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PONTE SULLO STRETTO, IL CERTIFICATO CHE NON C’E’. L’INGV: “MAI DATO IL VIA LIBERO SISMICO”

Novembre 10th, 2024 Riccardo Fucile

INCREDIBILE, LA SOCIETA’ APPALTATRICE SI SAREBBE AVVALSA DI DUE TECNICI DELL’ISTITUTO A TITOLO PERSONALE… IL PRESIDENTE DELL’INGV: “SERVONO STUDI SULLE FAGLIE ATTIVE”…BONELLI: “E’ UNA VERGOGNA”

Due lettere molto dure firmate dal presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, Carlo Doglioni. Due lettere che non solo smentiscono «qualsiasi coinvolgimento dell’Ingv come istituzione» nell’analisi del rischio sismico e di faglie attive nel progetto definitivo del Ponte sullo Stretto. Ma denunciano anche la mancanza di «esami approfonditi» e coefficienti sottostimati rispetto alla pericolosità dell’area tra la Sicilia e la Calabria.
I due documenti sono stati inviati da Doglioni in risposta ad alcuni quesiti posti dal deputato di Alleanza verdi e sinistra Angelo Bonelli. Tutto nasce dalla documentazione allegata al progetto definitivo del Ponte. In un elaborato consegnato al ministero dalla società Stretto di Messina, in risposta a un quesito sul rischio sismico e sugli studi geofisici dell’area presentato dalla commissione Via del ministero dell’ambiente, si fa riferimento a «una relazione del dipartimento di Scienze della terra della Sapienza di Roma e dell’Ingv» con tanto di aggiornamento delle analisi sismiche.
Il deputato Bonelli ha quindi chiesto al presidente Doglioni gli studi fatti dall’Istituto per la società Stretto di Messina sulla «presenza di faglie attive nell’area del Ponte» in risposta ai dubbi posti dalla commissione Via su una prima bozza di progetto. Si scopre, per le vie informali, che due ricercatori a «titolo personale» erano stati autorizzati a fare degli studi bibliografici da parte dell’Ingv, all’interno di un protocollo che riguardava però solo la consultazioni di dati in possesso dell’Istituto.
La risposta formale ai quesiti di Bonelli firmata da Doglioni chiarisce invece il rapporto tra l’ente e la spa pubblica: «Si rappresenta che l’Ingv non ha avuto incarico da parte della Stretto di Messina a svolgere indagini sulla presenza di faglie attive», premette Doglioni, per poi aggiungere: «Due ricercatori dell’Ingv hanno svolto analisi dell’area a esclusivo titolo personale e tali analisi non sono in possesso di questa amministrazione e non possono rappresentare l’opinione istituzionale dell’Ingv».
Ma c’è di più, perché Doglioni entra nel merito delle possibili faglie presenti nello Stretto, come quella chiamata Cannitello dove dovrebbe poggiare il pilone del ponte lato Calabria: una faglia che compare nelle stesse mappe del progetto ma viene definita non più attiva in base alla bibliografia esistente. «Relativamente alla faglia Cannitello — scrive il presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia — per valutarne la potenziale attività sarebbe necessario effettuare studi tramite trincee paleosismologiche che non risultano allo scrivente essere state realizzate recentemente da personale Ingv».
La corrispondenza, su carta intestata della Camera e dell’Istituto, non finisce qui. Il deputato Bonelli chiede anche lumi sui dati degli ultimi due grandi eventi sismici in Italia, l’Aquila e Amatrice, e sui coefficienti di resistenza alle accelerazioni sismiche presenti nella progettazione del Ponte. «Nella documentazione disponibile come riferimento di terremoto per il progetto del Ponte l’accelerazione al suolo utilizzata risulta essere di 0,58 — scrive Doglioni — a l’Aquila si sono registrate accelerazioni fino a 0,66 e ad Amatrice fino a 0.95. Ma lo Stretto di Messina può essere epicentrale per eventi sismici con accelerazioni facilmente superiori a 1 ma possibili anche fino a 1,5 — 2». Tradotto: il riferimento utilizzato nella progettazione per la tenuta dell’opera in caso di terremoto è inferiore.
Bonelli ha subito inviato le due lettere di Doglioni al Cipess, l’organismo interministeriale presieduto dalla premier Giorgia Meloni che dovrà dare il via libera definitivo al progetto. Ma le missive sono state inviate anche alla commissione Via, che la settimana prossima è chiamata a dare un parere sul progetto definitivo, e alla commissione Grandi rischi della Protezione civile: «Meloni non può più stare in silenzio di fronte a quello che sta emergendo — dice Bonelli — l’Ingv non è stata coinvolta nella valutazione di un’opera così importante e unica al mondo e Doglioni denuncia chiaramente la mancanza di esami e coefficienti sottostimati. La premier deve dare una risposta anche sulla deroga all’inedificabilità prevista da una circolare della Protezione civile su opere su faglie sismiche».
L’esponente di Avs ha già presentato un primo esposto alla procura di Roma, ma questa documentazione firmata Doglioni è nuova: «Ed è allarmante — conclude il deputato — perché stiamo parlando di una infrastruttura che costerà 15 miliardi di euro di soldi dei cittadini e penso sia normale avere tutte le rassicurazioni sulla tenuta e sulla fondatezza del progetto».
(da La Repubblica)

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“HO FATTO FALSA TESTIMONIANZA. L’HO DETTO APERTAMENTE E LO DICO”: L’EX PRESIDENTE DEL VENETO GIANCARLO GALAN, NELLA PUNTATA DI “REPORT” IN ONDA QUESTA SERA, AMMETTE DI AVER MENTITO AI PM SUL CASO RUBY

Novembre 10th, 2024 Riccardo Fucile

“HO DETTO AD UNA BOCCASSINI STRALUNATA CHE HO SENTITO BERLUSCONI PARLARE CON MUBARAK DI UNA CERTA RUBY CHE INVECE CHE EGIZIANA ERA MAROCCHINA E IO HO DETTO QUESTO. NON ERA VERO NIENTE. L’HO DETTO PERCHÉ ERA BERLUSCONI, PERCHÉ ERA L’UOMO A CUI IO DOVEVO TUTTO NELLA VITA”.. NORDIO? COME PM MI HA MESSO IN GALERA PER USARE IL CARCERE COME UNO STRUMENTO DI TORTURA PER ARRIVARE AL PATTEGGIAMENTO. SERVIVA UN CAPRO ESPIATORIO CHE NON COINVOLGESSE I VERTICI ROMANI. HO PATTEGGIATO 2 ANNI E 10 MESI PER CORRUZIONE PERCHE’ MI FU DETTO APERTAMENTE CHE SE NON L’AVESSI FATTO…”

