Ottobre 12th, 2024 Riccardo Fucile
COME SE NON VIGESSE LA NORMATIVA SULLA TRASPARENZA IN VIGORE NEL NOSTRO PAESE. EPPURE L’AREA DEI LAVORI È TERRITORIO ITALIANO, VISTO CHE I CENTRI OPERANO IN REGIME DI EXTRATERRITORIALITÀ… PERCHÈ LA DUCETTA E CROSETTO NON PUBBLICANO LA LISTA DELLE AZIENDE CHIAMATE DAL GOVERNO?
L’unica regola è fare presto. Pertanto l’imperativo governativo esclude il rispetto del codice degli appalti per come i comuni mortali lo conoscono. D’altronde l’Albania è lontana dall’occhio vigile delle autorità di controllo. È il buco nero dei centri di detenzione per migranti. Il grande piano di cui il governo di Giorgia Meloni va più fiero.
Centri pericolosi per il rispetto dei diritti umani, e per le casse pubbliche. I contratti di affidamento diretto, ottenuti da Domani, raccontano di procedure inusuali per chi maneggia commesse pubbliche di una certa importanza e valore. Si tratta di decine di appalti assegnati senza gara a partire da fine marzo fino a settembre. Affidamenti diretti, appunto, che sommati valgono oltre 60 milioni di euro.
Denaro che, risulta dagli atti, è stato gestito principalmente dal ministero della Difesa, tramite l’articolazione SegreDifesa, in particolare dalla divisione Direzione dei Lavori e del Demanio, guidata dal generale ispettore Giancarlo Gambardella: nominato lo scorso 28 dicembre, è la persona che per conto del governo dovrà curare tutta la partita Cpr.
La caccia alle aziende anche albanesi per realizzare il sogno di Meloni e Piantedosi è iniziata ad aprile.
I primi due affidamenti, per esempio, portano la data del 15 aprile 2024: «Fornitura in opera di strutture prefabbricate alloggiative metalliche modulari di tipo 3 presso la località di Gjader» e «Fornitura in opera di strutture prefabbricate alloggiative metalliche modulari di tipo 1 presso la località di Gjader e Shengjin». In totale, confermano dalla Difesa, sono stati spesi per i moduli prefabbricati 25 milioni di euro, affidati senza gara a quattro aziende diverse.
A Gjader è stata realizzata la struttura di trattenimento, il centro di permanenza vero e proprio, eretto sul sedime di una ex base militare abbandonata. Qui i migranti verranno spediti in autobus dall’hotspot di Shengjin, allestito in un’area del porto della cittadina turistica albanese, che dista mezz’ora di auto.
Un altro affidamento degno di nota è del valore di 10 milioni di euro per la «realizzazione di impianti elettrici a Gjader».
Chi è la fortunata azienda? Impossibile saperlo. Così come resta anonima l’impresa cui sono stati affidati i «Lavori di realizzazione rete di raccolta e scarico delle acque meteoriche e sistema di telerilevamento» pari a 1,3 milioni di euro. E anche quella che, per oltre 7 milioni, si è aggiudicata gli «scavi, riporti e realizzazione di recinzioni, cancelli e canali».
Il 12 luglio, poi, sono stati affidati i «Lavori per la realizzazione opere accessorie e di rifinitura presso Gjader» al prezzo di 1,4 milioni. Una settimana prima Segredifesa aveva ingaggiato altre due aziende: spesa totale 12 milioni per due affidamenti che vanno dagli «impianti speciali» a opere in «calcestruzzo» agli impianti «idrici e fognari». Spesa notevole anche quella da oltre 9 milioni per realizzare fondazioni per stabilizzare le strutture. L’elenco potrebbe continuare con affidamenti sotto il milione ma comunque sopra la fatidica soglia di 500mila euro, superata la quale andrebbe fatta una gara.
C’è poi la poca trasparenza sulle aziende scelte sul territorio. Non esiste un elenco pubblico. Come se in quel cantiere non vigesse la normativa sulla trasparenza in vigore nel nostro paese.
Eppure l’area dei lavori, secondo il protocollo firmato da Meloni e il premier albanese Edi Rama è territorio italiano: i centri, infatti, operano in regime di extraterritorialità.
