Maggio 17th, 2024 Riccardo Fucile
OUTSIDER O POLITICO? I NOMI DEI PAPABILI, MA OCCORRE PRENDERE TEMPO
Al centrodestra serve un nuovo candidato presidente della Liguria. La bomba sganciata il 7 maggio dalla Procura ha accelerato un processo di transizione verso il “dopo Toti” che in realtà sembrava sempre più inevitabile alla luce dello scontro interno sul terzo mandato. Certo, oggi lo scenario è completamente diverso dalle attese e appare impossibile reggersi sulla “quarta gamba” civica che il governatore aveva trasformato nella prima forza politica in regione. E così la palla è tornata in mano alla triade dei partiti, che stanno iniziando a guardarsi intorno.
In realtà il calendario consente alla coalizione di prendersi un po’ di tempo. Come rivelato dall’avvocato Stefano Savi, l’interrogatorio di Giovanni Toti di fronte ai magistrati inquirenti non sarà prima del 27 maggio. E quello rappresenta un passaggio obbligato per ottenere la revoca degli arresti domiciliari, senza la quale – ha detto più volte il legale – il presidente non potrà confrontarsi con alleati e collaboratori per sciogliere il nodo delle dimissioni. Che appaiono probabili, anche alla luce dei “valuterà lui” proferiti dalle varie anime del centrodestra, ma non scontate. Molto più difficile, invece, che Toti decida di lasciare in anticipo, decisione che farebbe crollare all’istante la giunta retta da Alessandro Piana. Se poi l’istanza di revoca non fosse accolta si tenterebbe la strada del Riesame, con sentenza prevista nell’arco di 20 giorni.
Questa scansione temporale suggerisce una possibilità concreta: che il centrodestra attenda almeno l’esito delle europee prima di confrontarsi su un’eventuale candidatura. La misurazione del consenso dei partiti, a livello nazionale e territoriale, influirà giocoforza sulle dinamiche interne. Del resto appare pacifico che la scelta finale non sia destinata a concretizzarsi in Liguria, ma piuttosto a Roma attraverso il confronto tra le segreterie nazionali di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia, con un peso specifico non indifferente attribuito alla premier Giorgia Meloni.
Nonostante questo, le speculazioni sui papabili sono già entrate nel vivo. A parte le fantasiose ipotesi dei primi giorni – dall’ex vicesindaco di Genova Massimo Nicolò all’attuale assessora regionale Simona Ferro – stanno circolando i profili di alcuni possibili outsider, anche sulla scorta dell’appello di Edoardo Rixi a trovare figure “nuove” in grado di ripulire l’immagine dello schieramento.
E così, tra le prime suggestioni, ecco Alessandro Bonsignore, presidente dell’Ordine dei medici di Genova. Il quale, interpellato da Genova24, precisa: “Nessuno mi ha contattato in questi giorni. Sono lusingato che il mio nome venga accostato all’idea di serietà”.
Ma sarebbe disponibile? “Sono sincero, non ci ho nemmeno pensato. Valuterò qualora mi fosse proposto”. Un altro nome ventilato è quello di Federico Delfino, rettore dell’Università di Genova, in carica fino al 2026.
D’altro canto non è da escludere che si punti invece su un politico, magari una persona d’esperienza che però non abbia frequentato troppo la scena regionale. In questo senso è emersa l’ipotesi Marco Campomenosi, europarlamentare ligure della Lega, ad oggi una semplice fantasia visto che nessuno gli ha ancora chiesto nulla.
Il sempreverde Marco Bucci ha ribadito che lui ha un “contratto coi genovesi fino al 2027”, ma qualcuno azzarda pure il super-assessore Pietro Piciocchi, per molti l’erede naturale al vertice di Palazzo Tursi in caso di riconferma del centrodestra.
C’è pure l’ipotesi, avanzata dai più maligni, che i tre leader finiscano per candidare Ilaria Cavo, coordinatrice della Lista Toti, ritenendola “sacrificabile” in caso di sconfitta.
In fin dei conti, leggendo le intercettazioni, l’ex giornalista Mediaset (che non è indagata) appare molto critica sui meccanismi di presunta corruzione elettorale e questo le permetterebbe di uscire indenne dal tritacarne mediatico.