La puntata di Report in onda domenica 10 novembre apre con un’inchiesta di Luca Bertazzoni e Marzia Amico dedicata a uno scandalo ribattezzato “tartufo-gate”. Nel 2021 la Regione Umbria ha stanziato fondi per sostenere il settore del tartufo, ma quasi metà di questi 10,7 milioni di euro è andata alla Urbani Tartufi, azienda guidata da Gianmarco Urbani, marito dell’Assessora al bilancio della regione, Paola Agabiti. Durante l’assegnazione dei fondi, il figlio della Presidente della Regione Umbria, Donatella Tesei, ha ottenuto un posto di lavoro fisso presso l’azienda. La Procura di Perugia ha aperto un’indagine per abuso d’ufficio contro Tesei e Agabiti, ma l’inchiesta è stata archiviata.
Segue “La conversione”, di Luca Bertazzoni in collaborazione con Marzia Amico, un approfondimento sulla riforma della giustizia voluta dal Ministro Carlo Nordio, che ha introdotto l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio e modifiche al reato di traffico di influenze illecite. L’inchiesta analizza anche il percorso di Nordio come magistrato e le possibili ripercussioni di queste modifiche.
Anticipazione della puntata di “Report”
LUCA BERTAZZONI
C’è nessuno? Galan, buongiorno. Salve, sono Luca Bertazzoni.
GIANCARLO GALAN – PRESIDENTE REGIONE VENETO 1995 – 2010
Ostia, ma sei venuto fin qui?
LUCA BERTAZZONI
Sono venuto qui. Come sta?
GIANCARLO GALAN – PRESIDENTE REGIONE VENETO 1995 – 2010
Come cazzo hai fatto ad arrivare?
LUCA BERTAZZONI
Siamo bravi noi.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Sulle cime dei colli Berici vive Giancarlo Galan, ex manager di Publitalia, deputato, senatore, due volte ministro dei governi Berlusconi e per 15 anni presidente della Regione Veneto.
GIANCARLO GALAN – PRESIDENTE REGIONE VENETO 1995 – 2010
Dovrei fare un sacco di lavori, tipo mettere a posto le casette per gli uccelli, potare gli alberi, tagliare l’erba.
LUCA BERTAZZONI
Questa legna l’ha fatta lei?
GIANCARLO GALAN – PRESIDENTE REGIONE VENETO 1995 – 2010
Questa legna l’ho fatta questa primavera e serve per l’anno prossimo. Madonna che fatica, quanto pesa la legna! Ho piantato un po’ di fichi, ma mi mangiano tutto i caprioli. È un monumento di piante questo, solo che per mantenere i monumenti ci vogliono soldi che io non ho più.
LUCA BERTAZZONI
Questo è il suo regno.
GIANCARLO GALAN – PRESIDENTE REGIONE VENETO 1995 – 2010
Regno? È di mio fratello per giunta.
LUCA BERTAZZONI
Ah, non è neanche suo, è vero.
GIANCARLO GALAN – PRESIDENTE REGIONE VENETO 1995 – 2010
Neanche quello ho. E questo è il mio capolavoro di cane: è un cane importante però perché ha vinto la medaglia d’argento del cane più brutto dei colli Euganei.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Sono lontani i tempi in cui Galan viveva nella meravigliosa villa Rodella, dove si sposò nel 2009 con due testimoni d’eccezione: Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. Negli anni d’oro Galan per tutti era il Doge.
GIANCARLO GALAN – PRESIDENTE REGIONE VENETO 1995 – 2010
Tra papi, capi di Stato, ministri di ogni parte del mondo…
LUCA BERTAZZONI
E poi a un certo punto il telefono ha iniziato a non squillare più
GIANCARLO GALAN – PRESIDENTE REGIONE VENETO 1995 – 2010
Gli unici frequentatori qui sono quelli che fanno bicicletta, io li saluto tutti.
LUCA BERTAZZONI
Gli altri l’hanno un po’ abbandonata tutti?
GIANCARLO GALAN – PRESIDENTE REGIONE VENETO 1995 – 2010
Un po’? Hanno cancellato credo anche il numero di telefono.
LUCA BERTAZZONI
Però fa effetto che il Doge, come la chiamavano ai tempi, sia finito qui.
GIANCARLO GALAN – PRESIDENTE REGIONE VENETO 1995 – 2010
Senza mio fratello io sarei sotto ad un ponte, avevo anche scelto quale: quello sul Brenta.
LUCA BERTAZZONI
E lei ha anche avuto pensieri brutti, no, quando successe…
GIANCARLO GALAN – PRESIDENTE REGIONE VENETO 1995 – 2010
No, beh bruttissimi. Io sono stato ad un pelo dal farla finita.
LUCA BERTAZZONI
Perché, posso chiederle?
GIANCARLO GALAN – PRESIDENTE REGIONE VENETO 1995 – 2010
Perché quello che mi ha angosciato, che mi ha distrutto psicologicamente e psichicamente è stato l’aver subito un’ingiustizia terrificante senza aver potuto difendere me stesso
LUCA BERTAZZONI
Perché senza aver potuto difendersi?
GIANCARLO GALAN – PRESIDENTE REGIONE VENETO 1995 – 2010
Perché io non ho mai parlato con un magistrato.
LUCA BERTAZZONI
Con Nordio non ha parlato?
GIANCARLO GALAN – PRESIDENTE REGIONE VENETO 1995 – 2010
Io non sono mai stato interrogato.
LUCA BERTAZZONI
E però perché lei ha patteggiato 2 anni e 10 mesi per corruzione?
GIANCARLO GALAN – PRESIDENTE REGIONE VENETO 1995 – 2010
Te lo spiego subito: avevo una figlia di 7 anni. Mi è stato detto apertamente che, se io non avessi patteggiato, loro avrebbero chiesto per me il giudizio immediato con cui avrebbero potuto trattenermi in carcere e in galera altri 6 mesi fino ad arrivare alla sentenza. Mi avrebbero certamente condannato e quindi sarei rimasto dentro, avrei cominciato a scontare la pena. E di fronte a questo uno che cosa può fare? Dà qua che firmo.
LUCA BERTAZZONI
Ma questo glielo disse Nordio?
GIANCARLO GALAN – PRESIDENTE REGIONE VENETO 1995 – 2010
Eh, Nordio: il capo era lui
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Accusato di aver ricevuto tangenti dal Consorzio Venezia Nuova che gestiva il progetto del Mose, nel 2014, dopo 78 giorni di carcere, l’ex governatore del Veneto ha patteggiato una pena di 2 anni e 10 mesi. Il procuratore aggiunto che ha coordinato l’inchiesta sul Mose era l’attuale ministro della Giustizia, Carlo Nordio.
FELICE CASSON – EX MAGISTRATO TRIBUNALE DI VENEZIA
Quando sono arrivato in Tribunale a Venezia a fare il giudice istruttore, all’incirca nel 1980, Nordio già c’era. Poi per vari anni siamo stati colleghi anche alla Procura della Repubblica di Venezia.
LUCA BERTAZZONI
L’immagine che si ha di Nordio è quella di un garantista. Lo era anche in Procura?
FELICE CASSON – EX MAGISTRATO TRIBUNALE DI VENEZIA
Io non ho mai pensato che fosse un garantista
LUCA BERTAZZONI
E com’era come collega Nordio?
FELICE CASSON – EX MAGISTRATO TRIBUNALE DI VENEZIA
Mi avvalgo della facoltà di non rispondere.
LUCA BERTAZZONI
Perché, posso chiederle?
FELICE CASSON – EX MAGISTRATO TRIBUNALE DI VENEZIA
Basta valutare quello che usciva dal punto di vista degli atti, quello che si faceva, quello che non si faceva, per capire in che modo veniva amministrata la giustizia e venivano fatte le indagini.
LUCA BERTAZZONI
Nordio stesso dice, si vanta, insomma, del fatto che lui dopo le 3 del pomeriggio non era più in Procura.
FELICE CASSON – EX MAGISTRATO TRIBUNALE DI VENEZIA
Non è che io devo confermare Nordio, è lui che conferma tutto quello che si vedeva.
LUCA BERTAZZONI
Non era uno stakanovista, lo dice lui stesso.
FELICE CASSON – EX MAGISTRATO TRIBUNALE DI VENEZIA
Vabbè, lo dice lui.
FELICE CASSON – EX MAGISTRATO TRIBUNALE DI VENEZIA
Il ministro Nordio ha fatto il pubblico ministero per tanti anni e sa benissimo che sono fondamentali nella lotta contro qualsiasi forma di criminalità, a partire da quella terroristica, eversiva, per finire alla criminalità organizzata.
LUCA BERTAZZON
Lei spesso ha firmato le richieste di intercettazioni che Nordio voleva.
FELICE CASSON – EX MAGISTRATO TRIBUNALE DI VENEZIA
Sì, quando ad esempio c’è stato il processo che ha riguardato lo scandalo Mose sono state un’infinità le intercettazioni. Però erano fondamentali per arrivare alla condanna degli imputati, soprattutto dei maggiori imputati.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
E quindi grazie anche alle 300mila ore di intercettazioni dell’inchiesta Mose, il Pm Nordio ha ottenuto il sequestro di villa Rodella, valutata 2,6 milioni di euro e oggi all’asta. Mentre l’ex governatore Galan dovrà risarcire per danno di immagine la Regione Veneto con 5,8 milioni di euro.
GIANCARLO GALAN – PRESIDENTE REGIONE VENETO 1995 – 2010
Mi ricordo Nordio sempre elegante con una bella moglie a tutte le cene e feste dei vip del Veneto.
LUCA BERTAZZONI
Però come Pm?
GIANCARLO GALAN – PRESIDENTE REGIONE VENETO 1995 – 2010
Come Pm mi ha messo in galera perché? Per usare il carcere come uno strumento di tortura per arrivare al patteggiamento, questa è la verità. E dico questo è garantista?
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO
Evidentemente il pm Nordio anche sull’utilizzo del carcere preventivo non va tanto d’accordo con il ministro Nordio che presentando in Commissione Giustizia la sua riforma si è espresso così.
CARLO NORDIO – MINISTRO DELLA GIUSTIZIA – AUDIZIONE COMMISSIONE GIUSTIZIA 6/12/2022
In merito alla carcerazione preventiva il paradosso più lacerante è che tanto è facile oggi entrare in prigione prima del processo da presunti innocenti, quanto è facile uscirne dopo la condanna da colpevoli conclamati.
GIANCARLO GALAN – PRESIDENTE REGIONE VENETO 1995 – 2010
Non mi hanno interrogato, boh, io gli spiegavo forse qualcosa di interessante.
LUCA BERTAZZONI
Avrebbe potuto fare altri nomi?
GIANCARLO GALAN – PRESIDENTE REGIONE VENETO 1995 – 2010
Li avrei fatti certamente.
LUCA BERTAZZONI
Però fu Ghedini a dirle di patteggiare.
GIANCARLO GALAN – PRESIDENTE REGIONE VENETO 1995 – 2010
Sì.
LUCA BERTAZZONI
E come se lo spiega
GIANCARLO GALAN – PRESIDENTE REGIONE VENETO 1995 – 2010
Ma perché mi chiedi queste cose.
LUCA BERTAZZONI
Perché voglio sapere.
GIANCARLO GALAN – PRESIDENTE REGIONE VENETO 1995 – 2010
Perché serviva un capro espiatorio che non coinvolgesse i vertici romani
GIANCARLO GALAN – PRESIDENTE REGIONE VENETO 1995 – 2010
E quindi era meglio tacitare tutto. Era anche il periodo in cui Berlusconi aveva il problema di Ruby quindi era…
LUCA BERTAZZONI
E lei lo aiutò Berlusconi?
GIANCARLO GALAN – PRESIDENTE REGIONE VENETO 1995 – 2010
Certo, ho fatto falsa testimonianza. L’ho detto apertamente e lo dico…
LUCA BERTAZZONI
A posteriori.
GIANCARLO GALAN – PRESIDENTE REGIONE VENETO 1995 – 2010
Ho detto ad una Boccassini stralunata, che mi dice: “Ministro, ma…”, che ho sentito Berlusconi parlare con Mubarak di una certa Ruby che invece che egiziana era marocchina e io ho detto questo. Non era vero niente.
LUCA BERTAZZONI
E perché l’ha detto?
GIANCARLO GALAN – PRESIDENTE REGIONE VENETO 1995 – 2010
Perché era Berlusconi, perché era l’uomo a cui io dovevo tutto nella vita.
LUCA BERTAZZONI
Però poi Berlusconi le ha fatto avere in due tranche 200mila euro a sua moglie quando lei è andato dentro.
GIANCARLO GALAN – PRESIDENTE REGIONE VENETO 1995 – 2010
200mila, ha trattato meglio le olgettine che non uno che ha lavorato 37 anni per lui.
(da agenzie)

