Ottobre 8th, 2024 Riccardo Fucile
FALLISCE IL BLITZ DELLA DUCETTA PER FAR ELEGGERE FRANCESCO SAVERIO MARINI – SCHLEIN ESULTA: “LI ABBIAMO FERMATI, ORA DIALOGO”
Nuova fumata nera nel Parlamento in seduta comune, chiamato ad eleggere un giudice
della Corte costituzionale in sostituzione dell’ex Presidente della Consulta, Silvana Sciarra, che ha concluso il proprio mandato l’11 novembre del 2023.
Anche l’ottavo scrutinio si è infatti concluso senza alcuna elezione. Presenti e votanti 342, 9 i voti dispersi, 10 le schede nulle, 323 le schede bianche. Questo scrutinio avrebbe richiesto 363 voti per eleggere il giudice, vale a dire i tre quindi dei 605 parlamentari italiani.
“La compattezza delle opposizioni ha fermato la forzatura che la maggioranza voleva fare, ora accettino il dialogo. E quando parlo di dialogo non intendo chiamate spicce a parlamentari” di minoranza “per cercare dei voti per andare avanti sulla propria forzatura. Se esiste una maggioranza qualificata per questo voto è proprio perché la Costituzione prevede un dialogo tra maggioranza e opposizione”.
Così la segretaria del Pd Elly Schlein in Transatlantico alla Camera. “Abbiamo cercato noi il dialogo e la risposta fin qui è stata un muro, speriamo che il fatto che si siano fermati sia la premessa al fatto che ora inizi un dialogo”.
“Trovo molto ipocrita dire ‘ci aspettiamo il rispetto delle istituzioni’ perché non ci saremmo trovati qui oggi se, rispettando la Costituzione e il loro ruolo”, nella maggioranza “avessero intavolato questo dialogo con le opposizioni prima”. Lo ha detto la segretaria del Pd Elly Schlein in Transatlantico durante la seduta per eleggere il giudice costituzionale.
(da agenzie)
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Ottobre 8th, 2024 Riccardo Fucile
METTERE LE MANI ANCHE SULLA CONSULTA PER ORIENTARE LE DECISIONI POLITICHE: ORMAI SIAMO SULLA STRADA DI ORBAN
Mettere le mani sulla Consulta. Sovvertirne gli equilibri, spostarli a destra, per orientare le decisioni politicamente più sensibili. Annacquare l’autonomia fin dal pronunciamento sul testo approvato in Parlamento previsto per novembre, senza affossarlo del tutto.
Smontare i quesiti referendari sulla riforma leghista che saranno esaminati invece all’inizio del 2025. Obiettivo finale: blindare il premierato, quando un giorno diventerà legge.
Il piano di Giorgia Meloni suona molto trumpiano, imita le mosse del tycoon sulla Corte suprema
La premier immagina di ricalibrare la composizione della Consulta. Il primo atto di questa strategia passa proprio da un blitz per eleggere il suo consigliere giuridico a Palazzo Chigi. Il secondo, a dicembre, punta ad assicurarsi due dei tre giudici in scadenza.
Ecco perché la fuga di notizie sulla scelta di Francesco Saverio Marini è stata disastrosa per Palazzo Chigi: ha privato l’operazione dell’effetto sorpresa e ha impedito ai grillini di donare voti nel segreto dell’urna. E ha spinto Meloni ad accarezzare l’idea di una resa dei conti.
I cattivi pensieri generano mostri nella corte meloniana. Al mattino, una task force di pretoriani inizia a scandagliare le modalità con cui sono stati memorizzati nomi nella “chat delle talpe”. Quella, per intenderci, degli «infami» (la definizione è della premier) che hanno appunto svelato — e forse rovinato — il colpo a sorpresa su Marini. Screenshot alla mano, i solerti investigatori notano un dettaglio: sono in pochi a potersipermettere il lusso di memorizzare la premier come “Giorgia” (anche rinominandola adesso, la dicitura resta indelebile nelle conversazioni del passato). E ancora: è strano che la sottosegretaria Wanda Ferro sia indicata con la V. E poi i colori dei nomi su WhatsApp, diversi per ciascun iscritto al gruppo: basterebbe confrontarli. I più accaniti si spingono oltre, sognano una prova di fedeltà che suona più o meno così: cellulare sul tavolo e vediamo chi può dirsi innocente. Un po’ tattica, un po’ bluff per compattare le truppe.
