Novembre 20th, 2024 Riccardo Fucile
14 AGENTI SONO STATI SOSPESI, 46 GLI INDAGATI – CHE NE PENSA IL SOTTOSEGRETARIO MELONIANO ALLA GIUSTIZIA, DELMASTRO, CHE RIFERENDOSI AI CARCERATI HA DETTO: “L’IDEA DI FAR SAPERE AI CITTADINI COME NOI NON LASCIAMO RESPIRARE CHI STA DIETRO A QUEL VETRO OSCURATO È PER ME UN’INTIMA GIOIA”
Venticinque poliziotti penitenziari, accusati a vario titolo e in concorso di tortura, abuso d’autorità contro detenuti del carcere Pietro Cerulli di Trapani, e falso ideologico, sono stati raggiunti da misure cautelari e interdittive: 11 arresti domiciliari e 14 sospensioni dal pubblico ufficio.
Emessi decreti di perquisizioni, per un totale di 46 indagati. Le indagini sono partite nel 2021. L’ordinanza del Gip di Trapani, su richiesta della Procura, è stata eseguita dal nucleo investigativo regionale della polizia penitenziaria di Palermo, con l’ausilio di alcuni reparti territoriali coordinati dal nucleo investigativo centrale.
L’indagine condotta dal nucleo investigativo regionale di Palermo, coordinato dal nucleo investigativo centrale, sono scattate dopo alcune denunce effettuate dai detenuti del penitenziario trapanese che avrebbero subito maltrattamenti in luoghi privi di telecamere, che una volta installate avrebbero registrato violenze reiterate da parte di agenti nei confronti di detenuti.
I particolari sull’operazione verranno resi noti nel corso di una conferenza stampa negli uffici della procura di Trapani, alla presenza del procuratore capo Gabriele Paci.
(da agenzie)
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Novembre 20th, 2024 Riccardo Fucile
CONTE: “SE PERDO, LASCIO”… ASSEMBLEA DECISIVA PER IL FUTURO DEL MOVIMENTO
La Costituente sta arrivando e il M5S esplode. Con Giuseppe Conte che si ritrova tra
due fuochi. Da una parte il primo avversario, il garante che punge mentre gioca a nascondersi, quel Beppe Grillo che potrebbe irrompere nell’assemblea a Roma del prossimo fine settimana, e che nell’attesa tramite i fedelissimi esorta – ufficiosamente – a disertare le votazioni sul web. Dall’altra la big che non si nasconde più, la vicepresidente del M5S Chiara Appendino, sferzante il giorno dopo le Regionali: “Non possiamo essere soddisfatti quando il Movimento va, ancora una volta, sotto il 5 per cento. Il Pd ci sta fagocitando, stiamo diventando un socio minoritario”. Dritta, al cuore di Giuseppe Conte. Quasi come la leader di una mozione congressuale alternativa. Di certo in antitesi al Conte che lunedì sera aveva celebrato “le bellissime vittorie in Umbria e Emilia-Romagna”. E che in serata rilancia a Rainews24: “Se il percorso fatto fin qui su alleanze e collocazione politica verrà messo in discussione, ne trarrò le conseguenze”. Tradotto: se nella Costituente gli iscritti voteranno per il divieto di alleanze e contro la collocazione del M5S nel campo progressista, darà le dimissioni. Eccole, le possibili schegge del simil-congresso dei Cinque Stelle.