«L’unica azienda albanese affidataria è stata sottoposta a controlli tramite Banca dati antimafia», dicono dalla Difesa, che assicura che, nonostante l’assenza di gare, gli «operatori sono stati selezionati sulla base della comprovata esperienza nel settore».
Questa pratica di affidare senza gara per rispettare l’imperativo del «fate presto» ha creato non poche preoccupazioni all’interno degli uffici della Difesa: cosa succederebbe con una eventuale verifica della Corte dei Conti o di altri organi deputati al controllo
«Gli affidamenti oltre la soglia si sono resi necessari in considerazione dei tempi ristretti per la realizzazione delle stesse», è la replica della Difesa, che aggiunge: «Qualsiasi tipo di affidamento tramite gara competitiva sarebbe stato incompatibile con le tempistiche».
Tuttavia è proprio la decisione di spostare l’intero pacchetto Albania sotto il controllo del ministero della Difesa che ha permesso di non dover sottostare ai limiti del codice degli appalti e di non essere sottoposti al controllo dell’Autorità anticorruzione (Anac), confermano fonti qualificate dell’organismo.
Chi può allora monitorare sulle modalità di spesa di oltre sessanta milioni di euro con affidamenti diretti è il Copasir . Ma solo a certe condizioni: potrebbe occuparsene se dovessero emergere questioni relative alla sicurezza nazionale in senso lato.
Ma non ci sono norme che prevedono l’obbligo di una rendicontazione o una comunicazione da parte del ministero della Difesa al comitato. Le deroghe e la competenza della Difesa però non impediscono alla Corte dei conti di garantire un controllo sulla spesa: c’è una specifica sezione della magistratura contabile che si occupa di contratti secretati e atipici.
Far ricadere, dunque, la partita Cpr sotto il cappello della Difesa ha permesso al governo di sviare da quelli che sono i limiti e i controlli ordinari, che sarebbero stati previsti, ad esempio, se la competenza fosse rimasta al Viminale. Tutto questo per «fare presto».
«Partirà probabilmente tra qualche giorno», ha annunciato ieri Meloni. L’ordine di accelerare è arrivato dalle alte sfere del governo. Ma è difficile immaginare che né la premier né il ministro dell’Interno fossero a conoscenza del cronoprogramma ufficiale dei lavori: le relazioni interne della Difesa, pubblicate da Domani a marzo scorso, indicavano la fine tra metà ottobre e l’inizio di novembre.
Perché allora il governo ha dato in pasto ai media veline che davano come giorno dell’inaugurazione prima maggio, poi agosto, poi settembre e infine un giorno imprecisato della prossima settimana? In un ciclo continuo di avvisi su aperture imminenti puntualmente smentite dalle immagini di cantieri senza ancora opere strutturali, siamo così arrivati alla fine di ottobre: i centri sono «da oggi operativi», ha detto ieri l’ambasciatore italiano.
In realtà dovrebbero essere realmente operativi dal 18 ottobre. Senza contare che a intralciare i piani del governo c’è una recente sentenza della Corte di giustizia dell’Ue che ha messo in discussione tutto il progetto dei centri in Albania.
(da EditorialeDomani)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 12th, 2024 Riccardo Fucile
I 15MILA EURO RACCOLTI DALLA RAGAZZA IN UN SOLO GIORNO SONO STATI RESTITUITI AGLI ALLOCCONI CHE AVEVANO SGANCIATO I SOLDI: “MA PERCHÉ LE PERSONE NON DOVREBBERO DONARE ANCHE A ME SE HANNO TANTI SOLDI DA USARE?”… “GUADAGNO 100.000 EURO AL MESE E CI PAGO LE TASSE”
L’esultanza è durata poco: «In un solo giorno siamo riusciti a raggiungere il traguardo di
15 mila euro per la mia mastoplastica additiva. Voglio fare un ringraziamento a tutti gli imprenditori d’Italia senza i quali non sarebbe stato possibile». Michelle Comi pochi giorni fa gongolava sui social.
Non aveva fatto i conti con la dura realtà: la piattaforma Gofundme.com – probabilmente per il clamore e le critiche che la vicenda aveva suscitato – ha annullato la raccolta fondi dell’influencer milanese, classe 1995. «Pensavo di essere stata hackerata – dichiara lei -, invece, le tante segnalazioni arrivate alla piattaforma hanno fatto sì che venissi bloccata. E i soldi ricevuti sono stati restituiti». Ma non demorde: «Devo capire come riaprire la raccolta».
