Ottobre 28th, 2024 Riccardo Fucile
A GENOVA, CITTA’ DOVE E’ SINDACO, BUCCI VIENE STACCATO DA ORLANDO DI 9 PUNTI, CHI LO CONOSCE NON LO VOTA… IL PD PRIMO PARTITO VOLA AL 29%, FDI DIMEZZA I VOTI DELLE EUROPEE DI POCHI MESI FA… ORLANDO PERDE GRAZIE AI GRILLINI (COME AL SOLITO) CHE SONO RIMASTI A CASA DOPO AVER IMPEDITO AI RENZIANI DI FARE UNA LISTA CIVICA… E’ ORA DI FINIRLA DI BLANDIRE I CITTADINI CHE SI ASTENGONO (54% DI ASTENUTI): ORA VI PAGHERETE LE VISITE MEDICHE DAI PRIVATI E SE SARETE PIU’ POVERI SARANNO CAZZI VOSTRI
Con circa 550.000 voti espressi, la partita in Regione Liguria si è decisa per circa 6.000 voti di
distacco tra Bucci e Orlando, circa l’1% (48,6% contro 47,5% quando sono state scrutinate oltre il 90% delle sezioni). Il tutto dopo ore di continui ribaltamenti di fronte e con Orlando spesso in testa.
Sintetizziamo: Bucci viene sconfitto nella provincia di Spezia di 5 punti percentuali, perde clamorosamente a Genova, città di cui è sindaco con 9 punti di distacco da Orlando, perde anche in provincia di Genova e si impone nel Savonese solo con il 3% di vantaggio.
Vince grazie alla provincia di Imperia che gli garantisce un divario del 25% grazie all’apporto di Claudio Scajola, sindaco di Imperia, eterno ras del Ponente ligure.
Ma vediamo i risultati dei partiti.
Vince sicuramente il Pd di Elly Schlein che arriva a sfiorare il 29% guadagnando altri 3 punti rispetto alle Europee in Liguria di pochi mesi fa e diventando il primo partito in Regione.
Reggono bene Avs e Calenda (6,2% e 1,7%), crolla il M5S che scende dal 10% al 4.6%. Come al solito quando si tratta di votare un candidato non loro se ne stanno a casa. Per non dire del contributo allo sfascio dato da Beppe Grillo con continue polemiche che ha fatto rimanere a casa molti elettori grillini sconcertati.
Dopo aver impedito a Orlando di far aderire alla coalizione i renziani che si sarebbero accontenati di una lista civica senza il loro simbolo, i primi a tradire sono stati loro (come avevamo ampiamente preventivato)
Calenda ha portato circa 9.000 voti, una cifra simile avrebbe portato una lista “renziana” ( Bucci ha vinto per meno voti), ma qualcuno ha preferito perdere, un film già visto.
Quanto ai liguri astensionisti (ha votato solo il 46%) sarebbe ora che i politici, invece di stare sempre a “giustificarli”, dicessero chiaramente: “chi tace è complice, poi non venite a lamentarvi se dovete pagare la sanità privata o non vi potete curare, cazzi vostri”.
Urge terapia d’urto, i politici “non sono tutti uguali”, siete voi che siete tutti uguali nella vostra ignoranza delle regole democratiche. E allora tenetevi le opere utili solo a chi ci guadagna, le funivie ridicole, le liste d’attesa di un anno, le feste di capodanno elargite al popolino con i soldi pubblici.
Tra pochi mesi si voterà per il nuovo sindaco di Genova: mi raccomando state a casa, così potrete favorire l’erede al trono giè investito da Bucci e Toti.
Per fortuna c’e’ una parte sana della città che ha dato uno schiaffone a Bucci facendolo perdere nella città che male amministra, una figura di merda per il neo presidente non avere il consenso dei genovesi.
Perchè la morale di queste elezioni è semplice: chi lo conosce non lo vota.
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Ottobre 28th, 2024 Riccardo Fucile
IL PROFESSORE, EX ISCRITTO AL MSI, FA A PEZZI IL NUOVO RESPONSABILE DELLA CULTURA… “MELONI E’ UN’AMICA MA NON LA PENSO COME LEI: IO SONO SOCIALMENTE DI SINISTRA, PER LA PALESTINA E ANTI-NATO”
Il professor Franco Cardini è uno storico e un saggista. È stato iscritto al Movimento Sociale Italiano dal 1953 al 1965. E quindi nessuno può tacciarlo di sinistrismo.
In un’intervista a La Stampa oggi spiega che ha letto il curriculum del nuovo ministro della cultura del governo Meloni. E di Alessandro Giuli ha capito una cosa: «Ha buoni rapporti di amicizia con familiari della presidente».
Perché Giuli «è un signore di quasi 50 anni che si sta laureando dopo un lungo letargo, chissà, forse la nomina gli ha dato una febbre culturale». Mentre il discorso sulle linee programmatiche è «il classico giochetto di quando un semicolto sfoggia un lessico giudicato difficile – quindi “colto” – davanti ad altri semicolti», dice a Francesca Schianchi.
Il curriculum di Giuli e l’amicizia con Arianna Meloni
Cardini prosegue spiegando la raffinatissima tecnica di Giuli e di quelli come lui: «Ci mette parole impegnative per sembrare meno semicolto di loro. È una tecnica che noi insegnanti conosciamo da decenni».
D’altro canto, spiega lo storico, si può parlare di destra e cultura «se si ha una inclinazione al sadomasochismo». Perché secondo lui questo governo «soffre di un handicap congenito: è segnato dalla sua discendenza, sia pure lontana, da un partito esplicitamente neofascista». Meloni, che è «una donna intelligente e competente», questa radice «la conosce, e sa di avere i fucili puntati contro. Deve sapere anche che ogni sua nomina sarà passata ai raggi X. Dovrebbe avere il coraggio di puntare alla qualità e al merito. Invece resta nel suo pollaio che è – con qualche eccezione – un deserto».