Lo scenario più plausibile sembra quello di un election day a ottobre insieme a Umbria ed eventualmente Emilia Romagna, se Bonaccini venisse eletto al Parlamento europeo.
Attenzione, però: la legge stabilisce che, in caso di dimissioni del presidente della giunta regionale, si debbano tenere nuove elezioni entro 60 giorni dalla data in cui il Consiglio regionale ne prende atto. A tutti, insomma, conviene prendere tempo per organizzarsi in vista di un voto che altrimenti dovrebbe realizzarsi a luglio o agosto. Nel frattempo la giunta resta in carica col presidente ad interim, ma c’è da scommettere che sarà un’estate molto calda.
(da Genova24)
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Maggio 17th, 2024 Riccardo Fucile
LA PROCURA DI GENOVA RICORDA AI SOVRANISTI LA PROCEDURA: “LA DECISIONE SU ‘SE’ E SUL ‘QUANDO’ E’ DEL PM”
Il presidente della Regione Giovanni Toti, se desidera parlare
subito, «così come qualsiasi indagato può presentare una memoria» o fare «spontanee dichiarazioni al tribunale del Riesame».
A precisarlo, dopo giorni di polemiche in cui di fatto dal alcune forze politiche si invoca al più presto l’interrogatorio del governatore sempre agli arresti domiciliari, è il procuratore capo di Genova Nicola Piacente.
Ancora in queste ore, il ministro e leader della Lega Matteo Salvini ha dichiarato di sperare «che i magistrati ascoltino Toti il prima possibile, perché a quanto leggevo gli atti dell’indagine sono di novemila pagine e mi spiace che i magistrati se la prendano comoda».
Ma, ricorda il procuratore capo, quello davanti al pubblico ministero «non è un interrogatorio di garanzia», nel quale il presidente della Regione Liguria venerdì scorso ha deciso di rimanere in silenzio, e dunque lo stesso pm «non è obbligato a farlo».
Il procuratore capo ribadisce di parlare per qualunque persona sottoposta a indagini, e dunque in via generica, ma ovviamente il tema è la Tangentopoli ligure.
L’unico momento in cui la Procura è obbligata a interrogare l’indagato «è nella fase della chiusura indagini». Un appuntamento certamente molto lontano. In tutte le altre fasi investigative, «il se e il quando interrogare un indagato è una decisione che spetta al pm».
Tradotto: la Procura ha bisogno di prepararsi, sia sentendo testimoni sia analizzando documenti e apparecchi elettronici sequestrati il 7 maggio scorso, giorno degli arresti da parte della Guardia di Finanza.
Che Toti venga sentito non è minimamente in discussione, ma le tempistiche saranno quelle fisiologiche delle indagini. Lo stesso legale del presidente, Stefano Savi, ieri dopo aver incontrato il pm titolare del fascicolo, Luca Monteverde, ha detto che «l’interrogatorio si terrà “nella settimana che comincia il 27 maggio. Io me lo immaginavo, perché in un’indagine di questo tipo i tempi sono sempre abbastanza lunghi. Toti? L’ho avvertito. Certo lui lo avrebbe fatto prima ma aspettiamo».
(da agenzie)
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Maggio 17th, 2024 Riccardo Fucile
“ERA TOTI CHE LO CHIAMAVA. DICEVA ‘RICORDATI DELLE ELEZIONI”
«Toti faceva delle sceneggiate per avere i finanziamenti». E ancora: «Mio padre era impossibile da gestire, più volte abbiamo pensato di mettergli l’amministratore di sostegno». Dal verbale di Roberto Spinelli, figlio di Aldo, si capisce come abbia descritto al giudice il comportamento assillante del governatore, ma anche i problemi del genitore dopo la morte della moglie. Tanto che i suoi legali hanno chiesto allo psichiatra Marco Lagazzi di svolgere alcuni accertamenti sulla salute psicofisica di Aldo.
I dettagli dell’interrogatorio di Spinelli jr (indagato ma non arrestato) sono una delle novità più significative dell’inchiesta che il 7 maggio ha portato ai domiciliari il presidente della Regione Liguria, Aldo Spinelli e il capo di gabinetto regionale Matteo Cozzani, mentre l’ex presidente del porto Paolo Emilio Signorini è finito in cella.