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ROMA, TASSISTI AGGREDISCONO L’INVIATO DE LE IENE ALLA STAZIONE TERMINI

Novembre 10th, 2024 Riccardo Fucile

SPINTONI, CALCI E INSULTI IN VIA GIOLITTI DURANTE UN SERVIZIO DELLE IENE

Spinte, calci e schiaffi. E minacce: «Te ne devi andà, sparisci, ancora stai qua». Secondo quanto riporta Il Messaggero un giornalista de “Le Iene”, Nicolò De Devitiis, è stato aggredito alla stazione di Termini, da un tassista regolare e da alcuni suoi colleghi.
L’episodio, documentato in un servizio del programma, fa parte di un’inchiesta sul mondo delle auto bianche nella Capitale, che andrà in onda stasera, su Italia 1. La iena stava lavorando sulle irregolarità nel settore, che coinvolgono anche chi ha regolare licenza.
Il fatto
Il giornalista stava girando la sera, sul lato via Giolitti, quando fa notare a un tassista regolare, già apparso in precedenti puntate, che non si poteva fermare su quel lato per prendere i clienti. L’uomo aggredisce De Devitiis poi prende poi una cliente e fugge via.
Ma non è finita: la iena, pochi minuti dopo, viene raggiunta da alcuni colleghi e picchiata come racconterà recandosi poi in pronto soccorso. Al momento, riporta il Messaggero, non è stata presentata denuncia. Le ferite del giornalista sono escoriazioni lievi.
(da agenzie)

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PERCHE’ QUELLO ISRAELIANO E’ UN GENOCIDIO: INTERVISTA ALLA RELATRICE ONU FRANCESCA ALBANESE

Novembre 10th, 2024 Riccardo Fucile

“I GOVERNI OCCIDENTALI HANNO GARANTITO A ISRAELE L’IMPUNITA’, E’ UN VIOLATORE SERIALE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE”