Cattivi pensieri, dicevamo. Come quelli in cui è tornata a crogiolarsi Meloni, prendendo atto del possibile fallimento del blitz. Dice, riferiscono, che così non si può andare avanti. Che è stufa (lo sostiene in modo meno diplomatico, ma il senso è quello). Annuncia riflessioni che precedono reazioni drastiche. «Posso portare tutti al voto — è il senso dei suoi ultimi ragionamenti — e dico anche che forse mi conviene ».
È la tentazione del reset che ritorna. C’è tattica e voglia di fuga. E problemi fin troppo concreti: una legge di bilancio amara da approvare, previsioni di crescita riviste al ribasso, enormi incognite internazionali. Con un’aggravante: se fallisce l’operazione Consulta, il governo rischia davvero di traballare.
Sull’autonomia, innanzitutto. Il 12 novembre la Corte si esprimerà sulla legittimità costituzionale della legge. Una bocciatura farebbe saltare i nervi alla Lega, mentre un ridimensionamento della riforma verrebbe vissuto con favore da Palazzo Chigi. Portare a destra gli equlibri aiuterebbe a dissolvere l’incubo di Meloni: il referendum sull’Autonomia.
Se la riforma superasse il primo vaglio sul merito della legge, la Consulta si pronuncerebbe a inizio 2025 sui quesiti. Poco prima, a dicembre, la destra proverà ad eleggere altri due giudici in scadenza, indicati nel 2015 dalla sinistra. Senza dimenticare che dalla Corte passerà anche il referendum sulla cittadinanza, in grado di compattare i nemici della premier
Per Meloni, la battaglia finale si giocherà sul premierato. L’ordine di Palazzo Chigi su questa riforma è stato: non correre. L’eventuale referendum arriverà nel 2026. Qualche giorno fa, incrociando un esponente del centrodestra, la premier si è lasciata andare contro il solitodeep state che mirerebbe ad affossarla. Se bisognerà sfidare il Quirinale, è il ragionamento, andrà fatto quando si avvicinerà la fine della legislatura. Per ridurre gli effetti nefasti di uno scontro col Presidente.
(da La Repubblica)
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Ottobre 8th, 2024 Riccardo Fucile
NELLA SEDUTA COMUNE ALLA CAMERA SERVONO 363 VOTI E ALLA MAGGIORANZA MANCANO I NUMERI. LA DUCETTA POTREBBE ORDINARE DI VOTARE SCHEDA BIANCA… LA PREMIER È FURIOSA PER LA FUGA DI NOTIZIE DALLA CHAT DEL PARTITO, VA A CACCIA DEGLI “INFAMI” E MINACCIA: “POSSO PORTARE TUTTI AL VOTO E DICO ANCHE CHE FORSE MI CONVIENE”…IO SO’ GIORGIA VUOLE “METTERE LE MANI” SULLA CONSULTA PER BLOCCARE L’AUTONOMIA LEGHISTA E BLINDARE IL PREMIERATO
Doveva esserci l’effetto sorpresa, l’attacco a bocce ferme, ma al blitz di Giorgia Meloni le
opposizioni sono pronte a rispondere compatte abbandonando l’Aula o non partecipando al voto. E, pallottoliere alla mano, anche i più ottimisti del centrodestra faticano a scorgere il raggiungimento della maggioranza necessaria quando, questa mattina, il Parlamento in seduta comune sarà chiamato ad eleggere un giudice della Corte costituzione dopo le dimissioni, nel novembre 2023, della presidente Silvana Sciarra.
Lo dimostra lo scambio di messaggi avvenuto, ieri a tarda sera, nella chat di Forza Italia. Sono circa le 20 e 30 quando il capogruppo Paolo Barelli scrive: «Domani presenza obbligatoria. Il candidato da votare è Francesco Saverio Marini». Neanche mezz’ora dopo il messaggio viene cancellato e sostituito: «Allora, allo stato confermiamo l’obbligo di presenza, ma ancora non definitiva la scelta di voto per ulteriori valutazioni in corso tra i leader».
Meloni non ha alcuna intenzione di bruciare il nome del consigliere giuridico di Palazzo Chigi, che ha scritto la riforma del premierato, tanto cara a Fratelli d’Italia, e sa che i numeri potrebbero non essere dalla sua parte. Così in extremis potrebbe dare indicazione di votare scheda bianca.
