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L’ITALIA PRENDA ESEMPIO DALL’INDIA: I LEADER POLITICI DEL PUNJAB SONO STATI MANDATI IN “PENITENZA RELIGIOSA”AL TEMPIO D’ORO DI AMRITSAR PER GLI ERRORI COMMESSI DAL GOVERNO

Dicembre 3rd, 2024 Riccardo Fucile

SUKHBIR SINGH BADAL, LEADER DEL PARTITO DEL “SAD” ED EX MEMBRO PARLAMENTO INDIANO, HA TRASCORSO UN’ORA IMMOBILE ALL’INGRESSO DEL “GOLDEN TEMPLE”: AL COLLO AVEVA APPESO UN CARTELLO SU CUI ERA SCRITTA L’AMMISSIONE DEI SUOI PECCATI

Sukhbir Singh Badal, esponente della comunità sikh, e leader del partito del Punjab Shiromani Akali Dal (SAD) sta scontando da oggi ad Amritsar la “penitenza religiosa” che gli è stata attribuita ieri dal consiglio degli anziani, per gli “errori” commessi dal governo di cui è stato vice Chief Minister dal 2007 al 2017. Badal, che è stato anche membro della Lok Sabha, il parlamento indiano, ha trascorso un’ora immobile, seduto su una sedia a rotelle per via di una gamba ingessata, nel ruolo di guardia all’ingresso del famoso Golden Temple.
Nella mano destra il politico reggeva una lancia, al collo aveva appeso un cartello su cui era scritta l’ammissione dei suoi peccati. L’ora nelle vesti della guardia sarà ripetuta nei prossimi giorni. Per numerosi altri esponenti politici sikh, tra cui alcuni ex ministri, la penitenza consiste invece in varie attività di servizio al Tempio, dalla pulizia dei gabinetti, al lavaggio dei piatti nella mensa, alla lettura delle preghiere.
Le penitenze erano state rese note ieri dall’Akal Takht, il più alto organismo temporale dei Sikh. Molti media stanno criticando la scelta dei leader del partito locale che hanno accettato le imposizioni del consiglio religioso, invece di dibattere l’accaduto nell’ambito di una discussione politica laica.
(da agenzie)

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LA LE PEN E IL MELENCHON UNITI CONTRO MACRON:LA “DUCIONA” DI FRANCIA STACCA LA SPINA AL GOVERNO BARNIER, CHE SI REGGEVA SULL’ASTENSIONE DEL RASSEMBLEMENT NATIONAL, E SI DICE PRONTA A VOTARE LA MOZIONE DI SFIDUCIA DELLA SINISTRA

Dicembre 3rd, 2024 Riccardo Fucile

TERRORIZZATA DALLA POSSIBILE CONDANNA PER APPROPRIAZIONE INDEBITA, LE PEN ALZA L’ASTICELLA E INSIEME ALLA GAUCHE PUNTA A FAR DIMETTERE MACRON. MA MACRON RESTERÀ INCOLLATO ALLA POLTRONA FINO ALL’ULTIMO (È IL SUO SECONDO E ULTIMO MANDATO)