Il deserto culturale della destra italiana
Su Giuli l’analisi di Cardini è impietosa: «Dico che il suo curriculum presenta aspetti di debolezza e che non lo definirei esattamente un uomo di cultura. Ci sono a disposizione persone di valore che potrebbero collaborare con questo centrodestra». Per esempio, dice, il suo amico Ernesto Galli della Loggia, che «sta scrivendo un libro sulla città di Roma. O Carlo Ossola, che presiede l’Istituto Enciclopedia italiana: io una telefonata gliel’avrei fatta. Probabilmente avrebbe detto di no, ma perché non provare?». Lui invece si chiama fuori: «Stimo Giorgia, un’amica, le voglio bene. Sa che, come avversario acerrimo della Nato, filomusulmano e socialmente parlando comunista, non potrei mai accettare».
L’egemonia culturale
Cardini dice che l’egemonia culturale si cambia «lavorando sul piano culturale, ma forse mancano gli strumenti. Per esempio, quando hanno tirato fuori la pensata di fare una mostra sul Futurismo, se fossi un membro dell’élite di Fratelli d’Italia avrei detto loro: ma già siamo nell’occhio del ciclone perché ci accusano di essere eredi del neofascismo, ma è il caso di fare una mostra sul futurismo? ». Forse era meglio farne una «sulle conseguenze della decolonizzazione, un processo a come è degenerata l’etica dell’Occidente, per cui siamo andati in giro per il mondo a portare cultura e democrazia ma mai benessere. O sullo sviluppo dell’estetica nel secolo della crisi delle religioni». E ancora: «Mi viene in mente quando, ai tempi di Berlusconi, la destra volle fare una mostra su D’Annunzio. Se la destra va al governo e fa mostre su Tolkien e D’Annunzio, rischia di dare l’impressione che sa suonare solo una tastiera».
(da La Stampa)
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Ottobre 28th, 2024 Riccardo Fucile
LA PRIMA PARTITA DA CHIUDERE: TROVARE UN NUOVO CAPO DI GABINETTO, DOPO LA CACCIATA DI FRANCESCO GILIOLI E I NOVE GIORNI DI SPANO. PER IL POSTO SAREBBE STATA CONTATTATA CRISTIANA LUCIANI, MOGLIE DI LUCA SBARDELLA, DEPUTATO DI FDI. MA L’AVVOCATA NON HA DATO LA PROPRIA DISPONIBILITÀ
La notizia arriva nel tardo pomeriggio, quando mancano poche ore alla puntata di Report che
da giorni fa tremare le mura del Collegio Romano: la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro della Cultura Alessandro Giuli si sono visti per un lungo pranzo domenicale. Circa tre ore.
Da Palazzo Chigi filtrano poche informazioni.
La scelta delle parole punta con cura a blindare la posizione del ministro: l’incontro è stato «conviviale e sereno», precisa lo staff della premier, i due «sono stati bene», hanno mangiato e poi discusso «del programma del ministero per i prossimi tre anni». Per i prossimi tre anni. L’orizzonte temporale – la fine della legislatura – viene ripetuto e sottolineato.
Il messaggio della presidente del Consiglio è chiaro: Giuli non va da nessuna parte.
Dopo le rassicurazioni della sorella Arianna Meloni a La Stampa («Fratelli d’Italia sostiene il ministro»), la premier tenta di archiviare in fretta la settimana che ha portato l’inquilino del Collegio Romano sull’orlo del precipizio: le dimissioni del capo di gabinetto Francesco Spano, i veleni interni al partito, le liti avvenute davanti agli occhi dei giornalisti, le voci sul neo-ministro già esasperato e tentato dal passo indietro. Meloni ha percepito un rischio reale e ha cambiato strategia.
Fino a mercoledì scorso, il giorno delle dimissioni di Spano, aveva fatto di tutto per tenersi fuori dalla vicenda: «Non me ne sono occupata, non ho incontrato Giuli».
Ma lo stillicidio quotidiano ha continuato ad alimentare la frana e la leader di Fratelli d’Italia è scesa in campo personalmente per mettere al sicuro il neo-ministro.
Non a caso, lo ha fatto nello stesso giorno in cui Report ha mandato in onda una lunga inchiesta sulla crisi del ministero della Cultura negli ultimi mesi, dalla gestione Sangiuliano alle grane del successore:
Meloni vuole far capire che bisogna andare avanti, pensare alle cose da fare. Tante, perché il Collegio Romano è congelato da mesi, sospeso nel tempo dell’incertezza fra uno scandalo e l’altro, un ministro e l’altro.
La lista è lunga. Secondo un approfondimento del Sole 24 ore, al momento, un terzo dei musei autonomi – 21 su 67 – è senza direttore. Fra questi, ci sono siti di massima rilevanza: il Parco Archeologico del Colosseo, il polo accorpato della Galleria dell’Accademia e di Musei del Bargello a Firenze, il Museo archeologico nazionale di Napoli, il complesso che raggruppo Pantheon e Castel Sant’Angelo e il Complesso Monumentale della Pilotta a Parma. I tempi sono lunghi, ogni bando richiede almeno sei mesi. La situazione rischia di trascinarsi fino a metà del prossimo anno.
E poi ci sono gli effetti collaterali della lunga gestazione della riforma sul tax credit: il settore è rimasto bloccato per mesi, i decreti attuativi sono arrivati meno di dieci giorni fa. Al ministero stimano che il ritardo abbia fatto perdere a Cinecittà il 60 per cento delle produzioni solo da gennaio a giugno 2024. Nel frattempo, anche il MiC deve versare il proprio obolo alla manovra: un 5 per cento di tagli su 3, 5 miliardi, un bilancio già piccolo rispetto agli altri dicasteri.
