Maggio 12th, 2024 Riccardo Fucile
“QUESTA STORIA RIGUARDA GLI ALTRI PARTITI DELLA MAGGIORANZA CHE SONO STATI TAGLIATI FUORI DA TOTI DA OGNI DECISIONE SUGLI APPALTI. ERANO LORO AD ESSERE I PIÙ ARRABBIATI COL GOVERNATORE. QUESTO STATO DI COSE NON POTEVA DURARE, ALLA FINE E’ ESPLOSO”
Giovedì ora di pranzo. In un transatlantico Montecitorio semideserto per la campagna elettorale per le europee, arrivano gli echi del caso Liguria e si ragiona sul destino del governatore Giovanni Toti agli arresti domiciliari. Davanti alla buvette si incontrano due personaggi che per i ruoli che ricoprono hanno molto da dire sull’argomento: il capogruppo dei deputati di Fratelli d’Italia, Tommaso Foti, e Andrea Orlando, candidato “in pectore” della sinistra qualora si arrivasse alle elezioni anticipate per la Regione. «Allora che fai ti candidi?», è la battuta che puntuale esce dalla bocca di Foti. E Orlando naturalmente, quasi che l’aspettasse, non si tira indietro. «Che fate voi?», replica con un sorriso consumato.
E chi ha le antenne più tese non può che essere chi ambisce a prendere il posto di Toti, appunto, Orlando. Il personaggio è in gran spolvero, mezzo Pd lo cerca. Ha una sua idea sullo scandalo, sulle sue dimensioni, sulle sue conseguenze. «La questione – osserva – non è il finanziamento dei partiti, che certamente è un tema ma che in questa vicenda con c’entra nulla. Il problema è che non si possono decidere appalti o concessioni al bar o su uno yacht. Il problema è “il sistema”. In questo sistema appalti e concessioni lo decidono le imprese direttamente con il governatore. È un andazzo che lede la democrazia».
Per cui nella testa di Orlando, già ministro della Giustizia, lo scontro tra politica e magistratura non è argomento di questa vicenda. «Io non voglio fare il giustizialista – mette le mani avanti l’esponente del Pd non ci penso proprio. Ma il rapporto tra istituzioni e imprese nella logica di Toti diventa perverso. L’ho detto più volte pubblicamente e lui si è risentito».
Poi, dato che Orlando è uomo di partito e conosce i meccanismi della politica, tira in ballo anche altri.
«La cosa strana – racconta – è che questa storia non riguarda tanto noi visto che in Regione non toccavamo palla ma gli altri partiti dell’attuale maggioranza che sono stati tagliati fuori da Toti da ogni decisione. Erano loro – io ci parlavo – ad essere i più arrabbiati».
E la «genesi» del caso secondo Orlando è squisitamente politica. «Secondo me – è il suo ragionamento Toti ha perso la testa quando ha tentato di proiettarsi sul piano nazionale. Nelle ultime elezioni la sua lista è quella che ha avuto più voti. Se ricordo bene il 22%
Lui a quel punto ha tentato di trasformare il suo movimento in un soggetto nazionale per poter trattare alla pari con gli altri leader del centro-destra. Non gli è andata granché bene per cui si è trovato nella necessità di stringere i bulloni del suo sistema. Ha messo dei personaggi fidati nei ruoli principali in modo da accentrare tutto sulla sua figura. Gli altri partiti della maggioranza non contavano nulla come pure gli altri componenti della giunta regionale».
Ragion per cui per Orlando prima o poi ci sarebbe stata la parola «fine»: «È chiaro che questo stato di cose non poteva durare, che alla fine sarebbe esploso». E qui l’esponente del Pd non risparmia una punta di sarcasmo: «Tant’è che quando c’è stato il dibattito sul terzo mandato per i governatori, ho detto che per me in Liguria si poteva anche fare…E a proposito sarebbe opportuno fare anche una riflessione sul “premierato” che somiglia tanto al sistema di governo delle Regioni».