Interpellata, Comi dice: «Perché le persone non dovrebbero donare anche a me se hanno tanti soldi da usare?».
Comi nell’eterogeneo mondo social capta la regola “dividere, polarizzare, per arrivare”, che è poi il sempreverde “purché se ne parli” Le sue dichiarazioni controverse (altro eufemismo) ne hanno fatto un personaggio. Tanto che quando le si chiede conto dell’altra chiacchierata a ruota libera – «Meglio comprarsi una borsa griffata che fare un figlio. Non mi faccio sformare la pancia per farmi uscire un coso. Mille volte meglio spendere tutti i miei soldi dal chirurgo» – fa spallucce: «Sono le stesse cose che dico quando mi ritrovo a tavola con i miei e le mie sorelle». Anche se poi non è dato di sapere come finisca a quel desco.
Residente a Milano, con casa anche a Torino «che è più tranquilla», si è diplomata al liceo artistico Boccioni e per sei anni ha fatto l’impiegata in un ospedale. Tre anni fa le dimissioni e l’approdo su Only Fans, mondo da cui dichiara di ottenere «guadagni stellari, 100 mila euro lordi al mese su cui pago le tasse».
Dunque, in teoria, non potrebbe pagarsi lei i suoi sfizi? «Se ho chi mi paga tutto…».
In estate – dice di non essere fidanzata, «mi sto frequentando con alcuni imprenditori, niente di serio» – ha urbi et orbi cercato chi le finanziasse una vacanza, rigorosamente di lusso. Come è finita? «Tenerife e Varsavia». Risposta a chi la definisce escort: «La linea tra quello che faccio e una escort è sottile. Ho le carte di credito degli imprenditori, con alcuni non ci siamo mai visti, ma mi mantengono. È il loro modo di corteggiarmi».
Poi si lancia in un paragone pirotecnico: «Gli imprenditori spendono per me 60 mila euro al mese, è lo stesso che nel piccolo fa un ragazzo che porta una rosa alla sua innamorata».
La speranza è di fidanzarsi: non con un muratore, di certo. «Non credo al detto due cuori una capanna», puntualizza a scanso di equivoci. Un’ultima domanda: ma lei c’è o ci fa? «Ci sono, ci sono. Fin da piccola, nelle cene in famiglia, mi piaceva spiazzare».
(da il Corriere della Sera)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 12th, 2024 Riccardo Fucile
TELEMELONI FA PASSARE UNO SPOT PUBBLICITARIO DURANTE IL MINUTO DI RACCOGLIMENTO: AL PEGGIO NON C’E’ MAI FINE
Il toccante omaggio dell’Olimpico, dove è diventato l’eroe delle Notti Magiche, ma anche la criticata scelta della Rai di mandare uno spot durante il minuto di raccoglimento.
Chi era allo stadio porterà nel cuore il tributo a Totò Schillaci, morto lo scorso 18 settembre, durante Italia-Belgio, partita di Nations League, mentre chi era davanti alla tv è rimasto perplesso.
Su tutti il fratello dell’ex centravanti della Nazionale, Giuseppe Schillaci, che su Facebook ha scritto: “Vergogna, la Rai interrompe il ricordo di Totò Schillaci per la pubblicità”.
Ma anche sui social è montata la protesta di chi non ha gradito il fatto che siano prevalse le ragioni commerciali. “Complimenti alla Rai per aver maltrattato il ricordo di Schillaci”, scrive Oliviero Cinelli. “La Rai interrompe il minuto di silenzio per Totò Schillaci e manda in onda la pubblicità. Cosa sta diventando, o cosa è diventata, la televisione pubblica?”, osserva Cosimo Amato.
Completamente diversa l’atmosfera sugli spalti dell’Olimpico con i tifosi che hanno potuto godere del commovente video sul maxischermo, introdotto dall’inconfondibile voce di Luca Ward, che ha riportato ai tempi della meravigliosa estate italiana del 1990.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 12th, 2024 Riccardo Fucile
TRA LORO CI SONO DIVERSI RAMPOLLI DELLE FAMIGLIE PIU’ FACOLTOSE DELLA CITTA’
L’università di Genova chiede a 26 ex studenti di economia e a un docente di una scuola
superiore mezzo milione di euro di danni. Tra loro ci sono alcuni rampolli delle famiglie più facoltose della città.