Si apre la crisi di governo e la Francia entra in «terra incognita », come ha paventato ieri Michel Barnier. In un solenne appello al parlamento, il premier ha allertato invano sui rischi di una sfiducia contro di lui, nel mezzo dell’approvazione della legge di Bilancio, sotto la vigilanza di Bruxelles e dei mercati finanziari.
Nel suo discorso, il premier ha lanciato un’ultima concessione a Marine Le Pen sul taglio ai rimborsi dei farmaci, dopo aver già arretrato su altre misure nei giorni scorsi. Troppo poco, troppo tardi per la leader dell’estrema destra che ha annunciato il voto per la sfiducia contro il governo, che sarà presentata domani in risposta alla scelta del premier di usare l’articolo costituzionale 49.3 per varare la legge di Bilancio.
l Rassemblement National di Le Pen convergerà sulla mozione della sinistra. «L’importante è far cadere questo governo», ha spiegato la leader che fino a qualche settimana fa sembrava preoccupata di accreditarsi come una forza di governo responsabile. Ora invece non esita a unirsi alla France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon.
«Tutte le manovre per salvare il governo Barnier sono fallite. Cadrà. E Macron, unico responsabile della crisi finanziaria e politica, deve andarsene», ha commentato Mélenchon che da giugno punta a una presidenziale anticipata.
Il cambio di strategia di Le Pen è giustificato ufficialmente con l’impopolarità della Finanziaria di Barnier, oltre 60 miliardi di euro. Dietro le quinte, ha pesato il processo sui fondi europei in cui la leader rischia l’ineleggibilità (sentenza a marzo). Barnier ha denunciato l’agguato di una «coalizione dei contrari». L’ex Mr. Brexit dell’Ue che si vantava di essere un bravo negoziatore è stato travolto dalla Signora francese del sovranismo
Nominato il 5 settembre, il suo esecutivo diventerà il più breve della Quinta Repubblica. Uno shock politico per la Francia. È dal 1962 che un governo non viene sfiduciato. L’ultimo precedente è quello del premier Georges Pompidou, più di 60 anni fa. Allora de Gaulle riuscì a nominare di nuovo Pompidou ma questa volta è improbabile che Macron punti di nuovo su Barnier, che comunque resterà in carica per gli affari correnti.
In un ingranaggio che sembra ormai difficile da fermare, il prossimo bersaglio è lui. Ora che il governo Barnier ha le ore contate, Emmanuel Macron finisce sotto la pressione delle opposizioni, nella morsa infernale di Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon, leader su sponde opposte accomunati però da un comune obiettivo: obbligare il capo dello Stato alle dimissioni e ottenere una presidenziale anticipata prima del 2027.
«Niente e nessuno può costringere Macron alle dimissioni» precisa il costituzionalista Jean-Philippe Derosier. Rieletto nel 2022, il Presidente quarantenne ha un mandato di cinque anni che intende portare a termine. «Resterò fino all’ultimo minuto» ha promesso Macron a luglio quando, davanti al risultato disastroso delle elezioni politiche anticipate, in cui ha perso più di cento deputati, già cominciavano ad alzarsi voci in favore di un suo possibile passo indietro.
Solo che adesso a urlare “Macron démission” non sono più solo i militanti dell’estrema sinistra in piazza, ma anche rappresentanti della destra più moderata, come l’ex ministro Jean-François Copé o l’influente relatore centrista al Bilancio del parlamento, Charles de Courson.
Il capo dello Stato, atterrato ieri a Riad per una visita di tre giorni, cerca di adottare uno stile presidenziale all’italiana, tenendosi sopra alla mischia e rimandando la responsabilità del caos ai partiti. «Il Presidente ha sempre detto di volere la stabilità. Spetta al parlamento garantirla » hanno fatto sapere con flemma dal suo entourage.
L’Eliseo però non è il Quirinale. E nel sistema semi presidenziale voluto dal Generale De Gaulle, tutto il sistema politico ruota intorno alla figura di monarca repubblicano. Se dopo un primo voto di sfiducia, ce ne sarà un altro su un nuovo esecutivo, e così via, la paralisi istituzionale potrebbe diventare insostenibile. Con l’aggravante che non si possono convocare nuove elezioni legislative prima del luglio 2025.
Il viale del tramonto è cominciato la sera del 9 giugno, pochi minuti dopo il risultato delle elezioni europee. «Ho deciso di sciogliere l’Assemblée Nationale» aveva detto Macron a sorpresa in tv, spiazzando tutti, persino il suo premier Gabriel Attal che non era stato informato
Niente lo obbligava a farlo, ma il Presidente ha calato l’asso. E ha perso. Le elezioni politiche anticipate a luglio hanno rovinato l’effetto della grande festa per i Giochi di Parigi. E ora la crisi di governo spazzerà via il successo della riapertura di Notre-Dame che sarà celebrato tra pochi giorni
Come sempre quando inizia il crepuscolo, si moltiplicano veleni e malignità sul capo dello Stato. Qualcuno ha ironizzato sulle sue piccole manie di grandezza, come far decorare la sua poltrona all’Eliseo con le iniziali “R” e “F” (République Française) ricamate in oro. È l’inizio di un ammutinamento che prepara già il dopo Macron.
(da La Repubblica)

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STA PER ARRIVARE UNA TEMPESTA FINANZIARIA SULLA FRANCIA. LA CADUTA DEL GOVERNO BARNIER PER MANO DI LE PEN E MELENCHON LASCERÀ IL PAESE SENZA MANOVRA FINANZIARIA PER IL 2025 (L’ESECUTIVO AVEVA PREVISTO UNA FINANZIARIA DA 60 MILIARDI)

Dicembre 3rd, 2024 Riccardo Fucile

IL DEBITO DI PARIGI AMMONTA A 3.228 MILIARDI DI EURO E IL DEFICIT DOVREBBE SUPERARE IL 6% DEL PIL ALLA FINE DEL 2024

L’instabilità politica e istituzionale della Francia rischia di mettere a dura prova la credibilità economica del Paese. La probabile caduta del governo Barnier lascerà i francesi senza una manovra finanziaria per il 2025.
Uno scenario inedito nella storia della Quinta Repubblica, che arriva mentre il debito ammonta a 3.228 miliardi di euro e il deficit dovrebbe superare il 6% del Pil alla fine del 2024.
Lo scenario di uno shutdown all’americana è da escludere grazie ad alcune disposizioni della Costituzione, che permettono di avanzare a colpi di decreti nonostante le difficoltà del caso.
Ma a preoccupare è soprattutto l’immagine della seconda economia europea sui mercati. Fino ad oggi le principali agenzie internazionali come Moody’s e Fitch hanno risparmiato il rating francese limitandosi ad abbassare il suo outlook, mentre S&P è stata addirittura più clemente lasciando la prospettiva a «stabile». Il crollo dell’esecutivo, però, rischia di peggiorare la situazione. Per questo il governo in carica ha lanciato l’allarme nei confronti della tempesta finanziaria si potrebbe abbattere sul Paese.I segnali più inquietanti arrivano dallo spread: il rendimento tra i titoli di Stato francesi a 10 anni (Oat) e i Bund tedeschi è salito ieri a 88 punti base, dopo aver già superato la scorsa settimana quello della Grecia, il Paese più indebitato d’Europa.
Il quotidiano economico Les Echos in serata sottolineava che molti osservatori si aspettano una «reazione violenta» dei mercati una volta che il governo sarà caduto, con il dato che potrebbe arrivare a toccare i 100 punti.
(da agenzie)

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IN GERMANIA È SCOPPIATA LA LOTTA OPERAIA, I 120 MILA DIPENDENTI DI VOLKSWAGEN HANNO INIZIATO LO SCIOPERO A OLTRANZA PER CHIEDERE DI RIVEDERE I PESANTI TAGLI OCCUPAZIONALI E LA CHIUSURA DI TRE FABBRICHE

