Maggio 25th, 2024 Riccardo Fucile
LE AGEVOLAZIONI CHE LO STATO CONCEDE ALLE FAMIGLIE, CONSIDERANDOLE UNA RISORSA E NON UN PESO… ALTRO CHE LE CHIACCHIERE SOVRANISTE
La Svezia, secondo la classifica stilata da Unicef, è il quarto Paese al mondo in cui i bimbi sono più felici.
Marta Paterlini, neurobiologa e mamma single che vive con le sue due figlie a Stoccolma da diversi anni, ci ha confermato che i bambini in Svezia sono liberi di fare ciò che a volte in Italia, tra gli sguardi giudicanti di altri adulti non è concesso loro fare: comportarsi semplicemente come dei bambini.
Tra parchi naturali, città su misura per i più piccoli, agevolazioni economiche per permettere ai ragazzi di continuare gli studi e un congedo parentale che permette ai genitori di non rinunciare alla carriera per i figli, il Paese sembra meritare la sua posizione molto alta nella classifica della felicità dei suoi piccoli abitanti.
Non fosse per la scuola, che ci dice Marta essere ancora un po’ arretrata, ma che spera possa prendere esempio dalla vicina Finlandia e rinnovarsi.
In ogni caso, nonostante senta la mancanza di casa Marta non tornerebbe in Italia, proprio per il benessere delle sue figlie: «L’Italia non è un Paese per donne, purtroppo, a partire dallo squilibrio tra congedo di maternità e paternità. In Svezia il congedo che viene dato ai genitori quando nasce un bambino è gender free dagli anni ’70, e i papà che decidono di non stare a casa i 90 giorni che lo Stato garantisce loro vengono etichettati come “bad fathers”»
Io mi sono trasferita all’estero, prima in Inghilterra per il dottorato, sarei dovuta rimanere lontana dall’Italia appena 6 mesi e invece non sono più tornata. Da Cambridge io e il padre delle mie figlie ci siamo trasferiti a New York, dove abbiamo fatto il post-doc, e saremmo anche rimasti se il clima non si fosse fatto molto teso a livello politico e se le nostre attività lavorative non ci avessero riportato in Europa. Così nel 2005 con una figlia di 8 mesi, ci siamo poi trasferiti in Svezia, in particolare a Stoccolma.
E come è stato vivere la maternità a Stoccolma?
All’inizio io non avevo un lavoro in Svezia perché dovevo concludere le mie collaborazioni negli USA e finire di scrivere un libro, ma ho potuto comunque godere per 2 anni e mezzo di un periodo di congedo retribuito. Sembra assurdo, ma in Svezia per godere dei sussidi dello Stato alla genitorialità, serve solo avere un personal number, molto simile al codice fiscale italiano. Per ottenere questo codice basta che una persona nella coppia lavori e quindi io l’ho ottenuto grazie al fatto che il mio ex compagno era stato assunto da un istituto Svedese. Dunque io senza aver mai lavorato in Svezia ho goduto fin da subito del congedo parentale, ovviamente ho ricevuto solo un minimo statale ogni mese, perché la retribuzione viene calcolata sullo stipendio.
Quanto dura il congedo parentale in Svezia?
Il congedo parentale in Svezia dura circa 480 giorni totali, 240 per ciascun genitore che si possono utilizzare fino al dodicesimo anno di vita del bambino.
Di questi 240 giorni che spettano a ciascuno, 90 giorni sono quasi obbligatori, nel senso che nessuno costringe il genitore a prenderli ma se decide di non usufruirne non verrà pagato in quel lasso di tempo, pervenendo dunque dei soldi. I restanti 150 giorni, invece, possono essere ceduti dall’uno all’altro membro della coppia. Nel primo anno di vita del bambino, poi, entrambi i genitori possono stare a casa contemporaneamente per un mese continuativo.
E i papà utilizzano questi giorni?
Sì, ma è stato un lungo lavoro che il governo ha iniziato negli anni ’70, quando ha deciso che il congedo non si sarebbe più chiamato “di maternità” ma sarebbe diventato “congedo parentale”, in modo da incentivare anche i papà a prendere dei giorni di astensione dal lavoro per occuparsi dei figli e della famiglia. Inizialmente ne usufruiva solo lo 0.5% dei padri, adesso il 30% dei papà prende almeno 90 giorni di congedo, il trend è in crescita e ad oggi addirittura i padri che decidono di non usufruirne vengono stigmatizzati a livello sociale come se non fossero dei bravi padri.
E come avete fatto a gestire vita lavorativa e figli, con i nonni distanti?