Serviranno i tre quinti di Camera e Senato: 363 voti. Il tam tam nelle chat per richiedere la massima presenza va avanti ormai da venerdì, a dimostrazione di quanto per la premier sia alta la posta in gioco. Non è un caso se i capigruppo di FdI, sempre a tarda sera, firmano una nota per lanciare un appello che però suona come una provocazione alla minoranza e dà l’idea del momento di difficoltà: «Dobbiamo dare seguito all’esortazione del Presidente della Repubblica», che in occasione della cerimonia del Ventaglio aveva evidenziato un «vulnus alla Costituzione». Ma i dubbi dell’opposizione sono legati al nome di Francesco Saverio Marini e i partiti non intendono cambiare strategia.
Il centrodestra può contare, sulla carta, su 357 voti: già sei in meno rispetto al numero magico. Non solo. Tra questi 357 deputati e senatori sono calcolati anche i presidenti di Camera e Senato che per prassi non partecipano allo scrutinio. Ammesso che, in emergenza, la premier non decida di far saltare ogni forma di galateo istituzionale. Prevista l’assenza anche del ministro degli Esteri Antonio Tajani in missione.
Chi controlla il pallottoliere, sa già che difficilmente potrà contare, su Umberto Bossi, Marta Fascina, Michela Brambilla, Ugo Cappellacci, Cristina Rossello o Raffaele Fitto, quest’ultimo impegnato a Bruxelles. Giusto per fare qualche nome. Ogni voto sarà dunque cruciale, come i tre delle minoranze linguistiche. A questi si aggiungono alcuni parlamentari del Misto come Mara Carfagna, Lorenzo Cesa e Antonino Minardo alla Camera, Mariastella Gelmini e Giusy Versace al Senato. Dal Pd si sgancia invece Pier Ferdinando Casini: «È istituzionalmentedoveroso», dice.
Su questo terreno scivoloso per la maggioranza, le opposizioni ritrovano compattezza. Il Pd ratifica la decisione questa mattina e uscirà dall’Aula insieme a Avs. M5s potrebbe restare nell’emiciclo ma non ritirare le schede oppure andare via. Anche Italia viva fa sapere che non parteciperà al voto e Azione, malgrado le voci di una possibile intesa con la maggioranza, annuncia: «Staremo fuori anche noi».
(da La Repubblica)
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Ottobre 8th, 2024 Riccardo Fucile
OGGI IL VOTO PER LA CONSULTA, LA PREMIER VUOL FARE ELEGGERE IL SUO FEDELISSIMO CHE HA SCRITTO LA RIFORMA DEL PREMIERATO… GLI ESPERTI: “CONFLITTO DI INTERESSI”
«Posso portare tutti al voto. E dico anche che forse mi conviene». Oggi è il giorno del voto per il giudice costituzionale ma Giorgia Meloni sembra pensare a tutt’altro. O meglio. La premier è ancora in tenuta da guerra. Perché il caso della chat che richiamava al voto i parlamentari è ancora in ballo. E dopo essersela presa con gli «infami» per i quali sarebbe costretta a mollare la premier ha dato il via alla caccia alla talpa. Ma, spiega oggi Repubblica, c’è un piano superiore della partita che si gioca proprio sulla Corte Costituzionale. Con l’obiettivo, ambizioso, di smontare i referendum sull’Autonomia Differenziata e sullo Ius Soli. E di blindare quello sul premierato in arrivo. Se questo dovesse fallire, l’alternativa è il reset. Ovvero affidarsi ai sondaggi e tornare alle urne.