Nei giorni scorsi, la Relatrice Speciale dell’ONU per i Territori Occupati Palestinesi, Francesca Albanese, ha presentato il proprio rapporto ufficiale nel quale si dettaglia come quello israeliano a Gaza sia da considerare, alla luce del diritto internazionale, un genocidio. Lo stesso report, che si intitola senza giri di parole Il genocidio come cancellazione coloniale, accusa i governi occidentali di aver garantito a Israele un’impunità che gli ha permesso di «diventare un violatore seriale del diritto internazionale». La relatrice italiana, ma che da molti anni vive all’estero, è stata attaccata con inaudita violenza: l’ambasciatrice statunitense all’ONU l’ha accusata di antisemitismo, mentre la lobby filo-israeliana UN Watch ha lanciato una campagna per cacciarla dalle Nazioni Unite con l’accusa di diffondere «antisemitismo e propaganda di Hamas». Accuse surreali alle quali risponde anche in questa intervista rilasciata in esclusiva a L’Indipendente. Lo fa senza arretrare di un millimetro, anzi dettagliando perché quella che Israele sta scrivendo a Gaza sia da considerare una delle pagine «più nere e luride della storia contemporanea» e denunciando il clima di intimidazione che colpisce sistematicamente chi, all’interno delle istituzioni internazionali, cerca di agire concretamente per inchiodare il governo israeliano alle proprie azioni
Poche settimane fa è stato ucciso il capo di Hamas Yahya Sinwar. I governi e i media occidentali hanno celebrato l’evento, affermando che la sua eliminazione abbia reso il mondo più sicuro e avvicinato la pace in Medio Oriente. Cosa ne pensa?
Da giurista, mi sentirei più sicura in un mondo che permette alla giustizia internazionale di funzionare. Vorrei vedere proseguire il procedimento avviato dal Procuratore della Corte Penale Internazionale, Karim Khan, che aveva chiesto un mandato di arresto internazionale non solo per Sinwar e altri capi di Hamas, ma anche per il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e per il ministro della Difesa Yoav Gallant. Il modo in cui Sinwar è caduto, combattendo fino all’ultimo respiro in battaglia, lo ha trasformato in un mito di resistenza per molti, in particolare per gli oppressi del mondo. Quindi credo che le analisi occidentali lascino il tempo che trovano, dimostrandosi chiacchiere da intellettuali da salotto.
Quali sono attualmente le condizioni a Gaza?
Per capire cosa sta avvenendo a Gaza, è importante innanzitutto definire i fatti. Quello a cui assistiamo non è una guerra, che presuppone lo scontro tra due eserciti, ma la violenza di uno stato occupante contro un popolo occupato. Non ci sono parole per descrivere le condizioni di vita a Gaza oggi; la situazione è catastrofica da mesi. Le testimonianze che raccogliamo sono tremende: centinaia di massacri, esseri umani bruciati vivi sotto le tende, uccisioni di civili stipati negli ospedali. Sappiamo di soldati israeliani che hanno deliberatamente ucciso bambini sparando loro alla testa; abbiamo video e fotografie che lo dimostrano. Tutto questo è incluso nel rapporto Genocide as Colonial Erasure che ho preparato per le Nazioni Unite. È il momento di riaffermare il diritto internazionale, sacrificato dall’idea degli Stati Uniti e di Israele che ogni linea rossa sia superabile di fronte all’idea, peraltro irrealistica, di sconfiggere un movimento politico usando la forza militare. Quella in corso a Gaza non è solo una crisi umanitaria, ma una crisi di umanità.
È d’accordo con chi sostiene che quello in corso a Gaza sia un genocidio?
Non ho dubbi su questo, e l’ho scritto nero su bianco nel mio secondo rapporto in qualità di Relatrice Speciale delle Nazioni Unite, dettagliando le analogie tra quanto avviene in Palestina e ciò che è accaduto in casi già classificati come genocidio in base alla legislazione vigente, come nel caso del Ruanda. Israele sta commettendo un genocidio, e questo è dimostrato non solo dalle azioni e dai massacri, ma forse soprattutto dagli intenti dichiarati e dall’incitamento di molti leader politici israeliani. Il governo israeliano sta scrivendo una delle pagine più nere e luride della storia contemporanea: sta utilizzando il genocidio del popolo palestinese come mezzo per raggiungere un fine politico dichiarato, quello della creazione di una Grande Israele come Stato ebraico senza palestinesi al suo interno, siano essi arabi o cristiani. Tutto questo sta avvenendo in diretta sui cellulari dei cittadini di tutto il mondo, mentre i leader occidentali continuano a giustificarlo parlando di diritto all’autodifesa.
Sono tante le dichiarazioni impressionanti che abbiamo letto in questi mesi da parte di leader israeliani, dalla definizione dei palestinesi come “animali umani”, alla rivendicazione del diritto di lasciarli morire di fame, fino alla loro definizione come “Amalek”, il nemico biblico contro il quale l’Antico Testamento incita all’uccisione. Quindi, sono anche queste dichiarazioni, oltre alle azioni militari, se ho capito bene cosa intende, che dimostrano la volontà genocida del governo israeliano?
Sì, è così. Nel diritto internazionale, l’articolo 2 della “Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio” è chiarissimo nel definire questo crimine. Costituisce genocidio la volontà di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo etnico, nazionale, religioso o razziale “in quanto tale”. Nel caso israeliano, un’ampia mole di dichiarazioni dei leader mostra chiaramente questa volontà. E poi ci sono le azioni, naturalmente. Secondo la Convenzione, siamo di fronte a un genocidio quando anche uno solo di questi tre atti viene messo in pratica: l’uccisione e l’inflizione di sofferenze fisiche e mentali ai membri del gruppo etnico allo scopo di creare le condizioni per la distruzione del gruppo stesso; l’uccisione e la sottrazione dei minori; la prevenzione delle nascite attraverso, ad esempio, la distruzione di ospedali e cliniche per la fertilità. Israele, a Gaza, sta portando avanti tutte e tre queste azioni in modo sistematico, per questo non c’è dubbio.
All’epoca dell’invasione russa in Ucraina, la Corte Penale Internazionale ha prontamente emesso un mandato di cattura internazionale contro Putin, mentre la richiesta di fare lo stesso contro il premier israeliano Netanyahu giace da mesi in attesa di una decisione. Non crede ci sia un pericoloso doppio standard da parte della giustizia internazionale?
Credo che i giudici della Corte siano sottoposti a una grande pressione. Attraverso il lavoro di coraggiosi giornalisti israeliani, sappiamo che già in passato i servizi segreti israeliani esercitarono fortissime pressioni e minacce contro l’ex procuratrice Fatou Bensouda per dissuaderla dal perseguire i crimini israeliani, e addirittura Donald Trump, quando era presidente degli Stati Uniti, le vietò di entrare negli USA. Inoltre, ho potuto leggere personalmente la lettera che alcuni senatori statunitensi ebbero l’ardire di inviare al procuratore Karim Khan, un messaggio di stampo mafioso con avvertimenti del tipo: «Sappiamo dove ti trovi e dove abita la tua famiglia». La lobby pro-Israele è fortissima e ramificata.