A tutti, compreso al professor Luca Goggi, è contestato il reato previsto da una legge del 1925. L’inchiesta era partita nel 2019 dalle segnalazioni dell’ateneo. Uno studente aveva raccontato che dopo l’ennesima bocciatura qualcuno gli aveva fornito il numero di Goggi per l’esame di Ragioneria Generale.
I carabinieri lo hanno beccato proprio mentre mandava via Whatsapp le risposte alle domande di un test.
E oggi l’università chiede a tutti i danni. Gli allora studenti a giudizio, fa sapere l’edizione genovese di Repubblica, sono: Alessandro Cafiso, Valeria Cevasco, Andrea Migliaccio, Giacomo Roveda, Matteo Pittaluga, Eugenio Bottino, Alessandro Abbundo, Paolo Messina, Maria Balestrero, Camilla Cartasegna, Edoardo Sinisi, Benedetto Avallone, Emanuele Vallarino, Francesco Ceriana, Federico Bartolaccini, Edoardo Piccin, Ludovica Casaleggio, Emanuele Ceppellini, Francesco Ciliberti, Tommaso Mansanti, Lorenzo Talarico, Marco Cesari, Gabriele Macchiavelli, Riccardo Giacomazzi, Niccolò Scelti, Enrico Ciurlo.
(da Open)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 12th, 2024 Riccardo Fucile
“QUESTE ASSOCIAZIONI RISCHIANO DI CHIUDERE”
L’associazione dei perseguitati politici antifascisti (Anppia) e quella degli ex deportati nei campi nazisti (Aned) potrebbero avere vita breve. Lo scrive Repubblica, secondo cui il governo guidato da Giorgia Meloni avrebbe deciso di tagliare ai fondi alle due realtà, esponendole al rischio chiusura per mancanza di risorse economiche.
Una delle due associazioni, l’Aned, riunisce tutti i sopravvissuti ai lager e vede tra i propri iscritti anche Liliana Segre, la senatrice a vita deportata ad Auschwitz.
Il taglio ai fondi dell’Aned, a cui Segre è iscritta dal lontano 1958, è stato deciso dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Per di più, cade a ridosso di una ricorrenza importante: l’ottantesimo anniversario della Liberazione, che si festeggerà nel 2025.
I fondi del Viminale
A svelare il retroscena sulla revisione dei fondi per le associazioni è Repubblica. Ogni anno, spiega il quotidiano romano, il Viminale stabilisce i fondi da destinare alle associazioni combattentistiche. Tre sono le principali: Anvcg (Associazione nazionale vittime civili di guerra), Anppia (Associazione nazionale perseguitati politici antifascisti) e Aned (Associazione nazionale ex deportati).
I tagli di Piantedosi
Le cifre assegnate per il 2024 alle tre realtà sono rispettivamente 1,5 milioni di euro, 185mila euro e 167mila euro. I fondi destinati alle vittime civili di guerra passeranno dal 78 all’81% del totale del fondo del ministero dell’Interno. La quota destinata ad Anppia scenderà dal 12 al 10%, quella di Aned dal 10 al 9%. Per gli ex perseguitati fascisti si tratta di dover rinunciare a 49mila euro, mentre gli ex deportati ne perderanno 28mila.
Lo scontro politico
Il taglio dei fondi all’associazione di Liliana Segre è diventato un caso politico. In commissione Affari costituzionali, alla Camera, il relatore di maggioranza Luca Sbardella (FdI) ha criticato il taglio delle risorse deciso da Piantedosi, pur difendendo il cambio dei criteri con cui vengono distribuiti i fondi. Da quest’anno, infatti, conterà solo il numero degli iscritti. Ma quel dato, ha fatto presente l’esponente del Pd Federico Fornaro, non sempre è attendibile. «L’effetto finale è che nel 2025, ottantesimo anniversario della Liberazione, potrebbero chiudere i battenti associazioni che tengono viva la memoria dei perseguitati antifascisti e dei deportati nei campi nazisti. E questo per scelta discutibile di un governo di destra», attacca Fornaro.