La prima partita da chiudere sarà quella delle nomine all’interno del Collegio Romano. Il ministro ha una scadenza indicata da Palazzo Chigi: non più tardi di dicembre. La priorità è trovare un nuovo capo di gabinetto, dopo la cacciata di Francesco Gilioli e i nove giorni lampo di Francesco Spano. Per il posto sarebbe effettivamente stata contattata Cristiana Luciani, che lavora Garante della Privacy ed è moglie di Luca Sbardella, deputato di FdI. Ma l’avvocata non avrebbe dato la propria disponibilità, secondo fonti del ministero della Cultura. E come lei, altri funzionari si starebbero tenendo alla larga dal ruolo, intimoriti dalla velocità con il quale sono stati bruciati i predecessori.
Di certo, per ora, più che un programma Giuli ha cominciato a definire un manifesto: «Vorrei smettere di dire che c’è un centro di ricchi e una periferia di poveri senza cultura, – ha detto in un’intervista su Rai Radio 3 – fare in modo che tutti possano occuparsi di cinema, spettacolo e arti sapendo che non ci può essere diaframma ideologico in questi temi e, soprattutto, vorrei abbassare la conflittualità». A chiudere, una nota auto-ironica, una risata accennata: «Quindi probabilmente fallirò».
(da agenzie)
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Ottobre 28th, 2024 Riccardo Fucile
PAZZALI CHIEDEVA NOTIZIE SUL GIRO DI LETIZIA MORATTI, AVVERSARIO ALLA REGIONE DI ATTILIO FONTANA… “DOMANI”: “ADESSO GIORGIA MELONI, CHE PARLA DA MESI DI COMPLOTTI DEI MEDIA E DELLA SINISTRA, CHIEDERÀ ALLA COMMISSIONE ANTIMAFIA DI SENTIRE RONZULLI E SANTANCHÈ, PURE LEI CITATA NELLE CARTE?”
«Dossieraggio illegale, anche per conto e nell’interesse di appartenenti al mondo politico». Ai pubblici ministeri della procura di Milano è chiaro lo “scopo associativo” del gruppo che dagli uffici di via Pattari avrebbe prelevato migliaia di informazioni da banche dati strategiche. «Ricattare, estorcere, condizionare gli avvenimenti politici», scrive chi indaga.
Non mancano nelle oltre mille pagine dell’atto di accuse dei pubblici ministeri riferimenti ai “clienti” politici, ossia partiti o singoli esponenti, della presunta associazione a delinquere. Un dato quest’ultimo che emerge dalle intercettazioni captate tra il presidente della Fondazione Fiera, Enrico Pazzali, e il “super poliziotto” Carmine Gallo, entrambi legati alla Equalize srl, al centro del fascicolo d’indagine.
«Mi controlli un nominativo di una signora che mi ha girato Forza Italia?», chiedeva il manager meneghino all’ex ispettore. Solo più tardi Pazzali rivelerà che ad avergli chiesto l’informazione in questione sarebbe stata la senatrice forzista Licia Ronzulli, berlusconiana di primissimo piano, fino all’avvento di Antonio Tajani la più vicina al Cavaliere. «Mi arriva, mi arriva dalla Ronzulli, mi fa un po’ paura», prosegue ancora Pazzali. Il report che sarebbe stato richiesto verte, pertanto, su tale «Simona Gelpi, di Autogrill».
Lo scopo di Pazzali è anche capire se Gelpi abbia avuto coinvolgimenti «in qualche roba con Berlusconi». «No, no, no, non ha mai fatto nulla da giovane, si è sempre occupata di comunicazione», precisa Gallo che dice pure di esserne certo perché possiede un rapporto completo sulle cosiddette “olgettine”.
Perché dunque Ronzulli avrebbe chiesto informazioni sulla donna? A questo giornale la senatrice, una volta contattata, mostra subìto un certo nervosismo: «Siete dei cialtroni», è la prima parte del suo commento. Solo dopo in qualche modo fa una mezza ammissione: «E se avessi chiesto di controllare sarei stata a conoscenza degli illeciti commessi? No. Ho saputo della cosa ieri dai giornali», aggiunge.
A ogni modo l’uso delle informazioni illecitamente raccolte serve anche per ottenere «notizie sul conto dei competitors politico-economici dello stesso Pazzali e di soggetti politicamente legati a quest’ultimo».
Un esempio? Attilio Fontana, governatore leghista della regione Lombardia, vicino al manager di Fondazione Fiera. Così vicini che è lo stesso Fontana a richiamare Pazzali a Milano e promuoverlo al vertice della Fondazione dopo che aveva lasciato Fiera di Milano spa coi bilanci in rosso.
A ottobre 2022, Pazzali aveva contattato Gallo con un obiettivo: voleva «acquisire eventuali notizie pregiudizievoli sul conto di qualcuno dei componenti del Consiglio Direttivo di Lombardia Migliore che, anche attraverso il sito “lombardiamigliore.it”, promuove la candidatura di Letizia Moratti quale futuro Presidente della Regione Lombardia».
Il manager chiedeva, insomma, notizie contro gli avversari di Fontana. E in particolare, si legge nella richiesta dei pm, cercava informazioni su Marco Tizzoni. Tizzoni è l’ex leghista che presentò a Milano l’esposto in cui era adombrato il sospetto che l’Associazione Maroni Presidente «fosse stata tenuta nascosta ai consiglieri dovendo servire quale soggetto occulto di intermediazione finanziaria in favore della Lega o di terzi».
Un report, in altre parole, quello contro Moratti che allo stesso tempo avrebbe potuto colpire il “grande accusatore” del partito del Carroccio. In un altro caso relativo a un altro dossier da confezionare, Pazzali lasciava intendere che la richiesta arrivava direttamente dal governatore Fontana: «Attilio mi chie…Fontana mi chiede». I pm però scrivono che al momento non c’è alcuna prova dell’«effettivo coinvolgimento» del presidente.
