto entusiasmo con la delibera del ’21 ha pensato di avvantaggiare il territorio, offrendo al San Gerardo la qualifica di Irccs (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico), di fatto sorvolando sui conti traballanti di una fondazione privata, le cui perdite sono ora accollate al Ssn. L’Espresso e il Fatto Quotidiano, che hanno ricostruito questa vicenda, hanno chiesto chiarimenti a Moratti: «Gli impegni fitti della campagna elettorale purtroppo non ci permettono di esaudire la richiesta», dice.
Se lo sventramento del San Gerardo è avvenuto, è perché in Lombardia l’opposizione ha fatto come le tre scimmiette: «Non vedo, non sento, non parlo», di fronte ai piani della maggioranza. A inizio 2023 il sindaco Pd di Monza, Paolo Pilotto, era stato avvertito dei danni e dei disservizi dai componenti del collegio sindacale dell’Azienda sociosanitaria di Monza, Giovanna Ceribelli e Gloriana Perrone. Ceribelli nel 2016 aveva fatto esplodere l’inchiesta sulla tangentopoli sanitaria lombarda, segnalando all’autorità giudiziaria le mazzette che Paola Canegrati, «Lady Sorriso», offriva ai politici leghisti in cambio della fornitura di appalti. Ceribelli e la dirigente del Mef, Perrone, si insediano a ottobre 2022, restano in sella tre mesi, prima che i vertici decidano addirittura di sciogliere l’Asst, in barba a qualsiasi norma, non consentendo alle due di terminare il lavoro di verifica: ma tanto è bastato per individuare una sfilza di anomalie, che segnalano a Corte dei Conti, ministero della Salute, Pirellone e nuovo assessore al Welfare, Guido Bertolaso. La vicenda è così delicata che la sezione lombarda della Corte dei Conti ha da poco avviato un’indagine per danno erariale e un’ispezione di controllo, che chiede conto a Regione e Ospedale di oltre 11 milioni di euro spariti nel nulla. Per non parlare del danno arrecato ai monzesi, che non possono più accedere direttamente ai servizi del San Gerardo una volta entrati nel circuito delle cure territoriali, ma sono dirottati sui due ospedali minori della zona.
Riavvolgiamo il nastro. Tutto inizia nel 2005, quando l’allora presidente della Regione, Roberto Formigoni, e il grande capo della sanità lombarda, Carlo Lucchina, tengono a battesimo la Fondazione Monza Brianza per il Bambino e la sua Mamma, Mbbm, soggetto privato, partecipato da Asst Monza, Fondazione Tettamanti e Comitato Maria Letizia Verga. Insieme danno vita a una sperimentazione gestionale pubblico-privata per migliorare l’assistenza ai bambini. Dice la legge che, se la sperimentazione genererà perdite, saranno accollate ai soci privati. La Asst Monza è l’azienda sanitaria territoriale che comprende l’ospedale, le case di riposo, i poliambulatori, i consultori e tutta l’offerta territoriale. La Fondazione Tettamanti e il Comitato Verga sono enti nati negli anni ’80 per ricercare cure innovative e raccogliere fondi. A capo della Fondazione c’è Luigi Roth, campione di incarichi, vicino a Comunione e Liberazione, presidente della Pedemontana, già a capo della Fondazione Fiera Milano, da sempre vicinissimo a Formigoni. Nel Comitato Verga, la personalità di spicco è Andrea Biondi: pediatra, direttore della scuola di specializzazione dell’Università Milano Bicocca e oggi direttore scientifico facente funzioni del nuovo San Gerardo, senza una procedura pubblica per nominarlo in quel ruolo.
Il progetto parte con il piede sbagliato: come ricostruiscono Ceribelli e Perrone, la legge «fissa al 49 per cento la partecipazione di organismi privati alle sperimentazioni gestionali», mentre qui i soci privati hanno il 66 per cento, la maggioranza. La Fondazione Mbbm accoglie sotto la propria ala la gestione di pediatria, neonatologia e ostetricia, assieme ai dipendenti dei reparti e promette di investire 18 milioni per realizzare, sul terreno dell’Ospedale, uno spazio per queste funzioni. I milioni non arriveranno mai e solo i laboratori di ricerca e l’ematologia pediatrica saranno realizzati, grazie a un investimento del Comitato Verga. Attenzione: l’accordo prevedeva che al termine della sperimentazione gli immobili tornassero all’Ospedale, ma su proposta di Moratti si decide di assegnarle alla Fondazione fino al 2050 e di farne il Centro Maria Letizia Verga, dove il pubblico conta zero.