(da Il Giornale)
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Maggio 12th, 2024 Riccardo Fucile
DAL DISCORSO DI INSEDIAMENTO ALLA CAMERA “SIATE LIBERI ANCHE DI CONTESTARCI” ALLE MANGANELLATE SE DISSENTONO
Oltre un anno e mezzo fa, durante il discorso programmatico alla Camera, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni esordiva così: “Io penso di conoscere abbastanza bene l’universo dell’impegno giovanile, è una palestra di vita meravigliosa, indipendentemente dalle idee politiche che si sceglie di difendere e promuovere. Confesso, che difficilmente riuscirò a non provare simpatia, anche per coloro che scenderanno in piazza per contestare le politiche del nostro governo, perché inevitabilmente tornerà alla mente, una storia che è stata anche la mia. Ho partecipato a molte manifestazioni e ne ho anche organizzate tantissime nella mia vita, e penso che questo mi abbia insegnato molto, anche di più di quanto non mi abbiano insegnato altre cose. Voglio dire a questi ragazzi, che inevitabilmente scenderanno in piazza anche contro di noi, una frase di Steve Jobs, che diceva ‘Siate affamati, siate folli’, io vorrei aggiungere anche ‘Siate liberi’, perché è nel libero arbitrio che risiede la grandezza dell’essere umano”.
Ad un anno e mezzo dall’insediamento dell’esecutivo lo scenario è ben diverso da quello che aveva delineato la premier, vi è infatti una certa insofferenza diffusa verso il dissenso nella maggioranza di governo – in tutte le sue forme – dalle contestazioni di piazza sino alle dimostrazioni pubbliche durante convegni e simili.
L’elemento preoccupante, è la miopia che contraddistingue da diverso tempo buona parte del governo, non si rendono conto, che andando avanti così, andranno a sbattere.
Quando ogni due settimane un quotidiano apre con la notizia di studenti manganellati a destra e manca, è probabile se non addirittura palese, che hai un problema. Il danno d’immagine che notizie come queste, possono causare anche all’estero, non è da sottovalutare.
Eppure la cosa sembra non allarmare nessuno, tanto che dopo le manganellate agli studenti di Pisa, la risposta di FdI è stata emblematica: “La causa è la sinistra che spalleggia i violenti”. Per quanto tempo ancora porteranno avanti questa narrazione?
Nessuno di loro al momento ha ancora assunto la consapevolezza, che prima o poi, questo modo di fare sprezzante e noncurante, causerà diverse crepe alla stabilità del governo.
In questo senso, è curioso l’atteggiamento della ministra Roccella, siamo giunti a quota due, se non addirittura tre volte, che la ministra Roccella contestata, decide di andarsene. Non c’è niente di più comunicativamente sbagliato, oggi come ieri, doveva rimanere al suo posto e argomentare. Non si può parlare di censura, nel momento stesso in cui è la ministra a prendere e andarsene (i filmati sono pubblici e tutti possono facilmente constatare l’accaduto). In questa occasione così come nelle altre, la ministra avrebbe dovuto rimanere seduta, argomentare, e tenere duro. Alzare i tacchi, non è altro che un atto di autocensura.
Ma fa tutto parte del disegno comunicativo del governo: un mix di autocommiserazione, vittimismo e dito puntato alla presunta arroganza della sinistra. È chiaro che non si possa pensare di governare una nazione piangendosi costantemente addosso e negandosi al confronto, in questo Berlusconi era cento anni luce avanti rispetto a questa destra, va detto e riconosciuto.