«Il governo vuole punire l’antifascismo»
A criticare la decisione è anche Dario Venegoni, presidente dell’Aned. «Diciamo che ne prendo atto. Sono incazzato più che deluso. Noi riteniamo di fare un’opera meritoria, abbiamo ricevuto anche una medaglia proprio dal ministro dell’Interno e invece gli uffici dello stesso ministero pensano che siamo un vecchio rottame», spiega in un’intervista a Repubblica. Secondo Venegoni, il vero intento politico del governo è punire l’antifascismo: «I fatti parlano in tal senso. Lo dice questo provvedimento. Del resto, c’è qualcuno nel centrodestra che abbia tentato di giustificarlo?».
(da Open)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 12th, 2024 Riccardo Fucile
CRESCONO DISOCCUPATI, POVERTA’ E CONCENTRAZIONE DELLE RICCHEZZE, TAGLIA I FONDI AL’UNIVERSITA’… INTERVISTA AL SOCIOLOGO ARGENTINO ARTEMIO LOPEZ
Artemio López è un sociologo argentino, direttore generale della società di consulenza
Equis, Equipos de Investigación Social. Autore di oltre 500 ricerche sul mercato del lavoro, la distribuzione del reddito, la povertà e il consumo, ha pubblicato anche diversi libri sul declino della classe media argentina e la svalutazione, è stato curatore e autore del primo capitolo del libro “Historizar a Milei – De la picana a la motosierra”. Parliamo con lui della distribuzione dei redditi, della decadenza della classe media e del livello della povertà in Argentina. Dopo nove mesi di governo Milei, la cui popolarità comincia a declinare in parte del suo elettorato originario.
Nove mesi del governo Milei, ci fa un primo bilancio?
Da un punto di vista socioeconomico non c’è nessun indicatore che permetta di essere ottimista: si sono persi 650.000 posti di lavoro, si è registrato un aumento di quasi 12 punti nella povertà, è raddoppiata l’indigenza e si è avuta una grande concentrazione della ricchezza. Gli indicatori ufficiali mostrano che la partecipazione del salario dei lavoratori è ulteriormente diminuita. Quando Cristina Fernández de Kirchner lasciò il governo, il fattore lavoro partecipava al Pil con il 54%, oggi questa partecipazione è scesa a 45 punti: sono nove punti di caduta che rappresentano altrettanti trasferimenti di reddito alle imprese. Questa perdita equivale a due volte il prestito assegnato dal Fmi a Macri nel 2018. I dati ufficiali, dove le grandi ricchezze sono sempre sottostimate, ci dicono che il 20 per cento della popolazione più ricca in Argentina si appropria del 50% della ricchezza totale.
Una tendenza che si osserva a livello globale: un ultimo studio dell’Ilo dimostra che il peso dei salari sulla ricchezza mondiale è diminuito ed è cresciuto quello del capitale.
In questo momento vi è la concentrazione più alta dei redditi da quando abbiamo dati statistici e questo produce effetti sociali e politici. Avviene con regimi sempre più autoritari, perché sostenere questo modello diseguale di distribuzione dei redditi che propone l’attuale fase di sviluppo capitalista, non è compatibile con la democrazia liberale tradizionale, ha bisogno di apparati repressivi. Qualcosa che abbiamo conosciuto con la dittatura che promosse il modello neoliberista in Argentina, ma in democrazia questo modello di disuguaglianza, che è già superiore a quello della crisi del 2001, si sostiene con livelli di repressione inediti.
Lei sostiene che la classe media sta sparendo in tutto l’Occidente: che conseguenze ne derivano?
L’Argentina ebbe un processo di espansione della classe media notevole dalla metà del secolo scorso fino all’inizio della dittatura nel 1976, quando iniziò il processo di declino. Nell’ultima indagine del 1974, l’80% dei redditi nella zona metropolitana corrispondeva a redditi medi. Dopo la crisi dell’anno 2001, dopo 25 anni di restaurazione del neoliberismo, quell’80% si era trasformato in un 40% e oggi assistiamo a una caduta drastica dei redditi della classe media: dei 54 punti percentuali di povertà sulla popolazione (nel 2015 era di 20 punti), 34 appartengono fondamentalmente ai redditi medi, ossia l’impoverimento della classe media è cruciale per spiegare il livello di povertà in Argentina.