Anziché apportare beneficio al Ssn, la sperimentazione è una voragine per le casse statali, con la Fondazione perennemente indebitata verso la Asst di Monza, che a più riprese chiede (invano) di sciogliere la collaborazione. E chi prova a esprimere dissenso viene allontanato. La direttrice generale dell’azienda ospedaliera, Simonetta Cinzia Bettelini, nel 2015 elabora il report Osservazioni dell’azienda ospedaliera e scrive che i costi del personale sono lievitati di 1,4 milioni dal 2007 al 2014, a fronte di soli quattro posti letto in più (da 36 a 40). Bettelini scrive che il San Gerardo non aveva bisogno della Fondazione per diventare un’eccellenza pediatrica: lo era già, in particolare nell’ematologia. E conclude chiedendo una due diligence per capire cosa stia succedendo in Fondazione. Il report rimane lettera morta e la direttrice non ha mai più ricevuto incarichi di rilievo nel Nord Italia. Eppure aveva ragione: nel 2017 i debiti lievitano al punto da dover procedere a un piano di rientro per mettere in sicurezza i conti pubblici: la Asst di Monza vanta crediti per 13,8 milioni, di cui 8 scaduti. La Regione rinnova comunque la sperimentazione, a patto che la Fondazione riesca a saldare almeno lo scaduto. Già alla seconda rata, la Fondazione non ci riesce e in suo soccorso interviene proprio l’azienda sanitaria (cioè il pubblico) che, avendo ricevuto una donazione da 2,4 milioni destinato ai bambini leucemici, lo gira alla Fondazione per permetterle di pagare quanto dovuto. Nel testamento, il professor Edoardo Carlo Marinoni, luminare dell’ortopedia, scriveva di voler destinare il suo patrimonio ai bambini leucemici, non al ripiano delle perdite della Fondazione. Ma tant’è.
I debiti aumentano ancora. A fine 2022 la commissione di valutazione ministeriale, chiamata a verificare i requisiti per il riconoscimento del carattere scientifico dell’azienda socio-sanitaria di Monza, avviato da Moratti con il decreto del 2021, rileva un arretrato con i pagamenti da parte della Fondazione per 14,6 milioni. La commissione evidenzia anche che la Fondazione aveva preso un impegno per altri 5,5 milioni, da destinare a «potenziamento, ampliamento e ristrutturazione dell’Ospedale». Quei soldi non arriveranno mai. Concludono i commissari: «Permangono le criticità relative alle modalità attraverso le quali dovranno essere pagati tali crediti, in relazione al fatto che, con la costruzione dell’Ircss, gli unici introiti di Fmbbm saranno rappresentati dalle elargizioni liberali». Insomma, il buco c’è e non è chiaro come sarà coperto. Ma anche questo report non desta preoccupazione: procede spedito l’iter per consentire all’Ospedale pubblico San Gerardo di diventare Fondazione Irccs, ammettendo fra i soci – in palese conflitto d’interessi per i debiti nei suoi confronti – la Fondazione Mbbm, che peraltro avrebbe dovuto sciogliersi. Un esempio per capire: pure l’Ospedale pediatrico Meyer di Firenze è un Irccs, ma ha rifiutato la formula della Fondazione perché è «una larvata privatizzazione».
A fine 2022, Ceribelli, chiamata dal ministero della Salute a sciogliere la matassa monzese, fa un balzo sulla sedia quando scopre che il piano è portare sotto al cappello della Fondazione Irccs non solo la pediatria, ma l’intero Ospedale. I mastodontici errori fatti nella creazione dell’Irccs e i poteri dati ai rappresentanti delle Fondazioni private in seno al cda del San Gerardo «potrebbero inibire alla Fondazione Irccs di azionare nei confronti di Fondazione Mbbm le azioni di recupero degli ingentissimi crediti vantati nei suoi riguardi», decine di milioni di soldi pubblici evaporati a favore dei privati. Perché, oltre a ministero e Regione Lombardia, partecipano al nuovo Irccs San Gerardo i «portatori di interesse», cioè gli enti che svilupperanno la ricerca: in questo caso la Fondazione Mbbm e la Fondazione Tettamanti. L’accordo iniziale prevedeva che la Fmbbm si sarebbe sciolta per far posto all’Irccs: di fatto, si è sciolta l’azienda socio-sanitaria territoriale di Monza. Mentre la Tettamanti si è presa una quota doppia, perché ha anche una partecipazione nella Fmbbm. È probabile che la nuova governance a trazione privata chiuda gli occhi rispetto a quanto dovuto dalla Fmbbm alla Asst. Se a ripianare il debito non sarà il privato, ci penserà lo Stato. E se dovessero esserci nuovi ammanchi, come spese della Fmbbm, finirebbe tutto nel gran calderone della Fondazione Irccs San Gerardo, dove comandano i privati, ma paga Pantalone. Che gran risultato. In merito alla vicenda, il sindaco di Monza non ha risposto alle domande de L’Espresso, lo ha fatto invece l’assessore Bertolaso che conferma esserci una mediazione in corso fra l’Irccs e la Fondazione per risolvere la questione dei crediti preesistenti. E conferma anche l’indagine della Corte dei Conti sui milioni dovuti dalla Mbbm al pubblico e sulla misteriosa sparizione della Asst di Monza.
