Maggio 28th, 2024 Riccardo Fucile
UN PREMIER CHE MENTE SU SANITA’ PENSIONI, DISABILI E MADRI: ECCO TUTTI I NUMERI UFFICIALI CHE SMENTISCONO LE BALLE SOVRANISTE
In un minuto e 26 secondi si susseguono i volti sorridenti di 14 persone. Stiamo guardando lo spot per le elezioni europee di Fratelli d’Italia quindi, ovviamente, ognuna di loro ci spiega perché, il prossimo 8 o 9 giugno, voterebbe per Giorgia Meloni, “detta Giorgia”. “Io voto Giorgia perché è una del popolo”, afferma un barista con alle spalle un comizio della premier in tv.
Questione sanità: gli aumenti inesistenti
Si tratta di un ritornello fisso di Meloni ormai, che non poteva mancare nel suo spot: “Siamo il governo che ha investito in assoluto di più in termini di risorse sulla sanità”.
E qui arriva la prima imprecisione: sì, è vero che rispetto allo scorso anno i fondi sanitari nella Legge di Bilancio aumentano di 3 miliardi di euro – arrivando a circa 136 miliardi – ma servono principalmente a venire incontro all’aumento dei costi dovuto all’inflazione e per investire non in assunzioni di nuovo personale o in nuove strutture, ma per il rinnovo dei contratti, che si mangiano ben 2,4 miliardi.
Inoltre, parliamo di un aumento in termini assoluti. Ma basta dare un’occhiata al Prodotto interno lordo, per renderci conto che, più che di crescita delle risorse, dovremmo parlare di tagli: quest’anno il rapporto tra spesa sanitaria e Pil raggiunge il 6,4%. Lo scorso anno, sempre col governo Meloni, era del 6,3%, mentre nel 2022 raggiungeva il 6,8%.
Pensioni: per meno persone e sempre più distanti
Ma il video continua a scorrere e sullo schermo appare una anziana intenta a fare incetta di ortaggi al mercato: “Io voto Giorgia perché mi ha aumentato la pensione”. Vero: a novembre 2023 il ministero dell’Economia ha stabilito un aumento del 5,4% di tutte le pensioni entro i 2.100 euro lordi mensili, sempre, però, per sopperire all’aumento del costo della vita dovuto all’inflazione.
Gli aumenti diminuiscono all’allontanarsi da quella soglia. Più una questione di perequazione dunque, che di ulteriori soldi in tasca. Ma in ogni caso, quanti cittadini potranno effettivamente beneficiarne? Sotto il governo Meloni è salita l’età minima richiesta per poter accedere sia ad “Opzione donna” che ad Ape Sociale.
E la tanto sbandierata Quota 103 è stata realizzata a suon di penalizzazioni: un nuovo tetto massimo d’importo che scende da 5 a 4 volte il trattamento minimo, un ricalcolo contributivo economicamente penalizzante e un allungamento dei tempi di attesa che arrivano fino a 9 mesi per i dipendenti pubblici.
I tagli ai fondi per le persone con disabilità
Parlando di giovani, nello spot compare poi una ragazza bionda in giacca rosa, seduta in carrozzina, che dice: “Io voto Giorgia perché non si è dimenticata di noi”.
Qui i calcoli sono facili e incontrovertibili: nel 2024 è stato istituito il ”Fondo unico per l’inclusione delle persone con disabilità”, dove confluiscono le risorse di altri fondi preesistenti, ma non quelli del “Fondo per l’inclusione delle persone con disabilità”. Risultato: si perdono 50,2 milioni di euro su un Fondo Unico che può contare su quasi 232 milioni
Per le donne? Aumento dell’Iva, meno asili nido e addio Family act
Ma la scena più toccante è riservata a una coppia: una madre e un figlio, che giocano sul divano con dei peluche. Lei dice: “Io voto Giorgia perché ha aiutato noi mamme a conciliare famiglia e lavoro”. La stessa Giorgia che è anche la presidente del Consiglio che ha riportato al 10% l’Iva su pannolini, seggiolini e altri prodotti per l’infanzia e per l’igiene femminile.
La stessa leader della coalizione che ha annunciato un nuovo Piano per gli asili nido che contribuirà alla creazione di appena 63mila nuovi posti, dopo averne tagliati 100mila dal Pnrr a novembre scorso. La stessa premier che ha permesso l’affossamento del Family act.