Aldo Spinelli [ha fornito dettagli importanti sulla sospetta tangente pagata a Toti per avere la concessione del Terminal Rinfuse, mentre in altri passaggi ha palesato un comportamento disequilibrato. E questo, incrociato al j’accuse del figlio sull’assillo di Toti per avere soldi, ha fatto profilare ai legali l’ipotesi che il politico si sia mosso più come un concussore che come un semplice destinatario di mazzette.
La tessera di partenza in questo mosaico non ancora definito è il verbale dell’interrogatorio di Roberto Spinelli, sentito il 13 maggio. L’imprenditore – colpito dall’interdizione a svolgere l’attività professionale – rilancia: «Non era mio padre a chiamare Toti ma Toti che chiamava mio padre… Diceva “ci sono le elezioni, ricordati delle elezioni”.. Io di Toti non ho neppure il numero di cellulare, il governatore, invece, lo chiamava spesso. Non è che mio padre si sveglia e chiama Toti…».
Roberto ha quindi sottolineato come il padre per certi versi gli avesse pure nascosto alcuni finanziamenti: «Gli ho intimato di non dare più denaro… ma lui ha continuato, venivo a sapere dei versamenti a cosa fatta… Dopo la morte di mia madre era impossibile gestirlo».Altri particolari significativi emergono dalle trascrizioni dell’interrogatorio di Aldo. «È ufficiale – ha scandito ai magistrati – i quaranta mila euro li ho versati perché Toti si è mosso (intende nella partita della concessione per il Terminal Rinfuse, ndr). Non ha fatto niente ma si è mosso… ha telefonato, ha fatto… be’ è presidente della Regione Liguria».
E ancora: di fronte alle contestazioni del pm Luca Monteverde, che gli ha chiesto se il versamento al comitato di Toti l”8 dicembre fosse un ringraziamento per il lungo pressing sul board portuale che aveva deliberato in suo favore il 2, ha confermato. «Il governatore si era interessato , ma era tutto regolare, tutto ufficiale…».
Spinelli ha inoltre precisato di aver chiesto l’intervento di Toti in virtù del suo contributo fiscale: «Sono un cittadino dello Stato, l’ultimo anno ho pagato tra i 10 e gli 11 milioni di euro di tasse, andate a vedere. A chi mi dovevo rivolgere? Certo Toti mi disse “quando ci sono le elezioni dammi una mano”, ma io una mano a loro l’ho sempre data. L’ho data anche al Partito Democratico, ho fatto la campagna elettorale per Raffaella Paita […] e neppure la conoscevo… i finanziamenti li ho sempre elargiti… alla Lega, al Pd, a Forza Italia, alla lista Bonino».
Si diceva delle intemperanze comportamentali, che paiono avere un denominatore comune nella necessità di palesarsi se non come una vittima, perlomeno come una persona da tirare per la giacchetta (e questo profilo non gioverebbe – processualmente parlando – in primis a Toti). Spinelli per esempio, declinando le proprie generalità ha ribadito: «Sono del ’40 ma mi sento dell’80!».
Poi ha avuto uno scambio rigido con la gip Paola Faggioni, che ha chiamato «signorina», e lei lo ha stoppato: «Sono una giudice».
(da agenzie)
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Maggio 17th, 2024 Riccardo Fucile
LA FAMIGLIA VUOLE MANTENERE SEGRETO IL LUOGO DOVE SI TRASFERIRA’
Non appena le autorità ungheresi forniranno le istruzioni per
il pagamento e riceveranno l’intero importo della cauzione fissata dal giudice, Ilaria Salis potrà uscire dal carcere di Gyorskocsi Utca, dopo 10 mesi di detenzione preventiva, e proseguire la misura cautelare ai domiciliari a Budapest con braccialetto elettronico.
Il cambio di strategia della famiglia Salis era avvenuto a febbraio, sull’onda dell’eco mediatica: fino ad allora infatti, aveva ammesso il padre, l’ipotesi non era mai stata considerata perché avrebbe significato per lui e la moglie trovare un appartamento e prendere residenza nella capitale ungherese «con il rischio di andare a fare spesa e incontrare i nazisti con le spranghe che ci aspettavano all’uscio di casa. Non ci sembrava una grande idea».
Poi il giudice le aveva negato i domiciliari a fine marzo e ora è stato invece accolto il ricorso dei legali della 39enne. «Mi auguro che, attraverso i servizi segreti e le reti diplomatiche, possano garantire che la richiesta degli arresti domiciliari in Ungheria sia esente da qualsiasi rischio e pericolo», furono le parole di Roberto Salis per spiegare perché avessero cambiato idea.