È bene che i membri del governo facciano pace con il loro ruolo, e che si adattino alle normali prassi di una qualsiasi democrazia
(da Huffingtonpost)
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Maggio 12th, 2024 Riccardo Fucile
ACCUSA IL GOVERNO MELONI DI “INDICARE COME NEMICI GLI INTELLETTUALI, GLI SCRITTORI E GLI ARTISTI”
Antonio Scurati torna all’attacco dell’esecutivo Meloni e dei vertici di viale Mazzini. L’accusa è sempre la stessa: aver bloccato la messa in onda del monologo che lo scrittore aveva preparato in occasione del 25 aprile. «È in atto una svolta illiberale. È un dato di fatto che gli intellettuali liberi, scrittori, artisti e studiosi, vengono indicati dall’attuale governo come nemici. A prescindere dal mio caso personale, un monologo che celebrava la Resistenza antifascista è stato cancellato». Per quella vicenda, la conduttrice Serena Bortone è stata sottoposta a un procedimento disciplinare interno alla Rai. Oggi, 12 maggio, lo scrittore è intervento al Salone internazionale del libro di Torino. Nel suo discorso, riportato dal Corriere, Scurati ha affermato: «La democrazia è sempre lotta per la democrazia che troppo spesso, io per primo, insieme alla generazione degli ultimi ragazzi del secolo scorso, non abbiamo ascoltato. Noi, figli privilegiati di un Occidente decadente, che vivevamo in un eterno presente, rompendo la storia dell’impegno civile dei nostri genitori e dei nostri nonni».
E ha proseguito: «Una mattina uggiosa, poi, ci siamo risvegliati dagli anni Ottanta e abbiamo cominciato a prendere coscienza che la democrazia è una conquista storica recente, fragile, minacciata, circoscritta a un pezzo di mondo che si va sempre più restringendo. Sebbene le ultime settimane mi abbiano costretto in questo ruolo di simbolo e portabandiera, io sono uno scrittore. Ed è proprio per questo, mio malgrado, che mi sono trovato in questa situazione: proprio per i libri che ho scritto, come Fascimo e populismo: Mussolini oggi e La trilogia di M.». Scurati, in un passaggio, ha anche criticato tutti i totalitarismi, dal comunismo al fascismo, sottolineando che «l’attuale crisi della democrazia che stiamo attraversando ha delle analogie con la crisi di cento anni fa, che colpì il nostro Paese».
(da agenzie)
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Maggio 12th, 2024 Riccardo Fucile
IL GRANDE CORRUTTORE DEL SISTEMA TOTI E’ ARRIVATO A BRUCIARE OLTRE 1,5 MILIONI DI EURO AL CASINÒ DI MONTECARLO IN POCO PIU’ DI 2 SETTIMANE… ANCHE SPINELLI JR, NELLO STESSO PERIODO, HA SPESO PIU’ DI 250MILA EURO TRA VESTITI E GIOIELLI
Aldo Spinelli nel marzo 2022 ha bruciato oltre 1,5 milioni di euro in poco più di due settimane al Casinò di Montecarlo. Suo figlio Roberto, d’altro canto, nello stesso periodo è riuscito a spendere più di 250mila euro in soli quindici giorni nei negozi genovesi, di cui 124.500 euro “investiti” in acquisti eseguiti presso le principali gioiellerie del capoluogo ligure.
È una mole impressionante di denaro quello che il Nucleo di polizia economico-finanziaria di Genova ha visto uscire dalle carte di credito dei due imprenditori tra il 7 marzo e il 25 marzo 2022, nei giorni in cui, si legge nelle informative redatte ad aprile 2023, “venivano altresì captate conversazioni riguardanti l’interessamento per le aree portuali del cosiddetto Carbonile, tuttora in concessione ad Enel Spa”.
PARTIAMO DA ALDO
Il 30 marzo 2022 arriva in Finanza una sos (segnalazione di operazione sospetta) che riguarda le due carte di credito individuali dell ’imprenditore classe 1940. Secondo l’Uif di Banca d’Italia ha effettuato ben 132 operazioni dal 7 marzo al 25 marzo per complessivi 1.584.064,57 euro.