Le mamme che potranno realmente gioire, dunque, sono poche e precisamente quelle con un contratto a tempo indeterminato e con due figli: le sparute fortunate del “bonus mamme”. Tutte le altre – precarie, libere professioniste, con un figlio solo – posso aspettare la prossima Manovra per ricevere qualche sgravio fiscale.
(da La Repubblica)
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Maggio 28th, 2024 Riccardo Fucile
COME MAI DE LUCA NON HA RISPOSTO A TONO? PER LO “SCERIFFO” LA VENDETTA È UN PIATTO CHE VA SERVITO FREDDO. OCCHIO QUINDI ALLE PROSSIME DIRETTE SOCIAL
E’ lui o non è lui? Ma certo che è lui! Il video di Giorgia Meloni che a Caivano saluta Vincenzo De Luca rivolgendogli la frase “Presidente De Luca, sono quella stronza della Meloni, come sta?” somiglia tanto a una sceneggiata preparata a tavolino.
Il motivo? In queste foto si vede benissimo il Capo ufficio stampa di Palazzo Chigi, Fabrizio Alfano, posizionato col cellulare pronto esattamente nella posizione dalla quale verrà girato il video, prontamente diffuso poi ai canali social vicini alla Meloni.
C’è anche la foto della “pistola fumante”, con Alfano di spalle che riprende la scena: si vede chiaramente il telefonino che registra il momento del saluto con parolaccia.
“Scrivi Giorgia” ha covato la sua piccola vendetta personale per più di tre mesi, da quando lo scorso 16 febbraio, un video “rubato” registrò De Luca che, nel corso della manifestazione di Roma con i sindaci della Campania, su un divanetto di Montecitorio, disse: “Ma è tollerabile questo atteggiamento così? Ci sono centinaia di sindaci, che stanno qua, che non hanno i soldi per l’ordinaria amministrazione. Lavora? Ma lavora tu, stronza”, in risposta alla Meloni, che gli aveva detto: “Se si lavorasse invece di fare le manifestazioni si potrebbe ottenere qualche risultato in più”.
Come mai De Luca non ha risposto a tono? Da quello che risulta a Dagospia, anche per lo “sceriffo” la vendetta è un piatto che va servito freddo. Occhio quindi alle prossime dirette social del venerdì…
(da Dagoreport)
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Maggio 28th, 2024 Riccardo Fucile
IL GIORNALISTA NON CE L’HA FATTA A NON REAGIRE: “E’ UN SOTTOSVILUPPATO, UN IMBECILLE ASSOLUTO”… “MI SCUSO SOLO PER UNA PAROLA CHE NON DOVEVO DIRE, MA PER ME E’ COME DIRE COGLIONE”
«Se mi stanno registrando con un video nascosto ribadisco che secondo me Giovanni Donzelli è un sottosviluppato, se mi mandate in onda sono contento, non ne posso più di sentire questo imbecille assoluto, è una roba insopportabile. Imbecille politico eh, altrimenti mi querela pure per un fuorionda». I celebri fuorionda catturati da Striscia la notizia, e che tra le vittime recenti illustri ha anche l’ex compagno della premier Meloni, il giornalista Andrea Giambruno, questa volta colpiscono Andrea Scanzi. E il suo sfogo durante l’intervento del deputato di Fratelli d’Italia in una puntata della trasmissione di Rete 4 È sempre cartabianca. Il giornalista del Fatto Quotidiano, in collegamento con la trasmissione, attacca e insulta Donzelli a telecamere staccate. Ma si lascia andare anche a un grave epiteto, che viene censurato anche dal tg satirico. Non solo, nello stesso fuorionda è lo stesso Scanzi a scusarsi: «Ho detto una parola che non dovevo dire, la parola ***** non va detta, le altre le confermo. Quella non la dico, è politicamente scorretta. Noi la usiamo in un altro modo, per noi è per dire è un co***one. Invece ha un significato molto diverso quindi è brutto se lo dici a una persona».
