Maggio 23rd, 2024 Riccardo Fucile
“NON SI CALCOLA COSÌ LA SPESA SANITARIA. SE A UN BAMBINO DI 10 ANNI DAI UNA SCARPA MISURA 22 E POI, QUANDO COMPIE 30 ANNI, GLIENE DAI UNA 24 DICENDOGLI CHE GLI HAI DATO DUE NUMERI IN PIU’”
Scontro vivace a Dimartedì (La7) tra Pier Luigi Bersani e Italo Bocchino sull’operato del governo Meloni. Il primo motivo di discussione riguarda la figura della presidente del Consiglio, sulla quale il direttore editoriale del Secolo d’Italia sentenzia: “Giorgia Meloni ha un’idea di potere perfettamente aderente all’art.1 della nostra Costituzione: la sovranità appartiene al popolo. Giorgia Meloni ha un’idea di potere che non è il potere dei partiti, ma quella del popolo che si sceglie un leader per farsi governare”.
Poi naturalmente magnifica l’esecutivo guidato dalla leader di Fratelli d’Italia: “Da quando la Meloni è al governo, il Pil è aumentato e l’occupazione è al massimo storico“.
L’ex segretario del Pd replica: “Bocchino, intanto l’art.1 dice una cosa. Io spero che lei l’abbia letto tutto”. “Lo so a memoria”, ribatte l’ex parlamentare del Pdl. “Ah, benissimo – continua Bersani – L’art.1 dice che la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione“. “Le elezioni”, ripete più volte Bocchino. “No, no, la presente Costituzione – sottolinea Bersani – dice per esempio all’art.3 che c’è uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge“. “Ci mancherebbe”, commenta l’ex finiano. “Ah, sì? – replica Bersani – Cominciamo dal fisco. C’è anche l’art.32 della Costituzione che sancisce il diritto alla salute. Sta venendo giù“.
L’ex ministro menziona poi l’art. 36 (“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa“) e ricorda a Bocchino l’ultimo rapporto Istat: “Quando voi andate a raccontare dell’aumento dell’occupazione, aggiungete per favore che questa è trainata da bassi salari, da precarietà, da scarsa produttività, che è una linea da paese in via di sviluppo. A noi i salari calano del 4,5%, mentre negli altri paesi europei sono aumentati dal 3 al 5%”
Bocchino ribatte che sulla sanità nel governo Meloni “i numeri parlano” e aggiunge: “Quando tu eri al governo, in 8 anni avete dato 8 miliardi in più al Fondo Sanitario, la Meloni nel primo triennio ha destinato 9 miliardi in più al Fondo Sanitario, quindi stiamo parlando di più del doppio di quello che avete fatto voi. La verità è che avete lasciato un paese allo sfascio”.
Bersani sorride e, utilizzando una delle sue celebri metafore, spiega a Bocchino come funziona la spesa sanitaria, che va sempre rapportata a quanto cresce il paese: “Guarda che non si calcola così la spesa sanitaria in nessun posto al mondo. Se a un bambino di 10 anni dai una scarpa del 22 e poi quando compie 30 anni gliene dai una del 24 dicendogli che gli hai dato due numeri in più, lui deve tagliarsi un piede“.
E conclude: “La spesa sanitaria si calcola sempre rispetto al Pil. E mai, mai è andata al livello a cui la state portando voi, cioè al 6% del Pil, quattro punti sotto la Germania e la Francia. Ma che cosa mi vieni a raccontare? Bocchino, io lo so che non è facile e possiamo discuterne, ma se partiamo raccontandoci delle balle, non andiamo da nessuna parte”.
(da agenzie)
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Maggio 23rd, 2024 Riccardo Fucile
IL SUO PARTITO, AFD, HA INIZIATO A PERDERE CONSENSI QUANDO HA INIZIATO A PARLARE DI “REMIGRAZIONE” DI 2 MILIONI DI PERSONE: NEL GIRO DI UN ANNO È CROLLATO DAL 22% AL 15%
Stavolta le dimissioni di Maximilian Krah non erano premature. Quando un mese fa il suo assistente all’Europarlamento fu arrestato, accusato di essere una spia cinese in servizio effettivo, il più spaccone e imprevedibile dei politici AfD si presentò davanti ai giornalisti e disse: «Mi dispiace deludervi, ma resto capolista alle Europee». La realtà è che non si poteva fare altrimenti: un capolista si può sostituire solo in caso di morte, e a tutti gli effetti Maximilian Krah non era deceduto.
All’AfD non restava che tenersi l’anatra zoppa. Ma l’ennesimo colpo di testa è stato troppo, e quella frase pronunciata in un’intervista — «non tutte le SS erano dei criminali» — che Marine Le Pen ha preso al balzo per troncare l’alleanza con l’estrema destra tedesca che le andava stretta, è stata alla fine l’occasione per «oscurarlo».
E così Maximilian Krah, per il «bene del partito» ha accettato di dimettersi dal Consiglio federale e di «interrompere la campagna elettorale». Sarà il capolista invisibile. E l’AfD ha trovato il capro espiatorio di una crisi — e di un crollo dei consensi — che i vertici non hanno saputo come frenare.
Krah è il «ragazzo di TikTok» di Alternative für Deutschland, abituato a scivolare di affaire in affaire salvando sempre la pelle. Due settimane fa si è presentato in una Jaguar cabrio in Baviera […] atteggiandosi a Mad Max che schiva tutti i disastri.