I timori per la sicurezza della figlia, accusata di aver aggredito degli estremisti di destra e per questo arrestata in attesa del processo, rimangono gli stesi per la famiglia. «Chiediamo a tutti i giornalisti di non presentarsi davanti al carcere dove è detenuta Ilaria perché ci sono forti timori per la sua sicurezza e quindi, quando uscirà, andrà nel suo domicilio in modo riservato», ha detto all’Ansa, «chiediamo a giornalisti che sono stati sempre sensibili e comprensivi di capire la situazione e di garantire la sicurezza a Ilaria e alle persone che sono a lei vicine».
(da agenzie)
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Maggio 17th, 2024 Riccardo Fucile
“TRENT’ANNI FA SI SCENDEVA IN PIAZZA, ADESSO E’ COMODO INDIGNARSI DAL DIVANO”… “CON TOTI NON CI SIAMO LASCIATI BENE”
«Il commento alle accuse dei pm non ve lo faccio, ma più che altro perché più che preoccuparmi per loro mi preoccupo per noi, anzi di noi». Suona così e non sorprende, la prospettiva dalla quale Luca Bizzarri sceglie di parlare dello scandalo che ha investito la sua regione. Il rovesciamento dell’inquadratura è la prima regola del racconto del Paese che l’attore genovese fa con il suo seguitissimo “Non hanno un amico”, il podcast diventato spettacolo teatrale diventato libro, e può valere da schema di comprensione anche per la Tangentopoli ligure.
«Aspettiamo le sentenze, chissà tra quanto, — punge Bizzarri, che dal 2017 al 2022 è stato presidente di Palazzo Ducale, a Genova, voluto dal centrodestra di Toti — per ora noto le colpe di tutti noi, che in questi giorni stiamo a guardare, giudichiamo, sotto sotto un po’ godiamo perché nei guai ci stanno gli altri».
I guai saranno di altri, ma sulla pelle di tutti. Nell’inchiesta ci sono concessioni pubbliche e il governo della regione.
«Io non so cosa ne verrà fuori, né quanto riusciranno a dimostrare i giudici delle accuse mosse agli indagati, ma a colpirmi sono la marea di intercettazioni inutili che ci hanno dato la possibilità di leggere, il gusto di farci gli affari degli altri, un certo voyeurismo nei confronti di persone ormai completamente sputtanate. La nostra barbarie, non la loro».
Ma scusi, e le accuse di corruzione? I favori? Gli appalti?
«Temo i rapporti tra la politica e il mondo degli affari siano sempre stati questi. Io ti sostengo, tu mi favorisci. Ma davvero gli imprenditori finanziano la politica sperando in un tornaconto? Ma chi mai se lo sarebbe aspettato! Chi si stupisce o peggio pensa queste cose avvengano solo da una parte, oggi, è un po’ ipocrita»
Sono tutti uguali, pensa questo? Non suona un po’ troppo qualunquista, per uno come lei?
«Non credo, ma davano del qualunquista persino a Giorgio Gaber, figurati se mi preoccupo. Ma penso Toti non sia la sola pecora nera del sistema. E che la Tangentopoli vera, se siamo ancora qua trent’anni dopo, evidentemente ci ha insegnato proprio poco. Stessi problemi, stessa voglia di un Craxi a cui lanciare le monetine».
Allora gli scandali portavano la gente in piazza, ora neanche quello.
«Adesso ci indigniamo da casa, sul divano: è più comodo, ci evita le scale e i social fanno pure sentire più forte la nostra imperdibile opinione».
Possibile sia più desolante il quadro di chi assiste allo scandalo, però, che quello dei protagonisti dell’inchiesta?
«Che il quadro che emerge dall’inchiesta sia desolante, basta pensare alla naturalezza e il pelo sullo stomaco con cui gli intercettati parlavano di certe cose al telefono. Che fosse desolante il quadro politico in Liguria, poi, io l’ho capito il giorno dopo il mio insediamento come presidente al Ducale. Primo contatto con la politica cittadina, e mi ritrovo al tavolo con uno con una ruspa sulla cravatta. Una ruspa. Sulla cravatta».