Inizierà a votare domani, la base del M5S, su una montagna di quesiti. Partita che si gioca soprattutto sul quorum. Dopo la scrematura degli inattivi, gli iscritti dovrebbero essere scesi attorno ai 90-92 mila. Conte ha bisogno che voti la maggioranza assoluta per dare un segnale forte. Anche se da statuto Grillo potrà comunque chiedere una seconda votazione sulle modifiche statutarie, che in quel caso passerebbero solo con la partecipazione della metà più uno degli iscritti. “Dobbiamo superare la quota dei 46 mila votanti” riassumono dal M5S. Per questo Conte, sempre sulla Rai, esorta gli iscritti: “Avete la possibilità di decidere il futuro del M5S, non resta che votare”. Sa che i dissidenti grillini invitano a disertare le urne. Nelle chat e nelle telefonate, rimarcano le percentuali rimediate dai 5Stelle nelle Regionali: 3,5 in Emilia-Romagna, 4,7 in Umbria. La prova, sostengono, che stare in coalizione con il Pd è veleno per il M5S. Tesi non lontana dalle posizioni di Appendino. Due settimane fa al Fatto l’ex sindaca aveva detto: “Non è il momento di un’alleanza strutturale con il Pd, e non dobbiamo essere subalterni ai dem”. Ieri sera, un post come un macigno: “Non sono felice né soddisfatta, la mancanza di un’identità forte sta disperdendo il nostro vento nelle vele del Pd. Come facciamo a convincere le persone a venirci a votare se non è chiaro per cosa lottiamo?”. Ergo, “pensiamo a chi vogliamo essere noi e non a cosa fanno gli altri partiti: meglio non essere che essere una brutta copia, sbiadita, degli altri”. Sembrano parole da sfidante di Conte. Accolte in modo gelido ai piani alti del M5S.
Però potrebbero essere piaciute al Grillo che in queste ore è un enigma per il Movimento, dove tutti si chiedono se apparirà – fuori scaletta – all’assemblea romana presso il Palazzo dei Congressi, in programma sabato e domenica. Ieri il fondatore ha ironizzato su Conte con una storia su WhatsApp, con una foto che ritrae il garante accanto a un giapponese in divisa da militare della 2ª guerra mondiale. A corredo, un gioco di parole: Oz Onoda. E mentre il mago di Oz è il soprannome che Grillo ha affibbiato all’ex premier, Hiroo Onoda era l’ultimo giapponese, ossia il soldato che si arrese nel 1974, ignaro della fine del conflitto. La guerra a 5Stelle invece è in pieno svolgimento. Ma il fondatore farà la mossa? “Credo che Beppe non si farà vedere, rischia di essere coperto dai fischi di una platea contiana, e per lui sarebbe una disfatta” sussurra un veterano che ha ancora rapporti con lui. Però Grillo è umorale, imprevedibile. Può cambiare piani all’ultimo istante. Diversi maggiorenti del M5S hanno suggerito a Conte di giocare d’anticipo, invitandolo all’assemblea. Magari al tavolo sull’energia. L’avvocato ha preso nota, ma non ha deciso. Perché in tempi di guerra politica ogni scelta pesa.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Novembre 20th, 2024 Riccardo Fucile
MEDICI E INFERMIERI PROTESTANO PER GLI STIPENDI PIU’ BASSI D’EUROPA MENTRE AUMENTANO I NEOLAUREATI CHE FUGGONO ALL’ESTERO
Per i cittadini che dovranno rivolgersi alle cure del Servizio sanitario nazionale quella di mercoledì 20 novembre sarà una giornata particolarmente delicata. I medici e infermieri di tutta Italia si asterranno dal lavoro per uno sciopero nazionale indetto dalle principali sigle sindacali del settore: i sindacati dei medici Anaao Assomed e Cimo-Fesmed e quello degli infermieri Nursing Up.
Sarebbero a rischio circa 1,2 milioni di prestazioni sanitarie, tra visite di ambulatorio, servizi di assistenza, esami radiografici (erano circa 50mila), interventi chirurgici programmati (15mila) e visite specialistiche. Saranno invece garantiti i servizi essenziali e di emergenza. Resteranno attivi i pronto soccorso, le terapie intensive, il 118 e gli interventi di chirurgia d’urgenza.
Ultimi in Europa
Il principale motivo della protesta è, ovviamente, la legge di Bilancio, che – a detta dei sindacati – è «deludente» perché «conferma la riduzione del finanziamento per la sanità rispetto a quanto annunciato nelle scorse settimane e cambia le carte in tavola rispetto a quanto proclamato per mesi». Difatti, il ministro della Sanità Oreste Schillaci pochi mesi fa aveva sentenziato: «Con 3 o 4 miliardi in più – per l’anno 2025 – potremmo risolvere i problemi della sanità. Di questi, circa 1,5 miliardi servirebbero per il personale, che deve essere pagato meglio». Invece, con la manovra il governo ha stanziato solo 1,2 miliardi lordi in più, che equivalgono a solo 900 milioni di euro netti.