Alice Weidel e Tino Chrupalla, i due capi, non hanno apprezzato. Krah è il politico radicale che di «provocazione in provocazione», come direbbe Marine Le Pen, varca le linee rosse relativizzando il nazismo. La faccia allegra degli identitari, che danza sul confine del razzismo e revisionismo, il volto dell’ala radicale di Björn Höcke.
La verità è che dentro l’AfD, nella corsa alle Europee, hanno vinto loro. L’estate scorsa al congresso nel Magdenburgo a sorpresa i «pragmatici» sono stati scalzati dai radicali Maximilian Krah e Petr Bystron, eletti capilista.
Sono bastati sei mesi, perché si scoprisse che Bystron riceveva soldi dai russi attraverso il portale Voice of Europe . A casa sua la polizia ha sequestrato una decina di lingotti d’oro. Mentre Krah, da sempre filo Mosca, è impelagato fino al collo anche sul versante cinese: l’assistente-spia Jian Guo gli avrebbe versato regolari «contributi» da Pechino.
Durante un viaggio in America, Krah è stato interrogato dall’Fbi. I giornali aggiungono nuovi dettagli ogni settimana. In breve, i «patrioti» si sono rivelati patrioti degli altri, o meglio al soldo dei despoti. E questa ultima definizione si è attaccata all’AfD come un tatuaggio.
C’è un momento in cui la traiettoria dell’AfD — che ha fatto irruzione nella politica tedesca 10 anni fa con i «professori anti-euro» e che con la crisi ucraina ha toccato il 22% dei consensi fino a diventare il secondo partito tedesco — ha iniziato la discesa. È successo quando si è scoperto che alti dirigenti AfD hanno partecipato al convegno di Potsdam che predicava la «remigrazione» di 2 milioni di persone, anche con passaporto tedesco.
Per la Germania è stata come una sveglia: se un partito anti-sistema, populista poteva essere tollerato, per un’ampia parte del Paese invece quella era la prova dell’ideologia razzista, di condiscendenza per il passato nazista verso il quale c’è un completo ripudio.
Centinaia di migliaia di persone sono scese in strada per la democrazia: in poche settimane, questa «ribellione pacifica» ha ricacciato i consensi dell’AfD al 18%. Poi sono arrivati gli scandali dei patrioti di Putin. Un mese fa perfino la Spd di Scholz e i Verdi hanno superato l’AfD, crollata al 15%. E alla fine, anche la francese Marine Le Pen ha pensato che questi alleati non le erano di nessuna utilità.
(da agenzie)
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Maggio 23rd, 2024 Riccardo Fucile
AL SETACCIO I TRE TELEFONI DELLA SEGRETARIA DEL PRESIDENTE
Così fan tutti, nel cerchio magico di Toti che oggi racconterà la sua verità alla procura. Se nelle carte della Tangentopoli ligure sono emersi 55 mila euro spostati dal conto corrente di “Giovanni Toti Presidente” a un suo iban privato, secondo la Finanza uguale giochino per oltre 27 mila euro ha compiuto Matteo Cozzani, il braccio destro del governatore pure lui agli arresti domiciliari.
Il rampante ex sindaco di Portovenere, folgorato sulla via del totismo fino a diventare coordinatore della sua campagna elettorale e capo di gabinetto in Regione, è al centro di una annotazione del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria. Un documento che pare l’esatta fotocopia del “travaso”, quantomeno opaco, fra depositi bancari del presidente.
Scrivono i finanzieri come sia emerso che Cozzani «nel corso delle elezioni regionali liguri svoltesi nel settembre dell’anno 2020, è risultato essere beneficiario, su un proprio conto corrente Passadore, di un bonifico di euro 27 mila e 200 euro, disposto in data 07/08/2020 dal conto corrente Intesa Sanpaolo intestato al Comitato Giovanni Toti».
Proprio per questo, la Gdf ha interrogato l’Archivio dei Rapporti Finanziari «al fine di tracciare il flusso di denaro derivante da presunte condotte e/o scambi di natura corruttiva».
Gli inquirenti potrebbero trovare risposte concrete ai giroconti sospetti di Toti nei tre telefonini sequestrati a Marcella Mirafiori, a capo della segreteria del governatore, nonché tesoriera proprio del Comitato Toti Presidente.
Gli investigatori hanno messo nero su bianco che gli accertamenti bancari sul conto personale di Toti «consentivano di verificare che tale conto veniva solitamente utilizzato per sostenere spese correlate all’attività politica posta in essere da lui e dal proprio entourage . Delegata a operare sul citato conto era Marcella Mirafiori».
(da agenzie)
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Maggio 23rd, 2024 Riccardo Fucile
“SE HAI UN SALARIO DA FAME, SE NON RIESCI A PAGARE L’AFFITTO E A CURARTI NON SEI UN INDIVIDUO LIBERO, MELONI HA CANCELLATO IL FONDO AFFITTI E BLOCCATO IL SALARIO MINIMO”… “DIRE MENO EUROPA VUOL DIRE TAGLIARE LE GAMBE ALLO SVILUPPO DEL NOSTRO PAESE”
“Non vedo la differenza tra l’Afd e il razzista, misogino, fan di Putin e omofobo Eric Zemmour. Quindi vorrei fare una domanda a Meloni: dopo di lui è pronta ad accogliere Orban e Le Pen?“. Lo dice la segretaria del Pd Elly Schlein, in un’intervista alla Stampa, spiegando: “Vedo i segnali e dico che i cittadini hanno il diritto di saperlo prima del voto”.