(da Open)
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Maggio 28th, 2024 Riccardo Fucile
SCURATI DECLINA L’INVITO DEL COMMISSARIO MELONIANO, SARA’ OSPITE DEI TEDESCHI
La Buchmesse, ovvero la Fiera del libro di Francoforte, è uno degli appuntamenti più importanti al mondo per il settore dell’editoria. L’italia, ospite d’onore dell’edizione 2024, ha invitato più di cento autori a partecipare. Tra loro, tuttavia, non ci sarà Roberto Saviano. Ad annunciarlo è stato Mauro Mazza, commissario straordinario del governo per il coordinamento delle attività relative alla Buchmesse. Durante la conferenza stampa di presentazione alla Literaturhaus Frankfurt, Mazza ha dichiarato: «Saviano non ci sarà perché, da un lato, abbiamo voluto dare voce a chi finora non l’ha avuta. Dall’altro, tra i criteri che ci hanno ispirato, c’è stato anche quello di scegliere autori le cui opere fossero completamente originali, quindi si è fatto questo tipo di scelta».
Lo scrittore con il quale l’attuale maggioranza di governo è in aperto contrasto, riuscirà comunque ad andare a Francoforte. Lo ha annunciato il direttore della Buchmesse, Juergen Boos: «Saviano sarà ospite delle case editrici tedesche».
Tra gli altri nomi più noti che risultano assenti nella lista della delegazione italiana, ci sono quelli di Antonio Scurati, Alessandro Piperno e Paolo Giordano.
Mazza ha spiegato così: «Scurati era stato invitato e ha preferito non esserci, almeno nel progetto italiano. Ma potrebbe essere invitato da editori tedeschi e venire».
Riguardo a Piperno, «ci sarebbe piaciuto averlo, però ha altri impegni, se ricordo bene, legati all’università». E ha aggiunto: «La sua rinuncia, non so quanto sofferta, non è un fatto politico». Infine, Mazza ha detto riguardo a Giordano un laconico «non può venire».
(da agenzie)
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Maggio 28th, 2024 Riccardo Fucile
IL PROGETTO SCOLASTICO VOLUTO DAL GOVERNO NON INTERESSA NESSUNO, NEANCHE I SUOI ELETTORI
Si torna a parlare di liceo Made in Italy, perché i numeri del flop portano a delle amare riflessioni. La progettualità è a dir poco assente, considerando come non sia ancora certa la formula che verrà adottata dal terzo anno in poi. Di fatto gli iscritti (pochi) non sanno ancora cosa studieranno in seguito.
Pochi iscritti e proposta incompleta
I numeri degli iscritti al liceo Made in Italy, fortemente voluto dal governo di Giorgia Meloni, sono impietosi. Questa nuova scelta inserita tra le possibilità fornite alle famiglie italiane ha portato a poco più di 500 iscritti in prima. Le statistiche lo inchiodano come l’indirizzo meno rappresentativo tra tutti, il che comprende non soltanto i licei ma anche gli istituti tecnici e professionali.
La mancanza di fiducia nel progetto scolastico è anche figlia di una proposta incompleta, attuata con estrema fretta e approssimazione. È l’unico modo per descrivere ciò che ha portato i pochi iscritti a ignorare, di fatto, ciò che andranno a studiare a partire dal terzo anno.
Non è da escludere che a partire da settembre 2025 si assisterà a una “diaspora”. Ne va del futuro di questi ragazzi, per ora certi soltanto del fatto che nel triennio resteranno a scuola per 30 ore a settimana, come in tutti gli altri licei. A ciò si aggiunge un’altra informazione, ovvero che le discipline professionalizzanti saranno le Scienze giuridiche ed economiche per il made in Italy.
Se tutto ciò sarà suddiviso in uno o più programmi, dunque in più discipline, non è dato saperlo. Al tempo stesso si ignorano le ore previste. Dovrebbe essere confermata invece la presenza di due laboratori interdisciplinari. Sul fronte umanistico ci sarà Cultura e comunicazione del made in Italy. Sul fronte scientifico-giuridico-economico, invece, spazio a Dai distretti ai mercati globali: strumenti e strategie per il made in Italy.
Il condizionale domina, in attesa che l’esecutivo si esprima in merito. Si prevede intanto una certa somiglianza con il liceo delle Scienze umane, con opzione economico-sociale.
La scuola Meloni fa flop
L’argomento liceo Made in Italy è stato particolarmente in voga al momento del lancio, per poi svanire dal radar dell’esecutivo. Il motivo è presto detto: lo scorso 24 maggio i tecnici del ministero hanno comunicato l’iscrizione di 506 studenti al primo anno dell’indirizzo voluto da Meloni.
Ciò consente la formazione di 30 classi totali, con una media di meno di 17 studenti. Ciò ha necessitato di una deroga da parte del ministero, considerato che nelle prime di ogni altro liceo sono previsti non meno di 27 studenti.
