ABBIAMO AUMENTATO LA POVERTA’
ALMENO UN OBIETTIVO I SOVRANISTI L’HANNO RAGGIUNTO, PECCATO CHE SIA IL PIU’ SCHIFOSO
Sembra un paradosso, ma è l’inevitabile conseguenza di una scelta politica: il governo Meloni ha tagliato così pesantemente gli aiuti per i poveri, che è costretto ad arginarne gli effetti. Un emendamento alla manovra innalza, di poco, i requisiti di accesso all’Assegno di inclusione (Adi), la misura che ha sostituito il Reddito di cittadinanza. L’aspetto singolare è che, a fronte di questa lieve concessione, non solo non saranno aumentate le risorse, ma addirittura arriva un’ulteriore, pesante, sforbiciata di quasi 600 milioni di euro nel 2025 (più altri 400 nel 2026) ai fondi per il Supporto formazione lavoro, lo strumento che avrebbe dovuto far trovare un impiego agli ex beneficiari di Rdc, ma che in realtà si è rivelato un clamoroso flop.
Proprio il fallimento di Sfl, che ha avuto molti meno percettori di quelli preventivati, ora rende più semplice il nuovo taglio. Insomma, malgrado le apparenze, dal 2025 i soldi per la lotta all’indigenza saranno ancora meno di quelli del 2024.
Ricapitoliamo: la modifica alla legge di Bilancio in discussione prevede che, dal 1 gennaio, saranno alzati i requisiti di Isee e reddito per ottenere l’Adi: il primo passerà dagli attuali 9.360 a 10.140 euro, il secondo da 6 mila a 6.500 euro. I criteri diventano un po’ più inclusivi anche per le famiglie che vivono in affitto: per loro si innalza la soglia di reddito per essere ammessi alla misura.
Queste novità dovrebbero allargare un po’ la platea di beneficiari e rendere un po’ più alta la somma ricevuta dalle famiglie (fino all’8% in più). Va ricordato che, mentre con il Reddito di cittadinanza ai massimi avevamo 1,4 milioni di nuclei coperti, con l’Adi finora siamo arrivati a malapena a 700 mila. Con i nuovi tetti, comunque non raggiungeremo mai i numeri ottenuti dal Rdc, perché le famiglie senza anziani, minori e disabili (cioè composte da “occupabili”) restano escluse.
La soglia di 9.360 euro di Isee, va ricordato, era sempre la stessa dal 2019; nel frattempo l’inflazione ha eroso i redditi delle famiglie e fatto aumentare la povertà assoluta, come ha certificato l’Istat.
Un adeguamento delle soglie di accesso alle misure come l’Adi era quindi doverosa e il governo ha potuto farlo senza aggiungere un solo centesimo, anzi addirittura tagliando ancora. La previsione di spesa relativa all’Adi per il 2025, infatti, sarà la stessa già prevista, pari a 5,6 miliardi.
Il taglio invece colpisce il Supporto formazione lavoro, i famosi 350 euro per i corsi di formazione per i quali, nel 2025, era stata prevista una spesa di 1,3 miliardi che nel 2025 diventa di appena 700 milioni. Il flop di Sfl è stato da tempo certificato: doveva andare a 250 mila persone, lo hanno preso – a singhiozzo – in circa 92 mila. Nessun dato su quanti hanno effettivamente trovato lavoro.
Tra l’altro, da quando esiste Sfl – settembre 2023 – in Italia sono aumentati di molto gli inattivi, cioè le persone che un lavoro nemmeno lo cercano. La ministra del Lavoro Marina Calderone si aspettava l’esatto contrario. Ora il governo dimezza le risorse e anche qui può farlo rendendo al tempo stesso più semplici i criteri di accesso (quindi in teoria allargando la platea): l’Isee massimo passa da 6 mila a 10.140 euro e la somma per ricevere i corsi passa da 350 a 500 euro e il periodo di fruizione può diventare di 24 mesi, non più solo 12.
Sarà quindi dato qualcosa in più con una minore spesa complessiva: non è una magia della finanza pubblica, ma un semplice prendere atto che le risorse messe sul piatto nella scorsa legge di Bilancio erano superiori a quelle necessarie perché le nuove misure sono talmente complesse che hanno tagliato la platea anche per la macchinosità del loro funzionamento. Una parte della platea è stata tagliata a causa dei nuovi requisiti stringenti, ma molti aventi diritto hanno anche rinunciato. “Premesso che navighiamo al buio perché non abbiamo dati – spiega Antonio Russo, portavoce dell’Alleanza contro la povertà – Noi avevamo presentato otto modifiche e ne accolgono solo una, quella sui nuclei in affitto. Restano quindi tutti i problemi che rendono la misura non universale, a partire dai criteri sull’occupabilità”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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