“Meloni a Madrid, dov’era anche Le Pen, in mezzo a nazionalisti, nostalgici della dittatura franchista, amici di Trump, ha pensato bene di attaccare la sinistra dicendo che cancella l’identità. Un giorno ci spiegherà cosa vuol dire. Intanto ricordo che in questo anno e mezzo di governo lei sta cancellando la libertà delle persone“, sottolinea la leader Dem.
“Se hai un salario da fame – ha incalzato la segretaria Pd – e non riesci a pagare l’affitto non sei pienamente libero, e questo governo ha bloccato il salario minimo e cancellato il fondo affitto. Non lo sei se ti ammali e la prima visita te la danno tra un anno e mezzo”.
“I popolari stanno rincorrendo l’estrema destra nazionalista tradendo la loro cultura politica che fino a qui era comunque stata europeista”, dice Schlein.
Una rincorsa, quella del Ppe verso l’estrema destra nazionalista, che si mostra evidente “nelle gravissime e ambigue dichiarazioni con cui Ursula von Der Leyen non ha smentito un’ipotesi di coalizione con i nazionalisti dell’Ecr e di Identità e democrazia, i gruppi di Salvini e Meloni in Europa”.
In Olanda Wilders sta per andare al governo con popolari e liberali: “Stanno prendendo una china pericolosa. Wilders, l’amico di Salvini, è quello che girava con il cartello: ‘Non un centesimo all’Italia‘. Queste destre sono nemiche del nostro Paese. Non hanno mai creduto nella strada della solidarietà europea e degli investimenti comuni. Dire meno Europa vuol dire tagliare le gambe allo sviluppo dell’Italia”. Come socialisti, spiega la segretaria dem, “siamo stati a Berlino insieme a Scholz e a tutte le altre forze del Pse per dire che mai saremo in coalizione con le forze nazionaliste”.
Oggi sarebbe stato il giorno del confronto tv con la premier Meloni, saltato per volontà dell’Agcom dopo un esposto dei 5 stelle: “Ho preso atto che c’è chi ha preferito rinunciare a un ampio spazio di confronto in prima serata pur di impedirlo alle due donne che guidano i primi due partiti del Paese”, afferma Schlein, ricordando che il confronto “avevo accettato di farlo su Telemeloni”.
(da agenzie)
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Maggio 23rd, 2024 Riccardo Fucile
“PIU’ FUNZIONA L’INTEGRAZIONE E MENO PROBLEMI DI SICUREZZA AVREMO: PER QUESTO BISOGNA APRIRE CANALI DI ACCESSO ALL’ITALIA SICURI E LEGALI”
Cecilia Strada, dopo una vita trascorsa a occuparsi dei più deboli, ha deciso di candidarsi per le elezioni europee con il Partito democratico.
Il tema della migrazione è, ovviamente, al centro della sua campagna elettorale: “Aprire canali di accesso sicuri e legali è l’unico modo per togliere le persone dalle mani dei trafficanti”, spiega in un’intervista a Fanpage.it. E aggiunge: “Dobbiamo metterci in testa che non si può fermare il flusso delle persone che si muovono in giro per il mondo, né chi cerca una vita migliore, né chi scappa da tante cose, una per tutte il disastro climatico, ma si può governarlo, si deve governare questo flusso e farlo si chiama politica”.
Cecilia Strada, partiamo da cosa nasce la scelta di candidarsi alle elezioni europee?
Nasce dalla voglia di fare la mia parte in un modo nuovo. Di fare le cose di sempre, cioè impegnarmi per i diritti umani, praticare diritti umani, chiedere diritti umani, ma farlo in un modo nuovo. Nella mia vita l’ho fatto da volontaria prima e da lavoratrice poi e inevitabilmente ogni mio racconto di quello che facevamo sul campo si chiudeva con una richiesta alla politica: “Fate la vostra parte, perché le persone non arrivino a noi”. Perché quando arrivano agli operatori umanitari sono già in emergenza, hanno perso la dignità e il compito della politica è risolvere i problemi delle persone prima. Quindi, quando Elly Schlein mi ha chiesto “ma vorresti fare la tua parte in un modo nuovo, con questa rotta qua, che è la rotta della giustizia sociale per l’Europa”, ci ho pensate e ho detto sì.
Quando parla di fare la sua parte, immagino si riferisca soprattutto al tema dell’accoglienza. Quali sono le istanze che porta in sede europea?
Il tema dell’accoglienza e in generale della gestione dei flussi migratori è sicuramente un tema che mi è molto caro, visto che ho passato gli ultimi anni a occuparmi di Mediterraneo centrale, di soccorso in mare e a terra, anche con missioni di soccorso. Io penso che qui il punto sia rivedere il Patto Ue migrazione asilo che è appena stato approvato. Il Partito democratico non l’ha votato, perché è un patto che va proprio nella direzione sbagliata, in una direzione di riduzione dei diritti umani delle persone migranti richiedenti asilo.