La matematica non ha partito e in questa storia regna sovrana. Basti pensare che il liceo delle Scienze umane, con opzione economico-sociale, che di fatto dovrebbe far spazio a tutto ciò, vanta 21mila iscritti. Mancanza d’informazioni, approssimazione nella strutturazione del progetto e generale incertezza hanno portato quasi tutti i sostenitori del governo a fare un passo indietro. Quando si parla del futuro dei propri ragazzi, non c’è partito che tenga. Per comprendere quanto male sia stato gestito il tutto, l’opzione economico-sociale della riforma Gelmini del 2010 esordì con più di 10mila iscritti in prima.
Non sono però soltanto i genitori a non essere convinti. Parola Bortoletto, guida dell’Associazione nazionale dei dirigenti scolastici (Andis), si è così espressa in merito: “Un’operazione fatta troppo in fretta, penalizzando il liceo delle scienze umane con opzione economico-sociale. Il nuovo liceo è stato proposto con una nota a fine dicembre, a scapito dell’opzione economico-sociale. Era arrivato all’ultimo momento e le scuole potevano scegliere se attivarlo o meno. In più si conosceva soltanto il quadro orario del solo biennio e non del triennio. Mancano indicazioni nazionali e un regolamento. Un liceo monco”.
(da agenzie)
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Maggio 28th, 2024 Riccardo Fucile
SOLITA CRUDELTA’ SOVRANISTA: ASSEGNATO IL PORTO DI LIVORNO A TRE GIORNI DI NAVIGAZIONE
Nella giornata di ieri la nave ong Humanity 1 aveva soccorso nel Mediterraneo cento persone migranti, tra cui diverse donne incinte e dei neonati, che viaggiavano a bordo di due imbarcazioni “sovraffollate e in pericolo”: un gommone con a bordo 82 persone e una barca in vetroresina coin 18 persone.
Questa mattina un nuovo intervento in mare per la nave umanitaria: su un barchino con 45 persone a bordo l’equipaggio ha trovato anche il cadavere di un bimbo di circa sei mesi. “Siamo purtroppo arrivati troppo tardi per lui”, dicono dall’ong. Nemmeno in questo caso i naufraghi indossavano i giubbotti di salvataggio, il motore era guasto e sull’imbarcazione c’era “puzza di carburante”
Su un secondo barchino, invece, erano in 40 tra cui molti minori non accompagnati. Adesso a bordo della nave umanitaria ci sono complessivamente 185 persone. Per loro le autorità italiane hanno disposto lo sbarco a Livorno. La mamma del piccolo morto, insieme all’altro figlio e alla piccola salma, originari della Guinea Conakry, sono stati evacuati per essere condotti a Lampedusa. Sull’isola, al molo Favarolo, è stata fatta trovare una piccola bara e la salma è stata portata alla camera mortuaria del cimitero di cala Pisana.
“Date le drammatiche circostanze”, l’ong ha chiesto “con urgenza l’immediata assegnazione di un porto sicuro più vicino” anche per lo sbarco di tutti gli altri sopravvissuti.
Secondo quanto ricostruito dalla Sos Humanity, nelle prime ore di questa mattina, la nave ha salvato un totale di 85 persone in pericolo in mare durante due missioni nel Mediterraneo centrale. Il bambino è stato trovato morto. È stata decisa per lui l’evacuazione a Lampedusa su una motovedetta della guardia costiera, insieme alla mamma e al fratellino. Ieri 100 persone erano state salvate in due operazioni distinte. Sulla rotta verso il porto di Livorno, porto sicuro assegnato dalle autorità italiane, l’equipaggio dell’Humanity 1 ha avvistato un’imbarcazione in pericolo vicino a Lampedusa, stamane intorno 5:30.
A bordo 45 migranti senza salvagenti, tra cui donne e minori non accompagnati: qui c’era il bimbo deceduto. Le persone erano partite da Sfax in Tunisia due giorni prima. Un’ora dopo, intorno alle 6.30, l’equipaggio ha incrociato un’altra imbarcazione in pericolo con 40 a bordo, alla deriva in mare aperto, incapace di manovrare e senza attrezzature di salvataggio. Tra le persone salvate numerosi minori non accompagnati, partiti da Sfax. Entrambi i soccorsi sono stati coordinati dal centro italiano di coordinamento dei soccorsi. Attualmente ci sono quindi un totale di 185 sopravvissuti a bordo della Humanity 1, alcuni dei quali “estremamente esausti” e con bruciature di carburante.