Non solo. Le operazioni, effettuate più volte al mese e, in sporadici casi, anche più volte nella medesima giornata, a breve distanza l’una dall’altra, sono consistite in importi fino ad un massimo di 200.000 euro per singola transazione. Notano quindi i finanzieri: “Rispetto ai motivi del sospetto si segnala che dagli accertamenti attualmente in corso Aldo Spinelli risulta abituale frequentatore del Casinò di Monte Carlo e persona dedita al gioco”.
L’UIF si è interessata anche a Roberto Spinelli, figlio di Aldo e suo “erede” nelle aziende di famiglia. Quattro le carte di credito “sorvegliate” da Banca d’Italia, in questo caso: “nel periodo compreso tra il 04 marzo 2020 e il 19 marzo 2022”, Spinelli junior ha effettuat ben “439 operazioni di pagamento per un ammontare complessivo pari ad euro 255.691,25”.
Eccola la motivazione, secondo gli investigatori: “le operazioni finanziarie effettuate da Roberto Spinelli e dal padre Aldo, appaiono coerenti con il tenore di vita dei due imprenditori nonché con la loro passione, più volte manifestata nel corso delle attività tecniche di captazione telefonica, per il collezionismo di orologi svizzeri di lusso (Rolex, Audemar Piguet, ecc). Dunque, per questi acquisti, secondo la Guardia di Finanza non sono stati commessi reati: solo “vizi” e collezionismo estremo. E se va bene a loro, buoni orologi (e buone scommesse) a tutti.
(da il Fatto Quotidiano)
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Maggio 12th, 2024 Riccardo Fucile
D’ORA IN POI LE OPERE “MUSICALI, VOCALI E COREOGRAFICHE” DOVRANNO AVERE UN TEMPO COMPRESO TRA 80 E 116 BATTITI AL MINUTO (BPM). QUINDI SCORDATEVI I 117 BPM DI “SMELLS LIKE TEEN SPIRIT”
C’è un paese dove potrebbe diventare impossibile ascoltare Smells Like Teen Spirit dei Nirvana. È la Cecenia. La settimana scorsa il governo ha vietato la musica troppo veloce o troppo lenta. D’ora in poi la le opere «musicali, vocali e coreografiche» dovranno avere un tempo compreso tra 80 e 116 battiti al minuto (bpm). Quindi scordatevi i 117 bpm di Smells Like Teen Spirit.
Lo scopo è «conformarsi alla mentalità cecena», ha detto Musa Dadayev, il ministro della Cultura. Prendere in prestito la cultura musicale da altri popoli «è inammissibile», continua nella nota pubblicata sul sito del ministero. «Questa norma è un modo per difendere e tutelare l’eredità culturale cecena» e difendersi dall’influenza dell’Occidente.
I media russi riferiscono che gli artisti avranno tempo fino al 1° giugno per riscrivere qualsiasi musica che non sia conforme alla nuova regola, anche se non è molto chiaro come verrà applicata. Se le nuove direttive saranno rivolte non soltanto alla musica prodotta in Cecenia, ma anche a quella prodotta all’estero e questo significherebbe eliminare una parte importante di rock, pop, house, techno, dubstep.
NPR elenca alcuni pezzi troppo lenti o troppo veloci per la legge, da I Will Always Love You di Whitney Houston (68 bpm), Rehab di Amy Winehouse (72) e Imagine di John Lennon (76) a Here Comes the Sun dei Beatles (129), Hotel California degli Eagles (147) e Cruel Summer di Taylor Swift (170).
La Repubblica Cecena fa parte della Federazione Russa. Il leader Ramzan Kadyrov, salito al potere nel 2007, è noto tra le altre cose per la brutale persecuzione della comunità LGBTQIA+: sparizioni forzate, rapimenti, incarcerazione, tortura, omicidi.