«Sono stufa»
La premier infatti sa bene che l’elezione del giudice della Corte Costituzionale oggi è a rischio fallimento. Servono 363 voti e la maggioranza non sembra avere i numeri necessari per raggiungerli. Il centrodestra può contare sulla carta su 357 voti. Ma tra questi ci sono anche i presidenti di Senato e Camera, che tradizionalmente agli scrutini non partecipano. E i big che in parlamento ci sono meno spesso degli altri a causa degli impegni istituzionali. Il Partito Democratico e Alleanza Verdi Sinistra hanno annunciato l’uscita dall’aula. Anche il M5s è orientato a non partecipare al voto. Così si abbassano le possibilità di ricevere aiutini dalla minoranza. La stessa strada sembra aver preso quel che resta del Terzo Polo, tra Italia Viva e Azione. E così la premier avrà molte difficoltà a far finire in via della Consulta il suo fedelissimo. Che si chiama Francesco Saverio Marini e secondo l’ex presidente della Consulta Ugo De Siervo è in conflitto d’interessi
Francesco Saverio Marini
De Siervo parla in un’intervista a Repubblica. Ricorda che Marini è stato il redattore di molti disegni di legge che verranno giudicati dalla Consulta. E l’eccezionale vicinanza con Meloni fa sì che la candidatura sia «inopportuna». L’autore materiale della riforma sul premierato infatti giudicherà per esempio l’Autonomia Differenziata e la riforma delle carriere dei magistrati: «Speriamo che ciò non avvenga perché sarebbe un vulnus rispetto alle regole». Ma la premier ha deciso di tirare dritto. Anche perché, spiega ancora Repubblica, il suo piano sarebbe quello di eleggere a dicembre anche gli altri due giudici costituzionali in scadenza. E questo perché a novembre la Corte si esprimerà sulla legittimità costituzionale della legge sull’Autonomia.
I referendum
Una bocciatura potrebbe far esplodere la Lega. Un ridimensionamento invece aiuterebbe l’esecutivo. Che avrebbe così la chance di cambiare una legge che rischia di costare gran parte della popolarità del governo vista la risposta del Sud alla raccolta firme. Poi la Consulta dovrebbe giudicare la costituzionalità dei referendum. E questo avverrebbe nel 2025. Subito prima del voto. Che potrebbe così saltare. Così come quello sulla cittadinanza, sempre oggetto di referendum. Poi c’è il premierato. Per il quale il voto finale deve ancora arrivare e l’eventuale referendum sarà nel 2026. Intanto qualche giorno fa la premier incontrando un esponente del centrodestra è tornata a parlare del Deep State che mirerebbe ad affossarla. Un suo cavallo di battaglia all’epoca dell’opposizione. Che torna pericolosamente di moda mentre si profila anche uno scontro con il Quirinale.
(da Open)
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Ottobre 8th, 2024 Riccardo Fucile
IL COCAINOMANE VUOLE USARE LA SUA RICCHEZZA PERSONALE PER ANDARE A CACCIA DI ELETTORI… IN QUALSIASI PAESE CIVILE SAREBBE IN GALERA PER VOTO DI SCAMBIO
Elon Musk intende usare la sua ricchezza personale per identificare i probabili elettori di
Donald Trump negli stati in bilico. America Pac, il suo super pac, chiede infatti al pubblico di firmare una petizione in favore del primo e secondo emendamento e offre 47 dollari ai firmatari per ogni elettore registrato a votare negli swing state a cui faranno firmare la petizione.
“Per ogni persona che indicate come elettore negli stati in bilico ricevete 47 dollari, soldi facili”, ha detto Musk su X. La petizione è a sostegno dei primi due emendamenti della costituzione, descritti nella petizione come quelli che “garantiscono la libertà di parola e il diritto alle armi”.
L’offerta è valida per le due settimane. America Pac si pone come obiettivo quello di raccogliere un milione di firme in Pennsylvania, Georgia, Nevada, Arizona, Michigan, Wisconsin e Nord Carolina. Musk ha partecipato sabato per la prima volta a un comizio di Donald Trump esortando tutti a votare e fare pressioni su conoscenti e amici affinché facciano lo stesso.
(da agenzie)
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Ottobre 8th, 2024 Riccardo Fucile
I CITTADINI DOVRANNO ANCHE DECIDERE SE INSERIRE O MENO IN COSTITUZIONE L’OBIETTIVO DI ADERIRE ALL’UNIONE EUROPEA, E “MAD-VLAD” VUOLE OSTACOLARE IL PROGETTO – NELLA COMPRAVENDITA DI VOTI SONO STATE COINVOLTE QUASI 130MILA PERSONE – PERNO DELL’OPERAZIONE È IL BUSINESSMAN MOLDAVO-ISRAELIANO (FILO-RUSSO), ILAN SHOR
La volontà della Russia di influenzare la vita politica delle ex repubbliche sovietiche è cosa nota. Ma scoprire come concretamente questo è messo in atto non può che colpire. Gli occhi del Cremlino sono da mesi puntati sulla Moldavia, dove il 20 ottobre si terrà una giornata elettorale dalla portata storica: i cittadini moldavi saranno infatti chiamati alle urne per le elezioni presidenziali e un contestuale referendum per decidere se inserire nella costituzione nazionale l’obiettivo di aderire all’Unione Europea.