Anche lei è stata dichiarata “persona non grata” dal governo israeliano. Ha subito altri tipi di pressione per il suo lavoro di Relatrice Speciale?
Non posso dire che le pressioni non ci siano state e non ci siano tuttora. Ma chi decide di servire la giustizia, dedicando la propria vita a questo, è al servizio di un imperativo categorico più alto e deve mettere da parte le ragioni personali e la paura. Devo dire una cosa, mi fa male dirla, ma devo: ognuno di noi possiede almeno una cosa preziosa nella vita, nel mio caso sono i miei figli, ma il mio imperativo è non credere che essi valgano più dei figli dei palestinesi o di chiunque altro sia in difficoltà, perché anche loro hanno diritto alla vita e alla pace come tutti i bambini del mondo. Per questo vado avanti.
Cambiamo decisamente discorso, passando alle provinciali vicende della stampa italiana: non mi è capitato spesso di vederla intervistata dai giornali mainstream né nei dibattiti televisivi. È una sua scelta o non la invitano?
Io rilascio interviste e, anche se con spirito di sacrificio e senza entusiasmo, partecipo ai dibattiti televisivi perché penso che anche tre minuti a disposizione possano essere importanti. Sono spesso presente sui media di molti Paesi, ma in Italia non mi invitano. Sono stata invitata un paio di volte a dei talk show e ne conservo un’impressione pessima. Sa, io non vivo più in Italia da 22 anni e riscontro che nel panorama mediatico italiano c’è pochissimo approfondimento. Non in tutti i Paesi è così. Un amico mi aveva avvisato prima di partecipare a un programma TV in Italia: «Attenta, i talk show italiani sono dei pollai». Io non capivo cosa intendesse, poi l’ho imparato sulla mia pelle.
Nonostante il quadro dell’informazione delineato, anche in Italia assistiamo a una grande presa di coscienza sulla questione palestinese…
Sì, è così. C’è una grande presa di coscienza, specie tra i giovani, e finalmente c’è la capacità di leggere la storia palestinese con le lenti corrette, che non sono quelle del conflitto o della guerra di religione, ma quelle di una vicenda coloniale. L’intera storia del dominio israeliano in Palestina è una vicenda di abuso coloniale, lucidamente descritta dagli stessi leader che Israele considera propri padri fondatori. Solo analizzando la situazione attraverso questa giusta prospettiva si può comprendere l’azione dei due attori in campo per quello che è realmente: la violenza di un oppressore coloniale, da una parte, e la resistenza di un popolo che lotta per l’indipendenza, che dovrebbe essergli garantita dal diritto internazionale, dall’altra.
Tra l’altro, il diritto internazionale stabilisce anche che i popoli che lottano per l’indipendenza e l’autodeterminazione sono legittimati a combattere l’occupazione straniera “con tutti i mezzi disponibili, compresa la lotta armata”. Io l’ho scritto in un editoriale ed è scoppiato un mezzo putiferio, ma è la verità, la Risoluzione ONU 37/43 del 1982 dice esattamente questo…
Sono cose che non si possono dire nella maniera più assoluta, ma è così. Dovremmo averlo chiaro, specialmente in Italia, ma purtroppo quella del 25 aprile è divenuta una ricorrenza stantia, mentre dovrebbe essere un momento per ricordare come un popolo, attraverso la Resistenza, si è liberato dall’oppressione straniera.
Specie tra gli studenti sono nate centinaia di iniziative, cortei e proteste per la Palestina. Crede che la mobilitazione dal basso possa svolgere un ruolo per fermare il genocidio?
La mobilitazione popolare è la chiave di tutto, anche per far funzionare il diritto internazionale. Spesso sento dire che il problema è la necessità di una riforma dell’ONU, certo che c’è un problema in questo, ma la chiave non sono le riforme dall’alto, bensì le mobilitazioni dal basso, che hanno la possibilità di obbligare i governi a cambiare rotta. Si può agire non solo con le proteste, ma anche con azioni giudiziarie. Abbiamo ancora un sistema della giustizia che funziona: usiamolo per citare in giudizio le aziende che forniscono assistenza e supporto al sistema militare israeliano. L’importante è che la mobilitazione sia strategica, altrimenti la gente non vede un obiettivo e si stanca. Serve organizzazione e coordinamento, a livello locale e nazionale. Siamo molto vicini a un cambiamento politico epocale, a cominciare dall’emergere di un sistema multipolare. Ci siamo così dentro da non riuscire a vederlo, ma dobbiamo continuare a lottare e a spingere affinché questo sistema crolli.
Crede che l’emergere di un sistema multipolare al posto dell’egemonia americana possa migliorare la situazione anche per quanto riguarda l’applicazione del diritto internazionale?
Credo fortemente che un nuovo ordine mondiale, improntato al multipolarismo, sia un’opportunità per proteggere meglio tutti. Sulla carta, le leggi dovrebbero essere universali e uguali per tutti, ma vediamo che non è così. Un mondo multipolare rappresenta un’opportunità per rendere finalmente universale il diritto e le istituzioni che hanno il compito di applicarlo.
Considera giuste le iniziative di boicottaggio dei prodotti israeliani e quelle contro la cooperazione a livello universitario promosse dagli studenti?
Sono certamente legittime, giuste e potenzialmente molto efficaci. La campagna BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni, ndr) lanciata contro Israele è legittima perché si muove nella legalità più assoluta e non chiede altro che l’applicazione del diritto internazionale. Il sistema di apartheid e genocidio portato avanti da Israele si nutre di radici economiche e finanziarie profondissime e capillari. Colpire queste radici è una delle chiavi per porre fine all’ingiustizia che subiscono i palestinesi.
La ringrazio per la disponibilità e, ancor di più, per il coraggio dimostrato nel rispondere in maniera netta alle domande. Prima di lasciarla andare, però, c’è un’ultima domanda che sento di doverle fare. Può apparire la più banale, ma di fatto è quella a cui nessuno ha una risposta: che futuro vede per il popolo palestinese? Riuscirà ad ottenere il proprio diritto ad avere una patria?
Questa è una delle poche certezze che ho. I palestinesi, come qualsiasi popolo indigeno, sono attaccati in modo viscerale alla propria terra. Vengono attaccati, uccisi, sradicati, ma non se ne vanno. I palestinesi hanno già fatto la storia, non il 7 ottobre, ma ogni giorno, dal 1948 a oggi, tenendo viva la propria causa di liberazione nazionale, che è una battaglia per la giustizia e i diritti di tutte e tutti. Tutto il mondo, di nuovo, si interessa a quanto accade in Medio Oriente, vede e riconosce la tragedia palestinese. Questo è successo per merito dei palestinesi stessi e, in Occidente, abbiamo la possibilità di prenderne pienamente coscienza anche grazie ai movimenti giovanili e studenteschi, che hanno avuto la capacità e la lucidità di decifrare la questione palestinese in un’ottica anticoloniale e di legarla ad altri aspetti della giustizia, come quella ambientale e sociale. È una questione centrale: solo se sapremo occuparci insieme di tutti questi aspetti, vedendo le connessioni tra gli elementi, potremo conquistare un futuro di diritti e giustizia per tutti.
(da L’Indipendente)