(da lespresso.it)
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Maggio 17th, 2024 Riccardo Fucile
IL PADRE DELLA MOGLIE ERA IL FACOLTOSO BANCHIERE EBREO PINHAS DIAMANT, UNO DEI FONDATORI DELLO STATO DI ISRAELE’’… “LUSSEMBURGO, CIPRO E SVIZZERA. TRE PARADISI FISCALI EUROPEI UNITI DA UN NOME: MSC… LA SUA FLOTTA BATTE BANDIERA PANAMENSE E LE NAVI DA CROCIERA LE FA COSTRUIRE IN FRANCIA DA UNA SOCIETÀ COREANA
Gianluigi Aponte, Gigi per gli amici, parla quattro lingue, ha un taglio gentile ed è cortesissimo nei modi. Ascolta senza battere ciglio traspirando una grande padronanza di sé. Taciturno fino all’estremo, le sue risposte sono misurate col bilancino del farmacista. Eppure ha il polso dell’economia mondiale. È uno che vede lontano. Ma qual è il suo segreto? “Sono prigioniero di ciò che ho creato”, ha confessato raccontando la parte di sé che non si vede mai».
Gianluigi Aponte comincia a sgomitare nel 1969, subito dopo il matrimonio con Raffaela, la moglie svizzera. Si trasferisce da Sorrento a Ginevra. In quell’anno trova un impiego presso l’agenzia Bernie Cornfeld (Ios) come consulente finanziario. Vendere fondi però non lo appassiona: si sente come un pesce sull’asciutto. Con l’aiuto di un suo amico compra una piccola imbarcazione tedesca di seconda mano, la Patricia, e la mette a navigare tra l’Italia e la Somalia.
Il padre di Aponte, Aniello, aveva lavorato ed era morto laggiù, prima della guerra, facendo il commercio di frutta e gestendo la Croce del Sud, un albergo di sua proprietà. La prima società con la quale comincia a operare si chiama Aponte Shipping Company, con sede a Monrovia, Broadway 31, Liberia. Dopo la Patricia compra una seconda nave, che prende il nome di Rafaela, sua moglie. Per il finanziamento delle prime due unità si fa aiutare da diverse persone che credono nel suo progetto.
Nel 1972 è la volta della Pazifik, una nave di 6.600 tonnellate di proprietà della Globus Reederei, compagnia tedesca in liquidazione. Gli affari migliorano quando una banca americana, The First National Bank of Chicago, nel 1973, finanzia l’acquisto di un altro mercantile, che sarà chiamato Alexa, il nome della figlia di Aponte. Ma ormai il giovane capitano di lungo corso ha chiaro nella mente il da farsi: rilevare vecchie navi a prezzo stracciato e dedicarsi completamente al trasporto di container. I risultati gli daranno ragione.
Nel 1987 Aponte diversifica gli affari entrando nell’industria delle crociere con l’acquisto della napoletana Starlauro. Più tardi compra tre navi da crociera: la vecchia Monterey nel 1991, la Cunard Princess nel 1995 (che diventa la Rhapsody) e, nel 1997 la Starship Atlantic (ribattezzata Melody).
Sul mercato però ci sono poche buone occasioni di navi da crociera usate, mentre la Msc ha un gran bisogno di allargare la flotta per competere ad armi pari.
Così Aponte decide di investire tutto ciò che può, e per battere la concorrenza ordina nuove navi. Alla fine del 2000, Msc firma un contratto con i Cantieri francesi dell’Atlantico per due navi da 1.560 passeggeri. Prezzo del contratto: 280 milioni di euro ciascuna. Con una cerimonia ad alto effetto, Sophia Loren battezza poi la nuova Lirica nel porto di Napoli il 12 aprile 2003.