In compenso non è neanche tutelante per i Paesi di primo approdo, come l’Italia. Penso che questo patto sia qualcosa che non solo non piace ed è gravissimo per i difensori dei diritti umani, ma non dovrebbe piacere neanche agli elettori di destra, perché non tutela di fatto l’Italia. Come si fa a combattere il traffico di esseri umani? Come si fa a evitare non solo che le persone muoiano, ma che le persone possano arrivare in modo controllato? È semplice: bisogna aprire canali di accesso sicuri e legali. Questo è l’unico modo per togliere le persone dalle mani dei trafficanti, per togliere il potere ai trafficanti lungo tutto il globo terracqueo. E bisogna necessariamente superare il regolamento di Dublino: penalizza tantissimo Stati come l’Italia, perché le persone che arrivano in Italia in realtà arrivano in Europa. E quindi bisogna che l’Europa faccia la sua parte. Dobbiamo metterci in testa che non si può fermare il flusso delle persone che si muovono in giro per il mondo, né chi cerca una vita migliore, né chi scappa da tante cose, una per tutte il disastro climatico, ma si può governarlo, si deve governare questo flusso e farlo si chiama politica.
Come giudica invece l’accordo tra il governo italiano e quello albanese?
Per me è una follia, che costerà l’ira di Dio di soldi per nulla. Non potremo controllare le condizioni delle persone. Ma in generale è sbagliato l’approccio, che è quello degli ultimi anni, di spingere le nostre frontiere più in là: di pagare la Libia perché intercetti le persone in mare e le riporti indietro, pagare la Turchia. Di fatto negli ultimi anni, a livello europeo, si è chiesto a Stati che non rispettano i diritti umani di tenere le persone lì. Ma spostare le frontiere più in là è evidentemente qualcosa che mette in pericolo i diritti umani, che mette la vita delle persone in pericolo e che dubito sia costituzionale
L’unico modo per risolvere seriamente il problema è aprire canali di accesso sicuri e legali, che tra l’altro consentirebbero di far arrivare persone anche con livelli di istruzione più alta. Questo comporterebbe più facilità di integrazione nel nostro sistema sociale: noi abbiamo bisogno di lavoratrici e lavoratori di origine straniera, perché siamo nel pieno inverno demografico e nel 2045 avremo un rapporto di occupati e non occupati di 1 a 1. Che ci piaccia o no, che lo capiamo no, abbiamo bisogno di trovare altri compagni e compagne di viaggio per far crescere questo Paese. È oggetto della politica capire come governare questo flusso.
Penso che ormai tutti gli italiani abbiano capito che il blocco navale era soltanto uno slogan, che non è fattibile e che l’unico modo per avere veramente più sicurezza è avere canali d’accesso sicuri e legali. È quello che dovrebbero volere tutti, a partire dagli elettori di Giorgia Meloni.
Ha accennato al tema della sicurezza in relazione al tema immigrazione. Quanto l’accoglienza dei migranti influisce sulla sicurezza di un Paese e perché?
Io penso che l’accoglienza influisca molto su quello che è il risultato in termini di sicurezza. Sicuramente un’accoglienza non adeguata o addirittura sistemi legali come la legge Bossi-Fini fanno sì che le persone che sono qui regolarmente, con un permesso di soggiorno, possano perdere i requisiti per stare sul territorio perché hanno perso il lavoro. Evidentemente queste cose sono fabbriche dell’insicurezza. Più il fenomeno migratorio è gestito e controllato e più l’integrazione è reale e funziona, più teniamo tutti nella luce del diritto, nella bellissima e scintillante luce della legalità e avremo meno problemi di sicurezza. Più abbiamo persone che sono lasciate ai margini, più avremo problemi di sicurezza, avremo percezione di insicurezza, a volte anche dove non c’è di fatto una reale emergenza sicurezza.
Io vivo a Milano, che la destra sta cercando di rappresentarla come il Far West. In realtà sono 15 anni che gli omicidi sono continuamente in calo. Abbiamo un problema di crimini contro il patrimonio, ma è una delle più grandi città d’Europa, una città ricca ed è naturale che ci siano molti più reati contro il patrimonio che in realtà molto più piccole. Io non la chiamo microcriminalità, perché è sempre una cosa gravissima e drammatica. Sicuramente si può fare di più e si può fare meglio. La destra, però, parla di ordine pubblico in un solo modo: crimine degli stranieri, crimini degli stranieri, crimini degli stranieri. In realtà quando vai a guardare la percentuale degli stranieri sul totale di denunciati sono anni che non cambia.
A proposito di ordine pubblico, un’ondata di proteste da parte in particolare degli studenti ha creato diversi problemi di ordine pubblico e molte polemiche. Pensa che ci sia stata una reazione sbagliata da parte dello Stato?
Mi ha molto colpito l’utilizzo della parola censura che le istituzioni hanno fatto, parlando di studenti che contestano una ministra e le contestazioni portano poi alla sospensione dell’incontro. È stata utilizzata la parola censura, che però è proprio un’altra cosa. La censura è quando qualcuno che ha un potere lo utilizza per togliere la parola a qualcun atro che il potere non ce l’ha. Quella che invece viene dal basso verso l’alto è una contestazione. È chiaro che ci sono sproporzioni di potere infinite tra il collettivo degli studenti e una ministra della Repubblica italiana o una qualunque carica istituzionale che può dire la sua in ogni sede, in ogni modo, ogni volta che vuole.