Non è stato molto difficile perché non è proprio parte della cultura svedese appoggiarsi ai nonni per crescere i propri figli. I nonni qui tendenzialmente lavorano come i genitori, quindi al massimo possono andare a prendere i bambini una volta a settimana a scuola. Poi innanzitutto tutti i hanno diritto ad un posto al baker, che sarebbe una sorta di asilo, da quando hanno un anno fino ai 5 anni. Il congedo parentale è molto flessibile, quindi alcuni genitori decidono di prendere i giorni in modo che possano stare a casa insieme ai loro figli anche 2 settimane ogni anno per le vacanze estive. Per esempio io non ho preso subito i 480 giorni di congedo, ma li ho distribuiti in modo di aggiungere alle mie ferie sempre due settimane per poter coprire le vacanze scolastiche delle mie figlie. Un’altra cosa che avrei potuto fare, sempre grazie alla flessibilità del congedo
parentale, sarebbe stata quella di lavorare part time alcuni giorni.
Ci sono degli aiuti che lo Stato da per pagare le spese legate alla scuola?
Sì, lo stato garantisce un sussidio-bambino, che si ottiene per ogni figlio, dalla sua nascita fino alla fine della scuola dell’obbligo, quindi al compimento dei suoi 15 anni. Lo Stato da alle famiglie 1250 corone al mese, che sono circa 120 euro, gestibili a seconda delle esigenze della famiglia. Quando i ragazzi iniziano il liceo il bonus non arriva più a uno dei genitori ma direttamente a loro. Il pagamento però non viene erogato nei mesi estivi, periodo durante il quale infatti i ragazzi iniziano a lavorare. Se i ragazzi decidono poi di fare l’università, ricevono 300€ al mese e dei prestiti se decidono di andare a vivere da soli per studiare. Lo Stato cerca di fare questo per incentivare i ragazzi a studiare.
C’è secondo te un diverso approccio alla famiglia della società svedese, rispetto a quella italiana?
Io mi sono accorta venendo in Svezia che qui la famiglia è vista dalla società come qualcosa di arricchente, non come un peso. Ma la famiglia nell’accezione più ampia del termine, il parental leave è anche per le famiglie omogenitoriali e per i genitori single. Questa agevolazione, poi, vuole veramente aiutare ogni membro della famiglia a trovare un equilibrio tra genitorialità e lavoro con una visione a lungo termine, che permette alle famiglie di andare avanti senza l’aiuto di baby-sitter e nonni. In Italia invece sembra che la famiglia si fondi sui nonni, perché i genitori devono lavorare e non possono conciliare con il lavoro le attenzioni che devono dare ai figli. In Svezia è raro che a un genitore fissino una call alle 8 di mattina o alle 18.00, perché c’è proprio l’idea che ad una certa ora ci si debba dedicare alla famiglia.
E le città sono su misura di bambino?
Io penso che la Svezia, come tutti i Paesi nordici, siano proprio un luogo in cui i bambini sono liberi di fare i bambini. Qui i piccoli possono gettarsi nelle pozzanghere, sudare, correre, senza che nessuno si infastidisca. Poi si cerca molto di crescere i bambini a stretto contatto con la natura, quindi ci sono parchi su misura per loro. Un’altra agevolazione che viene concessa ai genitori, ma che dimostra la considerazione positiva delle famiglie a livello sociale, è che se si stanno spostando per la città con un passeggino, non pagano i mezzi pubblici.
E invece la scuola offre dei metodi educativi innovativi?
Parlando della scuola la Svezia è abbastanza indietro, i rapporti annuali dimostrano che gli studenti sono poco preparati, hanno grosse lacune in molte materie, tra cui la comprensione del testo e la matematica, è assurdo pensando che è vicinissima la Finlandia che invece è sempre ai primi posti. I motivi secondo me sono diversi, il primo è che i bambini non ricevono dei voti fino al sesto anno, per evitare che siano soggetti a forte stress, ma quando poi arrivano al settimo anno ricevono dei voti, necessari per entrare al liceo quindi la dose di ansia per loro, che non erano abituati, diventa altissima. Un altro motivo è che la figura dell’insegnante non viene valorizzata, i docenti qui sono sottopagati e non si investe sulla loro formazione, il tutto si ripercuote poi sulla preparazione dei ragazzi.
Torneresti in Italia?
È una domanda difficile, perché il mio cuore è sempre rimasto in Italia, ci sono persone che mi mancano da quando sono partita 25 anni fa, ma non tornerei per un semplice motivo, sono convinta del fatto che l’Italia non sia un Paese per giovani e per donne, e le mie figlie meritano di vivere in un Paese che dia loro tutte le possibilità per diventare chi desiderano. Mi spiace che le mie figlie abbiano vissuto lontano dalla famiglia d’origine ma le aspetta un futuro migliore.
