Dicembre 17th, 2024 Riccardo Fucile
ALMENO UN OBIETTIVO I SOVRANISTI L’HANNO RAGGIUNTO, PECCATO CHE SIA IL PIU’ SCHIFOSO
Sembra un paradosso, ma è l’inevitabile conseguenza di una scelta politica: il governo Meloni ha tagliato così pesantemente gli aiuti per i poveri, che è costretto ad arginarne gli effetti. Un emendamento alla manovra innalza, di poco, i requisiti di accesso all’Assegno di inclusione (Adi), la misura che ha sostituito il Reddito di cittadinanza. L’aspetto singolare è che, a fronte di questa lieve concessione, non solo non saranno aumentate le risorse, ma addirittura arriva un’ulteriore, pesante, sforbiciata di quasi 600 milioni di euro nel 2025 (più altri 400 nel 2026) ai fondi per il Supporto formazione lavoro, lo strumento che avrebbe dovuto far trovare un impiego agli ex beneficiari di Rdc, ma che in realtà si è rivelato un clamoroso flop.
Proprio il fallimento di Sfl, che ha avuto molti meno percettori di quelli preventivati, ora rende più semplice il nuovo taglio. Insomma, malgrado le apparenze, dal 2025 i soldi per la lotta all’indigenza saranno ancora meno di quelli del 2024.
Ricapitoliamo: la modifica alla legge di Bilancio in discussione prevede che, dal 1 gennaio, saranno alzati i requisiti di Isee e reddito per ottenere l’Adi: il primo passerà dagli attuali 9.360 a 10.140 euro, il secondo da 6 mila a 6.500 euro. I criteri diventano un po’ più inclusivi anche per le famiglie che vivono in affitto: per loro si innalza la soglia di reddito per essere ammessi alla misura.
Queste novità dovrebbero allargare un po’ la platea di beneficiari e rendere un po’ più alta la somma ricevuta dalle famiglie (fino all’8% in più). Va ricordato che, mentre con il Reddito di cittadinanza ai massimi avevamo 1,4 milioni di nuclei coperti, con l’Adi finora siamo arrivati a malapena a 700 mila. Con i nuovi tetti, comunque non raggiungeremo mai i numeri ottenuti dal Rdc, perché le famiglie senza anziani, minori e disabili (cioè composte da “occupabili”) restano escluse.
La soglia di 9.360 euro di Isee, va ricordato, era sempre la stessa dal 2019; nel frattempo l’inflazione ha eroso i redditi delle famiglie e fatto aumentare la povertà assoluta, come ha certificato l’Istat.
Un adeguamento delle soglie di accesso alle misure come l’Adi era quindi doverosa e il governo ha potuto farlo senza aggiungere un solo centesimo, anzi addirittura tagliando ancora. La previsione di spesa relativa all’Adi per il 2025, infatti, sarà la stessa già prevista, pari a 5,6 miliardi.
Il taglio invece colpisce il Supporto formazione lavoro, i famosi 350 euro per i corsi di formazione per i quali, nel 2025, era stata prevista una spesa di 1,3 miliardi che nel 2025 diventa di appena 700 milioni. Il flop di Sfl è stato da tempo certificato: doveva andare a 250 mila persone, lo hanno preso – a singhiozzo – in circa 92 mila. Nessun dato su quanti hanno effettivamente trovato lavoro.
Tra l’altro, da quando esiste Sfl – settembre 2023 – in Italia sono aumentati di molto gli inattivi, cioè le persone che un lavoro nemmeno lo cercano. La ministra del Lavoro Marina Calderone si aspettava l’esatto contrario. Ora il governo dimezza le risorse e anche qui può farlo rendendo al tempo stesso più semplici i criteri di accesso (quindi in teoria allargando la platea): l’Isee massimo passa da 6 mila a 10.140 euro e la somma per ricevere i corsi passa da 350 a 500 euro e il periodo di fruizione può diventare di 24 mesi, non più solo 12.