Entrambi i soccorsi di ieri, aveva spiegato la ong sui social, erano avvenuti in acque internazionali: i motori delle imbarcazioni si erano fermati e nessuno dei naufraghi aveva giubbotti di salvataggio. “Ancora una volta – aveva scritto l’ong – le autorità italiane hanno senza motivazione assegnato un porto distante per lo sbarco dei sopravvissuti. In questo caso dovremo navigare verso Livorno, circa 1,170 km dal luogo del primo soccorso e questo viaggio durerà tre giorni”.
Intanto proseguono gli sbarchi di migranti a Lampedusa. In 93 sono approdati ieri sull’isola a bordo di tre barchini. A soccorrerli è stata la Guardia di finanza. A bordo dei natanti, partiti dalla Tunisia, c’erano rispettivamente 24, 42 (fra cui 6 minori) e 27 (2 donne e 11 minori) originari di Egitto, Sudan, Siria e Tunisia. Salgono così a 4, nel giro di poche ore, gli approdi sull’isola dove, in precedenza, era arrivato un barcone con 53 persone, tra cui 10 minori.
Il barcone di 10 metri su cui viaggiavano i 53 migranti è stato agganciato dalla motovedetta V836 della Guardia di finanza. I migranti bengalesi, egiziani e siriani hanno riferito di essere salpati da Tajura, in Libia. La barca è stata sequestrata e il gruppo è stato portato all’hotspot di contrada Imbriacola che in precedenza era stato completamente svuotato su disposizione della prefettura di Agrigento.
(da Fanpage)
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Maggio 28th, 2024 Riccardo Fucile
DOPO LE VOCI SU POSSIBILI ACCORDI, LA SOCIETÀ “AELIA LAGARDERE” PRECISA: “NON ESISTE ALCUNA TRATTATIVA”
Il Duty Free dell’aeroporto di Fiumicino chiude la porta a Piero Fassino. La società francese Aelia Lagardere, dopo le voci su un possibile accordo con il deputato Pd sotto inchiesta per furto a Civitavecchia per essersi allontanato dallo store con una boccetta di profumo Chanel, assicura che “allo stato non esiste alcuna trattativa” con il parlamentare.
Quindi il silenzio su ogni possibile azione futura su quanto accaduto al negozio nel cuore del Terminal 1 del primo scalo aeroportuale romano. Aelia, infatti, “non intende rilasciare alcuna dichiarazione aggiuntiva in merito alla vicenda”. L’azienda mette così temporaneamente a tacere le voci su possibili accordi e tiene ancora aperto il Fassino-gate partito con l’accusa di furto per il profumo da 130 euro.
Dopo il caso esploso lo scorso aprile, gli agenti della Polaria hanno inviato in procura, a Civitavecchia, un’informativa. Poi anche il video che ritrae il parlamentare del Partito democratico mentre si appropria di una boccetta di Chanel. E infine sei diverse testimonianze
Video e filmati inquadrano Piero Fassino che si ferma qualche minuto al duty free, in attesa di partire per Strasburgo, per poi allontanarsi. Tutto d’un tratto scatta l’allarme antitaccheggio: i dipendenti fermano l’ex ministro, lo accusano di essersi impossessato di un prodotto. Quindi allertano la Polaria.
Fassino, dal canto suo, smentisce le accuse dicendo che si è trattato di un gesto automatico, di una distrazione. Il politico dice di essersi confuso: aveva in una mano il cellulare, nell’altra il trolley.
“Non avendo ancora tre mani, ho semplicemente appoggiato la confezione di profumo nella tasca del giaccone, in attesa di andare alle casse”, è la versione del parlamentare.
Le prove però destano numerosi sospetti a carico del politico. Da qui le voci che si rincorrono da settimane: vedono Fassino e i suoi legali intenti a mediare , magari per trovare un accordo .
Dalla società che gestisce il duty free ribadiscono il “no” a un possibile accordo. E anche chi segue la vicenda dall’altro lato della barricata, quello di Fassino, giura di non essere al corrente di una trattativa. Resta il mistero e una sola verità: esiste un video che chiarisce come sono andate le cose. Quindi in pm di Civitavecchia hanno già le idee molto chiare.