A Napoli, non ha mai voluto viverci e mettere radici. Autorevoli personaggi fecero pressioni perché comprasse il Calcio Napoli. Disse di no per un solo motivo: il timore di finire ogni giorno sui giornali.
Un vero e proprio rullo compressore. Più che una portacontainer, il gruppo di Gianluigi Aponte sembra una nave rompighiaccio. Avanza tranquillo e senza fretta, ma è inarrestabile.
Da oltre 50 anni abita in Svizzera, a Ginevra. Il polmone finanziario dell’impero è in Lussemburgo, in un edificio di Boulevard Joseph II situato di fronte all’ambasciata francese. La Shipping Agencies Services, holding che gestisce gli affari del gruppo, si è trasferita qui da circa un anno. Motivo? Ragioni di governance, fiscali e giuridiche consigliano sempre l’esistenza di una holding nel Granducato.
Le decisioni strategiche, però, si prendono in terra elvetica, per la precisione sul lago Lemano, dove ha sede il quartier generale. Riservato, sempre garbato, attaccato ai valori familiari e all’Italia, l’armatore ha poche e selezionate amicizie. Il segreto del suo successo sta nella visione strategica e nella capacità di navigare nelle agitate e oscure acque dello shipping.
Qualità che ben si accoppiano con le doti della moglie Rafaela Diamant, figlia di Denat Diamant, uno dei fondatori dello stato di Israele. Nel 1969, dopo il matrimonio, Aponte lasciò Sorrento, seguendo la moglie che aveva residenza in Svizzera. Ben presto si trasferì a Londra e poi a Bruxelles, dove intraprese la professione di broker di carichi marittimi. Nel 1970 coronò il suo sogno: comprare una nave. Si trattava di un cargo tedesco, Patricia, che gli diede la possibilità di fondare la prima impresa. Costituì la Aponte Shipping Company, con sede a Monrovia, in Liberia.
Nel 2020 il gruppo fatturava circa 30 miliardi e impiegava 100mila persone. Alcuni giornali svizzeri sostengono che in questi anni il patrimonio dell’armatore sia molto cresciuto ed è stimato valere circa cento miliardi. Il che lo renderebbe uno degli uomini più ricchi al mondo. Ma Msc resta una family company. I figli Diego e Alexa, insieme con il genero Pierfrancesco Vago, ricoprono i ruoli chiave. Aponte è il chairman, il figlio Diego è diventato il presidente operativo mentre Soren Toft, ex capo di Maersk, è l’amministratore delegato.
Un amico, l’avvocato Carmine Castellano, direttore del Giro d’Italia dal 1993 al 2003, sorrentino emigrato a Milano, racconta gli anni spensierati trascorsi con Gigi. “Ci siamo innamorati della stessa ragazza, ma non abbiamo mai litigato. Aveva le spalle larghe da nuotatore, parlava poco, era discreto ed elegante. Eravamo una bella compagnia, allegra, divertente.
Andavamo alla spiaggia della Marinella, non c’erano le discoteche, allora. Qualcuno di noi portava il mangiadischi arancione, c’erano le villeggianti, ascoltavamo i cantanti urlatori: Adriano Celentano, Mina. Si studiava in scuole diverse, io al liceo, lui all’Istituto nautico di Piano di Sorrento. Poi ci si trovava e si stava insieme a parlare di sport, donne, sogni e futuro. Pensava in grande, aveva in testa molte idee. Io volevo fare l’avvocato, lui era un uomo di mare. Viveva tra le onde. Si è iscritto a Economia e commercio, ma aveva dentro il suo mondo d’acqua”.
Gli Aponte erano armatori, controllavano un piccola flotta, racconta Castellano: “Si chiamava Libera Navigazione del Golfo e c’era una folla di parenti. Uno zio, Giovanni, durante la guerra stava attraversando il Golfo, una motovedetta tedesca gli intimò l’alt e sparò subito, lo colpì a una gamba e rimase zoppo. Frequentavo la loro famiglia, ero amico di Lella una sua cugina iscritta a Legge. Gigi studiava e lavorava sulle barche a motore.
Aveva il patentino, era catturato dal mare. Gli piaceva. Era rimasto solo con la mamma, il papà era stato a Mogadiscio dove aveva un albergo. Poi si è ammalato e Gigi è rimasto orfano”. Lavora sui traghetti, s’imbarca e durante una traversata conosce Rafaela, un vero colpo di fulmine, comincia così una storia che sembra presa dalla fiction Love Boat. Gigi dice agli amici: “Vado in Inghilterra”. Lascia la penisola Sorrentina, le barche, il mare. Si ferma a Ginevra, poi a Bruxelles infine sulle rive del lago Lemano convola a nozze con l’amata.