L’Argentina, in Sudamerica, è stato finora uno dei paesi dove meno vistose erano le diseguaglianze sociali: che comporta l’esistenza marcata ora dei due estremi, i super-ricchi e i molto poveri?
L’Argentina ha avuto un processo di decadenza socioeconomica difficile da spiegare: siamo passati da 6 punti di povertà nel 1974 agli attuali 54. Non si è trattato di un processo di decadenza continuo, ma la povertà è aumentata di circa nove volte nel periodo considerato: l’indigenza ( che si ha al di sotto della soglia della sopravvivenza calorica) era del 2% nel 1974, oggi è del 20% e continua a crescere. E’ vero che il panorama socioeconomico era più livellato un tempo in Argentina, ma questo è cominciato a cambiare a partire dalla dittatura, omologandosi al resto del continente sudamericano. Non mi piace insistere con il mito dell’Argentina differente dagli altri paesi sudamericani, forse c’è ancora un bagaglio culturale e formativo che ci differenzia da alcuni di questi paesi. Ma in termini socioeconomici la deindustrializzazione, l’impoverimento, la disoccupazione e la fame ci omologano ormai al resto del continente.
L’università in Argentina rappresenta una sorta di ascensore sociale e la sua difesa fa incontrare le classi popolari con quella media. Milei ne sta tagliando i finanziamenti e migliaia di persone si mobilitano contro i tagli e occupano le università.
È infatti appena passato il veto di Milei al finanziamento dell’università, nonostante le manifestazioni di piazza. È riuscito ad avere un numero di deputati sufficienti ad approvargli il decreto. Prendiamolo come un sintomo: questo governo può governare solo per decreto, quello che gli riesce è che questi decreti in parlamento si convertono in legge. Gli studenti assicurano che continueranno con le occupazioni delle università. E’ accaduto lo stesso prima con la contrarietà del governo a migliorare le pensioni minime: il 30% della manovra correttiva del governo ricade sul sistema previdenziale. Nel caso dell’università si tratta più di una discussione ideologica che economica.
Ci spieghi meglio che cos’è questa questione ideologica.
Una prima ragione è quello dell’effetto “cascata” su altri settori che deriverebbe dal finanziare l’università. Ma io penso che ci sia una componente ideologica forte che vuole attaccare tutto il sistema di istruzione per indirizzarlo verso un modello sempre più esclusivo ed escludente.
Il 2023 si è chiuso con un’inflazione del 211%, sarà 127% alla fine di quest’anno, il settore industriale sta vivendo una crisi superiore a quella affrontata col Covid, c’è chi parla di industricidio: che modello economico ha in mente Milei?
E’ un modello molto vincolato alla speculazione finanziaria, i grando gruppi di investimento vi stanno dietro. Ed è un modello depredatore nei confronti delle risorse naturali, perché consente l’accesso di capitali internazionali alle risorse senza l’imposizione di alcun controllo, una sorta di saccheggio. L’Argentina interessa molto a questi capitali: ha il litio, molte risorse naturali, prodotti minerari, il petrolio. Il modello estrattivista spiega una parte di questa sottomissione che sta propiziando Milei. Se non si pone un freno, l’Argentina rimarrà per molto tempo in una situazione compromessa.
Il 54% della popolazione argentina è povera, nei primi sei mesi di quest’anno 5,5 milioni di persone sono diventate povere: che modello sociale c’è dietro questi dati?
È il modello di una società divisa, in cui un settore molto importante resta ai margini del mondo del lavoro, del sistema di copertura sanitaria e previdenziale. Papa Francesco li chiama “gli scartati”, l’Argentina vivrà una situazione molto critica in questo senso. Personalmente, confido ancora nella vitalità della società, ma ci vorrà un grande lavoro delle organizzazioni politiche e sociali per rispondere a questa aggressione. Che in democrazia è inedita: la frontiera tra democrazia e dittatura con Milei è molto appannata.
In un suo recente articolo lei accenna alla caduta di popolarità di Milei nel suo elettorato ma non allo sgretolamento della sua immagine, ci spiega meglio?