(da Fanpage)
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Maggio 25th, 2024 Riccardo Fucile
L’INVITO ELETTORALE TRUCE DI FDI PER SPONSORIZZARE IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO REGIONALE UMBRO
Siamo giunti alle ultime due settimane di campagna elettorale per le europee e i toni dei leader politici- quasi tutti in campo- stanno salendo vertiginosamente con scontri a attacchi diretti. Anche la premier Giorgia Meloni che pure ha centellinato i suoi interventi a comizi e incontri si sta facendo più aggressiva. E un manifesto elettorale- a sua insaputa- apparso in tutta l’Umbria sta scatenando l’ironia dei social destinato a suscitare decine di meme: «Barra il simbolo», spiega, «e scrivi MELONI SQUARTA».
Un po’ truce, ma in Umbria e nella circoscrizione del centro Italia una delle accoppiate elettorali è proprio quella fra la capolista Giorgia Meloni e il presidente del consiglio regionale umbro, Marco Squarta (FdI) che il partito ha ora scelto di candidare al Parlamento europeo. Lui ha un pizzico tradito il desiderio di lei di essere votata con il nome e non con il cognome, ma certo non avrebbe migliorato l’impatto visivo un mega manifesto con «GIORGIA SQUARTA».
Certo ognuno il cognome non lo può scegliere e il candidato di Fratelli di Italia deve fare i conti con quella ironia da anni. Anche se il cognome non è stato di ostacolo alle scorse elezioni regionali per essere eletto in consiglio con oltre 6 mila preferenze.
Per Squarta si è mobilitata questa volta anche Arianna Meloni
Marco Squarta è militante di Fratelli di Italia (e prima ancora di An) dal giorno della sua nascita e ha un rapporto particolare con la Meloni con cui militava nel movimento giovanile ormai lustri fa. Questa predilezione si è vista anche in questa campagna elettorale, quando a promuovere la sua candidatura alle europee si è mossa Arianna Meloni, la sorella della leader di FdI (e moglie del ministro Francesco Lollobrigida) che sta conducendo in prima persona la campagna elettorale sul territorio.
(da agenzie)
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Maggio 25th, 2024 Riccardo Fucile
L’EFFETTO IMMEDIATO È STATO UN BALZO IN AVANTI DEL PREZZO DEGLI AFFITTI, MA C’È DI PIÙ: SE NON SI HANNO LE GARANZIE SI RISCHIA DI RIMANERE SENZA UN TETTO SULLA TESTA
Negli ultimi due anni il caro inflazione, l’erosione della capacità di risparmio e i tassi hanno ridotto (parecchio) il potere d’acquisto di diversi milioni di italiani. E così il sogno di acquistare una casa è diventato un vero e proprio tabù da ritirare fuori dal cassetto dei desideri solo quando lo scenario economico inizierà di nuovo a cambiar rotta.
Ecco che, quindi, per andare avanti l’opzione più gettonata è diventata l’affitto.
E, fiutato l’affare, i locatori hanno immediatamente iniziato ad alzare i prezzi utilizzando le loro abitazioni in affitto per integrare i redditi ma con una maggior attenzione alle garanzie da parte dei locatari.
Questo, in estrema sintesi, è quello che è emerge dall’Osservatorio affitti, realizzato da Nomisma per conto di Crif e in collaborazione con Confabitare.
Gli operatori del comparto immobiliare prevedono nel primo semestre di quest’anno il segno meno davanti al numero di compravendite nel Paese, mentre sul fronte della locazione le attese sono di stabilità, sia per i contratti sia anche per i canoni.
E l’istantanea scattata dagli esperti di Nomisma mostra che ben il 42% dei locatari decide per l’affitto proprio perché la propria condizione economica ad oggi – rappresenta un vero ostacolo all’acquisto di un’abitazione. Una condizione che risulta quasi un obbligo soprattutto per le famiglie monogenitoriali con almeno un figlio minore (30%), così come un terzo circa delle persone sole con meno di 65 anni vive in case non di proprietà, infine scelgono l’affitto anche tutti coloro che hanno un reddito contenuto o, pressoché, inesistente.