Penso, ad esempio, che la libertà di espressione della ministra Roccella vada tutelata e allo stesso modo della libertà di espressione degli studenti che protestano e che non hanno le stesse possibilità di esprimersi. Ma dovremmo anche parlare dei temi che contestavano: si è parlato di censura e di quello che chiedevano in quell’occasione i contestatori. Chiedevano cose sacrosante per gli studenti.
Invece teme che nell’attuale Rai ci sia un rischio censura?
Sì, mi sembra anche che ci siano persone che vogliono essere più realiste del re e quindi che si applichi anche una censura preventiva. E non va assolutamente bene, perché la nostra partecipazione democratica si fonda sulla possibilità di essere informati. Se non c’è informazione semplicemente non c’è più democrazia: l’esercizio dei diritto di voto, per esempio, diventa una cosa evidentemente vuota se si va a votare senza avere le informazioni corrette, gli strumenti per poter capire chi si sta votando e per quale motivo. L’esercizio del voto non è più un esercizio democratico, è solo mettere una croce su un foglio.
Torniamo ai temi più prettamente europei. Prima parlava di cambiamenti climatici. Come giudica le politiche finora intraprese dall’Unione nel contrasto ai cambiamenti climatici? E secondo lei cosa bisognerebbe fare?
Bisogna fare di più. C’è chi dice che dobbiamo fare ogni sforzo possibile per salvare il pianeta, se siamo ancora in tempo e confidiamo di esserlo. Dall’altro ci sono quelli che dicono che il cambiamento climatico non esiste, anzi “senti che freschino, ha grandinato ad aprile”. Ecco è esattamente quello di cui stiamo parlando. Quindi, che ci piaccia o no, che lo capiamo o no, bisogna fare di più e bisogna andare avanti non solo sul tema delle case green e della riduzione delle emissioni. Dovremo evidentemente mettere mano al tema degli allevamenti intensivi, da cui deriva la grossa parte delle emissioni di Co2. Per cui ci sono davvero delle rivoluzioni da fare nel modo in cui produciamo, in cui consumiamo e in cui viviamo.
Il problema è che l’Italia non ce la può fare da sola e quindi è esattamente l’Europa la casa in cui troveremo gli strumenti e le risorse economiche per poter accompagnare le famiglie italiane in questa necessaria transizione ecologica. Il problema è anche che l’impatto del disastro climatico non è uguale sui poveri e sui ricchi, perché è molto più forte su chi ha meno. Per questo il costo della transizione ecologica non può essere scaricato su chi ha meno, perché aumenterebbe le disuguaglianze che già esistono. È essenziale che l’Europa ci sia per darci strumenti e risorse per affrontare questo passaggio. Ma è essenziale che gli strumenti, le risorse, vadano alle persone giuste, perché altrimenti si rischia di aumentare le disuguaglianze.
(da Fanpage)
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Maggio 23rd, 2024 Riccardo Fucile
“MI HANNO SPUTATO IN FACCIA. DOPO IL TAGLIO DELLE GOMME LA POLIZIA MI HA AVVERTITO: LA PROSSIMA VOLTA SARANNO BOTTE” … “SONO DISTANTE DALLE POLITICHE DI DIFESA DELLA CATEGORIA ANCORATE AL SECOLO SCORSO. I SINDACATI DEI TASSISTI NON VOGLIONO TRATTARE SU NULLA”
Incappare in un tassista di notte con la tendenza ad andare contromano può essere rischioso. Di certo lo è per lui. Roberto Mantovani è ormai noto non solo a Bologna, dove lavora, ma in tutta Italia. Più come Red Sox, soprannome derivante dalla squadra di baseball per cui tifa.
Ha cominciato denunciando su Twitter le malefatte dei colleghi “no pos”, che pretendono il contante per evadere il fisco, poi pubblicando i propri incassi, svelando segreti di categoria e ricevendo per questo minacce, sputi, tagli alle gomme e l’isolamento, fino all’esclusione dalla cooperativa. Per risposta, ora pubblica Tassista di notte (Garzanti) il libro che contiene le sue avventure, ma soprattutto le sue accuse.
Prima domanda, retorica: ha aderito allo sciopero nazionale di martedì scorso?
«Certo che no, perché sono distante dalle loro politiche di difesa della categoria ancorate al secolo scorso: un puro sistema di protezione».
Di che cosa?
«Dello status quo».
Quindi è favorevole a concedere nuove licenze?
«Il punto è come farlo senza azzerare il valore delle licenze esistenti, che sono state pagate. Da me, ad esempio: 240mila euro. Occorre stabilire il prezzo a cui restituirle. Bisognerebbe trovare un accordo, ma non lo vogliono».
Chi?
«Le sigle sindacali».
Che sono molte, almeno una dozzina nella manifestazione romana, per quanti tassisti?
«La cifra esatta non si sa: diciamo trentamila».
Non tanti, per l’influenza che esercitano…
«Poi ci sono i familiari, gli amici. E il potere psicologico: siamo sulla strada, a contatto. Diffondiamo opinioni. Se ogni giorno diamo venti passaggi e raccontiamo la stessa storia o la stessa visione delle cose, moltiplicato trentamila è una bella propaganda».
«comunque il tassista ha potere».
Sarà per questo che il ministro Salvini, di solito duro con gli scioperi si è limitato a “sperare” che questo non arrecasse disguidi?