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LA MANOVRA DEL GOVERNO MELONI TOGLIE 1.000 EURO AI LAVORATORI MENO PAGATI

Novembre 10th, 2024 Riccardo Fucile

IN CULO SEMPRE AI POVERI E’ IL MANTRA DEL GOVERNO DELLA DESTRA ASOCIALE

Quasi cento euro in meno in busta paga: ecco l’effetto paradossale che la legge di bilancio provocherà ad alcuni lavoratori italiani, per altro in fasce di reddito già di per sé molto basse. Si tratta infatti di quelle persone che guadagnano grossomodo dai 15.500 euro ai 16.500 euro lordi all’anno. Dalle simulazioni effettuate dalla Cgil e dal Consorzio Nazionale Caaf – Cgil, in quel segmento le nuove norme sul cuneo fiscale comporteranno una perdita che potrà arrivare a oltre mille euro annui. Una mazzata alla quale il sindacato si augura che il governo metta quantomeno riparo nell’iter parlamentare della manovra, perché sarebbe una beffa davvero incredibile.
Ricapitoliamo: la legge di bilancio per il 2025 modifica il sistema del cuneo contributivo e fiscale. Fino all’anno in corso, il 2024, è stato in vigore uno sconto sui contributi di sette punti per i redditi fino a 25 mila euro e di sei punti per i redditi tra i 25 e i 35 mila euro. Quindi, per esempio, sotto i 25 mila euro hanno pagato un’aliquota contributiva del 2,19% anziché del 9,19%. Un beneficio che, nel migliore dei casi, arrivava a un centinaio di euro in più mensili in busta paga. Andava però aggiustato il meccanismo perché, così come era, il bonus sui contributi creava un problema di minori entrate all’Inps. Ecco perché, mosso da questa giusta intenzione, il governo ha cambiato il sistema, cancellando la decontribuzione e trasformandola in due nuovi strumenti: un bonus per i redditi fino a 20 mila euro e una detrazione Irpef aggiuntiva per quelli tra 20 mila euro e 40 mila euro.
Quindi, tradotto: nel 2025 la gran parte degli italiani pagherà più contributi Inps ma, in compenso, si ritroverà un bonus in busta paga che grossomodo avrà lo stesso valore della decontribuzione. Almeno questa era l’intenzione del governo perché, in realtà, come abbiamo visto in numerose simulazioni circolate nelle scorse settimane, in tantissimi ci perderanno almeno qualche euro al mese. L’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) ha scritto nella sua audizione che per 805 mila persone ci sarà una perdita non irrilevante. Gli unici certi di guadagnarci saranno quelli con redditi tra i 35 mila e i 40 mila euro: prima non beneficiavano della decontribuzione, ora la nuova detrazione spetta anche a loro. Dai calcoli della Cgil emerge quindi che a subire la botta, salvo interventi di salvaguardia prima dell’approvazione definitiva, saranno i redditi tra i 15.500 e i 16.500 euro che, come detto, perderanno quasi un centinaio d’euro al mese.
Il motivo è molto tecnico: per effetto della cancellazione della decontribuzione, l’aliquota Inps tornerà per tutti a 9,19% quindi tutti pagheranno più contributi. Questo, inoltre, abbasserà il reddito imponibile ai fini Irpef; nella fascia tra i 15.500 e i 16.600 euro lordi lo farà ritornare nello scaglione inferiore ai 15 mila euro. Sotto quella soglia, si riducono anche le detrazioni da lavoro dipendente, che diventano una cifra fissa pari a 1.955 euro annui. In sostanza, il risultato sarà che ci perderanno da due voci e ci guadagneranno solo da una: pagheranno più contributi e beneficeranno di minori detrazioni. Circa 2 mila euro annui in meno di reddito netto, in pratica, che sarà controbilanciato solo da circa un migliaio di euro di bonus. Somma finale, come detto, circa mille euro in meno annui di reddito netto.
“Con il passaggio dalla decontribuzione alla fiscalizzazione dei benefici – dice Christian Ferrari, segretario confederale Cgil – la stragrande maggioranza dei lavoratori non solo non vedrà 1 euro in più in busta paga, ma ci perderà pure: fino a 200 euro annui sotto i 35.000, e con punte di perdita anche di oltre 1.000 euro in alcune fasce. La nostra richiesta è che si ponga innanzitutto rimedio a queste distorsioni. Comunque, non è così che si affronta una questione salariale, che nel nostro Paese è ormai grande come una casa”. “Il meno tasse per tutti non vale, evidentemente, per chi vive di salario o di pensione, che continua a garantire sempre più gettito Irpef, mentre tutti gli altri pagano sempre meno”, conclude il sindacalista.
Finora, nelle dichiarazioni dei componenti di governo e maggioranza, vi erano sempre rassicurazioni sul fatto che le buste paga sarebbero rimaste uguali nel peggiore dei casi e migliorate negli altri. Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, invece, meno di un terzo della platea avrà un miglioramento degno di nota, e si tratta per buona parte di persone che non avevano diritto alla decontribuzione, quindi redditi tra i 35 mila e i 40 mila euro. Numerose altre simulazioni mostrano penalizzazioni in busta paga che di solito sono contenute ma che in alcuni casi diventano pesanti. Colpiscono soprattutto i redditi medio-bassi, la gente che vive solo del suo lavoro e non ha altre rendite, e gli addetti delle imprese piccole e piccolissime.
(da agenzie)