Nel 2017 e nel 2019 le autorità cecene hanno orchestrato quelle che sono state definite come purghe di omosessuali.
(da agenzie)
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Maggio 12th, 2024 Riccardo Fucile
A OTTOBRE 2022 DOPO UN DIALOGO DURISSIMO, GLI ARMATORI RIVALI SIGLANO L’ACCORDO PER LA SPARTIZIONE DEI TRAFFICI… SIGNORINI AGIVA DI FATTO PER CONTO DI SPINELLI, INVECE DI AVERE UN RUOLO SUPER PARTES
“Ma noi, insomma, comunque dobbiamo avere… abbiamo bisogno di spazio anche noi, signor Spinelli”. “Ma la soluzione c’è la divisione! Lei (Aponte, ndr) si prende tutto Rubattino, non dietro alle vasche, anche davanti! Lei si prende tutto così come è e io mi prendo tutto, da San Giorgio in poi, così com’è. Si legga l’accordo che vi abbiamo mandato”.
È il 5 ottobre 2022 e al telefono ci sono i due padroni del porto di Genova, Gianluigi Aponte e Aldo Spinelli.
È il momento in cui i due soci-rivali capiscono che è venuto il momento di cessare le ostilità e trovare un’intesa sulla spartizione dei loro regni. Uniti nella sorte del rinnovo trentennale del Terminal Rinfuse, divisi dall’indignazione del patron di Msc quando questi si accorge che Spinelli ha iniziato a fare il bello e il cattivo tempo da solo.
Fino alla telefonata esplosiva del 28 agosto 2022, anticipata nei giorni scorsi da Il Fatto quotidiano, quando Aponte si sfoga con il presidente dell’Autorità Portuale, Paolo Emilio Signorini: “Basta ingiustizie e di questi intrallazzi diciamo genovesi che tendono a dare tutto a Spinelli e niente a noi (…) questo è ladrocinio… è veramente mafia”.
Per qualche mese Spinelli e Aponte vanno in freddo. Ed attraverso i loro referenti sul territorio lasciano trapelare rancori reciproci. Di mezzo, c’è l’assegnazione dell’ex area Enel-Carbonile. Che Spinelli di fatto considera come cosa sua, e come tale la gestisce, prima ancora che venga deliberata ufficialmente. Circostanza che irrita Aponte, che se ne lamenta con Signorini e si mette di traverso all’operazione.
Il momento in cui scoppia la pace è fotografato nelle carte dell’inchiesta di Genova sul sistema Toti, con la trascrizione dell’intercettazione del 5 ottobre 2022.
Una conversazione che inizia con pessimi auspici, con Spinelli che minaccia di andare in Procura, e finisce con un’intesa sulla divisione delle aree del porto di Genova che l’Autorithy genovese dovrà soltanto ratificare – cosa che avverrà il 19 dicembre successivo – rinunciando al proprio potere di indirizzo e di controllo nella direzione dell’interesse pubblico.
“Andiamo male guardi – quasi urla Spinelli – che qua va a finire tutto alla Procura della Repubblica… però si ricordi che qui veramente scoppia una di quelle cose che … perché il signor Merlo… quello che ha fatto verso le Rinfuse… viene fuori uno di quei casini che lei non ha idea …”.
È una allusione nemmeno tanto velata ai presunti favori che il precedente presidente dell’Autorità Portuale, Luigi Merlo, avrebbe concesso ad Aponte, che negli anni successivi lo ha assunto come direttore dei rapporti istituzionali Msc in Italia.
“Io vi dico… vuole che gli mandi la lettera che hanno preparato gli avvocati penalisti?”. Aponte non batte ciglio: “Io… non è che mi preoccupi più di tanto”. Spinelli è una furia e torna sull’oggetto del contendere, l’area ex Carbonile: “Tolga quel veto perché veramente stavolta succede il finimondo per quello che ha fatto il Signor Merlo”. Da qui il colloquio cambia tono e traccia il percorso verso la reciproca soddisfazione. A condizione che l’ex area Enel-Carbonile vada nel carniere di Spinelli. “Dottore, dia il via libera all’Enel. Non le dico più niente io!… Chiami l’autorità portuale e sblocchi la situazione dell’Enel. E poi vedrà che la soluzione c’è per… pacifica. Ecco!”.
A mettere nero su bianco i documenti dell’accordo ci penseranno l’avvocato di Msc Alfonso Lavarello e il presidente dell’Autorithy Paolo Emilio Signorini. Quest’ultimo, di fatto, agisce in nome e per conto di Spinelli. Il controllore che lavora per gli interessi del controllato.
L’istanza congiunta verrà fatta firmare a un avvocato terzo per dipingerla di imparzialità. “Nessuno deve sapere che parte da Palazzo San Giacomo”. Il 6 dicembre l’istanza è pronta e depositata. Il 19 dicembre arriva il via libera dell’Autorithy secondo i desiderata di Spinelli e Aponte. Al primo vanno i 14.000 mq dell’area ex Carbonile-lato levante, al secondo l’autorizzazione temporanea per 10.000 mq di Ponte Rubattino.
Ma Spinelli già da prima aveva quell’area nella sua disponibilità. Se ne accorge un ingegnere di Enel Produzioni il 30 giugno 2022, incaricato dei lavori di dismissione dell’ex centrale termoelettrica. L’impresa non riesce ad effettuare dei campionamenti in un pozzetto perché ostruito dai container stoccati da Spinelli. Un altro pozzetto risulta danneggiato. “Faccia i rilevamenti un altro giorno”. “No, vanno spostati subito”. “Va bé, va bé, adesso guardi, vediamo, chiamo un mio collaboratore e gli dico di liberarla…”. L’Autorithy viene informata che Spinelli sta dove non potrebbe stare, ma si guarda bene dal muovere un dito contro l’imprenditore genovese. A leggere le carte dell’inchiesta su Toti e company, questa era la prassi.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Maggio 12th, 2024 Riccardo Fucile
VANNA TROVA “NAUSEANTE” LA VITTORIA DI NEMO… VISTO CHE MIGLIAIA DI EUROPEI HANNO VOTATO PER LUI, FORSE CHE “L’ANORMALE” SIA QUALCUN ALTRO?
Il generale, candidato dalla Lega alle prossime europee, non condivide la scelta delle giurie dei Paesi partecipanti alla kermesse
Dalle giurie dei Paesi partecipanti all’Eurovision Song Contest, il giudizio è stato quasi unanime: Nemo – nome d’arte di Nemo Mettle – ha portato la migliore canzone all’edizione 2024 della kermesse.
Il cantante ha riconsegnato alla Svizzera una vittoria che mancava dal 1988. All’indomani della finale, però, c’è qualcuno a cui la performance dell’artista elvetico non è piaciuta.
Questione di gusto musicale, o questione di identità di genere che, nel caso di Nemo, è non-binary?
Le parole di Roberto Vannacci non sembrano lasciare spazio a molti dubbi: «Il mondo al contrario è sempre più nauseante», ha scritto su Facebook, a commento della pagina del Corriere della Sera che mostra la foto di Nemo e racconta la finale dell’Eurovision.
(da agenzie)
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Maggio 12th, 2024 Riccardo Fucile
L’MSI VOLEVA PENE ESEMPLARI PER I REATI POLITICI, ANCORA FINI NEL 1992 STAVA CON DI PIETRO… QUANDO ERA ALL’OPPOSIZIONE FDI CHIEDEVA LE DIMISSIONI DEI MINISTRI, OGGI PRETENDE IL TERZO GRADO DI GIUDIZIO
L’Msi voleva pene esemplari per i reati comuni e politici, nel 1992 Fini stava con Di Pietro. Dall’opposizione FdI chiedeva le dimissioni di ministri, oggi aspetta il terzo grado di giudizio
Ne ha fatta di strada, la destra italiana. Chissà cosa avrebbe pensato il segretario del Movimento sociale italiano Giorgio Almirante, se avesse visto l’erede Giorgia Meloni nominare ministro della Giustizia un liberale come Carlo Nordio, dando il via libera alla separazione delle carriere, spacchettamento del Csm.
E anche se avesse sentito tutti i ministri di Fratelli d’Italia definirsi «garantisti» davanti all’inchiesta per corruzione che ha colpito il governatore della Liguria, Giovanni Toti.
Il partito della premier così ha completato il mutamento genetico rispetto al proprio antenato politico, di cui però orgogliosamente continua a mantenere la fiamma nel simbolo.
IL GIUSTIZIALISMO DI ALMIRANTE
La dottrina politica dell’Msi, infatti, era profondamente giustizialista e la linea del segretario estrema e coerente con la sua storia personale. Almirante, infatti, era favorevole alla pena di morte su cui scrisse un libello, durante gli anni di piombo: «Centomila volte la pena di morte», diceva da deputato, chiedendone la reintroduzione.
Votare per l’Msi, diceva Almirante in un comizio dell’11 giugno 1978, significa ottenere «una legislazione severa, repressiva, preventiva contro la delinquenza comune e politica. E’ un voto per l’ordine nella libertà».
Accantonata la posizione sulla pena di morte, è comunque su queste radici che si innerva la cultura giuridica della destra, fino alla svolta di Fiuggi in cui Gianfranco Fini chiude l’esperienza dell’Msi per aprire quella di Alleanza Nazionale.
LE MANETTE DI FINI
Nella seconda repubblica sono anche le posizioni in materia di giustizia che dividono la Forza Italia di Silvio Berlusconi, che sin dalla sua nascita porta avanti una battaglia contro quelle che il leader chiama «toghe rosse», dalla destra estrema.
Il delfino di Almirante, infatti, aveva imparato la lezione del maestro: secondo la scuola missina, pene esemplari vanno chieste per due categorie di reati: quelli reati comuni che però creano allarme sociale e quindi vanno puniti più duramente, e quelli commessi dai politici, che sono chiamati a dare il buon esempio. E Fini applicò questo insegnamento, da segretario missino, durante gli anni di Mani Pulite.
Durante Tangentopoli, infatti, l’Msi cavalcò l’inchiesta conducendo una energica campagna contro Dc e socialisti, definendoli «ladri di regime» e dichiarando apertamente il suo appoggio al pool di Milano, presentandosi alla campagna elettorale del 1992 con lo slogan «ogni voto una picconata».
Addirittura, i consiglieri missini in regione Lombardia presentarono una mozione in favore del giudice Antonio di Pietro.
In quegli anni in cui ogni giorno arrivava la notizia di un nuovo avviso di garanzia, Fini amava sventolare manette e invocare dimissioni. Quando, nel 1992, il repubblicano Antonio Del Pennino venne indagato, Fini disse che «Deve finire questa moda dell’autocensura di chi è accusato. Troppo spesso diventa un alibi per sfuggire all’autocritica. È molto meglio l’auto-arresto».
Chiedere le dimissioni agli indagati rimase uno dei tic di Fini anche durante il decennio berlusconiano: chiese le dimissioni di Denis Verdini quando era solo indagato e di Nicola Cosentino quando militavano insieme nel Popolo delle libertà. Fino a quando non è finito anche lui in un’inchiesta giudiziaria per la vendita al cognato della famosa casa di Montecarlo lasciata in eredità al partito ed è stato condannato in primo grado per riciclaggio.
FINO A MELONI
Anche Meloni è cresciuta con gli insegnamenti missini in materia di giustizia. Lei stessa ha raccontato di aver iniziato a fare politica dopo le stragi del 1992 in Sicilia di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. E, almeno fino a quando è stata all’opposizione, FdI è rimasta fieramente fedele alla scuola Almirante: pene severe per reati comuni ed esemplari per i politici indagati. Eppure, se è vero che il potere non l’ha cambiata, palazzo Chigi ha certamente ammansito la vena giustizialista imparata a Colle Oppio.
Di più, le ha anche fatto dimenticare di averla avuta, visto che in conferenza stampa di inizio anno ha sostenuto di di non aver mai chiesto le dimissioni per questioni di opportunità politica dopo inchieste giudiziarie.
In realtà, quando era all’opposizione chiese le dimissioni della ministra Federica Guidi, il cui marito era indagato in un’inchiesta sul petrolio, e le spese dei suoi appassionati interventi d’aula le fecero anche l’allora ministra Maria Elena Boschi per il caso Etruria in cui era coinvolto il padre e il premier Matteo Renzi. La lista sarebbe lunga e conta anche ministre Josefa Idem e Annamaria Cancellieri.
Da quando è al governo, invece, le regole sono cambiate, almeno per chi fa parte della sua coalizione come la ministra Daniela Santanchè, il sottosegretario Andrea Delmastro, di cui ha detto che «si aspetti una eventuale condanna passata in giudicato», o il governatore ligure Giovanni Toti. Eppure, uno dei due insegnamenti almirantiani è rimasto.
cordata la questione morale legata alla politica (è in dirittura d’arrivo l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio), è rimasto il principio dell’inasprimento delle pene per i reati comuni: da quello di rave party a quelli commessi da minori con il decreto Caivano, fino alle occupazioni di immobili, la minaccia a pubblico ufficiale o l’imbrattamento di beni mobili o immobili.
(da editorialedomani.it)
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Maggio 12th, 2024 Riccardo Fucile
I GRANDI CONFLITTI SOCIALI RIDOTTI A INDIVIDUALISMI
Sul clima intollerante ed episodicamente poliziesco che si fa largo, una cosa molto giusta la dice Zerocalcare, intervistato a Torino da Fabio Tonacci: “La povertà di conflitto genera società barbariche e chiuse dove ogni espressione di critica diventa qualcosa da reprimere con la galera”. Ovvero: ci siamo progressivamente disabituati al conflitto sociale e politico organizzato (così come alla politica organizzata nel suo insieme) ed è come se si fossero perdute le regole di ingaggio, e con esse il senso delle proporzioni.
Le autorità di governo strillano alla censura per la rabbiosa contestazione di una quindicina di ragazzi contro una ministra: che avrebbero detto di fronte alle fiumane di studenti e operai che nel secolo scorso, per anni, hanno invaso piazze e strade urlando slogan non propriamente amichevoli? Avrebbero schierato l’esercito? Sarebbe intervenuta l’aviazione?
Il conflitto politico si è come polverizzato, ed è finito sui social dove ci si odia individualmente o per piccole tribù o per branchi aizzati da capetti ringhiosi.
Un odio-nebbia che non assume mai i connotati nitidi, pubblici, del grande conflitto sociale o ideale. È la morte dei movimenti di massa e la sua sostituzione con una caricatura da cameretta. Questa vera e propria privatizzazione dei conflitti — tutti contro tutti e ognuno per sé — non solo non compensa in altra forma il ruolo della politica, ma la svuota. E nelle stanze del potere (quello politico e quello economico), ormai abituati a battersi contro nessuno, si resta di stucco al primo segno di antagonismo o di forte opposizione. Il ritorno della politica alla politica — dunque alle idee in conflitto tra loro, ai modelli sociali non conformi, alle differenze che cambiano la scena — non è in vista. Ogni strillo, invece di essere assorbito in una vicenda più ampia, risuona nel silenzio, e pare uno scandalo essendo solamente uno strillo.
(da La Repubblica)
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