Come già detto, se la maggior parte dei locatori affitta una casa per incrementare il reddito, dalla ricerca emerge che riguardo all’uso di abitazioni di proprietà, oltre a quella di abitazione o vacanza, il 51% dei proprietari dichiara di avere immobili locati, il 10% usa l’abitazione per affitti brevi turistici, per lo più per evitare difficoltà di sfratto sugli affitti a lungo termine e aver minori vincoli
Secondo una recente indagine di Idealista nel I trimestre 2024 l’aumento medio degli affitti su scala nazionale è stato del 5,3 per cento. I rincari maggiori si sono registrati a Treviso (11%), Roma (8,8%), Bergamo (7,9%), Palermo (7,5%) e Napoli (7,3%). In controtendenza Milano (+1,7%) e Firenze (+1,6%) che hanno avuto rimbalzi più contenuti. Ma nonostante questo restano in vetta per gli affitti più cari d’Italia.
(da agenzie)
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Maggio 25th, 2024 Riccardo Fucile
“IL MINISTRO HA RICONOSCIUTO LA GRAVE ANOMALIA E APRIRÀ UN’INDAGINE INTERNA. NON VOGLIO CREDERE CHE L’ORDINE SIA ARRIVATO DAL MINISTERO O ANCORA PEGGIO DA PALAZZO CHIGI. MA QUALCUNO LI HA MANDATI QUEI POLIZIOTTI”
“Il ministro degli Interni Matteo Piantedosi mi ha chiamato per scusarsi. Ha riconosciuto la grave anomalia e aprirà un’indagine interna per capire cosa è successo. Ho apprezzato molto la telefonata. Un gesto doveroso, ma per niente scontato”, dice al Foglio Massimo Giannini.
L’undici marzo l’ex direttore della Stampa, oggi editorialista di punta di Repubblica, è stato svegliato alle 4 di notte mentre era in albergo a Milano. Aveva da poco finito di registrare una puntata di “Che tempo che fa”, durante la quale – come spesso accade – non era stato tenero con il governo.
Alla porta ha trovato quattro poliziotti. Erano lì a consegnarli una notifica per diffamazione. “Peraltro sono stati gentilissimi”, racconta Giannini. “Ma il punto è un altro”. Quale? “Non mi era mai successo in tanti anni di carriera, né ho notizia di altri colleghi a cui sia mai capitato qualcosa di simile. Resta insomma una grande anomalia, come d’altra parte ha riconosciuto lo stesso ministro”.
Le ha anche spiegato come mai la notifica è avvenuta a Milano? “No, sanno tutti che risiedo a Roma. Di solito queste notifiche arrivano direttamente al giornale. Anche questo è singolare”.
Crede che qualcuno volesse intimidirla? “Non lo so, non voglio credere che l’ordine sia arrivato dal ministero o ancora peggio da Palazzo Chigi. Ma qualcuno li ha mandati quei poliziotti”, prosegue l’ex direttore.
“Registro un certo clima in cui troppo spesso il dissenso viene represso nelle piazze o comunque sconsigliato, per usare un eufemismo”.
“Ecco, questo clima lo respirano anche gli agenti e alla fine possono agire in un certo modo, al di là delle indicazioni che arrivano o non arrivano”. Come a dire: c’è sempre qualcuno più realista del re. “Tra l’altro ho fatto delle verifiche personali”. Cosa ha scoperto? “Per i procedimenti civili esistono fasce orarie in cui si notificano gli atti. Per la diffamazione effettivamente questi orari non ci sono – spiega Giannini – Ma certamente non si può dire che presentarsi di notte sia la prassi, almeno per un caso come il mio”.
Secondo una ricostruzione del Foglio, al Viminale ammettono che un pasticcio è stato fatto a Milano, e che la procedura attuata nei confronti del giornalista di Repubblica presenta varie criticità e presto potrebbe essere anche rivista. “Sono stato trattato come un narcotrafficante. E non c’era nemmeno il rischio che potessi reiterare il reato”, sottolinea ancora Giannini. [
(da Il Foglio)
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Maggio 25th, 2024 Riccardo Fucile
IL GIUDICE UNGHERESE AVEVA RIVELATO L’INDIRIZZO IN CUI ORA VIVE L’ATTIVISTA A BUDAPEST
L’indirizzo in cui Ilaria Salis trascorre i domiciliari a Budapest è stato reso noto ieri dal giudice ungherese. Questo mette a rischio lei, ma non solo. L’attivista di 39 anni, a processo per l’aggressione ad alcuni militanti neonazisti avvenuta a Budapest l’11 febbraio 2023, è ospite infatti di alcuni cittadini italiani. “In casa con loro ci sono anche alcuni minori, che ora sono a rischio”.
Lo ha denunciato il padre, Roberto Salis, che si trova ad Aosta per un appuntamento della campagna elettorale di Avs, Alleanza Verdi e Sinistra, il partito per il quale Ilaria è candidata per le prossime europee. Viste le difficoltà nel trovare un alloggio con il tipo di contratto d’affitto richiesto per poter fare uscire Salis dal carcere, “abbiamo dovuto trovare una soluzione alternativa, che per fortuna si è manifestata grazie al fatto che dei cittadini italiani hanno detto: la prendiamo in casa noi. Perché esiste anche un’umanità in questo mondo”, ha raccontato il padre.