(da Domani)
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Ottobre 28th, 2024 Riccardo Fucile
GIULI CHIEDE AIUTO DALLA PREMIER CONTRO GLI “ASSALTI” DEL SUO “GENIO” FAZZO, IL PARAGURU DEL “PENSIORO SOLARE” NON CI PENSA PROPRIO DI DIVENTARE UN BURATTINO IN MANO AL SOTTOSEGRETARIO … ARRIVA IL COMPROMESSO: L’EREDE DI SPANO SARÀ PESCATO IN UNA ROSA DI ALTISSIMI FUNZIONARI DELLO STATO, “TERZI” RISPETTO AI DUE CONTENDENTI, MA COMUNQUE DOVRÀ RICEVERE L’AVALLO DI PALAZZO CHIGI
Un pranzo in famiglia. Per restituire il senso di un legame antico. Lanciare un messaggio
chiaro ai naviganti: Alessandro Giuli non si tocca. Chi, dentro e fuori Fratelli d’Italia, pensava di farlo fuori dovrà fare i conti con lei. Con Giorgia Meloni in persona. Che dopo la blindatura della sorella Arianna, è scesa direttamente in campo per far quadrato intorno al ministro della Cultura, notificare ad amici e avversari che la copertura di Palazzo Chigi è totale.
Senza distinguo. E se ai piani alti del governo c’è qualche sottosegretario che ancora storce il naso, contrario sin dal principio alla sua nomina e poi entrato in assetto di guerra, dovrà farsene una ragione.
Un paio d’ore. Tanto è durato «l’incontro conviviale» fra la presidente del Consiglio e il successore di Gennaro Sangiuliano. Ufficialmente per parlare delle iniziative e dei progetti in cantiere al Mic da qui alla fine della legislatura, in realtà per sciogliere i nodi che tengono in stallo uno dei dicasteri più strategici, quello della rivoluzione culturale vagheggiata dal partito di maggioranza relativa. Primo fra tutti, la squadra, che Giuli ha ribadito di voler scegliere in piena autonomia: «Non accetterò alcuna forma di commissariamento », ha ripetuto all’amica premier.
Chiedendo aiuto contro gli “assalti” di Giovanbattista Fazzolari, il di lei braccio destro, che il ministro sospetta in combutta con il capo della segreteria tecnica al ministero, Emanuele Merlino, per metterlo sotto tutela. Controllarlo. Piazzandogli accanto un capo di gabinetto di loro fiducia, anziché sua.
Meloni prova a spiegargli che dopo il brutale licenziamento di Francesco Gilioli e lo scivolone su Francesco Spano, dimessosi dopo dieci giorni a causa di una feroce campagna condotta dalle associazioni pro-vita e dei forti malumori interni a FdI, non si può più sbagliare. Ma Giuli è categorico. Non intende fare il re travicello.
Finisce con una sorta di mediazione: il vertice degli uffici di diretta collaborazione sarà pescato in una rosa di altissimi funzionari dello Stato, “terzi” rispetto ai due contendenti, ma comunque dovrà ricevere l’avallo di Chigi. Stavolta il neo-ministro non potrà fare di testa sua.
(da La Repubblica)
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Ottobre 28th, 2024 Riccardo Fucile
IL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE SI STA SMANTELLANDO: LA MANOVRA PREVEDE SOLO 1,3 MILIARDI PER LA SALUTE, CHE SERVIRANNO A MALAPENA A FINANZIARE I NUOVI CONTRATTI DEL PERSONALE…LA MELONI DICE “NON SONO MAI STATE STANZIATE COSÌ TANTE RISORSSE SULLA SANITÀ”, MA È SOLO PROPAGANDA. E MEDICI E INFERMIERI SCENDONO IN PIAZZA
Con la legge di bilancio 2025, l’articolo 32 della Costituzione rischia di essere ancora una volta tradito. L’universalismo, l’uguaglianza e l’equità del nostro Sistema sanitario nazionale saranno ulteriormente minati dalla manovra che, al di là dei proclami di Giorgia Meloni – “non ci sono mai state così tante risorse sulla sanità” – stanzia fondi assolutamente insufficienti secondo tutte le principali associazioni di categoria.
Alle Regioni resteranno solo due opzioni: o tagliare altri servizi garantiti ai cittadini o alzare le tasse, aumentando l’addizionale Irpef. Il 20 novembre, lo sciopero nazionale di 24 ore di medici, infermieri e professionisti sanitari, proclamato dai sindacati Anaao Assomed, Cimo-Fesmed e Nursing Up, servirà a far rendere conto a decisori politici e cittadini cosa vuol dire vivere in un Paese in cui non esiste più la sanità pubblica.
I professionisti sanitari incroceranno le braccia per 24 ore e si ritroveranno a Roma per una manifestazione a cui sperano possano partecipare anche tanti cittadini.
“Protestiamo per il diritto alla salute di tutti”, spiega a Ilfattoquotidiano.it Pierino Di Silverio, segretario nazionale di Anaao Assomed. “Per questo invitiamo i cittadini con noi in piazza, speriamo si possa instaurare un rapporto di complicità. Ci fermiamo per un giorno per non fermarci per sempre”.
Dopo gli annunci iniziali che parlavano di risorse complessive superiori ai 3 miliardi, la manovra prevede per la sanità solo 1,3 miliardi, sufficienti a malapena a finanziare i rinnovi dei contratti del personale.
“Già in condizioni di normalità le risorse stanziate sarebbero insufficienti. Nell’emergenza in cui viviamo non sono solo inique, sono inutili, soprattutto perché sono diluite negli anni”, commenta Di Silverio.