Ci sono diversi opinionisti che segnalano una caduta di popolarità dell’immagine di Milei. Bisogna dire in primo luogo che Milei non ha mai avuto un’immagine molto alta, iniziò la sua presidenza con 20 punti al di sotto di quella dei precedenti governi costituzionali. Perciò la caduta della sua popolarità parte da un tetto basso. C’è una caduta, effettivamente, quando si analizzano i dati, si vede che la sua immagine oggi non sta più sui 54-55 punti iniziali ma attorno ai 45, tuttavia continua a essere robusta la quantità di persone che ha l’aspettativa che il governo possa risolvere i loro problemi.
Che cosa succede nel suo elettorato, dunque?
Voglio precisare un paio di cose a questo riguardo. Il sostegno dell’immagine di Milei, nonostante l’aggressività della manovra correttiva, viene fondamentalmente dall’elettorato che gli trasferì Macri al ballottaggio, si tratta di un elettorato di classe medio alta e alta profondamente antiperonista e quindi con un tratto ideologico molto forte. Questo elettorato si sta adoperando per difendere la figura di Milei ed è un problema per Macri che viene abbandonato come referente principale. Il votante originale di Milei, quel 30% che gli permise di andare al ballottaggio, è nei segmenti medio bassi della società, che erano stati fortemente castigati dalle politiche tanto di Macri come del Frente de Todos (coalizione peronista kirchnerista, ndr): la struttura distributiva dei redditi che lasciò Cristina Fernández, la approfondì Macri, ma non la migliorò il peronismo successivamente. A questi settori medi vulnerabili la manovra di correzione di Milei sta modificando le condizioni materiali di esistenza. Perciò vi è un declino dell’immagine del presidente nel suo elettorato iniziale, che in parte continua ancora a sperare che Milei migliori le sue condizioni di vita, mentre il resto è deluso da quello che sta succedendo. In Argentina un paniere di povertà, senza l’affitto, vale 900 dollari e il salario medio è attorno ai 920 dollari. Molti settori che hanno votato Milei si trovano ora in una situazione di difficoltà pur lavorando. Perché in Argentina un reddito da lavoro regolare non garantisce di superare la soglia di povertà. La manovra correttiva di Milei colpisce perciò direttamente il suo elettorato inziale. Ma bisogna essere cauti, perché c’è un settore di questo elettorato che spera comunque che la situazione migliori, oltre all’esistenza del settore più abbiente con una connotazione fortemente antiperonista.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 12th, 2024 Riccardo Fucile
LA RIFORMA FATICA A ESSERE MESSA A TERRA PER LA MANCANZA DI PROCEDURE DEFINITE E PER MOLTI PROBLEMI INTERPRETATIVI… RISULTATO: I TECNICI COMUNALI TEMPOREGGIANO, ALTRI TORNANO AI MODULI CARTACEI, I PROFESSIONISTI ENTRANO IN CONFLITTO CON GLI UFFICI
Pronti, partenza, fermi. È il riassunto sul cosiddetto “Salva casa”, il provvedimento varato dal governo a maggio per sanare le difformità minori negli immobili, fortemente voluto dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini. Il problema è che a sentire tecnici, professionisti ed enti locali che devono metterla concretamente in pratica, la riforma sta faticando a essere messa a terra per la mancanza di procedure definite e per molti problemi interpretativi.
Risultato: tecnici comunali che temporeggiano, altri che tornano ai moduli cartacei, professionisti sollecitati dai privati che entrano in conflitto con gli uffici o decidono anche loro di prendere tempo. Ovviamente non ci sono scadenze, quindi non c’è fretta, ma l’incertezza sta complicando la vita a un settore, quello dell’edilizia, che già deve scontare il taglio ai vari bonus di incentivazione e anche le novità sull’aggiornamento catastale annunciati negli ultimi giorni dall’esecutivo.
(da la Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 12th, 2024 Riccardo Fucile
L’ALPINISTA, INSIEME A GEORGE MALLORY, SI ERA LANCIATO NELL’IMPRESA NEL 1924, MA I DUE MORIRONO DURANTE LA SCALATA: NON È CERTO SE SIANO RIUSCITI AD ARRIVARE IN CIMA ALLA MONTAGNA PRIMA DI PERDERE LA VITA
Lo scarpone è lì, in primo piano. È fatto di pelle, il tessuto si sta squamando ma i lacci
reggono ancora. Lo scarpone è di Andrew “Sandy” Irvine. L’uomo dietro è la persona che l’ha scoperto: il regista Jimmy Chin.