Questo magro incremento non modifica il nostro rapporto tra spesa sanitaria e Pil, che resta del 6,2-6,3 per cento, ed è uno dei più bassi tra tutti i paesi occidentali: nel 2023 è stato inferiore di 0,7 punti percentuali rispetto alla media Ocse (6,9 per cento) e di 0,6 alla media europea (6,8 per cento). Nel 2022 per l’assistenza sanitaria di ogni italiano sono stati spesi 2.947 euro (corretti per il potere d’acquisto): 586 euro in meno della media europea e quasi la metà rispetto alla spesa della Germania (5.317 euro ogni tedesco).
«Protestiamo», affermano Pierino Di Silverio, segretario Anaao Assomed, Guido Quici, presidente Cimo-Fesmed, e Antonio De Palma, presidente Nursing Up, «per avere un giusto riconoscimento per le nostre professioni, anche economico». I sindacati lamentano che ai contratti di lavoro, anche nell’ospedalità privata, «vengono assegnate risorse assolutamente insufficienti»: manca la detassazione di una parte della retribuzione; manca l’attuazione della normativa sulla depenalizzazione dell’atto medico e sanitario; esiguo e intempestivo è l’incremento dell’indennità di specificità infermieristica, senza estensione alle ostetriche.
Detto in parole povere, i medici e gli infermieri italiani hanno tra gli stipendi più bassi d’Europa, e la manovra non fa nulla per migliorare la situazione. Secondo le stime dell’Ocse, tenendo presenti le differenze di costo della vita nei diversi paesi, un medico italiano guadagna in media 105mila dollari l’anno, un suo collega tedesco 188mila, uno olandese 190mila, e uno francese 120mila. Lo stipendio medio di un infermiere italiano è di circa 39mila dollari, mentre un infermiere belga 87mila, uno tedesco 59mila.
Emergenza cronica
E il governo che ha fatto? La legge di Bilancio approvata prevede un aumento dell’indennità di specificità medica di 17 euro per i medici e 14 per i dirigenti nel 2025, di 115 per i medici e zero per i dirigenti nel 2026, mentre per gli infermieri di 7 euro per il 2025 e di 80 per il 2026. Pochi spiccioli in più, l’equivalente di una pizza al mese. Circa il 10-20 per cento dei nostri medici neolaureati ogni anno fugge all’estero, visto che dei 9.000 nuovi medici ogni anno più di 1.000 emigrano verso paesi dove guadagnano di più e vivono sereni, e le cose non cambieranno.
I soldi sono pochi e quei pochi vengono anche spesi male, come ha certificato una recente delibera della Corte dei Conti. Dal 2020 al 2024 il ministero della Salute aveva stanziato 2 miliardi per ridurre le liste d’attesa nel Ssn, ma «per quanto attiene al monitoraggio relativo all’attuazione delle misure assunte sono emerse problematiche in merito alla metodologia basata su dati autocertificati da parte delle Regioni che mostrano discrasie».
È scritto in burocratese, ma significa che le regioni hanno speso solo una minima parte della somma stanziata per ridurre le liste di attesa, e per di più hanno presentato dati parziali che non possono certificare se le liste di attesa siano davvero diminuite e dove (esami fatti da chi e dove, diminuzione dei tempi di attesa per esame, e così via): insomma, ogni regione si autocertificava i miglioramenti senza presentare dati obiettivi certi.
«Se i giovani professionisti scappano in massa all’estero, e si è costretti ad andare in capo al mondo per cercare colleghi disposti a prendere il loro posto nei nostri ospedali, è perché non sono più disposti ad accettare di lavorare in queste condizioni», spiegano i leader dei sindacati. E proseguono: «Quello che noi chiediamo è ridare dignità e valore al nostro lavoro. Nessuno vuole più lavorare sapendo di rischiare quotidianamente una denuncia, un insulto, un calcio o una manganellata. Nessuno è più disposto a rinunciare a ferie, riposi, malattie per garantire i servizi. Nessuno intende più lavorare in un’emergenza ormai cronica, la cui fine neanche si intravede».