Dicembre 3rd, 2024 Riccardo Fucile

I SINDACATI: “I VERTICI DELL’AZIENDA PUNTANO ALL’ESCALATION. HANNO DORMITO MENTRE IN CINA SI SVILUPPAVA L’ELETTRICO. CHE PAGHINO I MILIONARI DEL CDA CHE L’HANNO CAUSATA”

Quello iniziato ieri in Germania non è uno sciopero come tanti. IG Metall, il potente sindacato dei metalmeccanici, ha indetto uno “sciopero di avvertimento” con due ore di lavoro interrotto in nove stabilimenti su dieci della Volkswagen, quanto basta per danneggiare la produzione di oltre 1000 auto.
Dopo il fallimento di tre round di contrattazione collettiva in un confronto avviato ai primi di settembre, i rappresentanti sindacali hanno deciso di «mostrare i denti» e di minacciare «un’escalation senza precedenti», nelle parole della battagliera Daniela Cavallo, a capo di IG Metall in VW.
Da una parte la volontà del consiglio di amministrazione di ridurre drasticamente e velocemente i costi di produzione, con tagli alla forza lavoro che potrebbero contarsi in tagli da decine di migliaia di dipendenti abbinati alla chiusura di alcuni stabilimenti in Germania, dall’altra parte la disponibilità del consiglio di fabbrica a ridurre i salari, a rinviare gli aumenti per il recupero dell’inflazione pur di garantire per il futuro posti di lavoro e sedi. Volkswagen ha circa 127.000 dipendenti in dieci stabilimenti in Germania
Lo “scintillio delle sciabole” di IG Metall è emblematico di una questione più ampia, la sopravvivenza stessa dell’industria dell’auto tedesca in transito dal motore a combustione a quello elettrico. «Per anni, il mercato cinese si è rivelato una miniera d’oro per le case automobilistiche tedesche, consentendo di trascurare gli svantaggi competitivi nel mercato interno tedesco. Ma i tempi sono cambiati. Il mercato cinese è diventato molto più difficile», scriveva ieri F.A.Z.
Lo scontro tra IG Metall e i vertici di VW è dunque un’altra pagina nera della crisi congiunturale e strutturale che ha investito l’economia tedesca dalla pandemia. In Germania l’indice Pmi manifatturiero definitivo di novembre si è stabilizzato ieri a 43 punti, lo stesso livello di ottobre, ben al di sotto della soglia di 50 che è il limite tra crescita e contrazione
Per Moritz Schularick, presidente del Ifw Kiel Institut per l’economia globale, «la situazione economica è davvero grave in Germania. Dal 2019 si registra una mancanza di crescita, l’industria è rimasta indietro dal punto di vista tecnologico, Cina e Stati Uniti non aderiscono più all’economia globale basata sulle regole».
Per l’economista, molto critico nei confronti della lentezza con la quale la coalizione semaforo ha gestito crisi multiple senza allentare il freno sul debito, la Germania sta «attraversando una grave crisi strutturale interna, le industrie principali stanno perdendo potere competitivo, abbiamo problemi demografici e deficit tecnologici, e su tutto le fondamenta della politica commerciale estera e della sicurezza sono scosse da due shocks: Trump e guerra in Ucraina».
Alle nove e mezza gli operai soffiano già a pieni polmoni nei fischietti rossi, la loro lenta marcia dal cancello tre della fabbrica di Stöcken, nei sobborghi operai di Hannover, è scandita da colpi di tamburi e cori. In Germania le manifestazioni cominciano di buon mattino, e alle dieci sono previsti già i discorsi dei capi di IgMetall nella piazza del mercato.
Anna Lotte Scheuermann precede la testa del corteo, si aggiusta la sciarpa rossa, scatta qualche foto. «La sensazione – ci racconta l’esponente del consiglio di fabbrica – è che stavolta i vertici dell’azienda puntino all’escalation».
Le fabbriche tedesche della macchina del popolo da ieri sono permanentemente in lotta: in tutta la Germania la IgMetall incrocia le braccia per due ore e scende in piazza per scongiurare le decine di migliaia di esuberi, le sforbiciate agli stipendi, la chiusura annunciata di tre stabilimenti.
Il corteo si snoda lento verso la piazza del mercato, una famiglia si affaccia dalle case-dormitorio e srotola uno striscione: “La Volkswagen siamo noi”. Dagli operai parte un boato e un lungo applauso. La piazza del mercato è delimitata dai tendoni che distribuiscono caffè e tè bollenti, gentile omaggio del più grande sindacato metalmeccanico d’Europa. Per questa vertenza bisogna “vestirsi caldi”, per citare un famoso detto tedesco. Sarà lunga.
Dal palco è uno dei leader di Ig-Metall, Sascha Duzik, a farlo capire: «L’azienda fa muro – grida – i vertici di Volkswagen hanno rovinato la nostra reputazione con il Dieselgate. E adesso siamo in crisi perché hanno dormito mentre in Cina si sviluppava l’elettrico. Nessuno di noi operai ha causato questa crisi: che paghino i milionari del cda che l’hanno causata».
Per quasi un secolo, Volkswagen è stato molto più di un marchio, è stato anche il destino di decine di migliaia di immigrati, arrivati dagli anni ’50 dalla Grecia, dall’Italia o dalla Turchia. Tanti di loro hanno scalato i vertici del sindacato, come la leader del consiglio di fabbrica di Wolfsburg, Daniela Cavallo, figlia di emigrati calabresi. E come Stavros Christidis, figlio di un operaio emigrato nel 1970 da Igoumenitsa, in Grecia.
La crisi sembra la più grave di sempre, qui nel capoluogo della Bassa Sassonia hanno già annunciato 900 esuberi a giugno. E Christidis, come tanti colleghi, teme che lo stabilimento, dai 15mila operai di oggi, sia finito nella lotteria delle famose tre fabbriche che Vw vuole chiudere. «In famiglia siamo attaccatissimi all’azienda. Mio padre è pensionato ma abita ancora qua dietro. È preoccupato, come i miei figli. Come mio fratello e i suoi figli. Speravamo tutti di avere un futuro qui».
A un centinaio di chilometri, nell’assemblea a porte chiuse con le tute blu nel quartier generale di Wolfsburg, la pasionaria Cavallo leva la pelle al consiglio di amministrazione: «Anche loro devono fare dei sacrifici. E anche gli azionisti». Per guadagnare la somma dei dividendi distribuiti negli ultimi dieci anni alle due storiche famiglie proprietarie, Porsche e Piëch, «un operaio dovrebbe lavorare 100 mila anni», scandisce.
Volkswagen è stata «una gigantesca macchina da soldi. E ora che il motore si è inceppato, anche le famiglie che la posseggono devono stringere la cinghia». Per ora dai vertici e dagli azionisti tutto tace, a parte qualche retorica disponibilità al «dialogo».
Il contro-piano da 1,5 miliardi di tagli proposto da IgMetall è stato respinto. L’unico a farsi sentire è stato il governatore della Bassa Sassonia, Stephan Weil: il land è secondo azionista di Vw con il 20%. «Il dividendo, per il land, non è una priorità », ha detto alla Sueddeutsche Zeitung .
Ma tutti si chiedono, in piena campagna elettorale per le elezioni politiche, quando si muoverà Olaf Scholz. Il cancelliere, il suo segretario generale Matthias Miersch e il leader della Spd, Lars Klingbeil, sono tutti cresciuti qui, nella Bassa Sassonia, dove si concentra la stragrande maggioranza dei lavoratori tedeschi della più grande casa automobilistica d’Europa: quasi centomila. E il silenzio di Berlino comincia a essere assordante.
(da agenzie)