A volerlo al Ducale fu Toti, la Lega non l’ha mai granché digerito.
«Con Toti mai più sentiti, non ci siamo lasciati benissimo. Ma il problema vale per tutti, ed è che chiunque gestisca la cosa pubblica, ormai, pensa di poterlo fare come gli pare. Manca il senso dello Stato, e basta aprire i social per capirlo, davanti ai politici comici, i politici intrattenitori, Salvini che litiga con il Brasiliano, Vannacci che parla come mio nonno negli anni Ottanta, il Pd che chiede la testa di Rovazzi».
Quanto peserà, questo scandalo, sulla partecipazione alle elezioni?
«Credo poco, in questa politica ormai partecipare è tifare, votano gli ultras. A destra voteranno a Genova, come a sinistra a Bari. E se me lo chiedi vuol dire che neanche anni di Berlusconi, ci hanno insegnato. Non ha mai perso un voto per le perculate dei comici, figuriamoci per i processi».
Berlusconi rimane Berlusconi, e Meloni?
«Lei perderà pure qualche voto, ma governerà comunque per i prossimi 300 anni. Nonostante i ministri chi si è scelta da tenersi intorno».
(da agenzie)
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Maggio 17th, 2024 Riccardo Fucile
“COSTRETTA A INDEBITARMI PERCHE’ IL GOVERNO HA CAMBIATO LE POLITICHE SULLE DETRAZIONI”
Barbara Cosenza è socia, insieme ai suoi due fratelli, di Cos3,
un’azienda di Morbegno (Sondrio) che vende arredi interni e si occupa di ristrutturazioni. Al Fatto quotidiano confida di essersi trovata sul lastrico, dopo che il governo Meloni ha imposto una stretta sui bonus edilizi e sui crediti di imposta a essi collegati. «Sono disperata, ho perso sei kg nelle ultime settimane e non dormo più. Come si può sopravvivere sapendo che questo governo ha deciso di farti fallire, di distruggerti la vita, perché pensa che il debito pubblico sia più importante degli imprenditori. Non sa il ministro Giorgetti che se si fermano le aziende, si ferma l’Italia?». Cosenza ammette di aver accumulato 680 mila euro di debiti con i fornitori e lei e i suoi fratelli sono stati costretti a mettere in vendita il capannone dove si svolgevano le attività principali dell’azienda. Contemporaneamente, l’imprenditrice si trova con 783 mila euro di crediti bloccati, «che nessuno vuole».
L’ipoteca e la casa
«Come si può fallire se i soldi guadagnati onestamente uno li ha? E invece sto pagando i quattro dipendenti grazie a un prestito di mio genero, dopo aver usato tutti i risparmi di famiglia. Non posso neanche vendere casa perché c’è l’ipoteca del capannone. Quel poco che dormo è disturbato dalle telefonate dei creditori alle 10 di sera. Meno male che ho una polizza sulla vita. Non si sa quel che può succedere». L’imprenditrice è riuscita a «svendere» un po’ di crediti alle banche, ma non abbastanza per far sopravvivere la società. E sostiene di avere come più grande rimpianto quello di essersi fidata dello Stato: «Abbiamo cominciato ad anticipare i pagamenti come prevedeva la normativa, ma all’inizio sia la Bcc che Unicredit hanno comprato i crediti. Poi c’è stato il grande collasso del sistema dei bonus. E visto che io avevo usufruito di due moratorie Covid, Unicredit ha pensato bene di non acquistarci più niente, neanche tramite la sua società di cartolarizzazione».
Il bonus bagni
Tuttavia, il vero dramma, a suo dire, è qualcosa che ha fatto meno rumore della fine del Superbonus 110%: «Lo stop improvviso del bonus bagni, che sarebbe dovuto durare due anni. Nessuno ne parla, ma il governo lo scorso 29 dicembre ha tolto anche questa detrazione: siamo rimasti senza soldi per i lavori che abbiamo fatto. Per non fatturare nel 2023, e pagare subito l’Iva, abbiamo rimandato le fatture a quest’anno, quando il bonus non c’era più. Soldi che nessuno mi ridarà. Non me lo sarei mai aspettato da un governo di destra». Cosenza conclude dicendosi pentita di aver votato per questa maggioranza, alle scorse elezioni: «Ho sempre votato Forza Italia, pensando che Silvio Berlusconi parlasse bene la lingua degli imprenditori. Alle sue capacità ho poi pensato che Giorgia Meloni potesse aggiungere anche quelle dell’integrità, anche perché è donna. Ovviamente non è così, sono delusissima: ha dato carta bianca per uccidere gli imprenditori e portare le imprese al collasso».