In ogni caso, secondo Anaao, indipendentemente dalla quantità di fondi stanziati, la finanziaria non affronta le priorità del Ssn: “Non si investe sui professionisti, né sull’integrazione della medicina del territorio con quella ospedaliera, né c’è la volontà di ammodernare il Sistema o renderlo più credibile agli occhi del cittadino. Non c’è traccia di norme sulla depenalizzazione dell’atto medico, né risorse per riorganizzare la sicurezza dei professionisti sanitari”, elenca Di Silverio. “L’unica a uscire trionfante da questa manovra è la sanità privata”.
Come sottolineato anche da un’analisi della Fondazione Gimbe, le risorse stanziate non consentiranno di mettere in pratica il piano straordinario di assunzioni di medici e infermieri di cui avrebbe bisogno il Ssn e che il ministro Orazio Schillaci aveva promesso. Né tantomeno permetteranno di eliminare il tetto di spesa per il personale sanitario, contrariamente a quanto previsto dal decreto legge sulle liste di attesa.
Ma “il piano di assunzioni sarebbe stato comunque inutile”, commenta Di Silverio. “I concorsi già oggi si fanno ma vanno deserti. Prima bisogna rendere appetibile la professione, valorizzare chi sceglie di lavorare nel pubblico. Invece otteniamo solo aumenti di stipendio risibili”. Il riferimento è all’indennità di specificità medica sanitaria inserita nella manovra: nel 2025, 17 euro netti al mese per i medici e 14 euro per i dirigenti sanitari; l’anno successivo, 115 euro per i medici e zero per i dirigenti sanitari. Ma ancora peggio è andata agli infermieri, i professionisti sanitari che più scarseggiano nel nostro Paese.
Nelle loro tasche entreranno (forse) circa sette euro nel 2025 e 80 nel 2026. L’uso del “forse” è d’obbligo perché, come specifica il presidente di Anaao Assomed, le indennità, sia per i medici che per gli infermieri, arriveranno soltanto dopo la firma dei contratti nazionali validi per il triennio 2025-2027. Contratti la cui discussione, nella migliore delle ipotesi, comincerà tra due anni. Prima, infatti, le parti sociali dovranno firmare il contratto nazionale precedente, quello del triennio 2022-2024, che scadrà tra poco più di due mesi e su cui ancora non c’è accordo.
Senza assunzioni sarà impossibile ridurre il carico di lavoro dei dipendenti e migliorare le condizioni, oggi proibitive, di chi opera negli ospedali. “Ogni anno il Mef, con i suoi burocrati, continua a mettere tagliole alla sanità. Mentre i soldi per altro si trovano sempre. Penso, negli ultimi due anni, a Telecom o al mondo del calcio”, commenta Guido Quici, presidente di Cimo-Fesmed […]: “È una presa in giro aumentare di tre euro le pensioni minime e poi costringere le fasce più povere della popolazione a spendere centinaia di euro per visite mediche private e analisi altrimenti inaccessibili nella sanità pubblica”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Ottobre 28th, 2024 Riccardo Fucile
LA TRANSAZIONE FU CHIUSA NEL 2017 A UN PREZZO DI 10,8 MILIONI DI EURO, 3,2 IN MENO RISPETTO A UNA PRECEDENTE VALUTAZIONE…LO “SCONTO” SAREBBE DOVUTO A UNA TRATTATIVA PARALLELA (POI SALTATA) PER L’ACQUISTO DI TERRENI DI PROPRIETÀ DEL SINDACO, LUIGI BRUGNARO, A MARGHERA…L’INCHIESTA PENALE E L’IPOTESI DI DANNO ERARIALE
Il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, l’ex vicesindaco Luciana Colle, il vicesindaco attuale
Michele Zuin, altri cinque assessori e un drappello di funzionari comunali, sono finiti nel mirino della sezione giurisdizionale della Corte dei Conti del Veneto.
La causa è costituita dalla vendita di Palazzo Poerio Papadopoli (non lontano da piazzale Roma) al magnate di Singapore Ching Chiat Kwong, avvenuta nel 2017 per un prezzo di 10,8 milioni di euro, ridotto di 3,2 milioni rispetto ai 14 milioni di una precedente valutazione confortata da un voto del consiglio comunale.
Il prezzo, considerato di favore, rientrava nella complessa trattativa (poi non andata in porto) per l’acquisto dei terreni a Pili di proprietà del sindaco a Marghera, a cui Ching era interessato. Secondo la Procura della Repubblica di Venezia la vendita nascondeva una corruzione, contestata a Brugnaro, a mister Ching, all’assessore al patrimonio Renato Boraso (per aver intascato una parcella da 60 mila euro più Iva) e ad altri personaggi che ruotavano attorno al Comune.
È l’onda lunga, sul piano contabile, dell’inchiesta penale con la retata dello scorso luglio che ha portato in carcere Boraso, oltre ad alcuni imprenditori, e ha svelato la ragnatela di interessi del sindaco Brugnaro nella gestione del Comune.
Il pubblico ministero contabile Francesca Cosentino ha notificato a 16 persone un atto di costituzione in mora al fine del risarcimento del danno erariale, patrimoniale e non patrimoniale, arrecato dalla cessione sotto-prezzo del palazzo.
L’ipotesi è di una minusvalenza di 3,2 milioni di euro, oltre al danno d’immagine al Comune a seguito dell’inchiesta penale, che però dovrà arrivare a una sentenza prima di avere effetti su eventuali risarcimenti da parte dei pubblici ufficiali allo Stato.
Il comune di Venezia si è affrettato a emettere un comunicato in cui ostenta sicurezza: “L’atto di costituzione in mora si pone sostanzialmente quale atto dovuto conseguente all’indagine penale in corso, ai fini interruttivi della prescrizione dell’azione di responsabilità erariale, la quale sarà comunque ragionevolmente condizionata dagli esiti definitivi dell’eventuale giudizio penale ancorato al medesimo fatto”
Basta leggere la contestazione per capire, però, come la vicenda non sia tranquillizzante per gli amministratori. Chiamati in causa sono innanzitutto il sindaco Luigi Brugnaro, poi il capo di gabinetto e il direttore generale del Comune, Morris Ceron e Derek Donadini, quindi l’assessore Renato Boraso (ancora detenuto per tangenti).