L’ultima notizia che arriva dalla repubblica dell’Europa orientale è che Mosca avrebbe investito, solamente durante il mese di settembre, almeno 15 milioni di dollari per comprare i voti di decine di migliaia di cittadini moldavi in vista della chiamata alle urne ormai prossima.
I dettagli dell’operazione orchestrata dalla Russia sono stati forniti dalla polizia di Chisinau, che ha dichiarato come quasi 130mila persone sarebbero state coinvolte in questo schema di compravendita di voti. L’operazione sarebbe stata messa in piedi anche grazie al contributo del controverso politico e uomo d’affari moldavo di origine israeliana Ilan Shor, condannato lo scorso anno per aver partecipato al furto di un miliardo di dollari dalle banche moldave.
Quest’ultimo è uno degli oppositori più accesi all’eventuale adesione all’UE del suo Paese e il suo ruolo, oltre che di persone a lui vicine, sarebbe stato quello di favorire l’ingresso in Moldavia del denaro servito poi a portare avanti lo schema corruttivo, realizzato anche grazie all’utilizzo di Telegram.
Chiaro l’obiettivo dell’iniziativa segreta: far naufragare il referendum tenendo lontana la Moldavia dalle influenze europee e contestualmente ottenere l’elezione di candidati favorevoli alla Federazione russa. […]
Il clima attorno alla tornata elettorale è incandescente: lo scorso giugno gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e il Canada hanno messo in guardia dall’attivismo russo per influenzare le elezioni presidenziali e incitare alle proteste, soprattutto mediante l’utilizzo di fake news e attraverso la propaganda online, in caso di mancata vittoria di un candidato filorusso. L’attuale presidente, la filoeuropea Maia Sandu, dovrà vedersela con altri dieci candidati alla carica di leader del Paese, tra cui alcuni apertamente favorevoli a Mosca e altri la cui idea è quella di un bilanciamento tra ovest ed est.
I sondaggi danno in vantaggio Sandu, ma se all’apparentemente scontato ballottaggio del 3 novembre dovesse arrivare una figura politica favorevole al Cremlino, la partita potrebbe farsi davvero serrata.
Sulla Moldavia pesa anche la sua posizione geografica. Il Paese condivide infatti un lungo confine con l’Ucraina e al suo interno vi è la presenza di due entità territoriali, la repubblica autoproclamatasi indipendente della Transnistria e la Gagauzia, ufficialmente facenti parte della repubblica moldava ma i cui governi spingono per l’indipendenza, guardano a Mosca e hanno storicamente rapporti a dir poco difficili con Chisinau.
Negli scorsi mesi la tensione è salita soprattutto in Transnistria, dove sono di stanza un numero di soldati russi che dovrebbe aggirarsi attorno alle duemila unità: a fine febbraio il parlamento locale ha chiesto aiuto alla Russia per interrompere il presunto blocco economico imposto dalla Moldavia.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Ottobre 8th, 2024 Riccardo Fucile
CI SARANNO QUESITI INSIDIOSI COME “PROCEDERÀ A UN RECUPERO DEI FONDI DEL PNRR NEL CASO IN CUI GLI STATI NON COMPLETINO GLI INVESTIMENTI ENTRO IL 2026?”. LA RISPOSTA È COMPLICATA: PERCHE’ IN PRIMA FILA TRA I PAESI RITARDATARI C’È L’ITALIA
“Procederà con un recupero dei fondi del Pnrr trasferiti agli Stati nel caso in cui questi non
completino gli investimenti entro il 2026?”. E ancora: “I fondi della politica di coesione dovrebbero essere riformati su un modello basato sulle prestazioni simile a quello del Recovery?”. “A quali riforme dovrebbero essere collegati?”. “Intende rafforzare il legame tra la politica di coesione e il rispetto dello Stato di diritto?”.