(da agenzie)
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Maggio 28th, 2024 Riccardo Fucile
“SI VIENE A SVUOTARE DI FATTO IL RUOLO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, FONDAMENTALE NELLA STORIA RECENTE DEL NOSTRO PAESE”
“Il populismo è una caricatura, una riduzione della democrazia”. Lo afferma Marta Cartabia, ex presidente della Corte Costituzionale e ministro della Giustizia nel governo Draghi, in un’ampia intervista a Civiltà Cattolica, in uscita sabato 1/o giugno nel quaderno n. 4175 e di cui l’ANSA è in grado di dare anticipazione.
“Sono state date tante definizioni del fenomeno, però l’elemento centrale nel populismo – che può essere di destra o di sinistra – è la presenza di un leader o di un partito che si considera interprete unico della volontà del popolo”, sottolinea Cartabia nell’intervista: “A volte questa forza politica esprime una maggioranza, ma in molti casi, anche per via dell’astensionismo, è espressione di una minoranza più forte delle altre”. “Il populismo soffoca la pluralità – prosegue -; e, dopo una vittoria elettorale, ha una tendenza a occupare tutti gli spazi di potere: politico, mediatico, amministrativo, culturale”.
Secondo l’ex presidente della Consulta, prima donna in Italia a ricoprire tale carica, “il populismo è l’antitesi del pluralismo di cui si nutre la democrazia. In un Paese libero, il popolo non parla con un’unica voce, è composto da una molteplicità, e la volontà generale è frutto di un lavoro comune per arrivare ad accordarsi”. Per questo, aggiunge, “il populismo può essere visto come una degenerazione della democrazia: perché perde il senso dell’altro e perché smarrisce il senso del limite del potere”.
Secondo Cartabia, “oggi il populismo non si presenta nelle forme che abbiamo conosciuto in passato con i totalitarismi aggressivi e oppressivi della prima metà del Novecento. È più sottile, ma genera una perdita di spazi di libertà che quasi non si avverte”. Non a caso, conclude, “esso è fortemente insofferente al costituzionalismo e alla giustizia costituzionale, perché le Costituzioni – e le Corti costituzionali che ne sono i custodi – servono proprio a questo: a porre limiti al potere della maggioranza sulla base di valori condivisi”
“Affidare alla capacità del leader la tenuta e la durata nel tempo di un governo è una semplificazione, a mio parere, molto rischiosa”.
Dopo aver definito “condivisibile” l’esigenza “da cui partono alcune proposte di riforma” e “innegabile” la necessità “di affrontare la questione dell’instabilità dei governi, che è un problema vero”, per Cartabia “la domanda vera è se le proposte in campo siano in grado di offrire una soluzione al problema”.
E osserva: “si sta puntando all’elezione diretta del presidente del Consiglio dei ministri, con un sistema elettorale ancora da definire, ma che dovrebbe portarsi appresso la maggioranza dei voti dentro le Camere. Cioè, si confida nella forza del leader per dare stabilità”. “Ecco, questa è una scelta ai miei occhi molto discutibile – sottolinea -, perché, se il problema è l’instabilità delle coalizioni, il punto torna a essere quello di approntare dispositivi istituzionali che sostengano la capacità di governare insieme anche quando gli orientamenti divergono”.
Secondo l’ex presidente della Consulta, “tra l’altro, così facendo si viene a svuotare di fatto il ruolo del presidente della Repubblica, che è stato fondamentale nella storia recente del nostro Paese”. “È vero che la riforma non incide formalmente sui poteri del capo dello Stato – aggiunge -, ma con la centralità data alla figura del premier si svuotano di fatto i due poteri più importanti del Presidente: quello di nomina di un nuovo presidente del Consiglio, perché si formi un nuovo Governo in caso di crisi, e quello dello scioglimento delle Camere”.
Cartabia precisa inoltre che “i nostri governi sono instabili, cioè durano poco, ma non sono affatto deboli. Essi hanno da tempo trovato il modo per decidere anche con tempestività, soprattutto attraverso un uso molto frequente dei decreti legge. Non c’è un ostacolo alla decisione. E non da ora”. “Lo strumento per dare forza al governo, che era pensato per situazioni eccezionali, e di cui molti Governi hanno anche spesso abusato, c’è, eccome”, conclude
(da agenzie)
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Maggio 28th, 2024 Riccardo Fucile
IL COSTITUZIONALISTA AINIS: “FORGIA DUE COSTITUZIONI, NEMICHE UNA DELL’ALTRA E OBBLIGATE A CONVIVERE”
«Preferirei che la maggior parte delle persone mi contraddicesse» diceva Socrate «piuttosto che sia io ad essere in disaccordo con me stesso». Ma a quanto pare la coerenza è una virtù negletta, dimenticata. Ne è prova l’impresa che ne esigerebbe viceversa la massima applicazione: il premierato, la super-riforma costituzionale al vaglio del Senato.