Sarà quindi dato qualcosa in più con una minore spesa complessiva: non è una magia della finanza pubblica, ma un semplice prendere atto che le risorse messe sul piatto nella scorsa legge di Bilancio erano superiori a quelle necessarie perché le nuove misure sono talmente complesse che hanno tagliato la platea anche per la macchinosità del loro funzionamento. Una parte della platea è stata tagliata a causa dei nuovi requisiti stringenti, ma molti aventi diritto hanno anche rinunciato. “Premesso che navighiamo al buio perché non abbiamo dati – spiega Antonio Russo, portavoce dell’Alleanza contro la povertà – Noi avevamo presentato otto modifiche e ne accolgono solo una, quella sui nuclei in affitto. Restano quindi tutti i problemi che rendono la misura non universale, a partire dai criteri sull’occupabilità”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Dicembre 17th, 2024 Riccardo Fucile
ALLA CAMERA, MENTRE LA DUCETTA PARLA PER LE COMUNICAZIONI IN VISTA DEL CONSIGLIO EUROPEO, I BANCHI DEL CARROCCIO ERANO DESERTI… IL DEPUTATO DEL CARROCCIO STEFANO CANDIANI: “PERCHÉ NON C’È QUASI NESSUNO? PERCHÉ NON CE NE FREGA UN CAZZO. ALCUNI SONO IN RITARDO PER I TRENI”… PECCATO CHE A VIGILARE SULLA PUNTUALITÀ DEI TRENI SIA IL MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE, OVVERO PROPRIO IL SEGRETARIO DELLA LEGA
Giorgia Meloni parla alla Camera per le comunicazioni in vista del primo consiglio
europeo dell’Ursula bis, che si svolgerà domani a Bruxelles, e i banchi della Lega sono deserti. FdI è presente al gran completo, per applaudire la leader. Anche Forza Italia accorre in massa, col capogruppo Paolo Barelli oltre al vicepremier Antonio Tajani.
Matteo Salvini invece non c’è. E dall’alto dell’emiciclo, mentre la premier interviene per oltre mezz’ora di discorso su Siria, migranti, automotive, pace in Ucraina, si notano appena 5 deputati del Carroccio. 5 su 65. “Nervosismi vari dei leghisti”, sostengono fonti azzurre.
A domanda di Repubblica sulle tantissime assenze in Aula mentre parla la presidente del Consiglio, uno dei pochissimi deputati leghisti presenti, Stefano Candiani, risponde così: “Perché non c’è quasi nessuno? Perché non ce ne frega un c… Succede così quando c’è la sessione di bilancio. Ora arriveranno per il voto finale”.
Candiani mostra anche un messaggio della collega Simona Bordonali: “Alcuni come lei, vedete, sono in ritardo per i treni”. Colpa di Salvini? Risata: “Siete i soliti giornalisti”.
(da La Repubblica)
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Dicembre 17th, 2024 Riccardo Fucile
DOPO LA CADUTA DI SCHOLZ I SONDAGGI COSA DICONO? CDU 32%, AFD 19%, SPD 17%, VERDI 12%, ROSSOBRUNI 7%, LIBERALI 5%, SINISTRA 3%
Ora è ufficiale: la Germania andrà a elezioni anticipate il prossimo 23 febbraio. Il Cancelliere Olaf Scholz è stato sfiduciato oggi dal Bundestag, epilogo formale di una crisi interna alla coalizione di governo esplosa lo scorso mese, e di un patto per portare il Paese al voto anticipato siglato a seguire dai due maggiori partiti tradizionali, l’Spd e la Cdu. La sfiducia, che Scholz aveva di conseguenza “sollecitato” nel discorso di oggi al Bundestag, è passata a larga maggioranza: 207 i voti di fiducia al Cancelliere, 394 quelli di sfiducia, 116 gli astenuti. «Siamo arrivati alla fine dell’ordine del giorno di oggi, e anche della coalizione semaforo», ha detto dopo aver annunciato l’esito del voto la presidente del Parlamento Bärbel Bas, scrivendo l’epitaffio sull’alleanza “anomala” tra socialdemocratici, verdi e liberali che ha guidato il Paese negli ultimi tre anni, dopo l’uscita di scena di Angela Merkel. Scholz si recherà ora dal presidente della Repubblica Frank-Walter Steinmeier per presentare le dimissioni, chiedergli di sciogliere le Camere e indire nuove elezioni. Per le quali i due grandi partiti “tradizionali” del Paese hanno però già concordato di fatto la data: domenica 23 febbraio 2025.