(da agenzie)
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Novembre 20th, 2024 Riccardo Fucile
“AVANTI CON LE BATTAGLIE CONTRO IL GOVERNO A DIFESA DEI DIRITTI DEI CITTADINI”
Il successo alle regionali, con la doppia vittoria in Emilia Romagna e Umbria, carica il
Partito democratico. Avanti con le battaglie contro le politiche del governo Meloni. La priorità resta la sanità pubblica. E per questo i dem si preparano alla mobilitazione con presidi in molti ospedali italiani, da nord a sud. Un anticipo c’è stato durante la campagna elettorale in Umbria, con i leader dem, M5S e Avs davanti all’ospedale Santa Maria di Terni.
L’iniziativa, annunciata nella conferenza stampa di stamattina, al Nazareno arriva nel giorno dello sciopero dei medici contro la manovra con l’astensione dal lavoro di 24 ore, fino a mezzanotte. La protesta, come riferiscono i sindacati, sta già raccogliendo una forte adesione tra medici, dirigenti sanitari, infermieri e professionisti sanitari, “fino a punte dell’85% compresi gli esoneri previsti per legge”.
Per Elly Schlein, come dichiarato nell’intervista rilasciata a Repubblica, la sanità pubblica “è diventata la prima preoccupazione dei cittadini a prescindere da ciò che votano. E non mi stupirei se una parte di quegli elettori che hanno votato per Stefania Proietti e Michele de Pascale l’abbiano fatto proprio in virtù delle nostre battaglie a difesa degli ospedali e dei salari”. Non solo. FdI in Umbria ha perso 14-15 punti rispetto alle Europee, in soli cinque mesi. Osserva ancora Schlein: “Non mi pare un caso che avvenga proprio mentre il governo annuncia altri tagli alla scuola e alla sanità pubblica”.
(da agenzie)
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Novembre 20th, 2024 Riccardo Fucile
“SIAMO DI FRONTE A UN’EMERGENZA REALE, VALDITARA SU BASI SUI DATI NON SULLA SUA PROPAGANDA”
Scontro a L’aria che tira (La7) tra il regista e attore Edoardo Leo e il presidente di Nazione Futura, Francesco Giubilei, sulle discusse parole pronunciate dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara in occasione dell’inaugurazione della Fondazione Cecchettin. §
Leo ha affrontato il tema del femminicidio nel suo ultimo film, “Non sono quello che sono”, uscito nelle sale il 14 novembre e incentrato sulla tragedia di Otello, Desdemona e Iago trasposta nel nuovo millennio e tradotta in dialetto napoletano e romano.
Giubilei, pur premettendo che la sortita di Valditara fosse fuori contesto, sostiene che il problema del patriarcato in Italia è minore, mentre sul display in studio campeggiano i dati forniti dal ministero dell’Interno: nel 2023 il 93,9% delle donne è stato ucciso da italiani.
L’esponente di destra cita, come sempre, la cultura islamica: “In quelle società il problema del patriarcato è molto più ingente rispetto all’Italia e alle società occidentali. In Italia fortunatamente è un problema minore, solo alcuni uomini compiono violenze inaccettabili contro le donne. Non possiamo mettere sul banco degli imputati gli uomini in quanto tali, questo è sbagliato, perché alcuni uomini sono violenti, altri no”.
“Io sinceramente non capisco il senso di questo intervento – commenta Leo – C’è un dato incontrovertibile del ministero dell’Interno: il 93,9% dei femminicidi è stato commesso da italiani. Punto. Non capisco quale altro commento si possa fare, non capisco perché si dica ‘alcuni italiani, altri no’“.
“Non possiamo dire che tutti gli italiani siano violenti”, ribatte Giubilei.
“Sì, ma c’è un dato del ministero dell’Interno – replica Leo – Non è che ci sia un altro commento da fare. Quindi, se un ministro (Valditara, ndr) dà un dato sbagliato, è un dato sbagliato. Se discutiamo pure i dati, è finita. Tra l’altro, c’è scritto, non è che sia una opinione mia”.