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SALVINI SI RASSEGNI, LO SCIOPERO E’ STATO CREATO PER DISTURBARE E COSTRINGERE A TRATTARE

Dicembre 3rd, 2024 Riccardo Fucile

I SALARIATI HANNO USATO L’ARMA DELL’ASSOCIAZIONE PER DIFENDERE CHI E’ SOCIALMENTE PIU’ DEBOLE

Abbiamo assistito in questi giorni a un allineamento ideologico antisciopero, in occasione dello sciopero generale indetto da Cigl e Uil. Agli argomenti rozzi del ministro Matteo Salvini si sono affiancati argomenti in apparenza più digeribili che hanno fatto perno sull’utilità e la prudenza
Sono stati sollevati dubbi sulla “funzionalità” dello sciopero, quello generale in primis. Non porta vantaggi ai lavoratori e crea disagio a tutti, si è detto. Si inimica l’opinione pubblica. Allora perché scioperare? Siccome viene scomodata l’opinione pubblica a riprova della sua disfunzionalità, ha senso andare all’abc dei diritti per interpellare i critici, sbracati e moderati, nel nome delle libertà liberali.
Lo sciopero è stato ideato per disturbare la classe padronale (per costringerla a trattare) e la popolazione in generale (affinché comunichi il disagio ai politici). Viene esercitato non da singoli ma da associati. I salariati hanno usato l’arma dell’associazione per difendere la libertà di chi è socialmente più debole
Bilanciamento delle forze
I primi liberali riformisti inglesi (come J.S. Mill) usarono un argomento repubblicano classico (divide et impera) per giustificare il sindacato e lo sciopero: il potere ha la tendenza naturale al monopolio e occorre bilanciarlo dall’esterno. Il bilanciamento delle forze stabilizza la pace sociale istituzionalizzando la certezza degli attori che il processo di negoziazione resti sempre aperto. Gioca sul diritto di interferire nelle scelte dei singoli: siccome gli individui non sono economicamente uguali si deve dare alla parte debole il potere di associarsi per poter interferire con le decisioni della parte più forte, per creare le condizioni di un conflitto sociale regolato.
In sostanza, per i liberali la sindacalizzazione era necessaria perché limitava un difetto (potere sproporzionato di uno dei contraenti) molto più grave di quello che deriva dal potere dell’associazione sulle scelte individuali (degli industriali e dei cittadini tutti, anche i lavoratori non sindacalizzati).
In una società nella quale il lavoro è un mezzo essenziale per l’indipendenza economica, la disoccupazione, i bassi salati e il caro vita violano il diritto individuale di fare scelte molto più
Invece di fare appello ai diritti naturali, i liberali che hanno difeso il diritto sindacale hanno fatto appello alla condizione effettiva di sproporzione del potere: «il lavoratore in condizione isolata» è incapace di far fronte «a un padrone in condizione isolata», scrisse Mill. Il capitalismo genera relazioni socio-economiche assimmetriche ed è tendenzialmente tirannico. Il diritto di “discussione e agitazione” è un mezzo di difesa contro un ordine economico esposto all’arbitrio.
Interferire con il potere.
La difesa liberale del diritto di sciopero non nega l’economia di mercato ma riconosce che il mercato può diventare un perverso gioco d’azzardo che “deteriora” il libero scambio e la determinazione dei salari.
La lotta sindacale ha dunque un livello difensivo e uno propositivo – una politica liberale non può pensare di difendere la libertà civile senza interferire con le scelte di chi ha una posizione sociale di vantaggio.
Il sindacato gioca nella sfera socio-economica lo stesso ruolo che il costituzionalismo gioca nella sfera politica: riconosce il male potenziale del monopolio e lo ostacola con una politica della divisione e di pluralismo. Non vuole cambiare la testa delle persone ma vuole metterle in condizione di trattare. Gli operai che incrociano le braccia adottano una strategia simile ai poteri di garanzia costituzionale: interferiscono con chi ha un sovrappiù di potere
Da questa premessa liberale si è sviluppata la traiettoria che ha portato le democrazie del Dopoguerra a includere il diritto di sciopero nella costituzione. L’esperienza fascista ha fatto scuola, mostrando gli effetti deleteri per tutti dell’uso del potere statale per proteggere una parte (la minoranza avvantaggiata) e bloccare il conflitto al fine di non creare disagio sociale.
La svolta fascista fu illiberale. Vittorio Foa (un costituente) disse che il lavoro ha un’ambivalenza: «Si vuole lavorare perché il lavoro è necessario ma lo si disvuole per la sua pena» che la remunerazione, i diritti e le tutele solo parzialmente leniscono. La consapevolezza di questa “ambivalenza” indusse i nostri costituenti ad interrogarsi sull’identità della cittadinanza e a concludere che essa sarebbe stata un abito troppo astratto qualora fosse restata dissociata dalla condizione sociale, dal nucleo di interessi, bisogni e creatività, ma anche di sofferenza e rischio di dipendenza e di subordinazione. L’opinione liberale non può onestamente ingorare la banale condizione di necessità da cui nasce lo sciopero. Disturbare è l’arma di chi non ha altro potere se non l’associazione.
(da la Stampa)