La crisi della «coalizione semaforo»
A innescare la crisi è stata la fuoriuscita dei Liberali dalla cosiddetta «coalizione semaforo», che dal 2021 teneva insieme al governo l’Spd del cancelliere Olaf Scholz, i Verdi del ministro dell’Economia Robert Habeck e i Liberali dell’ormai ex ministro delle Finanze Christian Lindner. Quest’ultimo è stato licenziato da Scholz dopo settimane di attrito, che di fatto hanno finito per innescare la crisi di governo. Lo scontro tra le diverse anime della maggioranza si è consumato su più fronti. Innanzitutto, le rigide regole di Berlino sull’austerità di bilancio, sostenute con forza dei Liberali e criticate dai Verdi, che vorrebbero inaugurare una nuova stagione di investimenti pubblici. Nelle scorse settimane, il partito di Lindner – in caduta libera nei sondaggi – ha avanzato alcune richieste ritenute irricevibili dagli alleati. Tra queste, l’eliminazione di due misure-simbolo del governo di Scholz: il Bürgergeld (simile al reddito di cittadinanza) caro ai Socialdemocratici, e la legge sulle pompe di calore voluta dai Verdi per sostenere gli impianti di riscaldamento a gas (più inquinanti).
Il discorso di Scholz in Parlamento
Parlando al Bundestag, lo stesso Scholz ha dato per scontata la fine del suo governo e ha confermato che intende andare a elezioni anticipate. Per quanto riguarda i temi più strettamente politici, il cancelliere ha ribadito la linea aperturista del suo partito per allentare le rigide regole di bilancio federale. «Tutti consigliano di fare investimenti pubblici. Sbagliano tutti?», ha chiesto il cancelliere tedesco. «Se c’è un Paese al mondo che si può permettere di investire nel futuro, quello siamo noi. Tutti i G7 hanno un debito di oltre il 100% del Pil, noi – ha ricordato Scholz siamo al l del 60%». Nel suo discorso al parlamento, il volto dell’Spd ha anche anticipato i temi su cui intende fare campagna elettorale in vista delle (ormai scontate) elezioni anticipate). «Mi batterò per alzare il salario minimo a 15 euro l’ora. Rispetto significa anche poter vivere del proprio lavoro. Nella scorsa legislatura avevo promesso di portare il salati minimo a 12 euro. Ho mantenuto questo impegno», ha rivendicato Scholz. Sul sostegno all’Ucraina, il cancelliere ha assicurato che la Germania continuerà a essere «il maggior sostenitore di Kiev in Europa», ma anche ribadito che «con me cancelliere non saranno mandati soldati tedeschi in Ucraina»
Cosa accade ora e cosa dicono i sondaggi
Le due principali forze politiche del Bundestag – Socialdemocratici e Cdu/Csu – hanno già identificato una data papabile: domenica 23 febbraio. Il centrodestra della Cdu, il partito guidato per lunghi anni da Angela Merkel, viene dato nettamente in testa nei sondaggi, con un consenso che secondo Politico si aggira intorno al 32%. Seguono l’estrema destra di Alternative für Deutschland al 19%, l’Spd al 17% (guidata al voto ancora da Scholz) e i Verdi al 12%. Più staccati i rossobruni di Sahra Wagenknecht (7%), i liberali di Lindner (5%) e la Sinistra (3%). Se le elezioni andranno in questa direzione, il prossimo Cancelliere dovrebbe diventare il leader della Cdu Friedrich Merz. Resta da capire però che tipo di coalizione di governo i conservatori potranno e vorranno assemblare per guidare il Paese.
(da agenzie)
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Dicembre 17th, 2024 Riccardo Fucile
PER “LA STAMPA”, A CHIEDERE LA NORMA SAREBBE STATO IL MINISTRO CROSETTO E ALLA FINE MELONI ORDINA L’ALTOLÀ: “NON REGGIAMO AGLI ATTACCHI”
È un’idea nata e confezionata male. «Un mezzo pasticcio» ammettono da Palazzo Chigi,
pochi minuti dopo che il ministro della Difesa Guido Crosetto ha annunciato che l’emendamento della discordia, quello che equipara ministri e sottosegretari non eletti ai parlamentari, riconoscendo rimborsi spese, sarà ritirato.
«È la cosa giusta? – si chiede retoricamente Crosetto sul social X all’ora di cena – Non penso, perché non ha particolarmente senso che il ministro dell’Interno o della Difesa (se non eletto, ndr) debbano avere un trattamento diverso rispetto a un loro sottosegretario».