Leo, dopo un momento di sconcerto, ricorda che molti conti correnti in Italia sono intestati a uomini e aggiunge: “Dire che il patriarcato non esiste e che c’è l’Islam significa proprio non leggere i numeri. Non è una questione di opinione politica, ma di dati. E i numeri sono incontrovertibili”.
L’artista poi si pronuncia sulle parole di Valditara: “Hanno distratto l’attenzione dalla Fondazione Cecchettin. Io per presentare il mio film ho fatto un giro nelle università: in 2 settimane sono state uccise 5 ragazze italiane under 30, tutte da italiani in contesti familiari, cioè da fidanzati o compagni. C’è un’emergenza, non possiamo dire che in Italia è diverso rispetto agli altri paesi. Questa è un’emergenza molto più drammatica di come la presentiamo“.
(da agenzie)
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Novembre 20th, 2024 Riccardo Fucile
LA NUOVA BORDATA A MELONI E SALVINI E ALLA LORO LOTTA AI MAGISTRATI: “CON LA CONFLITTUALITÀ ISTITUZIONALE SI DIFFONDE UN CLIMA DI SFIDUCIA” – “LA DEMOCRAZIA È SOSTANZA. LO SPIRITO DI INIZIATIVA È INCORAGGIATO DA ISTITUZIONI NON INVASIVE E DA POTERI NON ACCENTRATI”
“Sta crescendo la presenza di aziende guidate da cittadini immigrati. Dal
commerciogiunge pertanto anche un impulso all’integrazione, potente fattore di sicurezza”. Lo ha sottolineato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’Assemblea Nazionale Confesercenti.
“Lei segnala, presidente, sulla base della riduzione, in termini reali, dei consumi delle famiglie nel primo semestre del corrente anno, la preoccupazione del diffondersi di un clima di sfiducia, quasi che i fondamentali positivi dell’economia non riescano a bilanciare gli effetti del clima di conflittualità politica e istituzionale. I tempi facili sono un inganno”. Lo ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’Assemblea Nazionale Confesercenti riferendosi all’intervento precedente della presidente Patrizia De Luise
“Il nostro ordinamento è qualcosa di più di un insieme di norme e di forme. La democrazia è sostanza. Si invera in uno sviluppo sociale dove libertà, uguaglianza, equità rappresentano l’obiettivo e lo spirito di iniziativa è incoraggiato da istituzioni non invasive e da poteri non accentrati. Con questo prezioso bagaglio andiamo incontro ai tempi nuovi”.
Interesse vitale del commercio è contrastare sempre l’illegalità: dalle contraffazioni e dalle forme di commercio abusive fino alle infiltrazioni criminali. Le vostre battaglie contro l’usura e il pizzo hanno coinvolto persone, comunità, associazioni e hanno consentito di raggiungere risultati importanti. Sono temi, oggi, in minore evidenza. Dubito che questo derivi da una sconfitta definitiva di quei fenomeni. Non si deve mai abbassare la guardia”.
(da agenzie)
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Novembre 20th, 2024 Riccardo Fucile
I GIUDICI CONTABILI PUNTANO IL DITO CONTRO REGIONI E PROVINCE CHE HANNO FORNITO “DATI PARZIALI E DISOMOGENEI”. E INVITANO IL MINISTERO DELLA SALUTE A METTERE A PUNTO “UN SISTEMA DI MONITORAGGIO EFFICACE” – DAL 2020 AL 2024 SONO STATI STANZIATI 2 MILIARDI DI EURO PER RIDURRE LE LISTE, CON SCARSI RISULTATI
“Criticità nella metodologia adottata, basata su dati autocertificati da parte di Regioni e Province autonome che appaiono non omogenei”. Questo quanto emerge dall’analisi sulla Riduzione delle liste di attesa relative alle prestazioni non erogate durante l’emergenza Covid, approvata con delibera dalla Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato della Corte dei Conti, in cui si sottolinea “il mancato utilizzo di flussi informativi nazionali e di sistemi informativi strutturati, allo stato non disponibili”.
