Giugno 9th, 2025 Riccardo Fucile
L’ACCUMULO DI RIFIUTI DI PLASTICA È STATO STIMATO TRA 75 E 199 MILIONI DI TONNELLATE …LA CONFERENZA ONU SUGLI OCEANI: “LA SITUAZIONE SI STA AGGRAVANDO”
Gli oceani sono in sofferenza, tutti gli indicatori sono allarmanti. Il livello del mare si sta alzando, è aumentato di 23 centimetri dal 1901 ad oggi e si stima che entro il 2050 possa salire ancora (tra 10 e 25 cm). Nel 2024 la temperatura media degli oceani ha raggiunto livelli mai così alti da quando si effettuano registrazioni affidabili. Inoltre, le specie marine minacciate di estinzione sono in aumento (1.677).
Sono alcuni dei dati elaborati dal barometro Starfish, l’iniziativa lanciata in occasione della Giornata Mondiale dell’Oceano, alla vigilia della Terza Conferenza delle Nazioni Unite sugli Oceani (UNOC3) che si tiene a Nizza da oggi al 13 giugno. Un rapporto che sarà presentato alla cinquantina di capi di Stato e di governo e a migliaia di delegati, scienziati e rappresentanti di ong.
«Lo stato degli oceani mostra un quadro allarmante — dichiara Marina Lévy, ricercatrice del Cnrs (il Centre de la recherche scientifique francese), che ha co-diretto lo studio Starfish —. La situazione si sta degradando a un ritmo che sta accelerando». […] Un terzo degli squali e oltre un quarto dei cetacei sono in grave pericolo di estinzione, principalmente a causa della pesca eccessiva e delle estrazioni minerarie, oltre agli effetti del cambiamento climatico.
Delle 1.677 specie marine elencate nella Lista Rossa IUCN (Unione mondiale per la conservazione della natura), 291 sono classificate in grave pericolo, 647 in pericolo e 739 vulnerabili. Rispetto al precedente rapporto sono 204 le nuove specie a rischio. Più di un terzo (il 37,7%) della pesca è ritenuta non sostenibile perché sfrutta eccessivamente le risorse marine, si stima che il 75% delle grandi imbarcazioni non venga monitorato.
I rifiuti plastici rappresentano oltre l’80% dei detriti acquatici identificati. Nel 2021, l’accumulo di plastica nei fiumi e negli oceani è stato stimato tra 75 e 199 milioni di tonnellate. «Questo barometro ci dice: attenzione, siamo davvero su una traiettoria di pressione crescente, l’oceano sta cambiando velocemente — spiega Pierre Bahurel, direttore generale di Mercator Ocean International, che ha co-diretto il progetto —. Abbiamo elencato tutte le pressioni esistenti ed è abbastanza spaventoso».
«Nonostante i notevoli sforzi compiuti negli ultimi anni, sappiamo meno sui fondali oceanici dei crateri lunari» osserva Audrey Azoulay, direttrice generale dell’Unesco. L’agenzia delle Nazioni Unite alla vigilia ha annunciato che doterà 10.000 navi commerciali di sensori scientifici.
L’obiettivo è fornire dati in tempo reale al Global Ocean Observing System, che l’Unesco sta già sperimentando su 2.000 imbarcazioni. «Imparare dall’oceano è la grande avventura scientifica del nostro tempo –— aggiunge Azoulay —. La comunità internazionale non deve più ignorare gli avvertimenti degli scienziati e investire nella ricerca oceanografica, che attualmente rappresenta meno del 2% dei bilanci nazionali per la ricerca».
(da La Repubblica)
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Giugno 9th, 2025 Riccardo Fucile
LA PORTAVOCE DELL’AMMINISTRAZIONE TRUMP, KAROLINE LEAVITT, HA SOLLECITATO ABC A SANZIONARLO. E INFATTI, È STATO PUNITO
Il corrispondente della Casa Bianca di Abc News, Terry Moran, è stato sospeso oggi
dopo aver pubblicato su X un post fortemente critico su Donald Trump e il suo vice capo dello staff, Stephen Miller. Nel messaggio, postato dopo mezzanotte, il giornalista li accusava di essere “odiatori di fama mondiale”.
Per Trump, aggiungeva, l’odio è “solo un mezzo per raggiungere un fine e quel fine è la sua stessa glorificazione. Questo è il suo nutrimento spirituale”. Stamane la portavoce dell’amministrazione Trump, Karoline Leavitt, ha condannato Moran e ha sollecitato pubblicamente Abc a sanzionare Moran. “Speriamo che questo giornalista venga sospeso o licenziato”, ha dichiarato Leavitt in un’intervista a Fox News.
“Abc News è sinonimo di obiettività e imparzialità nella sua copertura mediatica e non tollera attacchi personali”, ha dichiarato un portavoce della rete. “Il post non riflette le opinioni di Abc News e ha violato i nostri standard. Di conseguenza, Terry Moran è stato sospeso in attesa di ulteriori valutazioni”.
(da agenzie)
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Giugno 9th, 2025 Riccardo Fucile
IL GOVERNO UCRAINO E’ ORMAI IN GRADO DI PRODURRE QUATTRO MILIONI DI DRONI L’ANNO. OSSIA OLTRE DIECIMILA AL GIORNO – IL SEGRETARIO GENERALE DELLA NATO, MARK RUTTE: “LA NATO DEVE AUMENTARE DEL 400% LA SUA DIFESA AEREA”
“Una guerra di lungo periodo”. Sia la Nato, sia al suo interno gli Usa, si stanno ormai predisponendo ad un conflitto in Ucraina che non terminerà in tempi brevi.
Nell’ultimo vertice dei ministri della difesa dell’Alleanza, svoltosi la scorsa settimana a Bruxelles, questo concetto è stato esaminato, metabolizzato e condiviso. Nella consapevolezza che, pur non partecipando direttamente allo scontro, non potrà mancare il sostegno dell’Organizzazione Atlantica a Kiev.
Una assicurazione che è stata ribadita anche dal segretario alla Difesa statunitense, Pete Hegseth. Garanzie che sono state interpretate come un impegno a continuare con gli aiuti militari a favore dell’Ucraina. Del resto lo stesso segretario generale della Nato, Mark Rutte, su questo è stato esplicito: «Ci assicureremo di progettare il nuovo piano di investimenti in modo tale che non influisca sul modo in cui i nostri alleati stanno collaborando con l’Ucraina per garantire che abbia ciò di cui ha bisogno per restare nella lotta».
In realtà la delegazione statunitense, nella stessa occasione, ha sostanzialmente fatto capire di aver sbagliato a giudicare la disponibilità di Putin a siglare la pace. Tutti, nello stesso tempo, sono coscienti della mutevolezza delle posizioni di Donald Trump e della necessità per Washington di non abbandonare Israele al suo destino e quindi di mantenere anche l’appoggio a Gerusalemme. Eppure tutte le analisi dell’Alleanza […] in questo momento confermano che Mosca non ha alcuna intenzione di prendere sul serio i negoziati […] La conseguenza è quella di proseguire con gli aiuti a Zelenski.
C’è un altro aspetto che ha sorpreso i 32 membri dell’Organizzazione: la resilienza dell’Ucraina. Da un punto di vista particolare: la capacità della sua industria bellica e nella riconversione della produzione “civile”. […] il governo ucraino ha comunicato di essere ormai in grado di produrre quattro milioni di droni l’anno. Ossia oltre diecimila al giorno.
Una quantità considerevole. Il che vuol dire che gli ucraini possono lanciare quotidianamente contro la Russia proprio più di diecimila di questi apparecchi.
In un conflitto nel quale le armi “unmanned” ossia senza equipaggio, stanno esercitando un ruolo fondamentale, l’abilità di Kiev viene considerata un fattore decisivo. con una massiccia dose di cinismo, nell’Alleanza occidentale non manca chi fa una semplice constatazione: finché Mosca è impegnata contro Kiev, non può aprire altri fronti d’attacco. In Europa o altrove. E il tempo è ormai una chiave determinante per il “Vecchio Continente” che deve attrezzarsi per acquisire un minimo di indipendenza militare dagli Stati Uniti. Tanto che c’è un interesse crescente a favore della nuova produzione di droni turchi di grandi dimensioni. In grado di pattugliare con molta più efficienza i confini a est
(da agenzie)
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Giugno 9th, 2025 Riccardo Fucile
TRUMP MANDA LA GUARDIA REPUBBLICA PER GARANTIRE LA DEPORTAZIONE E IL GOVERNATORE DELLA CALIFORNIA, NEWSOM: “MINACCIATE DI ARRESTARMI? VENITE A PRENDERMI”
“Lo zar dei confini di Trump minaccia di arrestarmi per aver parlato apertamente.
Vieni a prendermi, duro. Non me ne frega niente. Non mi impedirà di difendere la California”, il governatore della California, Gavin Newsom, ha risposto così su X a una presunta minaccia di arresto da parte di un membro del Gabinetto di Trump.
Lo riporta la Bbc. Lo ‘zar dei confini’ di Trump, Tom Homan, ha affermato sabato che i raid contro le manifestazioni sull’immigrazione continueranno a prescindere dalle proteste, lasciando intendere che non esiterà ad arrestare i manifestanti. Parlando alla NBC News, Homan ha detto che applicherà le stesse regole per tutti, compresi i funzionari eletti, ma non è arrivato ad accusare i politici di ostacolare effettivamente gli agenti.
Da parte sua, Newsom ha accusato ieri Trump di essere un “dittatore”. Il governatore ha scritto su X che “incitare e provocare la violenza, creare caos di massa, militarizzare le città, arrestare gli oppositori. Questi sono atti di un dittatore, non di un presidente”
Tra Washington e la California intanto si consuma lo scontro politico con le amministrazioni locali democratiche che accusano Donald Trump di incendiare la protesta per scopi politici.
È la tempesta perfetta, secondo alcuni osservatori, che la equiparano alla rivolta del 1992 avvenuta sempre nella città della California, dopo che una giuria assolse quattro agenti della polizia accusati del pestaggio del cittadino afroamericano Rodney King.
Altri riavvolgono il nastro della storia al 2020 con l’uccisione di George Floyd a Minneapolis, anch’egli afroamericano deceduto dopo l’arresto da parte di agenti bianchi
(da agenzie)
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Giugno 9th, 2025 Riccardo Fucile
L’ACCUSA DELLA SOCIETÀ ISRAELIANA, CHE PRODUCE LO SPYWARE GRAPHITE, CON CUI È STATO SPIATO IL DIRETTORE DI “FANPAGE”, È DURISSIMA E LANCIA UNA SPONDA ALLE PROCURE CHE STANNO INDAGANDO PER INTERCETTAZIONI ABUSIVE… C’E’ UN NESSO TRA LE INTERCETTAZIONI ABUSIVE DEL DIRETTORE DI FANPAGE E LE INCHIESTE SUI GIOVANI DI FDI?
“Il governo ha avuto un modo per determinare se il suo sistema fosse stato utilizzato contro il giornalista Francesco Cancellato ma non ha voluto utilizzarlo. Per questo abbiamo risolto i contratti in Italia”.
Paragon interviene a gamba tesa nel dibattito sull’utilizzo dello spyware in Italia accusando il governo e il Parlamento di non aver voluto cercare la verità
Con uno statement affidato al giornale israeliano Haaretz, Paragon dice che “a seguito delle segnalazioni riguardanti il giornalista Cancellato, Paragon ha disconnesso i suoi sistemi da tutti i clienti in Italia.
L’azienda ha offerto sia al governo che al parlamento italiano un modo per determinare se il suo sistema fosse stato utilizzato contro il giornalista in violazione della legge italiana e dei termini contrattuali. Poiché le autorità italiane hanno scelto di non procedere con questa soluzione, Paragon ha risolto i suoi contratti in Italia”.
Un’accusa durissima. Che coglie di sorpresa anche i membri del Copasir a cui era stato detto che per verificare se un telefono fosse stato spiato con il software Graphite […] si poteva andare da loro. O anche rivolgersi ai database dei servizi, chi cioè ha comprato il software, cosa che effettivamente il Copasir ha fatto. Senza trovare traccia. Paragon però ora dice altro. E mette in grande difficoltà evidentemente il Governo.§
Di più: lancia una sponda alle procure (Roma e Napoli, con il coordinamento della Direzione nazionale antiterrorismo) che sta indagando per intercettazioni abusive.
“Paragon è pronta a fornire assistenza in qualsiasi indagine, qualora le autorità italiane ne facciano richiesta ufficiale”. Significa che se la magistratura lo chiederà, sono pronti a fornire le informazioni sul telefono di Cancellato.
(da agenzie)
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Giugno 9th, 2025 Riccardo Fucile
“SUL RIARMO E NATO E’ APPIATTITA SU TRUMP”…. “HA LA CODA DI PAGLIA SULL’ANTISEMITISMO E QUINDI DEVE FARSI VEDERE FEDELE A ISRAELE”… “IL DNA DEL MSI ERA SOCIALE, NULLA A CHE VEDERE CON LA LINEA DI FDI CHE TUTELA SOLO GLI INTERESSI DEGLI IMPRENDITORI”
Professor Franco Cardini, storico medievista e con un passato nella destra del
Movimento Sociale, che intende?
Partiamo dal conflitto in Ucraina. La presidente del Consiglio è totalmente allineata con la Nato e non perde mai occasione di farlo notare. Da un lato lei non può deflettere da questa scelta politica. Dall’altra parte, però, se dovesse iniziare ad aumentare la pressione finanziaria e fiscale sul riarmo o addirittura sulla partecipazione dei nostri soldati in Ucraina rischierebbe di andare incontro a un drastico calo della sua popolarità, che oggi è in ascesa dal punto di vista personale.
Si avvicinano anche le elezioni del 2027 e Meloni cerca la riconferma a Palazzo Chigi.
Infatti, quello del riarmo per lei è un grosso problema. Se prosegue su questa strada può andare incontro a brutte sorprese. Anche nel suo stesso partito – più tra la base che tra i dirigenti – iniziano a emergere sacche di resistenza rispetto alla posizione su Ucraina e Gaza.
Da parte di chi?
Sia tra la base elettorale (e lo dicono i sondaggi) che sui social. Invece non vedo grandi resistenze tra i dirigenti, che sono stati tutti selezionati non puntando sulla qualità quanto sulla fedeltà.
E quindi come finirà sulle spese militari: Meloni le aumenterà fino al
3,5%? C’è anche il problema che la Lega è contraria e in Parlamento la maggioranza rischia grosso.
Al momento per lei è una questione non risolvibile vista la contrarietà della Lega: Meloni proverà a procrastinare sperando che succeda qualcosa che cambi il quadro, sperando in qualche mossa di Donald Trump per arrivare alla pace. Ma sarebbe un modo solo per allontanare il problema. A fronte di una sinistra compatta contro il riarmo, la destra è molto divisa e sia l’elettorato della Lega che quelli di FdI lo stanno iniziando a far pesare.
Perché Meloni viene spesso esclusa dai tavoli europei sulle trattative di pace?
Perché la sua posizione suona troppo favorevole a quella della Casa Bianca e quindi la taglia fuori dai tavoli europei. Essere molto leale al presidente degli Stati Uniti la mette in difficoltà su molte questioni. Basti pensare alla rottura tra Trump e Musk: se prima Meloni traeva giovamento da questo rapporto privilegiato, ora che il rapporto tra i due si è rotto la sua posizione è diventata immediatamente critica. Anche in Europa la premier viene considerata alleata di Paesi come l’Ungheria e questo un po’ la mette in difficoltà.
Su Gaza Meloni non riesce a dire una parola chiara contro Netanyahu, qual è il motivo?
Il silenzio su Gaza sta diventando assordante. Fratelli d’Italia è il partito più filo-israeliano e meno critico nei confronti di Netanyahu: quest’ultimo viene considerato l’emblema di colui che combatte il mondo arabo e palestinese. L’anti-arabismo in FdI dà l’impressione di essere il rifugium peccatorum di persone che hanno la coda di paglia sull’antisemitismo e quindi riversano questi sentimenti contro il mondo arabo e dell’Islam. Di Netanyahu non si parla, ma si sta con Israele senza se e senza ma.
Cosa le consiglierebbe di fare su Israele?
Per esempio dovrebbe iniziare ad applicare sanzioni o smettere del tutto di vendere armi a Tel Aviv. Più resta in silenzio, invece, più si creerà un effetto di “bolla d’aria” che viene repressa ma che prima poi rischia di scoppiare. Perché molti suoi elettori sono durissimi contro il governo israeliano. Per lei vale il principio della metallurgia: più si è duri, più si è affilati e più si è fragili.
Meloni ora è fragile? Non si direbbe…
Le sue posizioni in politica estera sono forti, ma il dissenso nella sua base può aumentare. Anche sulla questione sociale. Finora ha avuto una linea economica schiacciata sulle imprese trascurando sanità, scuola e demografia. Questioni che hanno contraddistinto il dna sociale del Msi. Ora sono sparite e Meloni rischia di pagarne il prezzo.
Condivide la sua posizione sul referendum di andare al seggio ma non ritirare la scheda?
Dal suo punto di vista è corretta. Meloni non ha interesse al raggiungimento del quorum ma è andata al seggio come segno di rispetto delle istituzioni. Nel merito, invece, sul quesito sulla cittadinanza, 10 anni sono troppi per ottenerla, vanno bene 5.
Vi sentite spesso? Meloni le chiede consigli?
Durante il suo viaggio in Uzbekistan le ho mandato il mio ultimo libro sull’Asia. Mi ha ringraziato la sua segreteria, ma direttamente non ci sentiamo da tempo. Meloni sa quali sono i miei contatti e sa che io sono affezionato a lei, credo ricambiato. Ma non vengo interpellato sulle questioni politiche e io mi guardo bene dal farlo.
Anche perché temo che sul silenzio su Gaza e sulla questione russa-ucraina la penseremmo agli antipodi…
(da Il Fatto Quotidiano)
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Giugno 9th, 2025 Riccardo Fucile
SPESE PROCESSUALI, PENA PECUNIARIA: ALLA FINE LO STATO INCASSA MENO DEL 10% DEL DOVUTO
«Uno dei più grandi freni dei delitti non è la crudeltà delle pene, ma l’infallibilità di esse». Già nel 1764 il giurista e filosofo Cesare Beccaria nel celebre trattato Dei delitti e delle pene ha indicato uno dei pilastri fondamentali di ogni sistema giudiziario: a scoraggiare i crimini non è la severità delle punizioni, ma la certezza che quelle punizioni vengano effettivamente applicate. La capacità di eseguire le pene inflitte a chi ha violato il Codice penale, dunque, è una partita sulla quale l’apparato giudiziario gioca la propria credibilità e quella dell’intero Stato. Cosa succede in Italia?
Punizione senza conseguenze
Un reato su quattro viene punito esclusivamente con una pena pecuniaria, in pratica una multa. Si tratta di reati come le lievi lesioni personali colpose, i furti di piccola entità, o le violazioni delle norme
sulla sicurezza sul lavoro. Un reato su due, invece, viene punito sia con la detenzione che con una sanzione economica: dallo spaccio di droga a rapine, truffe, riciclaggio, ricettazione, peculato.Tra il 2019 e il 2022 sono state comminate pene per un totale di 3,2 miliardi di euro. Lo Stato italiano quanto è riuscito effettivamente a riscuotere? Solo 86,3 milioni di euro, ossia all’incirca il 3%. Nel calcolo della percentuale, che riflette anche l’andamento degli anni precedenti, sono considerate anche le somme che vengono ridotte per legge o cancellate per sopravvenuta inesigibilità, altrimenti il tasso di riscossione sarebbe ancora più basso. Vuol dire che lo Stato, per decenni, ogni 100 euro di dovuto ne ha incassati tre. Di fatto le sentenze sono rimaste sulla carta. Ma dove si annidano le responsabilità?
Giustizia paralizzata
Ricostruiamo il percorso burocratico: quando la sentenza diventa definitiva, la cancelleria del giudice dell’esecuzione compila un’apposita scheda con le voci di credito relative al fascicolo processuale. Equitalia Giustizia, società partecipata dal ministero dell’Economia e delle Finanze e sottoposta al controllo del ministero della Giustizia, acquisisce il fascicolo e procede alla quantificazione del credito e all’iscrizione a ruolo. Quindi l’Agenzia delle Entrate-Riscossione procede all’emanazione della cartella esattoriale. Questo iter, per legge, non deve superare i cinque anni dalla sentenza, altrimenti interviene la prescrizione. A quel punto il destinatario della cartella, che a suo tempo magari i soldi per pagare li aveva, se li è spesi o si è liberato dei suoi beni. Chi invece era nullatenente fin dall’inizio, tale è rimasto. E la questione finisce lì. Un’anomalia unica in Europa, segnalata da anni, e figlia di un meccanismo che genera inefficienze in tutti i passaggi, tant’è che la Corte
costituzionale, nella sentenza del 20 dicembre 2019 n. 279, denuncia: «La pena pecuniaria in Italia non riesce a costituire un’alternativa credibile rispetto alle pene detentive» (vedi anche Dataroom del dicembre 2019 qui).
La svolta della riforma Cartabia
Nel 2021 il governo Draghi e l’allora ministra Marta Cartabia decidono di cambiare passo: la riforma, che entra in vigore da ottobre del 2022, si pone come obiettivo la semplificazione del pagamento e la riscossione delle multe e delle ammende. Attenzione però: il vecchio sistema di recupero delle pene pecuniarie prosegue per i reati commessi prima del 30 dicembre 2022. Infatti anche nel 2023, su 889,5 milioni di euro da riscuotere, lo Stato ne ha incassati solo 30,2 (3,9%).
Per i reati commessi a partire dal 30 dicembre 2022, invece, scatta un meccanismo completamente diverso. Ora il pubblico ministero, con un ordine di esecuzione, intima direttamente al condannato di pagare entro 90 giorni utilizzando un bollettino PagoPA. Se non lo fa, il magistrato di sorveglianza converte la pena pecuniaria in semilibertà (cioè lo manda a dormire in carcere), oppure in lavori di pubblica utilità (in caso di accertata insolvibilità). Se il condannato è già in carcere, viene inasprita la pena detentiva.
Ebbene, cosa ha prodotto il nuovo metodo? Si può misurare sulle sentenze relative ai reati commessi in questi 2 anni e mezzo, e Dataroom è in grado di anticipare i risultati contenuti nella relazione 2025 al Parlamento: su 60,3 milioni di euro da incassare, sono stati portati a casa 8,2 milioni, vale a dire il 13,5%.
Nuovi reati e vecchio organico
I dati dimostrano che la direzione è quella giusta, anche perché in un ordinamento in cui la pena pecuniaria è effettiva, rappresenta una
valida alternativa alla detenzione e può ridurre il sovraffollamento carcerario. Per esempio in Germania, dove il sistema di riscossione funziona, le condanne alla sola pena pecuniaria sono il triplo di quelle italiane e il numero di detenuti in carcere decisamente inferiore all’Italia, pur avendo oltre 20 milioni di abitanti in più. Ma per raggiungere percentuali di incasso degne di un Paese civile è indispensabile rafforzare gli organici dei magistrati di sorveglianza che si occupano di convertire le multe non pagate in pene alternative. Inoltre, bisogna garantire che le sanzioni sostitutive della semilibertà e del lavoro di pubblica utilità siano effettivamente applicabili dai magistrati. Per questo servono spazi disponibili adeguati all’interno degli istituti penitenziari, e Uffici di esecuzione penale esterni con personale sufficiente per seguire tutti gli adempimenti previsti dal nuovo procedimento. Ad oggi sono scattate concretamente la semilibertà o i lavori di pubblica utilità solo per 154 condannati che non hanno pagato 287 mila euro.
Il contrabbando
Per il reato di contrabbando (cocaina, petrolio, opere d’arte, farmaci, pesticidi, sigarette, ecc.), anche applicando la nuova procedura per i reati doganali commessi dopo il 30 dicembre 2022, le cose sono più complesse. Il problema è che si tratta prevalentemente di reati commessi da stranieri che diventano rapidamente irreperibili. Ma questo non può comportare la resa del sistema giudiziario, e tantomeno giustificare il fatto che dal 2019 al 2023 si sia riusciti a incassare soltanto 183.800 euro su 4,8 miliardi (che vanno a sommarsi a quelli precedenti).
Le spese processuali
C’è poi il capitolo delle spese processuali. Lo Stato, per perseguire i reati deve necessariamente avvalersi di perizie, consulenze tecniche,
intercettazioni. Costi che devono poi essere risarciti dai condannati in via definitiva. Anche qui tra il 2019 e il 2023, a fronte di 1,2 miliardi di costi sostenuti, sono stati incassati 81,9 milioni, il 7,3%. L’iter burocratico delle spese processuali però è rimasto fuori dalla riforma Cartabia: queste somme continuano ad essere trattate come crediti ordinari, alla stregua di un divieto di sosta, e trasmesse all’Agenzia delle Entrate-Riscossione per il recupero. Anni dopo in caso di mancato pagamento si applicano le normali regole dell’esecuzione forzata: pignoramenti di beni mobili, conti correnti, stipendi o pensioni, con tutte le limitazioni del caso. Beni come letto, cucina e frigorifero sono impignorabili, stipendi e pensioni di norma sono aggredibili fino a un quinto dell’importo. Va considerato che in molti casi i debitori sono detenuti, irreperibili o nullatenenti.
Una strada più efficace, secondo coloro che sono quotidianamente sul campo nel recupero delle spese processuali, sarebbe quella di quantificarle direttamente nel dispositivo della sentenza, stabilendo importi forfettari esigibili in tempi brevi, e con il vantaggio di ridurre anche i tempi di conteggio degli uffici. È vero che uno Stato vince se condanna chi se lo merita, ma se non riesce ad incassare il dovuto, a perdere è l’intera comunità, che oltre a essere stata danneggiata dai reati commessi, deve pure farsi carico dei debiti.
Milena Gabanelli e Simona Ravizza
(da corriere.it)
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Giugno 9th, 2025 Riccardo Fucile
NESSUNA DIFFERENZA TRA I TERRORISTI DI HAMAS E I CRIMINALI DI GUERRA CON LIBERTA’ DI GENOCIDIO
Poco dopo mezzanotte, un gruppo di navi veloci circondano la Madleen. Un’ora dopo,
uno sciame di droni lancia sul ponte una sostanza urticante che brucia gli occhi e soffoca.
Dalla radio arrivano rumori assordanti, alternati a messaggi che intimano di cambiare rotta mentre i telefoni iniziano ad andare a singhiozzo e la linea crolla. E parte l’abbordaggio dell’Idf. “Le comunicazioni con la Madleen sono state interrotte. L’esercito israeliano ha sequestrato la nave”, è l’allarme subito lanciato dall’ong su Telegram e canali social. “L’equipaggio – avvisano – è stato rapito dalle forze israeliane”.
Attorno alle 2.30 di domenica notte, l’Idf ha assaltato e abbordato la nave umanitaria della Freedom Flotilla, che con un carico di aiuti, “scortati” da 12 volontari fra cui Greta Thunberg e l’europarlamentare francopalestinese Rima Hassan, puntava a rompere l’assedio di Gaza. I militari hanno preso il controllo della nave che è stata dirottata al porto di Ashdod, dove ha fatto ingresso attorno alle 10.
Al momento, non è chiaro cosa ne sia degli attivisti. Un video diffuso nella notte dall’account X del ministero degli Esteri israeliano li mostra tutti raggruppati, con indosso i giubbotti di salvataggio, visibilmente tesi, mentre ricevono acqua e cibo da un soldato Idf. Il ministro della Difesa Israel Katz fa sapere di aver ordinato all’esercito di mostrare agli attivisti arrestati un video sull’attacco del 7 ottobre 2023. “È giusto che Greta l’antisemita – afferma Katz – e i suoi amici sostenitori di Hamas vedano esattamente chi è il gruppo terroristico Hamas che sostengono e per conto del quale agiscono, quali atti atroci hanno compiuto su donne, anziani e bambini, e contro chi Israele sta lottando per difendersi”.
Il racconto dell’attacco nei video dell’equipaggio
Le ultime notizie arrivate liberamente dall’equipaggio risalgono ai momenti concitati che hanno preceduto l’abbordaggio. “Ci hanno lanciato addosso dei prodotti chimici, guardate. Questo è un altro crimine di guerra, bloccare una nave umanitaria è un crimine di guerra”, dice in diretta Telegram la deputata Rima Hassan, prima che la comunicazione cada. A bordo c’è preoccupazione. L
e ultime immagini inviate dal ponte della nave lo mostrano chiaramente. Si cerca di mettersi al sicuro, ma la Madleen è piccola, nasce come barca da diporto, non ci sono posti in cui poter stare davvero al riparo. “Greta vai via di lì”, si sente dire in uno degli ultimi video. “Non sono pacifici, non sono pacifici”, urla Hassan.
L’operazione è iniziata attorno a mezzanotte e quindici, quando la Madleen navigava ancora in acque internazionali, a circa 50 miglia dall’egiziana Port Said e 100 da Gaza. Da bordo, gli attivisti hanno mandato un messaggio telegrafico su tutti i loro canali social. “È scattato l’allarme. Giubbotti salvagente su. Ci prepariamo a essere
intercettati”. In realtà, ha spiegato poco dopo Thiago Avila, uno dei volontari, era un falso allarme. O meglio, il preludio dell’imminente attacco.
“Improvvisamente siamo stati circondati da almeno cinque navi con i fari accesi, sono arrivate tutte insieme – ha raccontato dal ponte prima che arrivassero i droni – Probabilmente erano lance veloci israeliane, ci hanno girato attorno per un po’, dopo si sono allontanate”. Un modo per testare le reazioni, per misurare l’approccio? “Non sappiamo se verranno con l’intenzione di uccidere persone, o sarà una semplice intercettazione. Non sappiamo se si preparano a arrestarci e sequestrarci, o a dirottarci su Ashdod, se hanno intenzione di imprigionarci o altre opzioni in mente”, ragionava Avila. La risposta è arrivata poco dopo, quando i droni hanno iniziato a colpire il ponte con schiuma urticante e poi è iniziato l’attacco vero e proprio.
Le immagini registrate a bordo sono confuse. Le voci concitate. Sul profilo X del ministero degli Esteri israeliano è apparso un video che mostra un soldato comunicare con l’imbarcazione. “Utilizzando un sistema di comunicazione civile internazionale, la Marina israeliana ha ordinato allo ‘yacht da selfie’ di modificare la rotta a causa dell’avvicinamento a un’area vietata”. In realtà, la Madleen era ancora in acque internazionali quando l’attacco è iniziato, ma lì passa la cosiddetta “linea di contatto”, unilateralmente stabilita da Israele quando, oltre un decennio fa, ha imposto il blocco navale davanti alla Striscia.
A bordo sapevano che sarebbe potuto succedere. Anzi, ne erano certi. Dopo le indiscrezioni filtrate sulla stampa israeliana, la conferma ufficiale delle intenzioni del governo Netanyahu è arrivata nella giornata di domenica dal ministro della Difesa Israel Katz :
“Tornate indietro, non raggiungerete Gaza”, ha detto, rivolgendosi a Greta, bollata come “antisemita” e “ai suoi amici” della Madleen, definita uno “yacht da selfie”. “Ho già dato istruzioni all’Idf di impedire all’imbarcazione di rompere il blocco navale”.
Del resto, le avvisaglie di un intervento imminente c’erano già state. Ieri, più volte i sistemi di comunicazione della nave sono andati più off line, quelli di tracciamento anche. “Quando ci intercetteranno non potremo raccontare quello che succede perché butteranno giù i sistemi di comunicazione”, ha avvertito ieri con un video l’europarlamentare Rima Hassan, che insieme agli altri cinque volontari francesi ha rivolto un appello al presidente Macron.
“Macron, Starmen, governi di tutto il mondo, intervenite”
“La nostra è un’azione legale, politica e profondamente pacifica. L’Alto Commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite ha chiesto che ci sia garantito un passaggio sicuro sottolineando che la gente di Gaza ha diritto a ricevere questi aiuti e che queste sono acque territoriali palestinesi, dunque Israele non può utilizzare la nostra presenza qui per arrestarci o all’intercettazione della nave”. Al presidente francese chiedono “di agire adesso, perché il mondo sta guardando. Usi tutta la pressione diplomatica che è necessaria per consentirci l’accesso in sicurezza a Gaza”.
Analogo invito è stato rivolto al premier britannico Keir Starmer. La Madleen batte bandiera britannica, “significa che il governo ha il dovere legale di proteggere la nave e i cittadini che sono a bordo”. Ma sono tutti i Paesi del mondo, dicevano da bordo, ad avere il dovere di intervenire. “Imponete a Israele di fermarsi. Non ha alcun diritto a ostacolare la nostra missione o rafforzare il blocco nave illegale che mantiene”. Appelli caduti nel vuoto.
Secondo un breve messaggio pubblicato nella notte sul profilo X del ministero degli Esteri israeliano tutti i passeggeri della Madleen “torneranno nei loro Paesi”. Sui tempi però nessuno si esprime.
Sui canali social del gruppo c’è solo un appello del team legale, insieme ai messaggi preregistrati degli attivisti, che già prima della traversata erano consapevoli dei rischi: “I volontari della Madleen sono stati sequestrati dalle forze di sicurezza israeliane. Sono cittadini stranieri di diversi Paesi. Facciamo pressione sui ministri degli Esteri perché sia garantita la loro sicurezza”.
(da agenzie)
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