(da agenzie)
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Maggio 17th, 2024 Riccardo Fucile
LOLLO HA TROVATO LA SOLUZIONE AL PROBLEMA DEI CONFLITTI
Mentre sui campi da tennis si giocano gli Internazionali di Roma, il ministero dell’Agricoltura ha organizzato un evento presso un proprio padiglione, allestito nel villaggio del Foro Italico.
Lo stand si chiama Divina Nazione ed è uno spazio immersivo in cui, attraverso dei video, si celebra la ricchezza dei territori agricoli italiani, con una carrellata di prodotti tipici.
Ieri sera, 17 maggio, per presentare l’iniziativa erano presenti il ministro della Difesa Guido Crosetto, il ministro per lo Sport Andrea Abodi, il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e, ovviamente, il padrone di casa Francesco Lollobrigida. Il ministro dell’Agricoltura ha riflettuto con l’agenzia Vista degli aspetti conviviali dell’alimentazione. E ha dichiarato: «Quanto è importante stare a tavola, discutere, ragionare, bere un bicchiere di vino, dialogare… quante guerre non ci sarebbero state di fronte a cene ben organizzate?».
(da agenzie)
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Maggio 17th, 2024 Riccardo Fucile
L’INTERROGATORIO DI SPINELLI DAVANTI AL GIP, I SOLDI E LE “SCENEGGIATE” DEL GOVERNATORE
«Ci vessava e parlava troppo. Anche a vanvera. Gli abbiamo
pagato tutto. Chiese, palazzi, persino il Festival dei Fiori». Così Aldo Spinelli parla di Giovanni Toti nell’interrogatorio di garanzia davanti al giudice delle indagini preliminari. E rischia di aggravare ancora di più la posizione del presidente della Regione Liguria.
Nell’inchiesta sulla corruzione e sul falso dopo l’arresto del governatore Spinelli dice che Toti «faceva sceneggiate, chiedeva cose impossibili». Anche se «le cose elettorali gliele ho sempre date. Abbiamo fatto il Festival della Scienza, abbiamo dato i contributi alle chiese, ho fatto il palazzo di San Lorenzo…». Mentre il figlio Roberto ce l’ha anche con il padre: «Avevamo pensato di mettergli un amministratore di sostegno dopo la scomparsa di mia madre».
I soldi e le sceneggiate
Roberto Spinelli ha messo a verbale che era Toti a chiamare il padre. Come in occasione dei 4.100 euro sborsati per una cena elettorale. Toti faceva spesso «sceneggiate» per chiedere finanziamenti. Ma il padre beneficiava anche il presidente dell’Autorità Portuale Paolo Signorini. Al quale pagava soggiorni a Monte Carlo e i 13.500 euro per il catering del matrimonio della figlia. Alla fine dell’interrogatorio Spinelli senior ha chiesto di tornare libero e vedere il fratello: «L’unica cosa che ho chiesto all’avvocato è che mi liberano per poter lavorare, perché io ho bisogno di lavorare… ho 1000 e passa persone. E mio fratello che la sera possa venire a casa mia, ha ottant’anni. Faccia l’istanza per mio fratello che belin… ma la faccia, viene la sera a farmi compagnia». L’istanza è stata presentata.
(da agenzie)
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Maggio 17th, 2024 Riccardo Fucile
BIDEN E TRUMP SI CONFRONTANO DUE VOLTE IN TV, COSI’ COME ACCADE IN FRANCIA E IN EUROPA… SOLO IN ITALIA SI PREFERISCE LA NOIA
Il voto per il futuro dell’America passerà per almeno due duelli tv. Joe Biden e Donald Trump, testa a testa nell’ultimo sondaggio Reuters, si sono già accordati per un primo confronto sulla Cnn e per un secondo su Abc News. Il voto per il futuro dell’Italia in Europa passerà per non si sa cosa: salvo colpi di scena non sembra più possibile né il dibattito tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein, né quello tra Matteo Salvini e Giuseppe Conte, né un dibattito tra i leader di tutte le liste, né alcun tipo di dibattito diretto, mediato, singolo o plurimo tra i titolari delle diverse proposte politiche, leader o non leader che siano.