«Ma li ha arrecati, e tanti. Sa quanti turisti hanno perso il treno o l’aereo? Ma il ministro non voleva altre critiche dopo quelle ricevute per aver allargato del dieci per cento le licenze».
Lei fa il tassista da otto anni e ha capito quello che non hanno sistemato in trenta?
«Non è così difficile. Bisognerebbe smetterla di dire no a qualsiasi intervento, ma evitare l’estremismo del “liberi tutti”. Trattare, anche con Uber, alla luce del sole, senza appelli populisti. Se abbiamo causato odio è colpa nostra».
Lo sa di essere diviso, di passare dal “noi tassisti” a “loro”?
«Sì. Amo il lavoro, meno come viene fatto».
Tutte le magagne che denuncia, quando sul taxi saliva da passeggero non le aveva intuite?
«Molte le ho capite dopo, soprattutto questo egoismo da pazzi».
Perché non rivende la licenza e fa altro?
«Me lo dicono in molti. E mi danno un motivo in più per continuare. È un mestiere magnifico. C’è l’emozione del primo cliente, la notte, che è come la prima pagina di un romanzo e determina le successive».
Poi però c’è da stare al posteggio: stessa allegria?
«Mi aspettavo chiacchierate tra colleghi e invece mi tocca stare chiuso in macchina. Nessun rapporto. Adesso però si sono passati parola e almeno mi lasciano stare».
L’uscita del libro non aiuterà…
«A Bologna, peggio di così. Nelle altre città vorrà dire che se prendo il taxi mi camufferò».
Visto che è trasparente sugli incassi, quanto ha ricevuto di anticipo?
«Un euro per copia, presumendone diecimila. Lordi».
Ha anticipato anche la risalita delle ostilità? Fatte le debite proporzioni, ha mai visto Serpico?
«Ho messo tutto in conto. Mi sveglio come voglio essere. Sono un miracolato, sopravvissuto a un cancro. So incassare senza reagire. Mi hanno sputato in faccia, mi sono asciugato. Dopo il taglio delle gomme in questura mi hanno avvertito: la prossima volta saranno botte. Ma se prendo un pugno, ho vinto io».
Quindi, provoca?
«No, dico la verità, non so trattenermi».
La sua campagna contro i No Pos ha avuto effetti?
«A Bologna sì. E mi dicono che in tutta Italia le carte di credito sono più accettate».
Però la sua cooperativa, la Cotabo, l’ha espulsa…
«Me l’aspettavo. Già c’era stata una raccolta di firme contro di me, ma occorreva un provvedimento dall’alto ed è arrivato. Mi hanno accusato di diffamare, non essere consociativo, non remare dalla stessa parte».
Contromano si dichiara anche nel sottotitolo del libro. Quanto le costa fare l’indipendente?
«Più di metà degli incassi. Dopo ogni corsa devo tornare al posteggio e aspettare».
A casa tutti bene? Tutti sereni per questa sua esposizione?
«I miei figli erano preoccupati, trovare escrementi nella cassetta della posta non è piacevole. Ora vivo solo, con due gatte. Essere solo mi rende più libero».
Il cliente ha sempre ragione?
«Non sempre, ma bisogna cercare di evitare le controversie».
Anche quando chiede ricevute in bianco o blocchetti intonsi?
«Io non li dò mai, ma li chiedono: dipendenti in trasferta, politici. Categorie in nota spese, insomma. Pagare in contanti e avere la ricevuta in bianco è un do ut des».
(da La Repubblica)
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Maggio 23rd, 2024 Riccardo Fucile
CANCELLARE IL SUPERBONUS E TUTTE LE ALTRE MISURE INUTILI E PORTARE IL SURPLUS DELL’AVANZO PRIMARIO AL 3%… DOVE TROVARE TUTTI QUEI DANARI? LA RISPOSTA È SEMPRE LA STESSA: TAGLI ALLE SPESE, E TASSE
La recente missione del Fondo Monetario Internazionale a Roma è stata costruttiva, ma sono emerse significative differenze di vedute, e restano almeno tre questioni vitali per il futuro del nostro paese da affrontare e risolvere: la cancellazione del Superbonus, e delle altre misure inutili per la crescita o insostenibili sul piano fiscale; il surplus dell’avanzo primario del 3%, da realizzare nel giro di un paio di anni, che secondo le autorità italiane rischia di esporci alla recessione o comunque una seria frenata; la proroga del Pnrr, accelerando però la sua applicazione e l’efficienza con cui viene realizzata.
Il tutto partendo dal presupposto che l’Italia deve ridurre debito e deficit, assai più rapidamente di quanto non abbia previsto finora il governo, se vuole avviarsi sulla strada di una crescita solida e sostenibile nel tempo, evitando i rischi di nuove crisi. E questo sulla base di una stringente analisi tecnica, non politica.
Nei corridoi dell’Fmi si sottolinea lo spirito di collaborazione durante la visita per l’Articolo IV, senza però nascondere le difficoltà. Il deficit va ridotto, ora e più velocemente di quanto abbia pianificato il governo, perché ne va della sicurezza economica dell’Italia. Perciò è necessario lavorare tanto sulle entrate, quanto sulle spese.
Il punto di partenza dovrebbe essere l’eliminazione di tre categorie di misure adottate finora e ancora in vigore: quelle bocciate nel merito, come il Superbonus, perché inutili o dannose; quelle che non sarebbero necessariamente sbagliate nel merito, come il cuneo fiscale, ma non sono sostenibili nella forma attuale; quelle da eliminare comunque, perché non si può continuare a finanziarle in deficit.