Che non contraddice solamente i principi del costituzionalismo democratico (separazione dei poteri, check and balance, sovranità del Parlamento). No, s’oppone anche a se stessa. Giacché i nuovi istituti lasciano in vigore i vecchi, senza abrogarli né correggerli, pur essendo reciprocamente incompatibili.
Di conseguenza il premierato forgia due Costituzioni, nemiche una dell’altra. E obbligate tuttavia a convivere sotto lo stesso tetto, come due coniugi separati in casa. Insomma, è una riforma che dà i numeri. Eccoli.
Anzitutto un terno: 56, 57, 92. I primi due articoli — che restano invariati — assegnano dodici parlamentari su seicento al voto degli italiani residenti all’estero; l’ultimo — nuovo di zecca — stabilisce che il presidente del Consiglio venga eletto “a suffragio universale e diretto”.
E allora facciamo qualche calcolo. Gli elettori sono, più o meno, cinquanta milioni; fra questi, cinque milioni vivono fuori dai sacri confini. Quindi un decimo del corpo elettorale, che però non elegge un decimo del Parlamento, bensì un cinquantesimo.
Viceversa nell’elezione più determinante — quella del nuovo capo della democrazia italiana — uno vale uno, anche se hai casa in Ecuador, e qui non ci paghi le tasse. Anche se voti per corrispondenza, dove i brogli sono all’ordine del giorno. Anche se il tuo voto, quando la vittoria corre sul filo del rasoio, può decidere il sovrano che noi indigeni ci terremo sul groppone.
E anche se ne deriva in ultimo una sproporzione — di più: una contraddizione — fra seggi e voti, fra il peso di ciascun emigrato rispetto al Parlamento e rispetto al presidente del Consiglio. Pazienza, ci procureremo due bilance.
Secondo: la fiducia. Dice l’articolo 94, in un comma che non viene scalfito dallo scalpello dei riformatori: “Il governo deve avere la fiducia delle due Camere”. Significa che senza il loro appoggio non può governare. Ridice l’articolo 94, in un comma aggiunto adesso: “In caso di revoca della fiducia al presidente del Consiglio eletto, mediante mozione motivata, il presidente della Repubblica scioglie le Camere”. Dunque per licenziare il governo serve una “mozione di sfiducia”.
Ma nella storia della Repubblica non è mai accaduto. È accaduto viceversa (a Prodi, per due volte) che l’esecutivo sia caduto su una “questione di fiducia”. Che a sua volta si traduce in un ricatto verso i parlamentari della maggioranza: o votate quel tal provvedimento oppure mi dimetto, e andiamo tutti a casa. Ricatto, peraltro, largamente praticato dal governo Meloni: 47 questioni di fiducia nei primi 18 mesi, un record.
E che succederà in futuro? Se applichiamo il primo comma, in caso di voto contrario scattano le dimissioni obbligatorie. Se applichiamo il quarto comma no, giacché l’esecutivo verrebbe battuto su una “questione” di fiducia, non su una “mozione”. Vorrà dire che tireremo i dadi.
Terzo: le elezioni anticipate. Anche qui due commi in lite come due comari. Dice l’articolo 88, nel suo primo comma: “Il presidente della Repubblica può, sentiti i loro presidenti, sciogliere le Camere”. Se “può” farlo, vuol dire che può anche non farlo. Decide lui, insomma, valutando le condizioni politiche.
E continuerà a decidere, dato che quel comma sopravvive alla riforma. Che però gli affianca un secondo comma, dove lo scioglimento diventa “atto dovuto”. Da qui un rovello, un dubbio esistenziale: il capo dello Stato “può” o “deve” sciogliere il Parlamento? Delibera in autonomia oppure agisce sotto dettatura?
Mentre ci angoscia l’incertezza, dovremmo forse aggiungere un terzo comma a questa amletica disposizione. Chiamando in soccorso, nella nuova Costituzione, gli psichiatri.
Michele Ainis
(da repubblica.it)
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