“Aponte si fa vedere ogni giorno e controlla tutto”, spiega ancora la fonte interna all’azienda. “Segue le trattative per l’acquisizione delle navi ed è pronto a intervenire direttamente se qualcosa non va. Conosce i prezzi imposti dai concorrenti e le loro strategie”»
È l’armatore più riservato e schivo del mondo. A Londra, negli ambienti dello shipping lo chiamano “the stealth fighter” (il combattente invisibile)
I figli Alexa e Diego hanno studiato all’estero. Le sue aziende italiane sono controllate da un dedalo di finanziarie off shore. La sua flotta batte bandiera panamense e le nuove gigantesche navi da crociera le fa costruire in Francia da una società a capitale coreano. Un uomo di mondo, Aponte.
Lussemburgo, Cipro e Svizzera. Tre paradisi fiscali europei uniti da un nome: Msc. In queste tre nazioni, caratterizzate da scarsa trasparenza societaria e imposte bassissime, sono dislocate le holding principali del gruppo scelto dal governo italiano come possibile acquirente di Ita Airways, la ex Alitalia. Conseguenza: gli eventuali dividendi staccati un domani dalla compagnia aerea italiana potrebbero finire offshore.
L’Italia occupa di sicuro un posto speciale nelle strategie globali di Aponte, ma prima di tutto vengono gli interessi del suo gruppo, anche a costo di tradire l’italianità delle origini. E così, come ricordano bene nelle stanze del ministero dell’Economia, il patron di Msc non si fece scrupoli a ostacolare lo sbarco in Francia di Fincantieri, che aveva già concluso un accordo per rilevare i cantieri navali di Saint-Nazaire.
Era un’operazione di enorme importanza strategica per l’azienda pubblica, che è stata di fatto costretta a ritirarsi dopo l’intervento del governo di Parigi. A giugno del 2017, quando ormai l’affare sembrava concluso, Aponte rilasciò un’intervista al quotidiano Le Monde per stroncare l’affare: “Impediremo il saccheggio di Saint-Nazaire”, dichiarò testualmente al giornale transalpino.
Il motivo è semplice: l’unione di Fincantieri e dell’azienda francese avrebbe ridotto pesantemente il potere negoziale del gruppo Msc, che è grande cliente di entrambi, con commesse miliardarie per la costruzione di navi di crociera. La sortita dell’armatore trovò subito una sponda all’Eliseo, dove si era appena insediato Emmanuel Macron.
Aponte ha raggiunto il suo scopo. Fincantieri si è ritirata dall’acquisizione in Francia, mentre i cantieri di Saint-Nazaire sono passati sotto il controllo dello Stato francese. I bilanci di entrambe le aziende, insieme a migliaia di posti di lavoro, adesso dipendono dalle commesse dell’armatore con base a Ginevra».
Aponte era stato reclutato insieme ai “capitani coraggiosi” che dovevano salvare l’Alitalia nel 2008 sotto l’egida del governo Berlusconi. La Cai, come si chiamava la nuova società, era lo schiaffo in faccia all’intesa di massima con Air France sostenuta dal governo di Romano Prodi.
Il 28 ottobre di quell’anno il capitano Aponte viene nominato nel consiglio di amministrazione: fa appena in tempo a vedere qualche carta e scambiare due idee con gli altri quindici soci, poi riprende il volo per Ginevra. Al suo posto entrerà in fretta e furia Emilio Riva, che allora possedeva l’Ilva
Nominato Cavaliere del lavoro da Giorgio Napolitano il 31 maggio 2013, Aponte era pronto ad acquisire la maggioranza di Ita con Lufthansa in minoranza. Sennonché l’onorevole Rampelli ha innescato una forte polemica sostenendo che Aponte, nato e vissuto a Sorrento, fosse svizzero, vivendo ora effettivamente in Svizzera, avendo sposato una signora svizzera.
Il cerino acceso da Rampelli ha provocato altre reazioni fino al punto che Aponte ha deciso di non farne più niente: ha subito acquistato una piccola flotta di aerei da trasporto, integrando le navi con gli aerei, e Altavilla è stato messo in condizione di lasciare la presidenza.
Il vero punto di forza di Aponte, però, è l’immensa liquidità in cassa, una montagna di denaro fresco che fornisce al gruppo una potenza finanziaria pressoché illimitata.