Come è stata partorita e come muore la proposta è interessante per capire una piccola parabola mediatico-politica di questo governo. Partiamo dalla fine: la premier Giorgia Meloni […] decide di staccare la spina d’accordo con Crosetto, che da giorni aveva ingaggiato una battaglia per spiegare, motivare, difendere la scelta. Dentro la maggioranza non tutti sono d’accordo. Anni di clima anti-casta, d’altronde, hanno creato un terreno poco fertile per queste iniziative.
L’eco sui media poi ha fatto risuonare il rimprovero verso i partiti di governo che lamentano di avere poche risorse per salari e sanità ma poi ne trovano a sufficienza per i membri dell’esecutivo.
Meloni fiuta il pericolo: il combinato con l’assedio di Elly Schlein che ogni giorno accusa la premier di aver messo troppi pochi soldi sulla salute, la fa riflettere e la spinge a disinnescare una proposta sicuramente non popolare.
La frase della segretaria del Pd che fa capitolare Meloni è questa, raccontano dal governo: «Ai ministri 7 mila euro, agli in- fermieri 7 euro».
Anche Crosetto capisce che a passare sarebbe questo messaggio. E capisce che l’onda mediatica sarebbe rimasta, rivelandosi insostenibile, nonostante sia stato lui – assicurano più fonti di Fratelli d’Italia- a chiedere l’emendamento. A pensare per primo a un aumento ad hoc per i ministri, infatti, è proprio il titolare della Difesa. La pratica viene affidata a Monica Ciaburro, vice-presidente della commissione Difesa e deputata di FdI di Cuneo, stessa zona da cui proviene Crosetto.
Chi conosce il ministro, tra i collaboratori, ne difende la buona fede nelle intenzioni e la razionalità che intende mostrare contro l’antipolitica, con argomenti che poi lui stesso riporta sui social: «Quello che non sarebbe comprensibile per nessuna altra professione, e cioè che due persone che fanno lo stesso lavoro, nella stessa organizzazione abbiamo due trattamenti diversi, per chi fa politica deve essere messo in conto».
Va detto che per Meloni è un ragionamento che resta convincente. Lo prova anche il fatto che il primo a suggerire di resistere, fino a ieri sera, è Giovambattista Fazzolari, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Fazzolari considera l’emendamento «una questione di equità», non a caso stesso identico termine che nell’intervista di ieri a LaStampa usa l’ex capogruppo e neo-ministro al Pnrr e agli Affari europei Tommaso Foti.
(da La Stampa)
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Dicembre 17th, 2024 Riccardo Fucile
L’IPOCRISIA DI SOSTENERE CHE NESSUN MINISTRO VOLEVA L’AUMENTO E CHE NESSUNO SAPEVA DELL’INIZIATIVA
A Palazzo Chigi dicono di non saperne nulla, che Giorgia Meloni fosse all’oscuro del dettaglio che poi tanto dettaglio non è, qualcuno addirittura scommette sul finale a sorpresa e gli applausi sui titoli di coda, con l’emendamento che viene ritirato.
Scendendo la scala delle gerarchie di governo, e arrivando ai due vicepresidenti del Consiglio, Antonio Tajani dice che «non è una proposta di Forza Italia» e Matteo Salvini che «non ho seguito la vicenda e non ne so nulla». «Mi occupo di fisco, queste cose non dovete chiederle a me», alza le mani il viceministro all’Economia Maurizio Leo, dopo aver scandito che la decisione non ha nulla a che vedere con le scelte dell’esecutivo.
E poi ci sono i potenziali beneficiari della norma, che iniziano a sfilarsi uno dopo l’altro. «Non intendo utilizzare questa opportunità», spiega il titolare dell’Istruzione Giuseppe Valditara. «Mi lascia indifferente», annota il pari grado alla Difesa Guido Crosetto, che poi chiederà di ritirare l’emendamento.
A metà tra una spy story alla John Le Carrè e un mistero buffo alla Dario Fo, impressa nella memoria collettiva di quel che verrà ricordato della Finanziaria del 2024 c’è la vicenda dell’emendamento che parifica, in tutto e per tutto, lo stipendio mensile dei componenti del governo non parlamentari a quello dei deputati e dei senatori, e quindi anche a quello dei loro colleghi dell’esecutivo che contemporaneamente risultano eletti a Montecitorio o Palazzo Madama.