L’elenco è completato dagli altri assessori che l’8 novembre 2017 firmarono la delibera di giunta che riduceva da 14 a 10,8 milioni di euro il valore del palazzo. Si basava su una stima tecnica e aveva avuto il consenso del vicesindaco Luciana Colle, nonché degli assessori Massimiliano De Martin, Paolo Romor, Simone Venturini, Francesca Zaccariotto e Michele Zuin (attuale vicesindaco). A salvarsi sono solo due assessori, che erano assenti: Giorgio D’Este e Paola Marra.
La Corte dei Conti ricostruisce l’inchiesta penale in corso e le denunce in sede politica. In particolare ladiffida del “Gruppo 25 Aprile Venezia” di Marco Gasparinetti, che siede in consiglio comunale. La diffida era indirizzata a Brugnaro e al dirigente Barison del settore Beni demaniali e patrimoniali. Per conoscenza era stata interessata anche la Procura contabile. Per alcuni anni non è accaduto nulla, finché all’inizio del 2024, con le richieste di custodia cautelari poi sfociate nell’arresto di Boraso e nelle contestazioni a Brugnaro, è stato aperto un fascicolo contabile, assegnato alla guardia di Finanza.
Il sindaco ha difeso la bontà dell’affare, che secondo lui era servito per “far cassa”, vista la mancanza di liquidità del Comune. Dalle carte dell’indagine penale emerge invece un’altra verità, che ora la Procura contabile fa propria, ricordando i rapporti opachi con l’imprenditore asiatico, la gestione considerata “privatistica” dell’amministrazione pubblica, i sospetti di una scarsa autonomia del cosiddetto “Brugnaro blind trust”, istituito dal sindaco dopo l’elezione, a fine 2017, per rimuovere eventuali rischi di conflitto di interesse.
La procura della Corte dei Conti fa riferimento a un coinvolgimento diretto del sindaco Brugnaro e di altri soggetti pubblici tra cui Ceron e Donadini, oltre a Boraso, che all’epoca era assessore al patrimonio. Anzi i 60 mila euro di parcella, a cavallo della compravendita, vengono bollati come una “tangente” per aver favorito l’operazione commerciale.
La Corte dei Conti descrive il clima di “corruzione ambientale” esistente all’interno degli uffici comunali, caratterizzato da omertà diffusa e dalla sottomissione agli interessi privati del sindaco soprattutto nei settori chiavi dell’urbanistica, dell’edilizia, delle gare di evidenza pubblica.
Inoltre, “le finalità illecite perseguite dal sindaco e dei suoi collaboratori sono stati raggiunte anche grazie al contributo fattivo di alcuni dirigenti e funzionari del Comune che, senza opporsi alle pressioni esercitate dal primo cittadino e dai suoi collaboratori, hanno orientato l’azione amministrativa nella direzione da costoro voluta”.
L’addebito ai componenti della giunta del 2017 riguarda la delibera 261, adottata “senza avere adeguatamente ponderato, né motivato le ragioni della diminuzione di prezzo del palazzo” che soltanto un anno prima con la delibera 339 risultava valorizzato per una cifra ben più elevata”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Ottobre 28th, 2024 Riccardo Fucile
“SARANNO ALMENO 6 ANNI CHE IL COMPAGNO DI SPANO RICEVE DAL MAXXI L’INCARICO COME CONSULENTE LEGALE DEL MUSEO”…LE PRESSIONI SUI CURATORI DELLA MOSTRA DEL FUTURISMO: “CHI NON SI ADEGUA RISCHIA. LORO DICONO DI ESSERE LO STATO…”
“Francesco Spano era il fedelissimo di Giovanna Melandri. Quando arrivò Giuli fece una giravolta di 360 gradi e diventò l’uomo di fiducia di Giuli, anzi la sua eminenza grigia dentro al Maxxi. Era Spano che decideva tutto. Perché Giuli gli ha dato tutto questo spazio? Perché non sapeva come gestire un museo. Nel discorso che fece a noi dipendenti quando arrivò disse: sono qui per imparare”.
Lo dice una dipendente del Maxxi intervistata da Report dove aggiunge: “Saranno almeno 6 anni che il compagno di Spano riceve dal Maxxi l’incarico come consulente legale del museo”. E alla domanda se da quando Spano era tornato fosse stata dichiarata questa potenziale incompatibilità, la dipendente risponde: “Che io sappia no”.
L’autore dell’inchiesta, Giorgio Mottola, quindi ricorda: “nel 2017 Quando Spano si dimette dall’ufficio antidiscriminazione va a lavorare per la Human Foundation, fondazione di Giovanna Melandri. L’anno dopo la Human Foundation offre un incarico di consulenza legale anche all’avvocato di Spano, Marco Caranabuci.
Che nel medesimo periodo ottiene una nomina a consulente legale anche dal Maxxi, allora presieduto da Giovanna Melandri. Caranabuci fino ad oggi ha sempre ottenuto il rinnovo della consulenza legale da parte del Maxxi anche quando nel 2022 Francesco Spano, è stato richiamato a fare il segretario del Museo durante la presidenza di Giuli”.
Dall’aquila sul petto di Giuli al profondo segno sulla testa del predecessore Sangiuliano, che sembra inferto dall’artiglio d’un tremendo rapace. In mezzo, molte cose che fanno tremare di nuovo il ministero della Cultura, tra gli scricchiolii sui cocci della vicenda Boccia-Sangiuliano che ai primi di settembre aveva portato alle dimissioni dell’ex direttore del Tg2, sostituito da Alessandro Giuli.