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ECCOLO IL “MESSAGGIO DELICATO” DI BEPPE GRILLO, CHE VA ALLO SHOWDOWN CON IL “MAGO DI OZ” CONTE E ALLA GUIDA DI UN CARRO FUNEBRE DECRETA LA FINE DEL MOVIMENTO 5 STELLE

Dicembre 3rd, 2024 Riccardo Fucile

“SO GIÀ DI AVER PERSO, ANDATE A VOTARE O ANDATE PER FUNGHI, TANTO NON VI CONOSCO PIÙ. VEDERE IL MOVIMENTO RAPPRESENTATO DA QUESTE PERSONE MI PROVOCA DISAGIO” … “CORAGGIO, FATEVI UN ALTRO SIMBOLO E FATE LE VOSTRE COSE. IL MOVIMENTO 5 STELLE È MORTO MA È COMPOSTABILE, L’HUMUS RESTA”

“Vi parlo da attuale garante e custode degli attuali valori del M5s. Valori che sono scomparsi in questi tre anni. Tutti i miei progetti che mandavo al Mago di Oz non sono mai stati accolti. Non si è fatto più trovare da me”. Lo ha detto il garante del M5s Beppe Grillo in un video sul suo blog. ‘Mago di Oz’ è l’epiteto riservato a Giuseppe Conte. Nel video Grillo guida un carro funebre. “I valori sono stati traditi”, aggiunge
“Hanno votato meno della metà degli iscritti, ma vi pongo un dubbio”. “Avete già deciso – ha aggiunto – e io ho già perso, lo so. Ma sono ottimista perché questo Movimento aveva un’identità straordinaria”. Riferendosi a Conte, ha aggiunto: “il modo di comportarsi di Oz è stata la carta vincente per disintegrare il Movimento nella sua identità”. “Conte soffre di una sindrome compulsiva di ripetizione a specchio”, ha proseguito.
“Vedere questo simbolo rappresentato da queste persone mi dà un senso di disagio. Fatevi un altro simbolo, andate avanti e fate le vostre cose. Il Movimento è stramorto, ma è compostabile. L’humus che c’è dentro non è morto”.
(da agenzie)