Sulla richiesta di un surplus del 3% dell’avanzo primario c’è stata una discussione molto intensa, non solo col governo, ma anche con altre istituzioni come la Banca d’Italia. I vari interlocutori italiani hanno fatto notare che richiederebbe una correzione di circa 60 miliardi di euro, che non si capisce bene da dove dovrebbero arrivare.
Quindi ci esporrebbe al rischio di una recessione, o quanto meno di una frenata significativa della crescita. L’Fmi però non ha dato l’impressione di essere disposto a mollare su questo punto.
Sul Pnrr il Fondo è apertamente favorevole al rinvio, perché non crede sia logico restare ancorati alla scadenza iniziale del 2026, rischiando così di perderne molti benefici. Il problema è che i ritardi nell’applicazione sono così gravi da far presumere che un anno di proroga non basterebbe a sanarli e servirebbe a poco nella sostanza dei nostri conti.
Il Fondo ha indicato alcuni interventi sul lato delle entrate e della spesa, come l’età del pensionamento, ma non è entrato molto nei dettagli. Se ne riparlerà a luglio, quando le elezioni europee saranno archiviate
(da La Repubblica)
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Maggio 23rd, 2024 Riccardo Fucile
LA CORSA AI DECRETI, IL REDDITOMETRO, LA SICUREZZA, IL ONTRE SULLO STRETTO: FALLITI TUTTI GLI OBIETTIVI, ADDIO EFFETTO TRAINO SUL VOTO
Il set era allestito, prometteva una volata elettorale scintillante. Il premierato, i centri migranti in Albania, una spruzzata di bonus tredicesime. E magari qualche opera pubblica, la posa del primo cassone della diga del porto di Genova e, perché no, la prima pietra del Ponte sullo Stretto.
Maggio era l’orizzonte, le Europee e amministrative dell’8-9 giugno l’obiettivo. Ma poi qualcosa è andato storto. Tempi troppo stretti, riuscire un’illusione. E la volata di maggio si è trasformata in una maldestra infilata di guai. Sommati a forzature malriuscite.
Niente voto sulle riforme, solo polvere e ruspe in Albania, bonus rimpicciolito. E poi liti con i tassisti, tensioni con i balneari, stangata sul Superbonus, braccio di ferro con le società di calcio. E il gigantesco errore di calcolo del redditometro. Un’ultima carta restava, vecchia ma sempre preziosa: la sicurezza. Un ddl dimenticato da mesi in Parlamento: più reati, pene inasprite, un messaggio subliminale perfetto per gli elettori della destra. Votiamolo subito, cinque giorni e via: ecco l’input arrivato dal governo. Un blitz tanto pretestuoso, che si è imposta la marcia indietro. Tutto rinviato a dopo le Europee e addio effetto traino sul voto.
Il balletto sulle riforme e la corsa ai decreti
La “madre di tutte le riforme”, Giorgia Meloni l’aveva chiesto ai suoi, doveva essere pronta e approvata almeno in prima lettura entro giugno. Ma le obiezioni al disegno di legge sul premierato sono state tali e tante, il dibattito parlamentare così farraginoso, gli emendamenti delle opposizioni così numerosi (tremila), che è arrivata la resa: il Senato approverà il testo soltanto dopo il 9 giugno.
Intanto però la premier concedeva agli alleati/competitori altrettante riforme, da sventolare come traguardi raggiunti. La Lega otteneva l’Autonomia differenziata, portata in Aula alla Camera con ogni mezzo, la tagliola degli emendamenti e pure l’annullamento di un voto pro-opposizioni in commissione, ma poi fermata lì, a un passo dall’approvazione finale, per non innervosire gli elettori centralisti e anti-autonomisti. Forza Italia pretendeva la separazione delle carriere, nonostante la contrarietà di tutta la magistratura, e incassava la promessa – già smentita – di un via libera in Cdm il 29 maggio, slittato poi al 3 giugno.
Ma a voler accantonare le riforme costituzionali, le cose non sono filate lisce neanche per i decreti del governo (sei in cantiere solo per i due Consigli dei ministri del 24 e 29 maggio), finiti sotto la lente del Quirinale. La riscrittura del decreto di Lollobrigida sull’agricoltura, il braccio di ferro sul mini-condono “Salva casa” di Salvini, il ridimensionamento del bonus tredicesime di Meloni. E ancora, in ordine sparso. La rivolta dei club di serie A contro la norma per il controllo di un’agenzia governativa sui bilanci delle società di calcio. Lo stop alla cessione dei crediti del Superbonus, tra il tentativo di boicottaggio di Tajani e il malcontento di costruttori, banche, proprietari. Lo sciopero dei taxi, al solo annuncio di tre decreti attuativi su taxi e Ncc, attesi dal 2019, cosiddetti taglia code.
E infine, la clamorosa vicenda del Redditometro, lo strumento anti-evasione per scovare le incongruenze tra le spese del contribuente e il reddito dichiarato. Sospeso dal 2018, tirato fuori a sorpresa dal viceministro Maurizio Leo a sedici giorni dalle elezioni e sopravvissuto poco meno di due giorni alle proteste di alleati di governo e avversari di opposizione, nonché alle critiche dei tecnici. Meloni ha provato a gestire la crisi, sminare, tranquillizzare. Poi la retromarcia: decreto “sospeso”. Troppo allarmante per gli elettori, troppo grande il rischio di una bocciatura nelle urne.