Andrew “Sandy” Irvine è uno dei nomi più noti nella storia dell’alpinismo. Insieme a George Mallory nel giugno del 1924 si era lanciato in un’impresa ancora mai tentata: scalare il Monte Everest, la vetta più alta del mondo. Nessuno c’era riuscito e da quello che sappiamo nessuno ci sarebbe riuscito fino al 1953, anno in cui Edmund Percival Hillary e lo sherpa Tenzing Norgay riuscirono ad arrivare alla vetta per la prima volta nella storia. O almeno, la prima volta documentata.
Tra tutti i tentativi organizzati nel corso della storia per raggiungere la vetta dell’Everest, quello di Andrew “Sandy” Irvine e del suo compagno di cordata George Mallory è tra i più misteriosi. Quello che è certo è che i due sono morti sull’Everest. Non è certo se i due siano riusciti ad arrivare in cima alla montagna prima di perdere la vita.
Lo scarpone è stato trovato dal regista Jimmy Chin, noto per il documentario Free Solo sulla storia dello scalatore Alex Honnold. Era sull’Everest per partecipare a una spedizione organizzata dal National Geographic. Forse ora verranno fatti dei test del DNA sui resti umani trovati insieme allo scarpone ma l’appartenenza è quasi certa: il calzino che si trovava al suo interno aveva ricamato A. C. Irvine.
Il corpo di Mallory era stato trovato nel 1999. Di Irvine era stata recuperata solo la piccozza, nel 1933. La cosa importante ora sarà studiare la posizione in cui è stato trovato lo scarpone di Irvine: al momento è stato reso noto che i resti di Irvine sono stati trovati nella parete Nord dell’Everest
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 12th, 2024 Riccardo Fucile
IL REPORT DELLA “ZOOLOGICAL SOCIETY OF LONDON” E DEL WWF: “LA SITUAZIONE È CATASTROFICA, ABBIAMO SOLO 5 ANNI PER EVITARE IL PUNTO DI NON RITORNO” … LA SCOMPARSA DEGLI ANIMALI È UNO DEI SEGNALI PIÙ TANGIBILI DELLA CRISI AMBIENTALE
Nello spazio di 50 anni, tra il 1970 e il 2020, è andato perduto il 73% delle popolazioni di animali selvatici dell’intero pianeta. […] Il calo più significativo, del’85%, si è registrato negli ambienti di acqua dolce; la fauna terrestre si è ridotta del 69%, quella marina del 56.
La conclusione che emerge dall’ultimo Living Planet Report, lo studio condotto dagli scienziati della Zoological Society of London e dal Wwf che monitora 35 mila popolazioni di 5.495 specie di mammiferi, pesci, anfibi e rettili, è che la situazione è «catastrofica».
Secondo i ricercatori abbiamo ancora una finestra di soli 5 anni per evitare di raggiungere i tipping point , i punti di non ritorno, ovvero situazioni per cui un ambiente ha un grado di compromissione tale da renderne irrecuperabile il declino. Alcuni più di altri: la degenerazione della barriera corallina, la progressiva deforestazione dell’Amazzonia, l’assottigliamento delle calotte glaciali.
Inquinamento, cambiamento climatico, surriscaldamento, pressione antropica: sono queste le cause delle mutazioni su scala globale, che potrebbero portare a conseguenze devastanti
La morte delle barriere coralline, così come l’innalzamento dei mari per effetto dello scioglimento dei ghiacci artici e antartici, porterebbe all’inondazione di molte terre costiere. La scomparsa delle foreste libererebbe nell’atmosfera grandi quantità di carbonio, con effetti inquinanti e sconvolgimenti meteorologici ancora più pesanti di quelli a cui stiamo già assistendo.
La scomparsa degli animali è però il segnale più significativo e tangibile del declino. Non tutto però è perduto. Si può ancora salvare l’ambiente, dicono gli scienziati, con opportuni interventi di mitigazione e di riconversione energetica. E si possono salvare anche gli animali.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »