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MOLLICONE, PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE CULTURA, E’ STATO SILURATO DA FRATELLI D’ITALIA: AL SUO POSTO DOVREBBE ARRIVARE IL DEPUTATO-SCRITTORE ALESSANDRO AMORESE

Gennaio 29th, 2025 Riccardo Fucile

LA MELONI AVEVA MESSO IL “GABBIANO” NEL LIBRO NERO DOPO L’INCHIESTA DI “DOMANI” SUI CONTRATTI E LE COLLABORAZIONI CON LA RUMENA GEORGIANA IONESCU. MEGLIO EVITARE UN ALTRO CASO SANGIULIANO

Quando deputati e senatori di Fratelli d’Italia hanno letto sulla “Stampa” la notizia del siluramento dell’ex “gabbiano” Federico Mollicone dalla presidenza della commissione Cultura della Camera, tutti hanno pensato la stessa cosa: “È la vendetta di Alessandro Giuli”. E invece, questa volta il “dandy cariato” della Cultura non c’entra.
Giuli e Mollicone, notoriamente, non si sopportano. Un odio viscerale, che trabocca e coinvolge anche le famiglie: il mega-scazzo di Mollicone con la sorella di Giuli, Antonella sul caso Spano, a ottobre, è ormai nei libri di storia (con lui che le urla contro: “Che fai, mi minacci?” e lei che lo definisce “Piccolo uomo”).
La rimozione di Mollicone però non sarebbe dovuto al ministro “aberrigeno”. Piuttosto, c’entrerebbe l’inchiesta di “Domani” sui contratti e le collaborazioni firmate dalla Commissione cultura con la bella rumena Georgiana Ionescu, dipendente di “Civita”, importante ente culturale di Roma, che accompagna il fratello d’italia in lungo e in largo per l’Italia.
L’articolo risale al 16 dicembre, e da allora Giorgia Meloni ha messo Mollicone nel libro nero: ora è arrivato il momento di sostituirlo, per evitare un nuovo caso Sangiuliano, con imbarazzi annessi e connessi…
(da agenzie)

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FACT CHECKING: TUTTE LE BUGIE DI GIORGIA MELONI NEL VIDEO SULL’INDAGINE E IL CASO ALMASRI

Gennaio 29th, 2025 Riccardo Fucile

INFORMAZIONI FALSE O VERE A META’

A dare la notizia dell’inchiesta sul caso Almasri, che vede indagati Giorgia Meloni, Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e Alfredo Mantovano, è stata la stessa presidente del Consiglio. In un video social, tenendo in mano la comunicazione della Procura (chiamata erroneamente “avviso di garanzia”, ma ci arriveremo), la premier ha criticato l’avvocato che ha depositato la denuncia nei suoi confronti, la Corte penale internazionale, il procuratore di Roma e in generale la magistratura.
Insomma, ha fatto passare l’atto come un vero e proprio attacco al governo, magari in risposta alla riforma della giustizia (come hanno poi chiarito altri esponenti di FdI). Ma, anche senza considerare che in realtà sul piano politico l’indagine potrebbe essere una buona notizia per l’esecutivo, ci sono molti passaggi che non tornano nel discorso di Meloni: informazioni false, omissioni, mezze verità e dichiarazioni tendenziose.
Meloni non ha ricevuto un avviso di garanzia e non c’è un attacco della magistratura
Innanzitutto, c’è un errore fattuale nelle parole di Meloni, che ha creato parecchia confusione ed è servito ad alimentare l’idea di un attacco della magistratura. Non è vero che la Procura le ha “inviato un avviso di garanzia”.
Qui bisogna fare chiarezza su qualche termine tecnico. Il cosiddetto “avviso di garanzia” viene inviato a una persona indagata quando è necessario che sia informata delle indagini, ad esempio perché è convocata per un interrogatorio, o comunque perché gli inquirenti intendono fare qualcosa che prevede la presenza del suo avvocato difensore. Un’indagine può aprirsi senza nessun avviso, e proseguire fino a quando non c’è un atto simile: a quel punto scatta l’avviso di garanzia, che serve appunto a “garantire” che chi è sotto indagine possa tutelarsi.
Non è questo che hanno ricevuto Meloni e gli altri esponenti del governo. In questo caso l’indagine non è nemmeno iniziata. Per i ministri e la presidente del Consiglio, infatti, la legge stabilisce una procedura diversa. Non appena arriva una denuncia nei loro confronti, la Procura in questione deve trasmettere l’atto al Tribunale dei ministri, un organo specifico per questo tipo di denunce.
Non solo: il procuratore non deve fare alcuna indagine prima di rinviare la denuncia al Tribunale dei ministri, come dice l’articolo 6 della legge del 1989 che regola la questione. E, nel momento in cui la trasmette, è obbligato ad avvisare le persone coinvolte. Questa è la cosiddetta “comunicazione di iscrizione al registro degli indagati”.
Ieri l’Associazione nazionale magistrati ha affermato che il documento inviato a Meloni è un “atto dovuto”: è stata depositata una denuncia nei suoi confronti, e perciò era quasi obbligatorio che lei venisse avvisata e il fascicolo inviato al tribunale dei ministri.
Il segretario dell’Anm, Salvatore Casciaro, ha spiegato che l’unico margine di discrezionalità era che la Procura poteva considerare “manifestamente infondate e fantasiose” le accuse. In quel caso, le avrebbe dovute lasciar cadere.
Le critiche al pm di Roma Francesco Lo Voi
La frase con cui la presidente del Consiglio esordisce è: “Il procuratore della Repubblica Francesco Lo Voi, lo stesso del – diciamolo – fallimentare processo a Matteo Salvini per sequestro di persona, mi ha appena inviato un avviso di garanzia”. Al di là dell’errore sul documento ricevuto, c’è quindi subito un attacco al pm che ha inviato l’atto. Come a suggerire che l’indagine sia già di per sé “di parte” perché la firma è dello stesso procuratore che ha indagato su un altro esponente del governo.
Il processo Open Arms al ministro Salvini non è stato gestito solamente da Lo Voi (che all’epoca era procuratore a Palermo). Un giudice per le indagini preliminari e un giudice per l’udienza preliminare hanno dato il via al procedimento, che poi si è concluso in primo grado con l’assoluzione perché il fatto non sussiste. Per di più, il pm che iscrisse Salvini nel registro degli indagati non fu Lo Voi, ma il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio. Poi la procedura passò a Palermo, e Lo Voi chiese al Tribunale dei ministri di procedere.
Ma soprattutto, Lo Voi nella vicenda del caso Almasri si è limitato a svolgere la procedura prevista. L’unica altra possibilità a sua disposizione, come detto, era considerare “manifestamente infondate e fantasiose” le accuse. La denuncia avrebbe potuto anche essere depositata in una procura diversa da quella di Roma. In questo caso, se il pm avesse valutato che non era completamente campata per aria, l’iter sarebbe stato lo stesso.
Questo toglie fondamento anche alle rivendicazioni con cui Meloni chiude il video: “Non sono ricattabile, non mi faccio intimidire. È possibile che per questo sia invisa a chi non vuole che l’Italia cambi e diventi migliore, ma anche e soprattutto per questo intendo andare avanti per la mia strada (…) senza paura”. Non si capisce di chi dovrebbe avere paura, dato che finora i fatti raccontano di una semplice denuncia depositata, un’indagine non aperta e una comunicazione tecnicamente routine dal pm.
L’attacco a Luigi Li Gotti, “politico di sinistra vicino a Prodi”
La comunicazione della Procura è arrivata, continua Meloni, “a seguito di una denuncia che è stata presentata dall’avvocato Luigi Li Gotti, ex politico di sinistra, molto vicino a Romano Prodi, conosciuto per aver difeso pentiti del calibro di Buscetta, Brusca e altri mafiosi”. Un attacco, ancora una volta, per sminuire la persona che ha denunciato e associarla alla sinistra, a Prodi (già bersaglio della premier), addirittura alla mafia.
Le parole di Meloni sono vere solo in parte. Definire Li Gotti un “ex politico di sinistra” può sembrare corretto considerando che ha fatto un mandato da senatore (dal 2008 al 2013) con l’Italia dei valori, partito dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, schierato con il centrosinistra.
Ma andrebbe detto anche che lo stesso Li Gotti, classe 1947, ha iniziato la sua carriera politica con il Movimento sociale italiano, di cui è stato segretario di federazione e consigliere comunale a Crotone. Poi ha proseguito con Alleanza nazionale, lo stesso partito di Meloni. Solo nel 1998 è uscito da An, per passare nel 2002 all’Italia dei valori.
È “molto vicino a Romano Prodi”? È stato sottosegretario alla Giustizia nel suo governo dal 2006 al 2008, su scelta di Di Pietro, vero. Ma è anche vero che la senatrice del Pd Sandra Zampa, personalmente vicina da anni a Prodi (lei sì), ha subito chiarito che tra i due non ci fu alcun legame particolare e che dal 2008 in poi non si sono più sentiti.
Per quanto riguarda la sua attività da avvocato, Li Gotti ha difeso Tommaso Buscetta, Giovanni Brusca e altri pentiti della mafia (persone che comunque hanno diritto a una difesa legale, come tutti). Si può aggiungere che ha rappresentato anche famiglie delle vittime della strage di piazza Fontana e quelle dei membri della scorta di Aldo Moro uccisi dalle Brigate rosse
L’accusa poco chiara alla Corte penale internazionale
Meloni parla poi della sostanza: il caso Almasri. Prima dice che “curiosamente, la Corte” penale internazionale ha emesso il mandato d’arresto “proprio quando questa persona stava per entrare sul territorio italiano dopo che aveva serenamente soggiornato per circa 12 giorni in altri tre Stati europei”. Sembra quindi suggerire che la Cpi si sia mossa così per mettere in difficoltà l’Italia.
Perché in difficoltà? Probabilmente perché l’Italia è legata da anni alla Libia con un accordo sulla gestione dei migranti, e l’arresto di Almasri avrebbe creato un imbarazzo politico-diplomatico. Ma la premier non lo chiarisce. E quindi non si vede perché la tempistica del mandato d’arresto sarebbe “curiosa”.
Le responsabilità del ministro Nordio e del governo sulla liberazione di Almasri
Meloni continua: “La richiesta di arresto della Corte penale internazionale non è stata trasmessa al ministero italiano della Giustizia, come previsto dalla legge, e per questo la Corte d’appello di Roma decide di non procedere alla sua convalida”. Qui la presidente del Consiglio ‘gioca’ con le parole, perché fa sembrare che a non trasmettere la richiesta sia stata sempre la Corte. Ma non è così.
In un comunicato, infatti, la Corte ha detto esplicitamente che il 18 gennaio ha “richiesto l’arresto del sospetto a sei Stati, inclusa la Repubblica italiana. La richiesta della Corte è stata trasmessa tramite i canali designati da ciascuno Stato, ed è stata preceduta da consultazione e coordinamento con ciascuno Stato per assicurarsi che la richiesta fosse accettata e messa in atto nel modo appropriato”. Insomma, l’Italia era informata.
Chi non ha informato il ministero della Giustizia, invece, è stata la Digos di Torino. La Questura ha applicato una procedura sbagliata, diversa da quella prevista per i mandati di arresto internazionale. L’iniziativa avrebbe dovuto arrivare dal ministero della Giustizia, che però non si è mosso.
La Corte d’appello di Roma ha dovuto prendere atto che l’iter era stato scorretto e non convalidare l’arresto. I giudici romani prima però hanno provato a contattare il ministro della Giustizia, per trovare una soluzione. Ma non hanno avuto risposta, per più di 24 ore. Un fatto che il ministro Nordio non ha mai chiarito, finora. Tecnicamente, sarebbe bastato aggiustare il tiro, far partire la procedura corretta per l’arresto internazionale, e con tutta probabilità si sarebbe potuto trattenere Almasri in Italia.
La decisione di rimpatriare subito il generale libico
“A questo punto, con questo soggetto libero sul territorio italiano, piuttosto che lasciarlo libero noi decidiamo di espellerlo e rimpatriarlo immediatamente, per ragioni di sicurezza. Con un volo apposito, come accade in altri casi analoghi”. Questo è il secondo passaggio in cui Meloni sostanzialmente afferma che il suo governo non ha avuto nessuna responsabilità politica nella vicenda. Di fatto, dice che riportare Almasri è stata l’unica soluzione possibile, e che l’alternativa sarebbe stata “lasciarlo libero” e pericoloso in Italia.
Anche in questo caso, però, non è vero che non ci fossero alternative a questa soluzione. Dopo che il ministero della Giustizia non si è mosso sul caso per giorni (Elmasri è stato arrestato la notte tra il 18 e il 19 gennaio e scarcerato il 21), quello dell’Interno è stato rapidissimo a decretare l’espulsione e organizzare il rimpatrio del generale libico. Il giorno stesso un aereo dei servizi segreti prima è volato da Roma a Torino, dove era incarcerato, e poi da Torino a Tripoli.
Naturalmente, ci sarebbero state altre soluzioni politiche per trattenere una persona su cui pende un mandato di cattura internazionale. Prima di tutte, come detto, attivare le procedure per l’arresto, anche dopo la sua prima scarcerazione. Invece Almasri è tornato in Libia, dove in pratica gode di completa immunità. Una decisione politica di cui il governo Meloni non ha ancora reso conto al Parlamento e, più in generale, ai cittadini.
(da Fanpage)

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GIORGIA MELONI ALLA SBARRA PER IL CASO ALMASRI? NON È IMPOSSIBILE MA È IMPROBABILE. UN EVENTUALE PROCESSO DOVREBBE ESSERE AUTORIZZATO DAL PARLAMENTO, DOVE IL GOVERNO HA UNA SOLIDA MAGGIORANZA

Gennaio 29th, 2025 Riccardo Fucile

IL PROCURATORE CAPO DI ROMA, FRANCESCO LO VOI, NON POTEVA AGIRE DIVERSAMENTE, DI FRONTE ALLA DENUNCIA RICEVUTA DALL’AVVOCATO LUIGI LI GOTTI … PER IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA NORDIO, OLTRE AI REATI GIÀ IPOTIZZATI (FAVOREGGIAMENTO E PECULATO), POTREBBE AGGIUNGERSI L’OMISSIONE DI ATTI D’UFFICIO

Che il fascicolo aperto dalla Procura di Roma non sfocerà in alcun processo è pressoché certo, visto che un eventuale processo dovrebbe essere autorizzato dal Parlamento dove il governo ha una solida maggioranza. Ma è altrettanto certo che il procuratore Francesco Lo Voi non potesse fare altrimenti di fronte alla denuncia ricevuta.
Secondo la sua interpretazione della legge, poteva solo iscrivere le persone segnalate sul registro degli indagati e inviare il procedimento n. 3924 del 2025 al tribunale dei ministri. «Omessa ogni indagine», dice la norma, che per il procuratore vuol dire divieto di acquisire atti a sostegno dell’istanza o della sua infondatezza.
Nell’incartamento, a parte la lettera di trasmissione, c’è solo l’esposto dell’avvocato Luigi Li Gotti, con l’indicazione dei reati ipotizzati: favoreggiamento personale (nei confronti del generale libico Najeen Osama Almasri) e peculato (per l’uso dell’aereo di Stato utilizzato per rimpatriarlo).
Addebitati al capo del governo e ai ministri della Giustizia e dell’Interno che avrebbero deciso la scarcerazione e la riconsegna alla Libia, e per il sottosegretario con delega ai servizi segreti relativamente al mezzo di trasporto.
Mentre c’è un conflitto tra il governo italiano e la Corte dell’Aia, dopo la scarcerazione di Almasri decisa dalla corte d’appello a fronte della «prodromica e irrinunciabile interlocuzione tra il ministro della Giustizia e la Procura generale», che ha inutilmente interpellato il Guardasigilli.
Di qui la decisione politica, attribuita al governo, di non voler consegnare il generale libico accusato di torture, stupri e crimini di guerra dalla Cpi, che nella denuncia dell’avvocato Li Gotti si è tramutato in favoreggiamento del ricercato.
Anche nelle leggi che hanno recepito l’adesione dell’Italia alla Corte internazionale la cooperazione giudiziaria con i giudici dell’Aia assomiglia a un atto dovuto; per esempio laddove l’articolo 59 dello Statuto di Roma prevede che «lo Stato Parte che ha ricevuto una richiesta di fermo, o di arresto e di consegna prende immediatamente provvedimenti per fare arrestare la persona di cui trattasi, secondo la sua legislazione».
Per questo per il ministro Nordio c’era anche la possibilità di ipotizzare l’omissione d’atti d’ufficio, non menzionata però dall’avvocato Li Gotti nella sua denuncia.
Chiedendo invece «che vengano svolte indagini sulle decisioni favoreggiatrici del suddetto Osama Almasri, nonché sulla decisione di utilizzare un aereo di Stato per prelevare il catturato (e liberato) a Torino e condurlo in Libia».
Compito spettante al Tribunale dei ministri. Ferma restando l’insindacabilità dell’atto politico, che si può intravedere dietro il silenzio-diniego del ministro sull’arresto di Almasri. Tuttavia Nordio non l’ha rivendicato come tale, e dunque anche questa eventualità dovrà essere oggetto d’indagine. Preclusa alla Procura di Roma, sempre secondo la lettera della legge sui reati ministeriali. L’altra quasi-certezza di questa vicenda è che contribuirà ad alimentare la tensione tra l’ufficio guidato dal procuratore Lo Voi e il governo.
Tanto più dopo che accertamenti dell’Aisi (l’Agenzia per la sicurezza interna) sul capo di gabinetto della premier Gaetano Caputi che dovevano rimanere segreti, sono finiti in un fascicolo d’indagine destinato alle parti in causa, e dunque a divenire pubblici. Un esito non gradito a Palazzo Chigi. Come la comunicazione recapitata ieri.
(da agenzie)

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TUTTI GLI AFFARI DI ALMASRI, IL TRAFFICANTE

Gennaio 29th, 2025 Riccardo Fucile

PASSAPORTO DELLA DOMINICA, OTTO CARTE BANCARIE, PATENTE E CITTADINANZA TURCA, SOCIETA’ E CASE ALL’ESTERO

Patente turca e auto tedesca. Esibisce la carta d’identità di un paradiso fiscale. In tasca, la chiave elettronica di un appartamento nel villaggio per ricchi a Istanbul. C’è chi in Libia va cercando il petrolio. E chi a Tripoli ha trovato l’America. Come il generale Almasri. Ora che è un superlatitante non potrà facilmente recarsi a Londra partendo da Tripoli e facendo scalo a Roma. E chissà cosa avrebbe da dire il generale agli avvocati di un noto studio inglese specializzato in diritto dell’immigrazione. Alle richieste di “Avvenire” i legali non hanno risposto.
L’uomo d’affari
Il generale scarcerato dalla corte d’appello di Roma e riportato in Libia con un jet di Stato è anche un uomo d’affari. Sui biglietti da visita si presenta come «general manager» di due compagnie private con sede in Turchia, numeri di telefono fissi del Regno Unito e dell’Ontario, in Canada. Oltre al cellulare personale con numerazione di Tripoli. Quale sia il commercio della “Al-Asale Al-Dahabiye 1” e della “Al-Asale Al-Dahabiye 2” non è ancora chiaro. Di certo per acquistare il nuovo Rolex Submariner Ulk, acciaio e corona verde, il generale ha estratto una delle otto carte bancarie “platinum”. Sul listino il prezzo consigliato è di 9mila euro, ma la scarsa reperibilità ne fa moltiplicare per tre le quotazioni. Una cifra che equivale ad almeno due anni di stipendio di un ufficiale libico.
È anche cittadino turco
I soldi, per Almasri, non sono un grosso problema. Durante il suo tour invernale percorrendo il vecchio continente da Sud a Nord e viceversa, il generale Osama si era portato nel bagaglio il necessario per affrontare ogni emergenza: 2 carte Visa e 6 Mastercard, 2 emesse da banche del Regno Unito e 6 da istituti turchi. A giudicare da una delle sue carte di identità, giudicate autentiche, il generale è anche cittadino turco. La patente con il timbro di Ankara gli permette di noleggiare auto e guidare liberamente in tutti i Paesi europei. Oltre a una card per l’accesso in camera di un esclusivo albergo milanese di proprietà di una casa di alta moda, il generale accusato dei peggiori crimini di guerra e contro i diritti umani conserva anche la tessera elettronica per accedere a uno stabile del “Mavera Park”. È un elegante complesso residenziale costruito alla periferia di Istanbul, pensato come una piccola Dubai a pochi chilometri dal Bosforo.
Nel libro nero dell’Onu
Da tempo Almasri è nell’occhio degli investigatori internazionali. Lui lo sapeva. L’inchiesta ha toccato suoi collaboratori e raccolto testimonianze delle sue migliaia di vittime. Una lezione il generale l’ha imparata da chi prima di lui era finito nel libro nero delle Nazioni Unite. Come il comandante Bija, il guardacoste-trafficante ucciso nel settembre 2024, su cui si era abbattuta la scure del Consiglio di sicurezza: congelamento dei beni, divieto di espatrio e divieto di pagargli lo stipendio, anche se nessuna delle prescrizioni è stata mai osservata dal governo libico. Dal 15 agosto 2022 Almasri può farsi scudo con la sua terza nazionalità conosciuta, dopo quella libica e turca: Repubblica di Dominica. Un paradiso naturale, ma soprattutto fiscale.
Per diventare cittadino dell’isola del Commonwealth (il cui passaporto consente di viaggiare senza visto d’ingresso in oltre 40 Paesi), occorre avere buone amicizie, versare 100mila dollari, aprire un conto e tenerlo largamente in attivo. Zero imposte sui redditi provenienti dall’estero. E in caso di mandato di cattura, nella piccola capitale Roseau gli sbirri di altri Paesi non possono fare quasi nulla, a parte prendere il sole tra Guadalupa e la Martinica.
Il mandato d’arresto
Con questi accorgimenti, Almasri è riuscito a muoversi per l’Europa inizialmente senza destare troppi sospetti. I documenti sarebbero potuti appartenere a un omonimo residente in Turchia o nei Caraibi, sebbene non sia chiaro con quale documento abbia effettuato il check-in del volo di linea Tripoli-Roma del 6 gennaio. La patente turca con cui ha prelevato l’auto in Germania e l’avviso di voler riconsegnare il mezzo a Roma Fiumicino hanno fatto scattare l’alert dell’intelligence tedesca. Messa in moto l’unità investigativa della Corte penale internazionale, dove lavorano anche funzionari delle autorità italiane, quando il mandato di cattura era pronto Almasri si trovava da poco in Piemonte. Per aumentare le probabilità di un arresto il mandato è stato trasmesso anche a Paesi come Francia, Germania, Belgio, nel caso il generale avesse lasciato l’Italia verso altre destinazioni europee.
Centri di detenzione
Negli ultimi giorni si sono rincorse voci, alimentate anche dalle dichiarazioni della premier Giorgia Meloni, secondo cui Osama Najeem Almasri non sarebbe un trafficante di uomini né avrebbe a che fare con il business dello sfruttamento. La risposta, oltre che dal contenuto dell’ordine d’arresto internazionale, arriva dagli ispettori Onu. Almasri con la sua milizia controlla diverse prigioni e campi di detenzione libici dove sono detenuti terroristi, attivisti, oppositori politici, giornalisti e centinaia di stranieri migranti.
Una delle pagine delle indagini depositate al Consiglio di Sicurezza Onu nel quale è indicato il generale Najim (Almasri) come direttamente coinvolto nel traffico di esseri umani
Una delle pagine delle indagini depositate al Consiglio di Sicurezza Onu nel quale è indicato il generale Najim (Almasri) come direttamente coinvolto nel traffico di esseri umani – undefined
Due i penitenziari più grandi: Mitiga e Ayn Zara, entrambi nell’area di Tripoli. Ecco cosa scrivevano gli investigatori al Consiglio di sicurezza Onu nel 2022 e di nuovo nel 2023 : «L’abuso è commesso come parte dello schema commerciale illegale che questa rete» gestisce allo scopo «di ottenere guadagni finanziari e di altro tipo dai migranti che sono stati detenuti illegalmente in quelle strutture».
Lo schema criminale
Lo schema si fonda su «quattro fasi operative: a) ricerca e intercettazione dei migranti in mare; b) trasferimento dai punti di sbarco ai centri di detenzione della Direzione per la lotta alla migrazione illegale; c) abuso di detenuti in tali centri di detenzione; d) rilascio dei detenuti maltrattati».
Il grafico con cui gli “ispettori Onu” spiegano lo “schema criminale” del traffico di migranti in cui sono coinvolte le prigioni controllate da Almasri
Il grafico con cui gli “ispettori Onu” spiegano lo “schema criminale” del traffico di migranti in cui sono coinvolte le prigioni controllate da Almasri – undefined
La scarcerazione e la consegna agli scafisti, l’ultimo ingranaggio della filiera, avviene solo a precise condizioni. «Gli ex detenuti – scrivono gli ispettori Onu – hanno identificato Osama Najim». È Almasri che insieme a Adel Mohamed Ali (detto “Sheikh Adel”) sono considerati «direttamente responsabili del trasferimento illegale (dei migranti catturati, ndr) e del lavoro illegale», in violazione del «divieto di schiavitù, trattamento crudele e oltraggi alla dignità personale ai sensi del diritto internazionale umanitario».
Ad alcune delle vittime di Almasri gli inquirenti dell’Aja hanno chiesto di disegnare su un foglio la mappa della prigione, indicando le attività che si svolgono nei vari plessi: interrogatori, torture, stupri, riduzione in schiavitù, schiavitù sessuale. Anche in questo caso la descrizione è risultata perfettamente coincidente con le acquisizioni autonome degli investigatori.
Il jet pre-allertato
Prima di salire a bordo dell’aereo di Stato che il 22 gennaio lo attendeva da 8 ore, quando ancora non si era pronunciata la corte d’appello di Roma, Almasri è tornato in possesso di tutti i suoi documenti. Compresa la garanzia internazionale del nuovo Rolex, souvenir del suo trionfale viaggio in Europa.
(da Avvenire)

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“PERCHÉ MELONI NON RISPONDE A SANTANCHÈ? È SOTTO RICATTO?”

Gennaio 29th, 2025 Riccardo Fucile

IL DEPUTATO DEL PD VINICIO PELUFFO METTE IL DITO NELLA PIAGA DELLA “NON RICATTABILITÀ” RIVENDICATA DALLA PREMIER: “A QUANTO PARE È SOTTO SCACCO DEL MINISTRO SANTANCHÈ. A QUESTO PUNTO LA DOMANDA SORGE SPONTANEA: NON È CHE CONTINUA A RIPETERE CHE NON È RICATTABILE PERCHÉ CERCA DI AUTOCONVINCERSI DI UN QUALCOSA CHE NON CORRISPONDE A VERITÀ?”

Governo, Peluffo (Pd): perché Meloni non risponde a Santanchè? È sotto ricatto? “La presidente del consiglio Giorgia Meloni continua con il suo refrain ‘non sono ricattabile’, ma a quanto pare è sotto scacco del ministro Santanchè che continua a tirarla in causa nelle sue vicende giudiziarie peraltro con modalità poco istituzionali.
A questo punto la domanda sorge spontanea: non è che la presidente Meloni continua a ripetere che non è ricattabile perché cerca di autoconvincersi di un qualcosa che non corrisponde a verità? All’interno della maggioranza assistiamo infatti a ricatti e giochi di potere che apprendiamo fra l’altro ogni giorno a mezzo stampa.
Piuttosto che dire che non è ricattabile la presidente Meloni dovrebbe uscire fuori da questa situazione imbarazzante e dire al ministro Santanchè di fare un passo indietro. O non può farlo?”. Cosi il capogruppo in commissione attività produttive della Camera,
(da agenzie)

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COSTRETTA A TOGLIERE IL DISTURBO DAI SERVIZI, ELISABETTA BELLONI SI E’ PRESA LA SUA RIVINCITA: È STATA DESIGNATA CONSIGLIERE DIPLOMATICO DI URSULA VON DER LEYEN, NELL’AMBITO DI “IDEA”, IL SERVIZIO DI CONSULENZA DELLA COMMISSIONE CHE “FORNISCE IDEE INNOVATIVE E UNO SPAZIO PER LA RICERCA INTERDISCIPLINARE E LA COLLABORAZIONE SULLE PRIORITÀ FONDAMENTALI”

Gennaio 29th, 2025 Riccardo Fucile

IL CONTRATTO AVRÀ UNA DURATA INIZIALE DI DUE ANNI, RINNOVABILI

Elisabetta Belloni è stata designata Special Adviser della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. La notizia era stata anticipata dal ‘Foglio’, oggi l’Adnkronos ha potuto visionare un documento che spiega nei dettagli l’incarico: sarà “Chief Diplomatic Adviser”, di fatto il consigliere diplomatico, e riporterà direttamente alla presidente, nell’ambito di IDEA, il servizio di consulenza della Commissione che “fornisce idee innovative e uno spazio per la ricerca interdisciplinare e la collaborazione sulle priorità fondamentali”. Sempre da IDEA sarà scelto il team che la affiancherà nel mandato, e lavorerà a stretto contatto con il Segretariato generale. Il contratto avrà una durata iniziale di due anni, rinnovabili
Belloni, classe 1958, è una diplomatica in pensione, che dopo una serie di incarichi nelle ambasciate italiane all’estero ha ricoperto ruoli sempre più importanti all’interno del Ministero degli Affari Esteri. Ha guidato l’Unità di crisi, è stata direttrice generale della cooperazione allo sviluppo e poi direttrice generale per le risorse e l’innovazione.
Promossa nel 2014 ambasciatrice di grado, è stata capo di gabinetto del ministro degli Esteri Gentiloni. In seguito è stata promossa segretario generale della Farnesina, infine è stata nominata da Mario Draghi direttrice del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis), il vertice dell’intelligence italiana, ruolo che ha ricoperto fino allo scorso 15 gennaio
(da Adnkronos)

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ANCORA CAOS SULLA RETE FERROVIARIA: UN “INCONVENIENTE TECNICO” CAUSA RALLENTAMENTI SULL’ALTA VELOCITÀ ROMA-FIRENZE.

Gennaio 29th, 2025 Riccardo Fucile

TRENI IN RITARDO. SALVINI GRIDERA’ ANCORA AL COMPLOTTO? I DISSERVIZI SULLE LINEE SONO ALL’ORDINE DEL GIORNO. LUNEDÌ I RITARDI HANNO RIGUARDATO LA ROMA-NAPOLI, SEMPRE ALTA VELOCITÀ, CON RITARDI ACCUMULATI DI 90 MINUTI, CAOS A TERMINI

Un «inconveniente tecnico alla linea» causa nuovi rallentamenti sull’Alta velocità Roma-Firenze, in direzione Firenze. Lo riporta Rfi sul suo bollettino Infomobilità. Il problema si è verificato alle 13.28 di oggi 20 gennaio e, prima dell’intervento dei tecnici, i ritardi sono stati quantificati in «20 minuti». Il problema è stato poi risolto ma, a cascata, i disagi sono continuati.
Nuovo caos e attese, quindi, dopo i guasti delle scorse settimane e l’esposto che Fs ha presentato in Procura avanzando l’ipotesi di sabotaggi ai danni della rete e del gruppo. Episodi ripetuti, nel Milanese, nel Padovano e anche nel nodo di Roma, che hanno indotto Ferrovie a chiedere indagini sulle anomalie che hanno bloccato le linee, non solo quelle dell’Alta velocità.
Matteo Salvini, che su questa catena di eventi ha riferito in Aula, ha sostenuto l’idea del sabotaggio aggiungendo anche che, dopo l’esposto, «incendi e guasti erano finiti».
Ma, al netto dei sospetti, i disservizi sulle linee sono all’ordine del giorno. Lunedì i ritardi hanno riguardato la Roma-Napoli, sempre Alta velocità, con ritardi accumulati di 90 minuti, caos a Termini e convogli fermati a Tiburtina.
(da Il Corriere della Sera)

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L’ASSOCIAZIONE MAGISTRATI SPIEGA CHE QUELLO RICEVUTO DA GIORGIA MELONI NON È UN AVVISO DI GARANZIA, SOLO “LA COMUNICAZIONE, A TUTELA DELL’INDAGATO, DI UNA TRASCRIZIONE DOVUTA”

Gennaio 29th, 2025 Riccardo Fucile

L’ANM DIFENDE A OLTRANZA LO VOI, PROCURATORE (DI AREA DI DESTRA)… SILVIA ALBANO, PRESIDENTE DI MAGISTRATURA DEMOCRATICA: “NON POSSO CREDERE CHE NESSUNA ABBIA SPIEGATO ALLA PRESIDENTE DEL CONSIGLIO CHE ERA UN ATTO DOVUTO”

Comincia come una festa di tutta l’Associazione nazionale magistrati: per le elezioni che segnano un’affluenza all’82 per cento, per la vittoria di Mi, corrente di destra, per la complessiva forte affermazione delle due liste di sinistra, Area e Md, e anche per la “rinascita” di Unicost.
Ma subito vira in trincea, nuovo corpo a corpo con la politica: contro le affermazioni piovute dalla presidente Meloni “indagata”. Contro le insinuazioni su presunti complotti orditi– ovviamente dagli asseriti pm fuori controllo – a danno del governo. Contro una riforma sventolata, ancora, come punizione: di fronte alla «reazione sproporzionata dei magistrati», avverte il viceministro Sisto, FI, «mercoledì 29 gennaio alle 8.30 noi incardiniamo la separazione delle carriere in Commissione Affari costituzionali al Senato».
Addirittura il procuratore di Roma, (peraltro di area moderata) Francesco Lo Voi, indicato dalla premier come autore del già «fallimentare processo contro Salvini» – si stupiscono i colleghi – solo per aver «fatto il suo dovere».
Lo ripete, in venti righe, in serata anche l’Anm: «La politica ha frainteso. Nessun avviso di garanzia, solo la comunicazione, a tutela dell’indagato, di una trascrizione dovuta». Un procedimento che la Procura «doveva subito girare al Tribunale dei ministri».
Silvia Albano, la presidente di Magistratura democratica già nel mirino del governo come “toga rossa”, è sorpresa. «Non posso credere che nessuna abbia spiegato alla presidente del Consiglio che il procuratore che riceva una denuncia circostanziata a carico di uno o più ministri deve, in applicazione di una legge costituzionale iscrivere nel registro e trasmettere al Tribunale dei Ministri. Senza fare alcuna indagine e senza avere altra scelta», spiega a Repubblica. Aggiunge Albano: «Dopodiché, sentiamo spesso evocare complotti, avvenne anche la scorsa estate, non se n’è saputo più nulla».
Tullio Morello, togato di Area al Consiglio superiore, riflette: «Stupisce che dopo aver contestato per anni, ai pm, la ricerca dell’effetto mediatico sulle indagini, oggi siano le istituzioni a voler accendere la massima risonanza su un atto dovuto, che era stato comunicato con il massimo e rispettoso riserbo. Una procedura che, in teoria, potrebbe risolversi in poche ore con un’archiviazione.
L’immagine chiave di giornata? È nel rovesciamento di stato d’animo di Giuseppe Santalucia. Da presidente ormai scaduto dell’Anm, «libero», che si congratula con i colleghi (che l’8 febbraio eleggeranno il nuovo presidente e la nuova giunta) alle telefonate dei media che lo tempestano. Al telefono c’è il Washington Post: «Sorry, ma volete far cadere la premier?». Fronte compatto, di nuovo. Non, non è finita. Altro comunicato. «Non dobbiamo neanche concentrarci sui toni usati dalla presidente del Consiglio». Ma «solo spiegare». A rischio d’essere «gelidi». Ed ecco la nota ufficiale Anm: «Si segnala, al fine di fare chiarezza, il totale fraintendimento da parte di numerosi esponenti politici dell’attività svolta dalla Procura di Roma.
(da La Repubblica)

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PARMA. LA COMMESSA DEL CENTRO COMMERCIALE PAGATA 6 EURO L’ORA

Gennaio 29th, 2025 Riccardo Fucile

“NIENTE CAFFE’ PER PAURA DI ESSERE RIMPROVERATE”… DALLE DOMANDE PRIVATE AL LAVORO NEI FESTIVI E AL RINNOVO MENSILE DEL CONTRATTO

Le domande personali al colloquio, il contratto rinnovato di mese in mese – «così possono lasciarci a casa a ogni scadenza» – e il lavoro i festivi e le domenica a poco più di sei euro all’ora.
A raccontare a Parmatoday queste condizioni di lavoro è una commessa, impiegata in un negozio di un centro commerciale della città emiliana con un contratto in somministrazione lavoro, quindi con l’intermediazione di un’agenzia.
In complesso 900 euro al mese per 24/30 ore settimanali senza pausa pranzo e con la paura che anche le “pause bagno” convincano l’azienda a non prolungare l’assunzione.
«Le aziende possono fare di loro ciò che vogliono», ha commentato Giorgia Costantino, segretario territoriale Ugl Parma.
Il colloquio di assunzione e il tramite delle agenzie
Secondo quanto ha raccontato la commessa, rimasta anonima per paura delle ripercussioni, sarebbe iniziato tutto dal primo colloquio di lavoro. «Mi hanno chiesto se ho figli, se sono fidanzata, se convivo e se ho qualcuno che possa stare con i miei figli mentre lavoro», ha rivelato. «Una volta passato il colloquio ti chiedono di iscriverti a un’agenzia di lavoro in modo che l’assunzione avvenga tramite loro».
Si inizia con un contratto settimanale a poco più di sei euro l’ora, «poi di un mese e poi di un altro mese». E così via, un part time con orari che difficilmente permettono di conciliare vita privata e occupazione e che costringe i dipendenti a lavorare anche nei giorni festivi e le domeniche: «Non riusciamo a fare altro, per esempio stare un po’ in famiglia e con i nostri figli».
La paura delle pause, gli extra non retribuiti e il «ricatto» del rinnovo
La “strategia” del rinnovo mensile tiene sotto scacco le commesse: «Nessuna di noi si oppone (a lavorare tutti i festivi, ndr). Sa che è sotto ricatto e può essere lasciata a casa ad ogni scadenza del contratto».
Un solo giorno di riposo a settimana, mai nel weekend. Niente pausa pranzo, ovviamente, e anche lo sfizio di un caffè deve essere represso «per paura di essere riprese dai capi».
E in bagno? «Andiamo se abbiamo bisogno ma cerchiamo di limitarci». A questo si aggiungono le richieste di fermarsi oltre l’orario di lavoro «fino a quando c’erano clienti nel negozio», o di arrivare almeno in quarto d’ora prima dell’inizio del turno «senza retribuzione aggiuntiva». E la mansione – quella di scaffalista – è esattamente paritetica a quella di lavoratrici assunte, che però hanno più garanzie rispetto al contratto di somministrazione lavoro: «Le persone effettivamente assunte sono meno de 50% del totale». E quando finiscono le proroghe del contratto? Semplice, «cambiano agenzia e ti rifanno il contratto, così riparte tutto da zero».
«Le agenzie di somministrazione hanno peggiorato il mondo del lavoro», è la linea dura di Giorgia Costantino, segretario territoriale di Parma dell’Unione generale del lavoro. Le paghe sono bassissime e spesso i dettagli dell’accordo non sono resi noti: «Ho dovuto insistere in alcune agenzie perché diverse lavoratrici hanno avuto la maggiorazione al 30 e non al 50%», come stabilito da un accordo territoriale con Confcommercio a Parma. Insomma «le lavoratrici non hanno il diritto di andare da un sindacato per farsi tutelare. Sei ci vanno vengono lasciate a casa».
(da agenzie)

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