Tutti ormai sanno perfettamente che cosa comporta, calcolatrice alla mano 7.193,11 euro mensili (più 1200 euro l’anno di spese telefoniche) di diaria e di rimborsi «per l’esercizio del mandato»; nessuno che sappia chi abbia immaginato, voluto o anche solo vergato quattro striminziti commi finiti per iniziativa della maggioranza nelle modifiche all’articolo 1 della legge 418 del 1999 contenute nella legge di bilancio di venticinque anni dopo, cioè quella in corso di discussione alla Camera. Modifiche che, di fatto, consistono in una sola correzione, spalmata su più articoli: la singola parola «indennità» — per la vecchia legge era già uguale per ministri e parlamentari, 10.435 euro lordi al mese — viene ovunque sostituita da due, «trattamento economico», in modo da contemplare anche i 7200 euro mensili di diaria e rimborsi di cui sopra.
Insomma, la norma che dal punto di vista dello stipendio parificherebbe le condizioni dei ministri — Abodi (Sport), Calderone (Lavoro), Crosetto (Difesa), Giuli (Cultura), Piantedosi (Interno), Valditara (Istruzione), Locatelli (Disabilità) e Schillaci (Salute) — più altri dieci tra viceministri e sottosegretari, a quella dei loro colleghi del governo eletti alle Camere, che comunque di fatto attività parlamentare non ne fanno, non la riconosce nessuno.
Non il governo stesso, né i piani alti di Palazzo Chigi né i vicepremier, tantomeno i vertici di Lega e Forza Italia. È l’eterno ritorno della «manina», una sorta di versione parlamentare della celebre mano animata che sbucava dalla scatola dei misteri della Famiglia Addams, che griffa tutti i provvedimenti più contestati — di legislatura in legislatura, maggioranza di centrodestra o di centrosinistra che sia — che dai commi più nascosti della legge di bilancio arrivano alle cronache nazionali. Col colpo di scena finale, che forse c’è e forse no. Nascosto nell’ombra, chissà, come l’autore dell’emendamento.
(da agenzie)
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Dicembre 17th, 2024 Riccardo Fucile
“E’ LA FINE INGLORIOSA CHE ATTENDE TUTTI COLORO CHE UCCIDONO GLI UCRAINI”
Il generale Igor Kirillov, comandante delle truppe di difesa nucleare, chimica e
biologica delle Forze armate russe, è stato ucciso in un attentato a Mosca. Nell’esplosione oltre all’ufficiale è morto anche il suo vice. A provocarla un ordigno piazzato in uno scooter elettrico. L’attentato è avvenuto in viale Ryazansky, nel sud-est di Mosca. “«La mattina del 17 dicembre, un ordigno esplosivo piazzato in uno scooter è esploso vicino all’ingresso di un edificio residenziale sul viale Ryazansky a Mosca», ha detto la portavoce del Comitato investigativo russo, Svetlana Petrenko. «Il capo delle truppe russe per la protezione dalle radiazioni, dagli agenti chimici e biologici, il tenente generale Igor Kirillov, e il suo assistente sono rimasti uccisi nell’esplosione», ha aggiunto.
Ukrainska Pravda pubblica sul suo sito una foto di un monopattino elettrico tra le macerie dell’edificio colpito. Secondo le informazioni preliminari, scrive Ukrainska Pravda, sul monopattino era stato piazzato un ordigno esplosivo improvvisato. In un’altra immagine si vedono due persone a terra, vicino a un’auto con il parabrezza infranto. Una terza foto mostra l’ingresso danneggiato dell’edificio dove erano diretti Kirillov e l’altra vittima, che secondo Petrenko era il suo assistente, non il suo vice.
I servizi di sicurezza ucraini (SBU) hanno rivendicato l’assassinio, secondo quanto ha detto all’AFP una fonte interna alla SBU. «L’attentato di oggi contro il tenente generale Igor Kirillov, comandante delle truppe di difesa radiologica, chimica e biologica delle forze armate russe, è un’operazione speciale della SBU», ha detto la fonte.