Eccolo dunque il servizio tanto atteso di Report sul vecchio e nuovo corso del Mic, le cui anticipazioni sono bastate a provocare le dimissioni del capo di gabinetto di Giuli Francesco Spano per una consulenza di troppo al marito, a nove giorni dall’incarico e quattro dalla messa in onda.
Il servizio firmato da Giorgio Mottola parte dal tatuaggio sul petto del nuovo ministro, ne indaga gli anni giovanili e le frequentazioni neonaziste con il fondatore di Meridiano Zero, Rinaldo Graziani, figlio del fondatore di Ordine Nuovo, con un côté d’influenze esoteriche e neopagane. Lo stesso Graziani ricorda come Giuli fosse una delle “figure brillanti, altrimenti chi mai vorrebbe darei un ministero se non ha una figura brillante”.
Poco brillante è però l’immagine che esce dalla ricostruzione delle sfortunate vicende della mostra “Il tempo del Futurismo” di cui anche il Fatto si è molto occupato, raccogliendo già il 4 ottobre lo sfogo di uno dei “defenestrati” dal nuovo corso, Massimo Duranti, che aveva parlato di “un altro caso Boccia”, per via della cacciata giustificata dall’assenza di un contratto
Versione che a Report confermano altri componenti del Comitato scientifico che hanno lavorato un anno per poi essere soppiantati di fatto da un comitato organizzatore composto dal direttore dei musei Massimo Osanna, dalla direttrice della galleria nazionale GNAM Cristina Mazzantini e dal presidente del Maxxi Alessandro Giuli che diventerà ministro.
Sangiuliano in persona, Giuli e molti altri decidevano cosa inserire nell’esposizione, confermano storici e critici di levatura come Fabio Benzi e Giancarlo Carpi. A gennaio viene inserito nel comitato scientifico Federico Palmaroli, in arte Osho, vicinissimo alla Meloni e vignettista de Il Tempo, anche lui attivo nelle proposte e richieste.
Il curatore Gabriele Simongini mostra anche le chat di alcuni membri in cui si lamentano le pressioni di un gallerista romano, Fabrizio Russo, con forti simpatie a destra, che negherà di esser stato il “Gran Burattinaio” ma, sostiene il cronista, sarà l’unico gallerista privato a esporre proprie opere con una rivalutazione del valore dal 20 al 50%.
Lo stesso farà Federico Mollicone, presidente della commissione Cultura alla camera, tirato in ballo per il suo attivismo sulla mostra. Tra tagli e pressioni, alla fine i primi curatori vengono estromessi e delle 650 opere selezionate ne restano 300.
Lo stesso capo segreteria di Sangiuliano Emanuele Merlino informa i curatori della prima ora che dopo un anno e mezzo di collaborazione, in cui ha avuto accesso a rapporti con i musei di tutto il mondo e a collezionisti privati a nome del Ministero, devono fare un passo indietro perché non c’è alcun contratto firmato. Simongini, l’unico a restare, avverte tutti: “Chi non si adegua rischia… loro dicono di essere lo Stato”. La mostra sul Futurismo doveva essere il più grande evento culturale del governo Meloni, si è rivelata finora un pasticciaccio infarcito di gaffe, conflitti di interesse e piccoli scandali. Non a caso la sua apertura è slittata al 2 dicembre.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Ottobre 28th, 2024 Riccardo Fucile
L’INCHIESTA DI MILENA GABANELLI PER IL CORRIERE DELLA SERA
L’assistenza territoriale che ruota intorno alla figura del medico di medicina generale (Mmg)
da anni mostra voragini, ma non cambia nulla. Per capire il perché è necessario rispondere ad alcune domande. Quali sono gli interessi della Fimmg, che riunisce il 63% dei professionisti iscritti al sindacato? Che cosa c’entra il medico di famiglia, da cui ciascun paziente deve transitare per ogni necessità di salute, con la società Simg, guidata per oltre 30 anni dall’ematologo fiorentino Claudio Cricelli, già presidente dell’azienda Millennium, che vende i software ai medici di base? Che cosa c’entra con l’Enpam, la più grande cassa pensionistica privata d’Italia, con un patrimonio di 25 miliardi di euro? E perché in campo adesso è entrata Legacoop, la più antica associazione delle cooperative italiane? Dataroom è in grado di ricostruire attraverso riunioni, video e documenti inediti in che modo queste sigle sono tutte unite come un sol uomo da interessi comuni. Il medico di base, erroneamente considerato una figura di serie B fin dalla formazione post laurea (retribuita meno della metà delle Scuole di specializzazione), negli anni ha visto svilire la propria professionalità fino a ritrovarsi perlopiù un prescrittore di visite, esami, farmaci. Ora l’obiettivo dei vertici della categoria è quello di riorganizzarsi per fornire prestazioni a pagamento.
Quando tutto inizia
A maggio 2021 viene inviato a Bruxelles il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr): sono messi a budget 2 miliardi di euro per la costruzione di 1.038 Case della Comunità. Si tratta di strutture pubbliche attrezzate di punto prelievi, macchinari diagnostici per gli esami, e un team multidisciplinare che comprende il medico di famiglia, per offrire assistenza ai cittadini tutti i giorni, dalle 8 alle 20. Lo scopo è alleggerire i Pronto Soccorso e potenziare l’assistenza sul territorio, i cui limiti ormai sono sempre più evidenti.
Lo dimostra la riunione del 22 settembre 2021 della commissione Salute che fa capo alla Conferenza delle Regioni. Gli assessori regionali alla Sanità firmano un documento di 12 pagine: «La pandemia da Sars-Cov-2 ha evidenziato ulteriormente che il profilo giuridico del medico di medicina generale e i loro contratti collettivi nazionali non sono idonei ad affrontare il cambiamento in atto, anche pensando (…) alla gestione delle multi-cronicità, aumento delle fragilità, programmazione dell’assistenza domiciliare, ecc.». È il riconoscimento ufficiale del problema da parte degli assessori alla Sanità.