E rileva che dal 2020 al 2024 sono stati stanziati 2 miliardi per ridurre le liste. Il documento, di 180 pagine, redatto dalla magistratura contabile, evidenzia in particolare le “difficoltà incontrate dal ministero della Salute nello svolgimento delle attività di coordinamento e monitoraggio, sia sul versante della verifica dell’avvenuta programmazione, sia per quanto attiene alla capacità delle autonomie territoriali nel comunicare tempestivamente il grado di raggiungimento degli obiettivi da esse programmati”.
I dati trasmessi, infatti, da Regioni e Province autonome, specifica la Corte “risultano spesso parziali e disomogenei e, dunque, non confrontabili fra loro per le diverse metodologie applicate alle stime dei ricoveri e delle prestazioni non erogate, con informazioni che non forniscono sempre quadri aggiornati e completi, dai quali potrebbe emergere un utilizzo regionale delle risorse stanziate maggiormente orientato al ripianamento dei disavanzi sanitari e a un abbattimento solo residuale delle liste di attesa, stante l’ampia finalizzazione prevista dalla normativa vigente che potrebbe indurre le Regioni ad operare in tal senso”.
Non risulta, inoltre, rileva la Corte, un meccanismo di acquisizione dati che consenta di valutare l’effettiva applicazione da parte dei soggetti attuatori delle misure previste in materia e, soprattutto, “per verificare il corretto utilizzo delle risorse finanziarie messe in campo con la fiscalità generale”.
Tra i dati citati nella relazione, quello relativo al 4/o trimestre del 2022 quando la spesa rendicontata a consuntivo ammontava a circa il 70% del totale, pari a 348 milioni di euro su uno stanziamento di 500milioni di cui un importo massimo di 150 milioni da utilizzarsi per coinvolgere le strutture private accreditate.
Nelle conclusioni, quindi, la Corte auspica “lo sviluppo di un apparato organizzativo e informativo per il monitoraggio sul conseguimento degli obiettivi in materia, viste anche le risorse stanziate, proprio di recente, per la riduzione del fenomeno”.
(da agenzie)
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Novembre 20th, 2024 Riccardo Fucile
COLOSSI E PMI TRICOLORI CHE PRODUCONO SUL SUOLO MESSICANO PER SFRUTTARE I COSTI PIÙ BASSI E POI ESPORTARE VERSO I RICCHI STATI UNITI E NON SOLO … RISCHIANO DI PAGARE UN CONTO SALATO FERRERO, ENI, PIRELLI, BREMBO, STELLANTIS E CAMPARI
C’è già stata una prima “vittima” del clamoroso, ma di certo non imprevedibile,
ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. La mattina dopo la rielezione del magnate americano a presidente: il Messico, che di fatto vive di export verso i vicini Stati Uniti. Le scosse hanno subito colpito Città del Messico: il peso, termometro del paese, è crollato ai minimi da due anni contro il dollaro.
Se Trump alzerà davvero il ponte levatoio di dazi, il vicino di casa, da sempre serbatoio di manodopera (ma anche di criminalità) e di delocalizzazione, sarà quello che pagherà il conto più salato. Nel mondo globalizzato, gli Stati Uniti sono un grande consumatore che produce ben poco (o nulla) e che importa quasi tutto.
Quella vulnerabilità, però, non si ferma alla terra dei sombreri, ma arriva a toccare anche l’Italia: il Messico conta 1.800 aziende tricolori, secondo un censimento della CaMexItal, la camera di commercio Italo-Messicana.
Di queste, una grossa fetta ha anche stabilimenti: circa 300. Quello che succederà al Messico avrà presenti contraccolpi in Italia: molti di quei 300 stabilimenti sono stati costruiti su suolo messicano per sfruttare i costi più bassi e poi esportare verso i ricchi Stati Uniti, data anche la vicinanza geografica. È un Made in Italy in Mexico che serve a tenere i prodotti concorrenziali (e a fare più margini).