Igor Kirillov era stato condannato in contumacia da un tribunale ucraino ieri, 16 dicembre, per l’uso di armi chimiche vietate in Ucraina durante l’operazione militare russa iniziata nel febbraio 2022. Il servizio di sicurezza ucraino, l’Sbu, aveva affermato di aver registrato più di 4.800 utilizzi di armi chimiche sul campo di battaglia dal febbraio 2022, in particolare granate da combattimento K-1.
“Kirillov era un criminale di guerra e un obiettivo completamente legale, poiché ha dato ordine di usare armi chimiche proibite contro l’esercito ucraino”, ha affermato la fonte, “una fine così ingloriosa attende tutti coloro che uccidono gli ucraini. La punizione per i crimini di guerra è inevitabile”.
(da agenzie)
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Dicembre 17th, 2024 Riccardo Fucile
MANTOVANO 180.000 EURO, VALDITARA 163.000. ABODI 153.000, SCHILLACI 105.000, CROSETTO 101.000, PIANTEDOSI 98.000, CALDERONE 95.000
Tra i componenti del governo non parlamentari, è il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, quello con un reddito imponibile più alto, pari a 180 mila 895 euro, in base alla dichiarazione del 2024 riferita ai redditi del 2023.
Seguono il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, con 163 mila 338 euro, e quello dello Sport, Andrea Abodi, con 157 mila 563 euro, anche se il dato si ricava dalla dichiarazione del 2023 riferita al 2022. Fuori classifica il titolare della Cultura, Alessandro Giuli, in quanto i 203 mila 170 euro di imponibile dichiarati nel 2024 fanno riferimento all’anno precedente, quando non era ministro.
A suscitare curiosità per questi dati, la discussione in atto alla Camera sulla proposta di inserire nella legge di Bilancio una norma per equiparare i compensi dei componenti del Governo non parlamentari a quelli di senatori e deputati.
Tra i ministri, dopo Valditara e Abodi, il titolare della Sanità, Orazio Schillaci, dichiara 105mila 215 euro, precedendo i colleghi Guido Crosetto (Difesa), con 101 mila 647 euro; Alessandra Locatelli (Disabilità), con 99mila 780 euro; Matteo Piantedosi (Interno), con 96mila 635 euro; Marina Calderone (Lavoro), con 95mila 260 euro.
Per quanto riguarda invece viceministri e sottosegretari, dopo Mantovano si piazzano il sottosegretario agli Esteri Giorgio Silli, con un imponibile di 128mila 787 euro, quindi Fausta Bergamotto, sottosegretaria alle Imprese, che dichiara 109mila 304 euro, e Claudio Barbaro, sottosegretario all’Ambiente, che nella dichiarazione del 2023 riferita al 2022 registra 107 mila 271 euro.
Tutti gli altri non superano i 100mila euro. In particolare Valentino Valentini, viceministro alle Imprese, si ferma a 99mila 800 euro; Giuseppina Castiello, sottosegretaria ai Rapporti con il Parlamento, a 99mila 781; Luigi D’Eramo, sottosegretario all’Agricoltura, a 99mila 147; Sandra Savino, sottosegretaria all’Economia, a 98mila 936; Maria Tripodi, sottosegretaria agli Esteri, a 96mila 846; Matteo Perego, sottosegretario alla Difesa, a 94mila 621.
(da agenzue)
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Dicembre 17th, 2024 Riccardo Fucile
IL COMPENSO ANNUO PASSEREBBE DA 44.000 EURO A 116.000 EURO
A fine 2024, il Ministero dell’Università e della Ricerca deve ancora pronunciarsi su
numerose richieste di aumento di stipendio da parte dei rettori italiani. Sul tavolo della ministra Anna Maria Bernini ci sono i fascicoli di una trentina di atenei ancora pendenti. Tra questi, uno spicca per due motivi: l’entità dell’aumento richiesto e la giustificazione alla base. Si tratta della proposta del rettore dell’Università di Genova, Federico Delfino, che ha chiesto di quadruplicarsi lo stipendio, giustificandolo con i risparmi sulle bollette energetiche dell’ateneo.