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SOLDI, BANANE E RICORSI VARI, GRILLO VA ALLA GUERRA TOTALE

Dicembre 3rd, 2024 Riccardo Fucile

PIOGGIA DI COMMENTI CRITICI SOTTO IL POST DEL GARANTE

Forse ha capito che la seconda votazione sulla sua carica, quella di garante, andrà come la prima, cioè con gli iscritti al Movimento che gli indicheranno la porta. O forse, semplicemente, non ne può più dell’avversario, di quel Giuseppe Conte con cui non poteva che finire malissimo. Di certo Beppe Grillo vuol far saltare il banco dei Cinque Stelle. Per questo alle 11 e 03 di oggi andrà alla guerra finale e totale con l’ex premier. L’ora in cui tramite un video diffonderà “un delicato messaggio”, come anticipato dallo stesso Grillo ieri mattina sui suoi social, con tanto di foto iconica che lo ritrae assieme al co-fondatore dei Cinque Stelle, Gianroberto Casaleggio.
Una decina abbondante di anni dopo, oggi l’ancora garante dovrebbe annunciare l’impugnazione dello statuto. Lo fa capire anche l’orario scelto per l’annuncio, che fa riferimento all’11 marzo 2022, data della seconda e definitiva votazione del testo. E così lascia intendere un post su X di un suo concittadino che lo conosce bene, il filosofo Paolo Becchi: “Grillo domani (oggi, ndr) impugna lo Statuto del 2022 e si mangia la banana”.
Il riferimento è alla banana attaccata a un muro dall’artista Maurizio Cattelan, comprata per 6,2 milioni di dollari dall’imprenditore cinese Justin Sun, che qualche giorno fa se l’è divorata. “Così entrerò nella storia dell’arte” ha sostenuto Sun. Ha voglia di eternità anche il Grillo che oggi insisterà molto sullo spirito originario del Movimento che fondò con Casaleggio senior. “Annuncerà scomode verità” assicura l’ex senatore Elio Lannutti. Ma tra gag e nostalgia dei 5Stelle che furono il fu comico ha un obiettivo, tenere Conte nei tribunali. Con la speranza di far annullare la votazione che lo rese capo e azzerare tutto, nel M5S. Per poi “metterne il simbolo in un museo”, come ha dichiarato giorni fa Enrico Maria Nadasi, commercialista e co-fondatore dell’associazione Movimento 5 Stelle del 2013.
Così ecco l’offensiva sullo statuto. L’avvocato Lorenzo Borrè, ex iscritto al M5S, legale di diversi attivisti e dissidenti, sostiene che il varco per contestarlo sia in una sentenza della Cassazione del febbraio 2024: “Quella decisione, che si riferiva a una votazione del 2016, ha stabilito che basta escludere ingiustamente un solo iscritto dalla votazione perché questa debba essere ripetuta”.
Vecchia tesi di Borrè, che riteneva invalida l’approvazione dello statuto per l’esclusione degli iscritti da meno di sei mesi al M5S (ma il tribunale di Napoli respinse con ordinanza il suo reclamo per conto di 4 attivisti). Ma non dovrebbe finire qui. “Immagino che Grillo attiverà i suoi legali per reimpossessarsi del simbolo del Movimento” sostiene il probiviro Danilo Toninelli a Radio Cusano Campus.
Però esiste una scrittura privata in cui il fondatore si impegnava a non contestare l’uso dello stemma all’associazione Movimento 5 Stelle del 2017 – presieduta da Conte – in cambio della manleva, ossia dell’esonero dalle conseguenze delle cause giudiziarie come capo del M5S. “Gli chiedevano cose incostituzionali, la scrittura verrà annullata” giura l’ex ministro. Anche Borrè sostiene che “sulla base di pronunciamenti della Corte di giustizia europea” il documento possa essere contestato. Ma ovviamente dai 5Stelle rispondono che no, quella carta non è contestabile. “E poi il simbolo appartiene all’associazione”. E lo statuto? “Grillo ha partecipato a tutte le riunioni per scriverlo, e dopo due anni da garante, che ne deve sorvegliare l’applicazione, si sveglia?” sibilano. Tanto più, aggiungono, che “il tribunale di Napoli mise in luce come l’esclusione degli iscritti da meno di sei mesi dal voto fu ininfluente sul risultato finale”.
Per questo, Conte ostenta indifferenza: “Non mi aspetto nulla dall’intervento di Grillo, ha chiesto che si rivoti e rivoteremo”. Però si scivola verso una guerra legale. Anche perché proprio Conte allude spesso al mancato rispetto da parte del fondatore del suo contratto da consulente sulla comunicazione, da 300 mila euro annui.
Giovedì invece partono le nuove votazioni sul garante, per concludersi domenica. Grillo ne dovrà parlare, magari invitando a disertare le urne, perché la partita si giocherà ancora sul quorum. Una sfida da fu leader ormai in minoranza, come conferma la pioggia di commenti acri sotto il suo post, dove in tanti scandiscono: “Voto Conte”. Imputandogli anche “la sindrome di Crono”, il dio che divorò i suoi figli. Scorie di uno scontro poco politico e molto personale. Su cui pesano vecchi rancori, banane e soprattutto soldi.
(da ilfattoquotidiano.it)

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VANDALIZZATA LA CASETTA DI BABBO NATALE: “COMPLIMENTI AI GENITORI, LI ASPETTIAMO PER I DANNI”

Dicembre 3rd, 2024 Riccardo Fucile

AUTORI ALCUNI BAMBINI FAVORITI DAL MANCATO CONTROLLO DEI GENITORI, PERALTRO PRESENTI… DAL FURTO DI DECORAZIONI ALLA DISTRUZIONE DELLA STRUTTURA

A Oderzo, in provincia di Treviso, la casetta di Babbo Natale, montata in piazza Grande dai volontari dell’associazione Forò, è stata vandalizzata da alcuni bambini in meno di 24 ore dalla sua inaugurazione. L’installazione, pensata come punto di ritrovo per i più piccoli in vista delle festività natalizie, è stata letteralmente messa a soqquadro.
La denuncia è arrivata su un gruppo Facebook locale, dove la presidente di Forò, Ilaria Caroli, ha espresso tutta la sua amarezza per quanto accaduto. “Noi volontari lavoriamo per rendere speciale questo periodo – ha scritto –. Ora chi ha causato questi danni dovrebbe venire a sistemarli e risarcirci”.
Tra i danni segnalati: carta da parati strappata, sacchi di Babbo Natale rubati e rotoli di tulle distrutti. Caroli ha anche raccontato episodi sconcertanti, come un bambino che lanciava i pacchetti per aria mentre un genitore osservava senza intervenire. “Complimenti ai genitori che hanno permesso di distruggere in poche ore il lavoro fatto con tanta fatica”, ha commentato amaramente.
Il villaggio di Babbo Natale era stato inaugurato il 30 novembre con grande entusiasmo, grazie alla collaborazione tra il Comune e l’associazione. I volontari, durante un controllo dell’attrazione, si sono accorti degli atti vandalici e hanno lanciato un appello: “Aspettiamo chi ha causato i danni per riparare e risarcire”.
(da agenzie)