Prima di sottoporsi all’interrogazione orale di tre ore, prevista all’inizio di novembre, l’aspirante commissario europeo Raffaele Fitto dovrà rispondere a una serie di domande scritte messe a punto dagli eurodeputati. E nella bozza del documento visionata da “La Stampa”, che verrà inviata a breve, nei quesiti posti si nascondono alcuni “trabocchetti” che potranno svelare le reali intenzioni del commissario designato da Ursula von der Leyen a guidare le politiche di Coesione e le Riforme e portarlo a urtare alcune sensibilità politiche.
Fitto sarà audito dalla commissione Affari Regionali. Ma all’incontro parteciperanno anche gli eurodeputati di altri commissioni, tra cui quella per il Bilancio e quella per gli Affari Economici. Ed è da questi ultimi che arriva un quesito sul futuro del Pnrr.
I parlamentari della commissione Econ, nella quale siedono molti “rigoristi” del Ppe, vogliono sapere se Fitto «ritiene che il Recovery sia un precedente per affrontare la crisi e le significative carenze di finanziamento». Insomma, se è il caso di ripetere. Ma soprattutto gli chiedono se “procederà con un recupero dei fondi trasferiti agli Stati membri nei casi in cui gli investimenti non verranno completati entro il 2026”.
Una risposta da maneggiare con cura, perché se è vero che così prevede il regolamento, Fitto non può certo permettersi di minacciare un taglio dei fondi ai Paesi come l’Italia che rischiano di essere in ritardo.
L’altra grande questione riguarda il futuro delle politiche di coesione. Gli eurodeputati della commissione Regi vogliono sapere “come aumenterà la flessibilità” dei fondi e se intende subordinare l’erogazione dei fondi regionali alla realizzazione di riforme e investimenti o addirittura al rispetto di “condizionalità macroeconomiche”.
In quel caso, “come garantirà alle Regioni di non perdere accesso ai fondi” in caso di governi nazionali inadempienti? Su questo punto, poi, c’è un aspetto che sta certamente molto a cuore dei federalisti (nel senso che viene dato a questo termine in Italia e non in Europa) e dei tifosi dell’autonomia differenziata: “Esaminerete la creazione di un meccanismo per l’accesso diretto ai fondi di coesione da parte delle autorità locali?”.
C’è poi una domanda che punta a scoprire le reali intenzioni di Fitto sulla necessità di “rafforzare il legame tra la politica di coesione e il rispetto dello Stato di diritto, imponendo un’applicazione più rigorosa delle condizioni”. Tema da sempre osteggiato dai conservatori e dai governi che sono stati sin qui penalizzati da questo vincolo, come quello di Viktor Orban.
Dopo l’esame degli interessi finanziari, attualmente ancora in corso perché il Parlamento ha chiesto informazioni aggiuntive a Fitto, e dopo l’analisi delle risposte scritte, tra il 4 e il 12 novembre si terrà l’audizione vera e propria che durerà tre ore. A esprimersi saranno i coordinatori dei gruppi nella commissione Affari Regionali che dovranno raggiungere una maggioranza dei due terzi: in caso contrario potranno esserci ulteriori domande scritte o anche un’altra audizione.
Se anche a quel punto non fosse possibile raggiungere la soglia dei due terzi, tutti i membri della commissione saranno chiamati a votare a scrutinio segreto e in quel caso basterà la maggioranza. Tra i coordinatori della commissione Regi ci sono due italiani: Valentina Palmisano, esponente del M5S e coordinatrice della Sinistra che ha già annunciato il suo voto contrario, e l’esponente di Fratelli d’Italia, Denis Nesci, che garantirà a Fitto il sostegno di Ecr.
(da La Stampa)
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Ottobre 8th, 2024 Riccardo Fucile
LA FOLLA AIUTA L’AGGRESSORE A FUGGIRE. IN UN QUARTIERE DOVE LO SPACCIO E’ IN OGNI ANGOLO… MA IL GOVERNO DEVE PENSARE A MANDARE 200 CARABINIERI A FARE LA GUARDIA IN ALBANIA AL “BIDONE” CPR ANTI-MIGRANTI
Don Antonio Coluccia è stato vittima di un tentativo di aggressione ieri sera al Quarticciolo, quartiere alla periferia di Roma. Un uomo, riuscito poi a sfuggire alle forze dell’ordine, si è avventato sul sacerdote con una bomboletta d’acciaio durante una ‘passeggiata della legalità’.