L’Italia non è l’unico paese ad aver sfruttato l’asimmetria: anche colossi americani si sono trasferiti a sud del confine, dove producono per poi vendere a casa loro. È su quelli che l’ira di Trump si vuole abbattere, con l’arma dei dazi. Eventuali nuove tasse sulle merci importate, per favorire il ritorno di produzioni estere in casa (reshoring), rischiano tuttavia di essere una tegola per le aziende tricolori.
Scorrendo la lista dell’Italia in Messico, ci sono tutti i grandi colossi industriali del paese: da Eni a Leonardo, dalla Ferrero dei dolciumi alla Pirelli; da Brembo alla Campari.
La fetta più grossa della torta è composta dalle aziende italiane che hanno delocalizzato: primo su tutti la Ferrero di Alba. Nel 2012, il gigante mondiale dei dolciumi, inaugurò uno stabilimento a San Josè. Da quella fabbrica escono ogni anno 45mila tonnellate di Nutella e cioccolata Kinder: il 40% prende la via del NordAmerica. Lo stesso vale anche per le classiche pmi: Elica produce in Messico le sue famose cappe da cucina per gli Usa (si veda intervista a lato).
Pirelli è un caso a metà ed esemplare: la storica azienda di pneumatici di Marco Tronchetti Provera possiede uno stabilimento dal 2012, da cui escono oggi 8 milioni di pezzi, i quali sono venduti sul mercato domestico e in USA, in base a una strategia industriale “locale su locale”, che mitiga impatti di questo tipo. Negli Stati Uniti, peraltro, il gruppo ha un altro stabilimento, in Georgia: è però un impianto molto più piccolo di quello di Silao.
La ex FCA, oggi Stellantis, costruisce in Messico i furgoni RAM 1500, marchio del gruppo Chrysler che salvò nel 2009, e con un tempismo fatidico, poche settimane prima della vittoria di Trump ha annunciato che aumenterà la produzione ma allo stesso tempo investirà oltre 200 milioni di dollari per fare la versione elettrica dello stesso veicolo negli stabilimenti in Michigan, anch’essi eredità di Chrysler, marchio americano.
Lo scorso anno, Brembo, la multinazionale dei freni, ha investito mezzo miliardo in Messico per raddoppiare la capacità dello stabilimento di Escobedo: per il gruppo italiano l’area Nafta vale 1 miliardo di ricavi, un terzo del totale. Ha anche 2 fabbriche in Michigan che potrebbero compensare l’impatto dei dazi.
C’è chi, poi, dal Messico non si può proprio muovere, dazi o non dazi. Perché è lì per forza, non per una scelta di costi: è il caso di Campari ed Eni. La casa milanese dello Spritz e degli alcolici ha una distilleria di Tequila, il marchio Espolòn: dal Messico la esporta in tutto il mondo (ma gli Usa sono per ora il principale mercato). Anche volendo, se i dazi fossero insostenibili, l’industria di Luca Garavoglia non potrebbe spostarsi, perché la Tequila si può fare solo lì.
Nemmeno Eni può muovere le sue piattaforme nel Golfo del Messico: da lì estrae 16mila barili di petrolio al giorno (dato del 2023), che prendono la via del mercato globale e una parte viene venduta anche agli Stati Uniti, dove però Eni ha pure lì trivelle ed estrae circa 17 milioni di barili l’anno.
Il cibo italiano, che tutti nel mondo vogliono, è uno dei settori esposti al rischio della tegola della dogana: l’azienda di salumi Parmacotto produce in Messico e vende negli Stati Uniti, un mercato in forte crescita per il marchio (30 milioni di ricavi, il 30% del totale). In realtà già da prima di Trump, ci sono forti limiti sull’importazione di insaccati: possono entrare negli Usa solo prodotti con meno di sei mesi di stagionatura.
Sempre in zona Parma, Barilla è un’eccezione: la marca di pasta più famosa al mondo è entrata nel paese più di venti anni fa e produce pasta per il mercato domestico. E, in ogni caso, Barilla ha un’enorme fabbrica negli Stati Uniti, in Iowa. In caso di dazi, non avrebbe problemi. Non tutti, però, hanno la forza del colosso emiliano.
(da il Sole 24 Ore)
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