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ALLA FINE PURE IL MINISTRO GIULI SI E’ FATTO COMMISSARIARE: COME NUOVO CAPO DI GABINETTO, DOPO LE DIMISSIONI DI FRANCESCO SPANO, HA SCELTO VALENTINA GEMIGNANI

Novembre 10th, 2024 Riccardo Fucile

SCELTA DIRETTAMENTE DA PALAZZO CHIGI, LA SIGNORA È SPOSATA CON L’EX PARLAMENTARE BASILIO CATANOSO (AN, POI FI E INFINE FDI), VICINO A GIOVANBATTISTA FAZZOLARI… LA GEMIGNANI È STATA A LUNGO VICECAPO DI GABINETTO DEL MINISTERO DELL’ECONOMIA MENTRE ERA IN CAUSA CON LO STESSO MINISTERO PER UNA MANCATA NOMINA, CON TANTO DI RICHIESTA DANNI

La scelta del capo di Gabinetto, si sa, è questione assai delicata per un ministro, specie del governo Meloni. E lo è ancor di più per Alessandro Giuli, che sul tema stava per rimetterci la carica. A nemmeno due settimane dal caso che ha portato alle dimissioni del fedele Francesco Spano, fa discutere la scelta del ministro della Cultura di nominare Valentina Gemignani come sostituta. La nomina è avvenuta il 31 ottobre e, in sostanza, è stata imposta da Palazzo Chigi dopo la vicenda Spano, costretto a lasciare per le consulenze al marito quando era segretario generale del Maxxi di Roma, rivelate da Report.
Gemignani è stata infatti a lungo vicecapo di Gabinetto del ministero dell’Economia mentre era in causa con lo stesso ministero per una mancata nomina, con tanto di richiesta danni. La causa l’ha persa ma è impossibile sapere se abbia rifuso le spese legali.
Andiamo con ordine. Gemignani è sposata con l’ex parlamentare Basilio Catanoso (An, poi FI e infine FdI), siciliano come il braccio destro di Meloni, Giovanbattista Fazzolari, che con Giuli si è scontrato duramente nelle scorse settimane.
Nasce come segretario comunale e poi approda a Laziodisu (l’ente regionale per il diritto allo studio). È una fedelissima di Roberto Garofoli, ex sottosegretario a Palazzo Chigi con Draghi. Nel 2014 approda al Ministero dell’Economia (dove Garofoli era capo di Gabinetto di Pier Carlo Padoan) e fa una rapida carriera diventando dg del Gabinetto.
Con l’arrivo di Draghi il ministro Daniele Franco la dirotta al Dipartimento del personale (Dag), mossa che ha spinto la dirigente a fare causa per la mancata nomina a direttore del personale, chiedendo 87 mila euro di danni al ministero. Voci sulla possibile nomina rispuntano a gennaio 2023 dopo l’arrivo del ministro Giancarlo Giorgetti, ma non se ne fa nulla. Giorgetti la nomina infatti vice capo di Gabinetto, che così arrivano a ben sei, un record. Non bastasse, approda anche nel cda di Poste. Veniamo alla causa. Gemignani contestava la scelta di assegnare a un altro dirigente il posto di capo del personale.
Ad aprile scorso il giudice del Lavoro le ha dato torto, confermando la valutazione del ministero sull’inidoneità all’incarico del cv presentato, condannandola a rifondere le spese legali (5 mila euro al Mef e altrettanti all’Avvocatura). Lo ha fatto? Nei corridoi ministeriali nessuno conferma. Il Fatto lo ha chiesto al Mef che, dopo quattro giorni di “opportune verifiche”, ha risposto che la domanda va posta all’Avvocatura di Stato, a cui spetta recuperare le somme ma non ha un ufficio stampa.
Abbiamo allora chiesto al ministero della Cultura, che però ci ha risposto di chiedere al Mef. Evidentemente non l’hanno voluto chiedere alla diretta interessata (il Fatto ci ha provato senza successo).
(da agenzie)

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ADAM “BOBO” GAYE, ASSUNTO DOPO OLTRE 20 ANNI DA VENDITORE AMBULANTE: “QUI HO TROVATO UNA FAMIGLIA”

Novembre 10th, 2024 Riccardo Fucile

VENDEVA OMBRELLI E AIUTAVA GLI ANZIANI DEL QUARTIERE CON LA SPESA DAVANTI ALLA CARREFOUR: ORA IL CONTRATTO A TEMPO INDETERMINATO

“Bobo è una persona unica, non ho mai conosciuto una persona così”: a dirlo a Fanpage.it è una signora che abita nelle vicinanze del supermercato Carrefour Express di Via San Senatore a Milano. Parla di Adam Gaye (52 anni), soprannominato “Bobo” – “Come Vieri, perché tifo Inter”, spiega lui – dalla gente del quartiere che l’ha accolto oltre venti anni fa, quando è arrivato in Italia dal Senegal.
Adam dice poco, ma fa tanto. Lo si capisce subito guardandolo lavorare: passa continuamente dalla cassa alla porta scorrevole, dove ci sono le clienti anziane che lo aspettano per essere aiutate a portare a casa le buste della spesa. Lo salutano tutti chiamandolo per nome e si complimentano per il nuovo lavoro.
Per anni Adam ha venduto oggetti sul marciapiede di fronte al supermercato di Via San Senatore, fino al 14 ottobre, quando ha firmato il suo primo contratto di lavoro come cassiere assunto a tempo indeterminato. “Sono contentissimo, perché finalmente ho uno stipendio fisso e posso dare una tranquillità alla mia famiglia”, gli occhi sorridono più della bocca. Sua moglie e i suoi tre figli sono in Senegal e non li vede da tre anni, ma a metà gennaio avrà le ferie e potrà finalmente andare a trovarli.
“La gente del quartiere lo ammira e ha spinto per la sua assunzione, è un po’ il figlio di tutti”, dice un collega. Anche prima di lavorare al supermercato, infatti, Adam aiutava gli anziani del quartiere: faceva loro la spesa, portava le buste a casa, li aiutava ad attraversare. Lo faceva “con simpatia e senza chiedere nulla in cambio”. Per questo motivo, prima di firmare il contratto, ha chiesto di poter continuare ad aiutare le persone che per oltre venti anni gli hanno voluto bene e sono state per lui come una famiglia: “Sono abituato così, non avrei potuto smettere di fare quello che ho fatto per oltre vent’anni e abbandonare chi mi è stato amico”
Il titolare, Giovanni Dessena, ha detto subito sì: “L’ho assunto perché vedevo come si rapportava alle famiglie, come aiutava la gente del posto”.
Una rete sociale lunga oltre vent’anni
“Le anziane che vedi non potrebbero venire a fare la spesa se io non le aiutassi”, spiega. In meno di quattro ore sono almeno cinque le signore che chiedono il suo braccio per attraversare, che danno a lui la carta di credito per fare la spesa, che lo aspettano per essere aiutate con le buste o alle quali le porta in sella alla bicicletta parcheggiata fuori dal supermercato.
Ce n’è una in particolare che, mentre racconta di lui seduta all’interno del supermercato nell’attesa che Adam finisca alla cassa per essere accompagnata, si commuove. “Non dormivo la notte perché pensavo a come avrei fatto senza Bobo, se non avesse più potuto aiutarmi. Ho dei gradini difficili in casa che mi hanno già fatta cadere una volta, invece lui mi dà il braccio”, dice mentre i suoi occhi blu cielo si riempiono di lacrime
Quando gli faccio notare che tutte le persone che ho incontrato mi hanno parlato di lui con affetto e stima, la sua risposta è lucida e diretta: “Venti anni non sono due giorni. Il mondo è tutto uguale, se non pensi solo ai soldi e hai rispetto delle persone come se fossero i tuoi genitori, la gente ti vuole bene”.
(da Fanpage)