Bloccato dalla polizia presente e dal servizio di sicurezza, l’aggressore non è riuscito nel suo intento ma ha cominciato a urlare frasi come ‘aiutateme, me stanno a carcerà’, che hanno fatto arrivare in strada una sessantina di persone.
Attimi di panico, in cui un uomo ha cercato di aizzare un pitbull contro i poliziotti, mentre altri hanno preso a calci gli agenti, due dei quali hanno riportato lesioni guaribili in sette giorni. Secondo quanto riportato da un poliziotto oggi in aula, è stato sparato anche un colpo di pistola in aria, “per mettere in sicurezza Don Coluccia” e “guadagnare terreno”.
Nel trambusto è stato fermato un uomo di 41 anni – non quello che ha cercato di colpire don Coluccia, riuscito a fuggire – arrestato con l’accusa di resistenza aggravata.
La girandola dello spaccio
Come documentato in un servizio di Dossier, tra la Togliatti e il Quarticciolo è una girandola tra prostituzione e spaccio. Tra bande di giovanissimi che presidiano i confini del traffico illecito, i mazzetti di banconote appoggiate sui muretti, chi pesa le “pallette” e chi vende i “quartini”. Tutto questo in un quartiere dove hanno avuto luogo una maxi rissa vicino al comando dei vigili, le spedizioni punitive dopo lo scippo subito da una signora. Ma anche una zona al centro dell’allarme lanciato dal comandante della polizia locale del gruppo V Casilino. Una serie di atti vandalici contro le auto private del personale dei caschi bianchi. L’ultimo dei quali, il 22 agosto, ha spinto il dirigente, Ugo Esposito, a lanciare l’allarme e a chiedere un intervento al presidente del municipio V, Mauro Caliste.
La caserma, che affaccia su viale Palmiro Togliatti, confina con la via Prenestina e il Quarticciolo. Lì, tra prostituzione e spaccio, lo scenario favorirebbe, il degrado urbano che, appunto, sfocerebbe anche in vandalismo. Luci puntate, nell’occasione, sui “clienti” dei pusher: dopo lo sballo (crack per lo più) danneggerebbero i veicoli in sosta, anche quelli private dei vigili. Una situazione di pericolo, messo nero su bianco nella missiva, anche per i cittadini. Perché i tossicodipendenti si getterebbero improvvisamente nel traffico, minacciando la sicurezza stradale. Il tutto in una zona già ribattezzata una ‘zombieland’.
(da Fanpage)
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Ottobre 8th, 2024 Riccardo Fucile
L’EX MINISTRO AVVERTE SCHLEIN SULLE AMBIZIONI DI CONTE: “VUOLE LA LEADERSHIP DELLA COALIZIONE PUR NON AVENDO I NUMERI”
Più vicino a Conte o a Grillo? “Difficile dire perché i due non hanno una questione politica.
È una questione di potere ed è incredibile perché Grillo dovrebbe essere l’azionista e Conte l’amministratore delegato, se vogliamo usare un termine aziendale, ma lo stipendio di Grillo dipende da Conte e invece dovrebbe essere viceversa. Questo sta creando non so se l’ultimo atto del Movimento 5 Stelle, ma lo ha portato al livello più basso”.
Lo afferma Luigi di Maio, rappresentante speciale dell’Ue per il Golfo Persico ed ex ministro degli Esteri, intervenendo nella puntata di ”A casa di Maria Latella”, che andrà in onda domani sera su Rai 3 alle 23.15.
Elly Schlein si può fidare di Giuseppe Conte? “Io con Conte non parlo da tanto tempo. Però io ricordo un Conte che ha sempre avuto, ma legittimamente, l’ambizione di tornare a palazzo Chigi, e come presidente del Consiglio ovviamente, in nessun altro ruolo. Se questa è la stessa ambizione di Giuseppe Conte anche oggi è chiaro che Elly Schlein ha un problema perché il Movimento 5 Stelle a questo punto si pone come forza assolutista nella coalizione che vuole la leadership della coalizione pur non avendo i numeri”.
L’ex leader pentastellato non esclude il ritorno in politica: “La politica è qualcosa che crea dipendenza. Io spero di essermi disintossicato, però, come tutte le ricadute, tutto è possibile”. Poi chiosa “Il giorno della mia sconfitta alle politiche, quando ho perso con lo 0,6%, è il giorno che benedico”.
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