Basti pensare che la sola Sas Shipping company alla fine del 2022 poteva contare su cash per 4,3 miliardi di dollari (4,1 miliardi di euro). Questi numeri bastano e avanzano per spiegare come il gruppo abbia trovato le risorse, anche grazie al sostegno delle banche, per completare una raffica di acquisizioni miliardarie nell’arco degli ultimi due anni.
L’elenco completo è molto lungo, ma qui basta citare le due operazioni più importanti. A dicembre del 2022 Msc ha rilevato le attività portuali in Africa del gruppo Bollorè, con un investimento di 5,6 miliardi di euro.
Risale invece all’estate scorsa lo sbarco nel settore ospedaliero. Il Comandante si è messo in società con il miliardario sudafricano Johann Rupert e insieme hanno rilevato per circa 4 miliardi di euro Mediclinic, una rete di cliniche, per lo più di lusso, che si estende tra Svizzera, Dubai e Sudafrica. Più volte nel recente passato Roma ha fatto ponti d’oro all’armatore con base a Ginevra.
Gran parte dei finanziamenti per gli ordini delle nuove navi da crociera sono garantiti dalla Sace, controllata dal ministero dell’Economia. E in un settore strategico come quello dei porti Aponte ha avuto campo libero per allargare una rete di scali che va da Trieste a Genova passando da Venezia, Ancona, Gioia Tauro, Napoli e La Spezia.
(da Dagoreport)
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Maggio 17th, 2024 Riccardo Fucile
PIANO E NOMI DELL’INFELICE IDEA DI IMBARCARE RENZI E CALENDI NEL CAMPO LARGO
Sindaco di Roma dal 1993 al 2001. Ex leader dell’Ulivo e della Margherita. Attuale presidente di Anica (Associazione nazionale industrie cinematografiche audiovisive e digitali). Stiamo parlando ovviamente di Francesco Rutelli, che più volte ha rifiutato un ritorno in campo in politica negli ultimi anni. Ora però le cose potrebbero cambiare
A spingerlo per rivedere i suoi piani sarebbero in diversi, tra i quali il leader della sinistra Dem romana Goffredo Bettini ma anche Dario Franceschini, il silente (da mesi) leader di Area Dem che ha sostenuto Elly Schlein alle primarie contro Stefano Bonaccini ma che in molti descrivono come deluso dalle mosse della segretaria, anche e soprattutto sulle candidature esterne al partito alle elezioni europee dell’8-9 giugno.
Rutelli è stato leader della Margherita e quindi della parte moderata, cattolica ed ex democristiana del Partito Democratico, molto lontano da Schlein, che ha messo gli occhi di Enrico Berlinguer sulla tessera del 2024 del Pd facendo infuriare molti dem.
L’ex sindaco di Roma, in prospettiva, potrebbe essere l’uomo giusto per costruire il campo super-largo senza il quale Giorgia Meloni governerà per altri 10 anni (probabilmente).
Se il Centrodestra non implode, ipotesi sempre possibile, le elezioni politiche con il premierato (se la riforma costituzionale verrà approvata dagli italiani con il referendum) saranno nel 2027 e quindi c’è tutto il tempo per riorganizzarsi e costruire un progetto nuovo e alternativo all’attuale Centrodestra.
D’altronde Paolo Gentiloni, assicurano fonti Pd, ha come obiettivo il Quirinale e non Palazzo Chigi.
Rutelli – vicino sia alla segretaria sia alla minoranza di Guerini e Bonaccini – potrebbe essere il collante che attualmente non esiste per tenere insieme una coalizione larghissima che, partendo dal Pd, includa il Movimento 5 Stelle, Alleanza Verdi Sinistra, Carlo Calenda e forse anche Matteo Renzi. Rutelli non solo è moderato e garantisce il centro ma ha anche un passato ecologista e ambientalista che calza a pennello per avere l’ok di Giuseppe Conte e della sinistra di Fratoianni e Bonelli.
Siamo in una fase assolutamente preliminare ma i segnali che arrivano dall’ex sindaco di Roma, il pressing di Bettini e Franceschini e la necessità di ricostruire un super campo largo o comunque una coalizione alternativa a Meloni sono tutti tasselli di un puzzle che si potrebbe gradatamente comporre nei prossimi anni per arrivare a un Rutelli candidato contro la leader di Fratelli d’Italia e il Centrodestra. D’altronde le elezioni si vincono al centro e non con un candidato troppo a sinistra. Bettini, Franceschini e molti altri big Dem lo sanno benissimo.