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PILOTI ARIANI, DEPORTAZIONE DEI MIGRANTI E ZECCHE DI SINISTRA: LA CLIP MUSICALE DELLA ORGANIZZAZIONE GIOVANILE DEL PARTITO NEONAZISTA AFD

Novembre 10th, 2024 Riccardo Fucile

L’ULTIMA CREAZIONE PROPAGANDISTA DI JUNGE ALTERNATIVE

Piloti e hostess ariani con capelli biondi e occhi chiari ballano a tempo sulle note di un video musicale razzista che esalta la deportazione delle persone migranti.
È questa l’ultima creazione propagandistica della giovanile, Junge Alternative, del partito neonazista Afd (Alternative für Deutschland). Il videoclip musicale è stato realizzato con l’intelligenza artificiale da come si può notare dalle scritte confuse, dai dettagli dei volti e delle mani dei protagonisti e dalle immagini al limite del grottesco.
«Ho la sensazione che oggi sarà un grosso problema per te. Questa è la festa della deportazione sì te lo diciamo. Oggi tutti stanno volando a casa, non c’è nessuno qui. Stiamo davvero festeggiando, non torneranno mai più», canta una voce fuori campo mentre scorrono a video piloti e hostess felici mentre le persone migranti vengono imbarcate sui velivoli. Più avanti si dice: «Così se ne va ogni tizio di sinistra. Questa notte è la notte della Germania. La tua migrazione ha inizio».
(da agenzie)

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PADRE, FIGLIUOLO E SPIRITO SANTO: GIORGIA MELONI VORREBBE IL GENERALE FIGLIUOLO A CAPO DEL DIS, A MAGGIO 2025 SCADRA’ IL MANDATO DI ELISABETTA BELLONI

Novembre 10th, 2024 Riccardo Fucile

BALLANO ANCHE ALTRE IPOTESI: POTREBBE ARRIVARE GIOVANNI CARAVELLI (CAPO DELL’AISE) O BRUNO VALENSISE (NUMERO UNO AISI). A QUEL PUNTO PER FIGLIUOLO SI APRIREBBERO ALTRE CASELLE, MA SEMPRE ALL’INTERNO DELL’INTELLIGENCE

Ricompensare il generale Figliuolo. Che dunque, in futuro, potrebbe avere un ruolo nei Servizisegreti. La premier Giorgia Meloni e parte del suo entourage stanno pensando al Generale più noto d’Italia anche come possibile capo del Dis, il Dipartimento che coordina l’operato di Aisi e Aise, gli 007 per l’interno e per l’estero.
Ad oggi Francesco Paolo Figliuolo è commissario straordinario per la ricostruzione in Emilia-Romagna, Marche e Toscana, nominato a giugno del 2023 dall’attuale Consiglio dei ministri. Il suo incarico scadrà a gennaio 2025 e a quel punto l’idea, che gira negli uffici di Palazzo Chigi, è quella di farlo traghettare in ambito intelligence.
Infatti a maggio 2025 si libererà una casella importante: scadrà il mandato di Elisabetta Belloni, attuale capo del Dis. Diplomatica di lungo corso, i rumors la danno come possibile futura ministra degli Affari Europei, al posto di Raffaele Fitto, ora vicepresidente esecutivo della Commissione europea con delega alla Coesione e Riforme.
Ipotesi questa che, seppur in circolo da tempo, in realtà convincerebbe poco la premier che preferirebbe redistribuire le deleghe e nominare un nuovo sottosegretario per evitare rimpasti. Nel frattempo però proprio su quella che tra sei mesi diventerà la più delicata casella vacante al Dis in molti si portano avanti con congetture e ipotesi.
Ed ecco che viene fuori il nome di Figliuolo. 19º Comandante delle forze Nato in Kosovo, Kosovo Force (Kfor) con il grado di generale di divisione, Figliuolo è stato Capo Reparto Logistico dello Stato maggiore dell’Esercito dall’agosto 2015 al maggio 2016. Da gennaio 2018 promosso generale di corpo d’armata, a marzo 2021 viene nominato dall’allora premier Mario Draghi commissario straordinario per l’emergenza Covid.
A dicembre 2021 su proposta dell’allora ministro della Difesa Lorenzo Guerini, passa al vertice del Comando operativo di vertice interforze, il Covi, un organismo dipendente dal Capo di Stato maggiore della difesa che che si occupa della direzione delle operazioni militari italiane. Giugno 2023, con Meloni arriva un nuovo incarico: Commissario straordinario per la ricostruzione dopo l’alluvione. Il suo nome era stato fatto anche poche settimane fa quando bisognava procedere alla nomina del nuovo capo di Stato Maggiore della Difesa. Alla fine la scelta è ricaduta sul Generale di Corpo d’Armata Luciano Portolano. […]
Al Dis, nel post-Belloni, in realtà molti danno più probabile la nomina di una figura già interna: […] potrebbe arrivare Giovanni Caravelli (capo dell’Aise) o anche Bruno Valensise (numero uno Aisi). A quel punto per Figliuolo si aprirebbero altre caselle, ma sempre all’interno dell’intelligence.
(da “Fatto quotidiano”)

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