Cosa finisce sotto accusa
Al contrario di ciò che molti pensano, il medico di base non è un dipendente del Servizio sanitario nazionale, ma un libero professionista pagato dal Servizio sanitario per garantire ai pazienti dei servizi in base a ciò che viene stabilito dagli accordi collettivi. Fuori da questo perimetro ogni richiesta è destinata a cadere nel vuoto, come per esempio l’esecuzione dei tamponi durante il Covid. La parte fissa della busta paga è la cosiddetta «quota capitaria», composta dalla somma di 3,51 euro al mese per ogni paziente in carico. Poi una vaccinazione antinfluenzale vale 6,16 euro; la sutura di una ferita superficiale 3,32 euro; una medicazione va dai 6,16 euro ai 12,32, ecc. Il loro reddito varia a seconda del numero dei pazienti e da Regione a Regione, tuttavia la media pro capite è indicata in 107.270 euro lordi annui (fonte Enpam), che in molti arrotondano con visite parallele a pagamento o la presenza, per esempio, a eventi sportivi.
Che qualcosa vada cambiato lo pensa anche una parte sempre più numerosa dei medici di famiglia. In quegli stessi mesi, infatti, sta prendendo piede il «Movimento MMG per la Dirigenza», nato nel 2020, indipendente dalle sigle sindacali e ormai diffuso su tutto il territorio nazionale che riconosce: «A quasi 50 anni dall’ultima grande riforma dell’assistenza territoriale del 1978 il nostro Servizio sanitario necessita di un nuovo modello di cure primarie, differente da quello che vede il medico di base lavorare da solo applicando normalmente il modello della medicina d’attesa. Il modello più promettente è quello di mettere insieme diversi professionisti che lavorino in team multiprofessionali e che siano proattivamente impegnati nella medicina preventiva».
Il documento inedito
I mesi successivi alla riunione del settembre 2021 sono convulsi. Il ministero della Salute, guidato allora da Roberto Speranza, lavora con le Regioni alla riforma della medicina di famiglia. Il 21 luglio 2022 il premier Mario Draghi rassegna le dimissioni. Sul tavolo del governo c’è pronto un documento finora rimasto riservato. S’intitola: «BOZZA di NORMA di riforma dei MMG» (pubblicato qui sotto), e questi sono i contenuti: «Il medico di famiglia, con un rapporto di lavoro che sarà di “para-subordinazione”, dovrà garantire alle Case della Comunità, 18 ore a settimana su 38 a cui è vincolato il 30% della busta paga». Ma ormai è tardi e questa riforma, per mancanza di coraggio politico, non sarà mai approvata. Intanto la lobby dei medici di famiglia prepara la contromossa.
Il 20 settembre 2023, all’Hotel Nautico di Riccione, si svolge la convention nazionale della Simg (Società Italiana Medicina Generale). Tra i relatori ci sono Alberto Oliveti e Luigi Galvano, rispettivamente presidente e vicepresidente dell’Enpam, a cui i medici di famiglia versano una quota della busta paga in quanto lavoratori della Sanità autonomi. Viene presentato in anteprima il nuovo progetto di Enpam: i medici di famiglia potranno aggregarsi per dare vita a Case della Comunità spoke (ossia satelliti rispetto alle Case della Comunità pubbliche definite hub). Potranno essere gestite in autonomia e prese in affitto o in leasing con il sostegno di Enpam. L’investimento preventivato da Enpam è di 8 miliardi di euro.
La riunione rivelatrice
Il 21 ottobre 2023 nel corso di una riunione del sindacato Fimmg, il segretario provinciale e vicesegretario nazionale Pier Luigi Bartoletti prende la parola: «È chiaro che qualcosa va rivisto, perché vai da qualche collega e trovi il lettino con sopra i libri (…). Sul mercato privato, che si aprirà sicuramente nei prossimi due anni, tutti abbiamo capito come funziona. I 40 miliardi di out of pocket (il valore del mercato sanitario a pagamento, ndr) sono 40 miliardi: noi dobbiamo essere in condizione di aggredire quella fascia di mercato, il che significa portare mooolte risorse nel nostro stipendio. Ma, per farlo, devi essere attrattivo per quel mercato, e lo sei non se fai ricette, ma se fai prestazioni sanitarie di primo livello». L’obiettivo è organizzarsi per un business privato: «Altrimenti ti trovi come un deficiente – conclude Bartoletti –. E c’è la Casa della Comunità (quella pubblica, ndr) che ti aspetta».
Il nuovo contratto
Alle 13.30 dell’8 febbraio 2024, il sindacato Fimmg, insieme alle altre associazioni di categoria, firma il nuovo Accordo collettivo nazionale. Che cosa prevede l’intesa? Gli ambulatori medici potranno continuare a restare aperti solo fino a 15 ore alla settimana. In compenso, in base alle nuove regole, chi ha meno di 400 pazienti, dunque la maggioranza dei giovani medici di famiglia, è chiamato a mettere a disposizione delle Asl e delle Case della Comunità 38 ore, contro le sei ore di chi ha 1.500 pazienti, cioè i più anziani, per i quali tutto continuerà come prima.
Il cerchio si chiude il 22 maggio 2024: la Fimmg firma un’intesa con Legacoop che metterà a disposizione ecografi, elettrocardiografi, servizi di segreteria e infermieri ai medici di famiglia che lo vorranno. Ecco garantiti tutti gli strumenti per lavorare nelle Case della Comunità private. Le necessità dei cittadini, ancora una volta, vengono dimenticate.
Milena Gabanelli e Simona Ravizza
(da corriere.it)
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