“Queste persone – ha detto – si sono manifestate scrivendo una mail all’ambasciata, che poi l’ha fatta pervenire agli avvocati di Ilaria”. Quindi “abbiamo preso dei contatti con questi signori” e all’ambasciata “abbiamo chiesto poi: ci potete dare una mano a sapere chi sono questi signori? Sono iscritti all’Aire (il registro degli italiani all’estero, ndr), immagino abbiate dei contatti. Ci hanno detto: no assolutamente, noi queste cose non possiamo farle”.
Allora, prosegue Roberto Salis, “abbiamo preso i contatti, questi signori sono ovviamente persone stupende, diventano miei fratelli e mie sorelle. Però adesso sono a rischio anche loro”.
Ad Aosta il pubblico ha chiesto a Roberto Salis cosa pensasse dell’accoglienza rivolta dalla premier Giorgia Meloni al detenuto Chico Forti, condannato all’ergastolo per omicidio negli Stati Uniti, domandandosi se un trattamento simile ci potrebbe essere anche qualora Ilaria rientrasse in Italia. “Mi interessa molto poco l’argomento – ha risposto lui – perché Ilaria sicuramente non accetterà di essere presa e portata in Italia dalla Meloni. Piuttosto la vado a prendere io in moto”.
(da agenzie)
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Maggio 25th, 2024 Riccardo Fucile
“NON AVENDO ALCUN PROGETTO O VISIONE SULLA CULTURA, CERCANO SOLO DI OCCUPARE SPAZI E PIAZZARE PEDINE. MAGARI ATTACCANDOSI AL PENSIERO DI ANTONIO GRAMSCI
Il ministro italiano della Cultura, Gennaro Sangiuliano, ha postato un pungente tweet lo scorso 17 maggio: «Scusate, non sono a Cannes. Lo dico con grande rispetto per i lavoratori del cinema, ma sono in fabbrica tra gli operai per parlare del valore di una cultura accessibile a tutti».
Ha allegato una foto che lo mostra in un magazzino tra i dipendenti. Questa scelta di programma mira a ricordare un classico dell’estrema destra, attualizzato dal capo del governo italiano, Giorgia Meloni: promuovere una cultura del popolo contro quella delle élite. Il Festival di Cannes è il capro espiatorio ideale, dove il palazzo è un bunker, il tappeto è rosso, le star viaggiano in limousine, dove la colazione e gli hotel sono troppo cari.
Al giorno d’oggi, non è più necessario essere di estrema destra o italiani per contrapporre il popolo alle élite usando la cultura come sacco da boxe. Tutti i partiti in Francia stanno flirtando con questo concetto
Ma l’Italia si spinge oltre, e poi questo Paese ci è vicino e alcuni lo vedono come un laboratorio.
Dopo diciotto mesi di governo post-fascista, l’economia della Penisola è fiorente, il turismo è ripreso con forza, il Paese è rimasto nell’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico e in Europa sostiene l’Ucraina, gli oppositori non sono in carcere.
I cambiamenti sono altrove: valori, identità, cultura.
Giorgia Meloni invoca «una nuova immaginazione italiana». Un’altra narrazione. Nel novembre 2023, la fan di Tolkien ha fatto finanziare dallo Stato (250.000 euro) una mostra a Roma dedicata all’autore de Il Signore degli Anelli, vedendo in essa il simbolo della lotta delle radici cristiane contro il male.
Anche il partito al governo, Fratelli d’Italia, non esita a riscrivere la storia. Gennaro Sangiuliano, che si è fatto le ossa tra i giovani del Movimento Sociale Italiano neofascista, dice che “Dante è il fondatore del pensiero di destra”. Il suo leader non condanna il periodo fascista nel suo insieme, poiché è lì affonda le sue radici.
Inoltre, in aprile la Rai ha censurato un testo dello scrittore Antonio Scurati, autore di una fortunata saga su Mussolini (Edizioni Les Arènes, tra il 2020 e il 2023), in cui ricordava i crimini del Duce.
Il clan Meloni è ancorato al pensiero di Antonio Gramsci, per il quale la battaglia di opinione è soprattutto culturale. Già, minando alcuni valori del nemico (aborto, diritti LGBT+, wokismo, ecc.) e deridendo o stigmatizzando tutto ciò che assomiglia a un intellettuale di sinistra. Funziona, quest’ultimo commette l’errore di cadere nella trappola dell’insulto.
Il filologo Luciano Canfora ha descritto Giorgia Meloni come una “neo-nazista nell’animo”. Brian Molko, cantante del gruppo Placebo, in concerto vicino a Torino, l’ha destritta “sporca merda fascista, razzista”.
Lo scrittore Roberto Saviano ha etichettato lei e il suo vice primo ministro, Matteo Salvini, come “bastardi”. Il clan dominante porta avanti dei processi, descritti dagli intellettuali come un modo per imbavagliarli. Non è sbagliato, ma controproducente.
«Spiegare come Meloni governa malissimo, soprattutto in ambito culturale, è più efficace che insultarla e conferirle lo status di vittima», pensa Alberto Mattioli, che ha appena pubblicato “Destra Maldestra”, un pamphlet sulla politica culturale del presidente del Consiglio e su questa “scomoda destra”. (Chiarelettere).
Perché di cosa ci siamo arrabbiati per diciotto mesi? Perché Giorgia Meloni sostituisce i capi di teatri, musei o festival con amici politici e sostituisce gli stranieri con italiani. Ma clientelismo culturale e nazionalismo sono sport praticati da secoli anche altrove oltre all’Italia.
No, il problema, ben individuato da Alberto Mattioli, è che il capo del governo e il suo entourage non hanno alcun progetto o visione sulla cultura, cercano solo di occupare spazi e piazzare pedine.
E, poiché il loro bacino è scarso, gli eletti fanno impallidire rispetto a quelli sostituiti.
La televisione, bersaglio del potere, la direzione della celeberrima Biennale di Venezia (cinema, arte o architettura) è stata affidata all’incontrollabile Pietrangelo Buttafuoco, molto quotato a destra con amicizie a sinistra, e convertito all’Islam.
Il profilo era rassicurante, poiché il mondo dell’arte temeva peggio. Ma nominato a fare cosa? Nessuno lo sa. Non ci poniamo nemmeno più la domanda. Quando viene nominato il nuovo direttore della Scala di Milano, il ministro si accontenta di esprimere la sua gioia nel vedere emergere un italiano dopo tre stranieri
Uno spettacolo pietoso lo ha dato per mesi anche Vittorio Sgarbi, sottosegretario alla Cultura, più noto per i suoi discorsi sessisti e osceni, nonché per le sue frodi fiscali, che per il suo lavoro di protettore del patrimonio, che afferma che “le turbine eoliche rappresentano un stupro per il paesaggio paragonabile a quello dei bambini”.
A febbraio è stato costretto a dimettersi. C’è incompetenza e brutalità quando una prestigiosa scuola di cinema di Roma viene rilevata dal Ministero della Cultura o quando vengono inventate multe salatissime per dissuadere gli organizzatori di rave party sfrenati, ma il dilettantismo del potere è tale che siamo lontani dalla fine dell’“egemonia” culturale della sinistra..
Gli eccessi nascondono un disagio che non è nuovo. L’Italia ha un patrimonio tra i più ricchi d’Europa ma spende meno di altri in cultura. La maggior parte degli italiani non ha a cuore le sorti di un particolare museo o teatro e continua ad avere come unica fonte culturale la televisione. Questo è il vero bersaglio del potere: la buona vecchia televisione.
Prima di diventare ministro, Gennaro Sangiuliano ha diretto il telegiornale di Rai2 e ora immaginiamo la sua missione, portata avanti da uomini di fiducia messi in campo. Anche in questo caso gli ex capi di governo hanno fatto lo stesso, ma con maggiore rotondità.
Tra la redazione e Giorgia Meloni, l’atmosfera in Rai sembra irrespirabile. Un laboratorio, ancora una volta.
(da Le Monde)
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Maggio 25th, 2024 Riccardo Fucile
L’ORDINE SI TRADURRÀ IN UNA MINORE PRESENZA DI SALVINI E DEI SUOI NEI TALK E NEI TG
Sostenere Forza Italia nelle ultime settimane di campagna elettorale. E spingerla per il sorpasso sulla Lega di Matteo Salvini. Tutto in nome del principio “europeista” su cui sta puntando il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani. È questo il succo del discorso che nei giorni scorsi Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset e storico braccio destro di Silvio Berlusconi, ha fatto la scorsa settimana ai direttori di Rete, dicono due fonti interne a conoscenza del colloquio.
Confalonieri la scorsa settimana ha convocato all’ottavo piano di Cologno Monzese i vertici aziendali e i direttori delle tre reti Mediaset proprio per una riunione sulle elezioni europee dell’8 e 9 giugno. L’ordine dato ai direttori dei canali informativi di Rete 4, Canale 5 e Italia 1, sarebbe stato proprio quello di favorire tutte quelle forze politiche che si ispirano a valori “europeisti”.
Nel suo discorso, Confalonieri ha anche fatto riferimento specifico a Forza Italia che, a un anno dalla morte di Silvio Berlusconi, “de ve essere sostenuta” e sta tentando il sorpasso sulla Lega di Matteo Salvini come secondo partito della coalizione di centrodestra. Chi invece ne pagherà le conseguenze nella copertura televisiva e dei talk show è la Lega di Salvini, il cui successo in questi anni è stato amplificato dalle reti Mediaset.
Il riferimento di Confalonieri alle forze “europeiste” è un diretto endorsement nei confronti di Tajani che su questo ha costruitolo slogan perla sua campagna elettorale: “Una forza rassicurante al centro dell’Europa” è il motto del vicepremier. Dall’altra parte invece, proprio la Lega di Salvini sta provando a spostare il suo messaggio sempre più a destra contro l’Unione europea.
L’ordine di Confalonieri si tradurrà in una maggiore spinta ai leader, parlamentari e candidati di Forza Italia nei talk-show delle reti Mediaset e anche nei tg, pur dovendo rispettare le regole sulla par condicio. Lunedì sera, per fare solo un esempio, Tajani è stato ospite da Nicola Porro a Quarta Repubblica facendo registrare il 4,4% degli ascolti, un dato inferiore alla media stagionale.
Il segnale di Confalonieri viene visto all’interno dell’azienda anche come un più ampio rimescolamento in vista dei nuovi palinsesti televisivi. Nelle ultime settimane i vertici Mediaset – compreso lo stesso Confalonieri e Pier Silvio Berlusconi – sono stati più volte a Roma per prendere alcune decisioni sui palinsesti della prossima stagione.
Non è escluso che il figlio del fondatore di FI voglia puntare su volti moderati e meno estremisti, magari con un altro grande colpo di “tele-mer cato” com’è statolo scorso anno con Bianca Berlinguer
(da agenzie)
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Maggio 25th, 2024 Riccardo Fucile
IL COMITATO DI REDAZIONE DI RAINEWS ATTACCA IL DIRETTORE PAOLO PETRECCA
«Il direttore Paolo Petrecca può anche sostenere che ciò che manda in onda sia “istituzionale”, ma basta ascoltare cosa dice Giorgia Meloni per comprendere quanto poco di istituzionale ci sia, e quanto invece “Giorgia” sia nel pieno dell’agone politico della campagna elettorale».
Queste le parole contenute nel comunicato del Comitato di redazione di RaiNews24 contro il proprio direttore Paolo Petrecca, diffuso dopo la condivisione del video della premier che ha ribattezzato i suoi “Appunti” in “TeleMeloni”, l’espressione usata dalle opposizioni per criticare le scelte del governo sulla Rai.
«TeleMeloni non è una novità», scrivono i rappresentanti della redazione, «esiste da tempo a RaiNews24 grazie alla direzione di Paolo Petrecca». Il Cdr contesta la scelta del proprio direttore, «tra i primi a mandare in onda in versione integrale la rubrica social della presidente del Consiglio “Gli appunti di Giorgia”, un diario politico senza contraddittorio che Meloni usa per tentare di instaurare con gli italiani un rapporto amichevole, per mostrarsi vicina alle persone comuni».
La mossa della premier di cambiare il nome della rubrica in TeleMeloni ha «l’intento di schernire gli oppositori e di ribaltare a suo favore una narrazione che purtroppo invece è una triste realtà». «RaiNews24 naturalmente», continua la nota, «non ha perso l’occasione di mettere a disposizione della presidente i suoi canali tv e web per dare risonanza all’evento, e così gli utenti si sono ritrovati dalle 12.26 alle 12.30 anche con un logo diverso da quello della Rai». E si conclude poi: «Il Cdr di questa testata si batterà sempre affinché non ci siano Tele-Presidenti di qualsiasi colore politico, per ritrovare la dignità di giornalisti liberi al servizio solo degli spettatori che hanno diritto a un’informazione imparziale e corretta».