I cantieri falliti e la sicurezza arenata
Basta così? Non proprio, perché anche il piano per festeggiare il 20 maggio “l’operatività” di due centri di accoglienza per migranti in Albania, divenuti la bandiera delle politiche migratorie di Meloni, è andato storto. Il Pd, galvanizzato forse dal clima elettorale, è andato pure a controllare: solo ruspe e terra battuta. Ritardi su ritardi, apertura rinviata all’autunno e costi lievitati fino a sfiorare il miliardo di euro in cinque anni.
Salvini provava a consolarsi con il Ponte sullo Stretto, ma dopo aver forzato leggi e contratti, accelerato progetti e controlli, la posa della prima pietra slittava negli annunci dalla primavera a (forse) fine anno. E così restava solo la diga di Genova, opera pagata dal Pnrr, da inaugurare in grande stile il 24 maggio: festa rovinata prima dai rilievi dell’autorità anticorruzione, poi dall’arresto del governatore ligure Giovanni Toti.
Ecco forse perché il governo ha provato da ultimo a rifugiarsi nel caro vecchio tema della sicurezza, nel disegno di legge per inasprire le pene sui piccoli reati, punire gli attivisti ambientali, spedire in carcere le borseggiatrici nel metrò, anche se madri. Perfetto per la propaganda elettorale. Era stato approvato in pompa magna dal Consiglio dei ministri a novembre, per poi finire nel dimenticatoio, arenato, bocciato nelle audizioni per sospetti “profili di incostituzionalità”. L’idea era votarlo all’improvviso in cinque giorni, stampargli sopra il bollino della promessa mantenuta. Ma la forzatura era tanto sguaiata, che le opposizioni sono riuscite a far slittare tutto. A giugno, dopo le Europee, insieme a tutte le altre scorie della stagione elettorale.
(da La Repubblica)
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Maggio 23rd, 2024 Riccardo Fucile
VITTIME TRE CRONISTI (CORRIERE DELLA SERA, IL FATTO E LA7): “LAVORO DA 20 ANNI, UNA COSA DEL GENERE MAI SUCCESSA”… PIANTEDOSI NON TI VERGOGNI?
Tre giornalisti, un fotoreporter del Corriere della Sera, Massimo Barsoum, una giornalista del Fatto Quotidiano, Angela Nittoli, e un giornalista de La7, Roberto Di Matteo, sono stati fermati dalla polizia mentre erano diretti a seguire l’ultimo blitz degli attivisti di Ultima Generazione, a Roma.
Nonostante l’esibizione di tesserini professionali e documenti di identità sono stati portati comunque al commissariato di Castro Pretorio, dove sono stati tenuti per un’ora in camera di sicurezza, con la porta aperta. «A me personalmente una cosa così non mi era mai successa. Sono vent’anni che faccio questo lavoro e sì mi è capitato che, ad evento in corso, mi chiedessero il tesserino professionale. Ma una volta esibito e fatte le opportune verifiche tornavo a coprire l’evento», spiega a Open Angela Nittoli. I tre colleghi sono stati fermati prima di raggiungere il punto in cui si trovavano gli attivisti. Alla richiesta di documenti da parte degli agenti hanno esibito tutto il necessario. «Dieci minuti, controlliamo e poi potete andare», ha detto loro un agente. Ma i dieci minuti sono diventati mezz’ora per strada e un’ora e mezzo circa in commissariato. I tre, fermati intorno alle dieci, sono stati rilasciati appena dopo mezzogiorno. Giunti in centrale a bordo della volante, hanno subito una perquisizione corporale, degli zaini e un controllo dell’attrezzatura. Nittoli, quando ha avuto l’esigenza di andare in bagno, è stata accompagnata da un’agente donna. «Mi hanno chiesto di non chiudere la porta, ma di accostarla», racconta. Prima di andare via, racconta «ci hanno fatto vedere un verbale che non abbiamo firmato, ci siamo rifiutati». Il motivo? Sopra il documento la perquisizione, per esempio, non veniva menzionata. «Così, di fatto siamo usciti senza una carta in mano», spiega. I cronisti stanno ricevendo la solidarietà di tanti colleghi e delle loro redazioni. Il presidente nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, Carlo Bartoli, ha dichiarato: «Lo scorso 10 maggio siamo stati ricevuti dal Ministro dell’Interno Piantedosi che ci ha dato ampia assicurazione sulla tutela dei giornalisti nello svolgimento del loro lavoro nel pieno rispetto del diritto di cronaca. Era accaduto nei giorni precedenti che colleghi erano stati fermati e portati in commissariato a Padova e a Messina. Adesso la storia si ripete a Roma. Lo ribadiamo con fermezza: i giornalisti regolarmente iscritti all’Ordine e muniti di tessera professionale hanno non solo il diritto, ma il dovere di seguire i fatti di cronaca e il loro lavoro non può essere interrotto senza validi e fondati motivi dalle Forze dell’Ordine. Non vorremmo che il fermo dei cronisti diventi una prassi. È incostituzionale e lesivo della libertà di stampa e del diritto dei cittadini ad esser informati».
(da Open)
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