(da affaritaliani.it)
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Maggio 17th, 2024 Riccardo Fucile
FORZA ITALIA STOPPA GLI APPETITI DELLA DUCETTA: “IL METODO DEVE ESSERE UN ALTRO” … ANCHE I LEGHISTI MASTICANO AMARO: “NESSUNO CI HA DETTO NIENTE”
Giorgia Meloni freme per avere più Regioni su cui piantare la bandiera di Fratelli d’Italia. «Siamo il partito più forte della coalizione, ma Lega e Forza Italia hanno più governatori di noi», lamenta da tempo la premier. È una fame, la sua, che non è ancora riuscita a saziare.
L’unica occasione si è presentata in Sardegna, dove però il fedelissimo di Meloni, Paolo Truzzu, ha fatto un buco nell’acqua. E così, adesso, prima ancora di parlarne con gli alleati, nel quartier generale di Fratelli d’Italia si dicono convinti: «L’Emilia Romagna spetta a noi».
Sulla carta, l’unica Regione a tornare al voto il prossimo novembre sarebbe dovuta essere l’Umbria, dove è sicura la ricandidatura dell’uscente Donatella Tesei, della Lega.
Ma poi tra inchieste ed Europee, sono spuntate alla finestra anche la Liguria e l’Emilia Romagna. Nel centrodestra, infatti, in pochi scommettono sulla permanenza del governatore ligure Giovanni Toti, ancora agli arresti domiciliari. Allo stesso modo, viene dato per certo il trasferimento a Bruxelles del presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, uno dei capilista del Pd alle Europee. Scatterebbe quindi il voto anticipato
Nessuno vuole mettere il cappello sulla Liguria: si va verso un candidato civico come il rettore dell’Università di Genova Federico Delfino. È invece in Emilia Romagna, regione rossa, mai governata dal centrodestra, che Meloni cerca una sfida dal forte valore simbolico.
Gli alleati vengono considerati poco. La Lega ha già provato a conquistarla due volte, l’ultima con Lucia Borgonzoni, respinta da Bonaccini e dalle Sardine: «Il loro turno è passato, ora tocca a noi», commenta un fedelissimo della premier. In casa Forza Italia, invece, l’unica ad avere lo standing e il profilo giusto sarebbe la bolognese Anna Maria Bernini, «ma è già ministra dell’Università, e Meloni – assicurano da FdI – non ha alcuna intenzione di fare un rimpasto». Insomma, i Fratelli considerano l’Emilia Romagna cosa loro.
In questi giorni hanno iniziato a studiare l’identikit del candidato giusto con cui provare a espugnare la Regione. Donna, imprenditrice, fortemente legata al territorio e vicina a FdI, ma non necessariamente con la tessera del partito in tasca.
Dentro Lega e Forza Italia, però, le reazioni non sono delle più entusiaste all’idea che la decisione sia già stata presa: «Il metodo, per quanto ne sappiamo, è un altro – commentano stizziti nel partito di Antonio Tajani -. Prima ci si siede intorno a un tavolo e poi si fanno le dovute valutazioni nei migliori interessi del centrodestra». Anche i leghisti sembrano poco entusiasti: «Nessuno ci ha detto niente. In ogni caso, alla fine, deve sempre tornare tutto in equilibrio e troveremo un accordo».
I leghisti mettono tutto nello stesso paniere, ma sono partite diverse, perché l’Emilia Romagna è una regione ricca, che fa gola quanto il Veneto, a differenza del feudo di Luca Zaia, però, andrebbe strappata al centrosinistra che la governa da sempre. E il Pd si sta già preparando. In pole per il dopo Bonaccini c’è la sua attuale vicepresidente, Irene Priolo, e restano alti anche i nomi del sindaco di Ravenna Michele De Pascale e dell’assessore regionale per lo Sviluppo economico e il Lavoro Vincenzo Colla.
Sarà una partita difficile ed è per questo che Meloni non ha alcuna intenzione di mollare la presa sul Veneto. «Spetta a noi, non alla Lega», diceva in questi giorni il senatore di FdI Raffaele Speranzon. Il candidato è già pronto sulla linea di partenza: il senatore Luca De Carlo, che i colleghi – per scherzare – già chiamano «presidente».
Anche per questo FdI resta fermamente contraria a concedere una deroga per un terzo mandato ai governatori, che farebbe tornare in pista in un colpo solo Zaia in Veneto, Bonaccini in Emilia Romagna, Michele Emiliano in Puglia e Vincenzo De Luca in Campania. Meloni le conta e le riconta, poi guarda le date sul calendario: tutte al voto entro la fine del 2025. Le viene già una gran fame.