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DIO, IMMOBILI E CONTI SVIZZERI, PRO VITA E FORZA NUOVA VANNO A BRACCETTO: TONI BRANDI, PRESIDENTE DELLA ONLUS ULTRACATTOLICA TANTO CARA AL GOVERNO MELONI, HA COMPRATO DAL CAPO DEL PARTITO NEOFASCISTA, ROBERTO FIORE, QUATTRO IMMOBILI, CHE SONO STATI POI DONATI ALL’ASSOCIAZIONE

Dicembre 3rd, 2024 Riccardo Fucile

COSTO DELLE OPERAZIONI: 160 MILA EURO, PAGATI IN PARTE DA DEPOSITI IN SVIZZERA… IN UN CASO IL BONIFICO DA 31MILA EURO DA PARTE DI BRANDI È PARTITO QUATTRO ANNI PRIMA DEL ROGITO. PERCHÉ?

«Tra Pro Vita e Forza Nuova non vi sono legami, vi è solamente uno storico rapporto di amicizia tra me e Roberto Fiore». Quando nel 2017 il Corriere della Sera chiese conto ad Antonio Brandi, presidente di Pro Vita & Famiglia, di alcuni intrecci tra la sua onlus e il partito di Fiore, lui negò qualsiasi tipo di collegamento.
«Pro Vita è una associazione apolitica e apartitica», dichiara ancora oggi la onlus preferita dal governo Meloni in tema di diritti civili e ben introdotta nelle stanze dell’esecutivo, tanto da condizionare una nomina non gradita come quella di Francesco Spano, ex capo di gabinetto del ministro della Cultura Alessandro Giuli.
I punti di contatto con i neofascisti di Forza Nuova sollevati all’epoca erano in sostanza tre: come portavoce dell’associazione, Brandi aveva scelto Alessandro Fiore, figlio di Roberto; l’azienda che ne distribuiva il mensile era guidata da due figlie del leader di estrema destra; l’editore del mensile, Beniamino Iannace, era un ex candidato di Forza Nuova.
Grazie a documenti inediti, Domani è ora in grado di rivelare che tra Brandi e Fiore esiste invece una relazione finanziaria strettissima, basata su assegni e bonifici, alcuni dei quali provenienti da una nota banca svizzera.
Brandi ha di fatto finanziato Fiore attraverso l’acquisto di quattro immobili in Italia, lasciando poi – in alcuni casi – a Forza Nuova l’utilizzo dei locali. Gli stessi immobili sono stati donati a Pro Vita.
Forza Nuova è oggi un movimento neofascista, non presente in Parlamento, marginalizzato dopo l’assalto alla sede nazionale della Cgil di tre anni fa: Fiore per quella spedizione squadrista è stato condannato in primo grado a 8 anni.
Pro Vita invece sta vivendo una fase d’oro. Grazie a uno stile diverso dai camerati di Fiore, più pacato nei toni e nelle forme, è riuscita a entrare nelle stanze che contano. Il suo manifesto è stato firmato negli ultimi mesi da molti rappresentanti di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia (18 tra gli europarlamentari eletti), le sue idee sui diritti sono oggi sovrapponibili a quelli della premier Giorgia Meloni, che firmò il manifesto nel 2019.
Pro Vita sponsorizza da anni il Family Day: il portavoce Massimo Gandolfini lavora per il governo, nel Dipartimento per le politiche antidroga guidato dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano.
TRADIZIONE E QUATTRINI
Fine 2012. La onlus Pro Vita è stata fondata da pochi mesi, durante l’estate, mentre Forza Nuova in quei giorni si sta preparando per partecipare alle politiche in programma a febbraio del 2013.
Al governo c’è Mario Monti e l’Italia è alle prese con la crisi dell’euro e i tagli. Il 28 novembre del 2012 Fiore e Brandi si ritrovano davanti al notaio. Il capo di Forza Nuova vende al presidente di Pro Vita quattro immobili, per un valore complessivo di 160 mila euro.
Partiamo da Bari. L’immobile si trova in Corso Benedetto Croce, quartiere Carrassi. Un negozio di 27 metri quadrati. A venderlo a Brandi, per 44mila euro, è la Immobiliare Brighton, società che fa capo a Fiore e alla moglie. Come di consueto in questi casi, 20mila euro vengono pagati in anticipo con bonifico, i restanti 24 mila euro saldati con assegno al momento del rogito.
Sembrerebbe una normale vendita tra privati, ma facendo qualche ricerca si scoprono dettagli particolari. Pur diventato proprietà di Brandi, il negozio continuerà infatti a essere la sede locale di Forza Nuova e nel 2019 verrà donato gratuitamente a Pro Vita.
Perché comprare un immobile a spese proprie e poi regalarlo a Pro Vita? E soprattutto, Forza Nuova ha pagato l’affitto a Brandi? Brandi non ha risposto alle nostre domande, ha preferito inviarci una nota generale: «All’epoca valutai a titolo personale le operazioni di compravendita nell’ottica di un investimento immobiliare», ci ha scritto specificando che questi acquisti «precedono di anni la nascita della Onlus Pro Vita e non hanno alcun rapporto con essa».
Ma le date non tornano. La onlus è infatti nata nell’estate del 2012, lo dichiara la stessa associazione, mentre i rogiti indicano che gli acquisti immobiliari sono avvenuti a novembre, dunque sono successivi.