(da agenzie)
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Maggio 25th, 2024 Riccardo Fucile
LA MOSSA DI MACRON METTE IN CRISI LA MELONI: I PIANI EUROPEI DELLA DUCETTA NON CONTEMPLANO L’EX PRESIDENTE DELLA BCE, CONSIDERATO “POCO GESTIBILE” (TRADOTTO: TROPPO COMPETENTE E INDIPENDENTE PER “DARE ASCOLTO” ALLA REGINA DI COATTONIA)
Mario Draghi in Europa: da ieri esiste ufficialmente una nuova ipotesi. Supercommissario all’economia. Tutta da provare, ma di certo significativa perché è indice dell’interesse attorno all’ex premier ed ex presidente della Banca centrale europea. Troppo ingombrante e troppo federalista, agli occhi di molti leader, per poter guidare la Commissione. Troppo poco incline alla mediazione e troppo slegato dalle famiglie politiche per la presidenza del Consiglio europeo
Per Draghi si sta però aprendo la possibilità di giocare un ruolo diverso, disegnato ad personam, nel corso della prossima legislatura: guidare un super-portafoglio all’Economia nella Commissione che sarebbe nuovamente guidata da Ursula von der Leyen. Un incarico diverso da quello attualmente ricoperto da Paolo Gentiloni
Si pensa al grado di “vicepresidente esecutivo” e a una supervisione diretta su tutti i dossier economici: competitività, attuazione del Pnrr e del nuovo Patto di Stabilità. Dietro ci sarebbe sempre lo zampino di Emmanuel Macron. La suggestione, fatta trapelare tra le righe dall’eurodeputato di Renew Europe Pascal Canfin con un’intervista a Politico, è considerata «interessante e realistica» da diversi attori di Bruxelles.
Anche se ovviamente il puzzle delle nomine è ancora un cantiere aperto e bisognerà prima fare i conti con l’oste, che in questo caso sono due: Giorgia Meloni, alla quale spetta la nomina del commissario italiano, e lo stesso Draghi, che dovrebbe accettare di accomodarsi a una scrivania tre metri sotto l’ufficio presidenziale di Palazzo Berlaymont.
Meloni ha in mente piani completamente diversi, che in teoria non contemplerebbero Draghi. Da presidente dei Conservatori europei (Ecr) sa di avere un peso specifico minore, non sufficiente per poter scalfire l’asse popolari-socialisti-liberali, i tre gruppi che decideranno i futuri vertici di Consiglio e Commissione. Nelle conversazioni delle ultime settimane con i suoi uomini di fiducia, Meloni ha fatto capire chiaramente di non voler subire un nome da Macron a capo della Commissione.
A maggior ragione se è Draghi che – come spiegano da Fratelli d’Italia – è considerato «poco gestibile». I meloniani non credono, poi, che l’ex banchiere centrale si accontenterebbe di un ruolo di vice di Von der Leyen. Ed è la stessa impressione che si ha, raccogliendo le reazioni delle fonti vicine a Draghi. Meloni invece non esclude l’ipotesi del Consiglio europeo.
La premier non si sta spendendo per il suo predecessore, ma se il gioco a tre tra Macron (liberali), il cancelliere tedesco Olaf Scholz (socialisti) e il premier polacco Donald Tusk (popolari) dovesse convergere su Draghi, lei preferirebbe dirigerlo verso il Consiglio, in modo da poter conservare per l’Italia – alla Commissione – la casella della Concorrenza, dove potrebbe finire il ministro Raffaele Fitto.
Certo è che Draghi è percepito come una figura troppo ingombrante per i partiti. I piani dell’ex numero uno della Bce per l’Ue, che saranno delineati nel suo rapporto sulla competitività, sollevano ancora parecchio scetticismo in Germania e soprattutto nei Paesi Bassi, dove i partiti del nuovo governo di centrodestra che sta per nascere hanno già lanciato un avvertimento.
Ma a differenza del presidente della Commissione o di quello del Consiglio, il ruolo di commissario non deve essere negoziato tra i governi, ma tra lo Stato membro e il presidente della Commissione. E qui si apre la questione von der Leyen. La tedesca sta conducendo una campagna elettorale molto intensa con il Ppe per tenersi stretta la poltrona di presidente. Da qualche settimana, le sue quotazioni sono nuovamente in risalita dopo un periodo decisamente incerto.
Accogliere Draghi nella sua squadra potrebbe essere visto come una sorta di “commissariamento”, ma – spiega una fonte diplomatica – «di fronte all’alternativa concreta di perdere il posto, difficilmente si opporrebbe a questa soluzione, che inoltre le garantirebbe il sostegno certo di Meloni e dei suoi eurodeputati».
La stessa fonte ricorda un episodio. Il 3 maggio scorso l’ex premier e Ursula von der Leyen si sono visti per un faccia a faccia a Bruxelles. Fonti di Palazzo Berlaymont spiegano a La Stampa che si è trattato di «una riunione di lavoro nel quadro della preparazione del rapporto sulla competitività al quale sta lavorando Draghi, come consigliere di von der Leyen». L’incontro, però, non è mai stato annunciato nell’agenda ufficiale della presidente
(da La Stampa)
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