Quadruplicare lo stipendio: da 44mila a 160mila euro
La richiesta era stata formulata nel 2023 e si basava su un bilancio preventivo del 2024. Fonti del ministero dell’Università e della Ricerca, riferiscono che la proposta del rettore prevede un aumento che porterebbe il compenso del rettore «da 44.409 euro annui a 160.567 euro». Un incremento di 116.157 euro, che quadruplicano lo stipendio. E la motivazione riportata nel verbale del Collegio dei Revisori dei Conti è la riduzione costante dei costi per l’energia elettrica e le utenze registrata dall’ateneo a partire dal 2022, che secondo la proposta sarebbe sufficiente a coprire il maggiore costo dei nuovi compensi. Non sarebbe solo il rettore a trarre vantaggio da questa revisione salariale. La proposta include, infatti, aumenti anche per il prorettore, i membri del Consiglio di amministrazione e del Collegio dei Revisori. Nel complesso, il costo annuo per l’università passerebbe da 159.954 euro a 406.672 euro, con un incremento di oltre 246mila euro.
Un fenomeno diffuso, ma Genova è il più alto
La richiesta dell’Università di Genova non è isolata, ma si inserisce in un fenomeno più ampio. A oggi, 30 richieste di aumento sono in attesa di approvazione presso il Ministero dell’Università e della Ricerca. Richieste perfettamente legittime e rese possibili da una norma introdotta nel 2022 dal governo Draghi, che regolamentava i compensi dei vertici degli enti pubblici, inclusi quelli universitari. Tra i rettori più determinati a sfruttare questa opportunità c’è stato, ad esempio, Stefano Bronzini, dell’Università di Bari, che a maggio 2024 ha chiesto un aumento del 128%, che porterebbe il compenso annuno da 71mila a 160mila euro. Anche la richiesta genovese si distingue per l’entità dell’aumento, ma si aggiunge la motivazione basata sui risparmi energetici. Per ora, la proposta ligure – così come tutte le altre 29 – resta bloccata in attesa del giudizio dei ministeri competenti, che devono valutare la sostenibilità economica delle richieste.
(da agenzie)
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Dicembre 17th, 2024 Riccardo Fucile
CON L’IMPOSSIBILITÀ DEL “DOGE” DI RICANDIDARSI, PER VIA DELLA LEGGE SUL DIVIETO DI TERZO MANDATO, IL CARROCCIO RISCHIA DI PERDERE IL SUO FEUDO DEL NORD-EST (GIÀ PRENOTATO DALLA MELONI PER FRATELLI D’ITALIA)
«Ho proposto al tavolo di centrodestra di spostare le regionali di autunno 2025 alla primavera del 2026. E mi sembrerebbe giusto che Luca Zaia potesse accendere la fiaccola olimpica nel 2026».
Sono parole del vicepremier Matteo Salvini, che, domenica 15 dicembre, durante il congresso della Lega lombarda ha riferito una parte di quanto è stato discusso la scorsa settimana, durante il vertice di maggioranza, seguito alla frattura in parlamento sul canone Rai e ai ripetuti scambi e screzi tra Lega e Forza Italia.
«Le Olimpiadi le ha volute solo la Lega, con tre miliardi di spettatori che guarderanno le montagne lombarde e venete. Chi ha portato a casa le Olimpiadi? La Lega – ha aggiunto – e lo abbiamo fatto al governo coi 5Stelle. Vi lascio immaginare le discussioni notturne con Di Maio e a spiegare a Toninelli dove era Livigno, lui pensava di arrivarci in monopattino».
I Giochi olimpici toccano direttamente Salvini e il ministero delle Infrastrutture, da lui diretto. Un tema caro al vicepremier leghista, che, il 13 dicembre scorso, durante il question-time in Senato, ha ribadito la bontà della propria azione.
«Quando sono arrivato , nell’ottobre del 2022, ho trovato una situazione ferma. A settembre 2023 era stato speso lo 0,5% dei fondi. Oggi abbiamo superato il 50%. Stiamo lavorando a 17 progetti, e sono in corso o completati lavori per 345 milioni di euro, a fronte di 650 milioni».
Sempre durante l’audizione in Senato, il leader della Lega aveva manifestato sentimento ribadito ieri: l’orgoglio leghista per la candidatura a cinque cerchi e il lavoro fatto per darle corpo. «A Livigno è stata consegnata la prima opera, la pista per i salti – le parole del ministro in parlamento -. Gli operai lavorano a meno13 gradi, e molti di loro sono immigrati, un bell’esempio di integrazione. Dicevano che a Cortina non ce l’avremo fatta a finire la pista di bob, invece siamo in anticipo».
(da agenzie)
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