(da La Stampa)
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Maggio 17th, 2024 Riccardo Fucile
IMBOSCATI PER 40 ANNI, ORA IN RAI TUTTI DIVENTANO IMPROVVISAMENTE “DI DESTRA”… E SI RIUNISCONO PER L’APERITIVO ALL’ESCLUSIVO SPORTING CLUB, NOTO RITROVO DELLA ROMA BENE (EVVIVA LA DESTRA ASOCIALE)
“Siamo credenti e professanti, siamo la rete del Papa, la vogliamo difendere o no la nostra religione?”. Ecco la cronaca – riportata dall’agenzia di stampa Dire – del ‘Brindisi della libertà’, l’evento di Unirai, il sindacato di destra in ascesa nella tv pubblica, dove “si sboccia con la colonna sonora di Capitan Harlock, il ‘pirata tutto nero che ha per casa solo il ciel'” caro a Giorgia Meloni.
Evento organizzato nello stesso giorno in cui l’Usigrai protesta sotto Viale Mazzini per la libertà di informazione. ‘Un confronto con gli iscritti’ all’ora dell’aperitivo nel circolo romano Due Ponti Sporting Club, non lontano da Saxa Rubra.
Star della serata – scrive la Dire – la vicedirettrice del Tg1 Incoronata Boccia. Meno di un mese fa, ospite di Serena Bortone, ‘Cora’ disse in tv che ‘l’aborto è un delitto, non un diritto”. Pioggia di critiche, interrogazioni in Vigilanza… “Sei stata coraggiosissima”, le dice più di una collega. “Io non ho mai attaccato le donne, ho solo detto le cose come stanno: l’aborto è un omicidio. Sono parole forti, lo so, l’ho premesso”. E ancora: “Io sono fortunata, ho la fede. La telefonata più bella che ho ricevuto è stata quella di un prete che mi ha detto ‘brava, ma dovevi aspettarti che una verità del genere avrebbe smosso le forze giù in basso”.
Non mancano le stoccate al sindacato rivale. “Stamattina a Viale Mazzini quelli dell’Usigrai erano quattro gatti. – uno dei dialoghi riportati dalla Dire – Corsini mi ha mandato le foto, guarda… Guarda”. “Dopo anni di monopolio Usigrai ora tocca a noi”, il mantra.
Sui telefoni di alcuni gira un messaggio che il direttore del Tg1 Gian Marco Chiocci inviò la sera del 6 maggio, il giorno dello sciopero a cui Unirai non aderì: “Oggi è stata una pagina storica per la Rai, un evento epocale. Per la prima volta uno sciopero indetto dal sindacato rosso Usigrai si è risolto in un boomerang senza precedenti. Anche Rainews, storico fortino rosso, ha mandato in onda diversi spazi informativi e il sito è stato regolarmente aggiornato così come televideo”.
“Pino insegno non è potuto venire, è a Napoli, ma ci saluta”, così il segretario Francesco Palese, prima di dedicarsi ai fritti e ai brindisi. Unica nota di tristezza, l’annullamento del previsto duello a Porta a Porta tra Meloni e Schlein.
(da agenzie)
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Maggio 17th, 2024 Riccardo Fucile
LE MANOVRE DI VISIBILIA DURANTE LA NASCITA DEL GOVERNO MELONI
A ottobre 2022, mentre il governo Meloni parlava della pace fiscale, dalle parti di Visibilia si ascoltava tutto con attenzione. Daniela Santanchè e il compagno Dimitri Kunz devono fronteggiare la richiesta di fallimento della società.
E il progetto di sistemare i debiti tributari, spiega Domani, non può che far felici i presenti: «Si sta parlando di pace fiscale, vediamo magari se si riesce ad avere degli sconti… e quindi eravamo più che altro in attesa di questo», dice il consulente Paolo Concordia.
Intanto alcune indiscrezioni giornalistiche rivelavano l’intenzione di Fratelli d’Italia di cancellare le pendenze giudiziarie di chi aveva evaso e poi deciso di pagare.
Ma, racconta il quotidiano, tutto questo potrebbe non bastare. Arriva quindi il soccorso di Flavio Briatore, che acquista da Santanchè le sue quote del Twiga.
Prima però c’è un’altra grana. Ovvero il prestito da 740 mila euro con garanzia di Invitalia arrivato dalla Banca Popolare di Sondrio.
I due esperti di Bankitalia spiegano nella loro relazione la fine che hanno fatto quei soldi. Invece di essere usati per la carenza di liquidità per via dell’emergenza Covid, arrivano a sostenere un’altra società del gruppo. Ovvero Visibilia Editore Holding, che rischiava il tracollo.
(da agenzie)
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