Non torna neanche un’altra risposta di Brandi. Quando gli abbiamo chiesto del negozio di Bari comprato e lasciato a disposizione di Forza Nuova, lui ha negato: «L’immobile di Bari divenne subito la sede di Pro Vita & Famiglia di riferimento per la Regione Puglia», ha assicurato. Le cronache locali raccontano tutt’altro: a ottobre del 2014, due anni dopo l’acquisto, l’immobile era ancora sede del partito neofascista.
La dinamica verificatasi a Bari si è ripetuta, con qualche variazione, anche Latina, Padova e Treviso. Ma in alcuni di questi casi ci sono due differenze rilevanti: la provenienza estera del denaro usato da Brandi per compensare Fiore, e la tempistica dei pagamenti.
È sempre il 28 novembre del 2012 quando Fiore e la moglie vendono a Brandi, per 50 mila euro, un negozio di 66 metri quadrati situato a Latina, in via Quieto. Il leader di Pro Vita paga quasi tutto – 46 mila euro – con due bonifici provenienti dalla banca svizzera Ubs. Il primo, da 31 mila euro, viene eseguito il 25 settembre 2008. Oltre quattro anni prima del rogito. E anche il saldo finale arriva un anno e mezzo prima dell’atto.
In Veneto si trovano gli altri due immobili. Il più costoso è a Padova: un magazzino su strada, grande 100 metri quadrati, che il capo di Forza Nuova e la moglie vendono al leader di Pro Vita per 50mila euro.
Già prima di essere acquistato da Brandi era la sede cittadina di Forza Nuova. E anche in seguito ha continuato a esserlo. «Non mi risulta un’effettiva attività partitica nell’immobile dal trasferimento di esso all’Associazione. Anzi, essa ne ha permesso il godimento – in attesa di una prossima vendita dell’immobile – per finalità socio-culturali e a espressa condizione che non sia usato per attività politica», ci ha scritto Brandi.
Anche stavolta, la cronaca locale racconta un’altra storia. Luca Leardini, coordinatore regionale di Forza Nuova in Veneto, nel 2023 ha infatti dichiarato: «La sede di via Girolamo Dal Santo non apre sabato: esiste da circa 20 anni».
Le parole di Leardini chiariscono che l’immobile è stato sede di Forza Nuova sia quando era di proprietà di Fiore, sia quando è passato a Brandi. E anche dopo il 2019, quando è diventato della onlus.
DA PADOVA A TREVISO
Il caso Padova conferma anche un altro aspetto della vicenda, quello delle strane tempistiche di pagamento. Il rogito per l’immobile di Padova è stato firmato il 28 novembre del 2012, ma i versamenti sono avvenuti in altre date: i primi 15mila euro oltre due anni prima; altri 3 mila euro ad agosto del 2012; quanto ai restanti 32 mila euro, nel rogito si legge che verranno versati «entro e non oltre un anno da oggi».
Insomma, Fiore trasferisce a Brandi la proprietà dell’immobile senza avere ancora incassato più della metà della somma pattuita. Perché? Brandi ha preferito non rispondere. Resta l’ultima transazione, quella che riguarda Treviso. Parliamo di un magazzino di 40 metri quadrati affacciato sulla strada, in via Chiarano, quartiere popolare.
Come negli altri casi è stato venduto da Fiore (attraverso Immobiliare Brighton) a Brandi nel 2012, e nel 2019 da quest’ultimo trasferito gratuitamente a Pro Vita. «Da quando ne è divenuta titolare, l’Associazione si è preoccupata che non vi fosse commistione tra le attività associative ed eventuali residuali attività partitiche», ha assicurato Brandi. Eppure, l’immobile di Treviso è diventato sede provinciale di Forza Nuova proprio nel 2019, l’anno in cui Brandi lo ha ceduto a Pro Vita.
È successo mentre eravamo «in attesa che l’Associazione potesse vendere l’immobile, cosa effettivamente avvenuta in seguito», ha spiegato Brandi. Anche in questo caso i soldi usati dal capo di Pro Vita per acquistare l’immobile – 19 mila euro – sono arrivati dalla Svizzera. E sono stati trasferiti alla società di Fiore molto prima della compravendita.
L’intero pagamento è avvenuto sempre tramite la Ubs, a novembre 2007, cinque anni prima del rogito. Perché pagare interamente un immobile cinque anni prima di diventarne proprietario? Anche su questo Brandi non ha risposto.
Una possibile spiegazione alle nostre domande è contenuta negli atti di un’indagine giudiziaria su alcuni esponenti di Forza Nuova. Due dirigenti locali del partito, parlando di Brandi al telefono senza sapere di essere intercettati, lo descrivono come l’uomo «che ci finanzia».
Fosse vero, la girandola potrebbe essere il metodo usato dal leader di Pro Vita per alimentare il partito dell’amico, diventato capofila della protesta violenta anti vaccini. Resta da capire perché molti soldi arrivino dalla Svizzera, che fino a pochi anni fa garantiva il segreto bancario.
(1. – continua)
(da Domani)

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