È una colossale prova di inefficienza democratica del nostro sistema. È (temiamo) una nuova dimostrazione dello scarso coraggio dei partiti perché i paletti interdittivi che ciascuno ha posto al tipo di incontro proposto dagli altri significa una sola cosa: fifa, paura, desiderio di lasciare le cose come stanno e amen, gli elettori si arrangino.
L’ultimo vero confronto politico registrato nel nostro Paese è il Berlusconi-Prodi del 2006, diciotto anni fa, poi più niente. Questo dovrebbe dirci qualcosa sul leaderismo italiano che spesso si presenta come titolare di un coraggioso rinnovamento ma poi, nella sua intima essenza, si tiene strette le vecchie prudenze democristiane e svicola davanti alle sfide a viso aperto. È un tipo di renitenza al rischio che si registra solo da noi. In Francia il lepeniano Jordan Bardella e la macroniana Valerie Hayer si sono già scontrati in diretta tv all’inizio di maggio e torneranno a farlo. Restano memorabili le battaglie televisive tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen, così come quelle tra Angela Merkel e Martin Shultz o tra Theresa May e Jeremy Corbin all’epoca del referendum sulla Brexit. Ovunque è normale che i capi di un partito o di uno schieramento si espongano al contraddittorio con i loro avversari per fornire elementi di giudizio al corpo elettorale.
In Italia no, non succede. I Numeri Uno vanno in televisione con precauzioni esagerate, mai faccia a faccia con i competitori e sempre soli con i conduttori, in un rituale così prevedibile da far crollare gli ascolti e forse anche la partecipazione al voto. A questo giro speravamo davvero in uno scossone.
L’irruzione di due giovani leader, due donne estranee a certe liturgie maschili, sembrava aver segnato un salto definitivo e irreversibile nella modernità (normalità) dell’Europa e dell’Occidente. E invece il vecchio modello è riuscito comunque a prendere il sopravvento. Lo ha fatto nel consueto modo bizantino, machiavellico, all’italiana. La delibera Agcom ha detto sì al confronto in Rai ma lo ha subordinato all’assenso della maggioranza dei partiti. La maggioranza dei partiti, guidati dal M5S, si è messa di traverso e ha preferito rinunciare a ogni altro appuntamento (era richiesto pure un Conte-Salvini) piuttosto che dar spazio alle due leader. Tutti hanno reagito con tiepidezza alla proposta alternativa di La7 per una tavola rotonda a più voci. Nessuno ha accettato il pericolo di inciampare su un ragionamento o di vedere il “nemico” prevalere con una battuta geniale.
Ci sono state, è vero, anche obiezioni di merito del mondo intellettuale, in gran parte fondate: è un’elezione col proporzionale, lo scontro a due non sarebbe tra capi-coalizione ma tra leader di singoli partiti, i duelli incrementano una personalizzazione della politica già eccessiva. E tuttavia sono diciotto anni che non vediamo i grandi protagonisti della politica sedersi in uno studio per un onesto faccia a faccia che chiarisca le loro posizioni e intenzioni. Le ragionevoli perplessità di oggi non spiegano una riluttanza così radicata e antica, che in tutta evidenza ha motivi più profondi di una occasionale controindicazione dovuta al tipo di voto.
Peccato. Il Meloni-Schlein avrebbe rianimato una corsa alle urne assai noiosa, che al momento ruota intorno alle modeste provocazioni di alcuni candidati-influencer, ai tour degli altri fra mercati e pizzerie e alle cartoline social che rivendicano le miracolose ricette di chi governa e di chi sta all’opposizione. Quel duello, a tanti anni di distanza dall’archeologico Berlusconi-Prodi, avrebbe dato la misura del cambiamento italiano e forse fornito agli astensionisti, ai tiepidi, agli incerti, qualche motivo per decidere di andare ai seggi. Ci saremmo potuti dire: beh, finalmente, un contraddittorio che vale la pena di ascoltare tra due leader giovani e capaci di mettersi alla prova. Invece per qualche brivido politico toccherà aspettare il Biden-Trump d’oltreoceano, la sfida dei dinosauri, e viene tristezza soltanto a scriverlo.
(da lastampa.it)
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