Giugno 21st, 2025 Riccardo Fucile
SOSTERRA’ IL CANDIDATO SCELTO DA GIORGIA MELONI O CORRERA’ CON UNA SUA LISTA? ZAIA NON È SOLO. SCHIERATI CON LUI, OLTRE AL GOVERNATORE DEL FIULI FEDRIGA, CI SONO I COLLEGHI MAURIZIO FUGATTI E ATTILIO FONTANA – TENSIONI NELLA LEGA: NELLA BASE C’È GIÀ CHI SOGNA UNA LEGA GUIDATA DAI GOVERNATORI
Luca Zaia forse per la prima volta si è sentito davvero tradito dal Carroccio e dal suo segretario Matteo Salvini. Chi ha parlato con il Doge dopo la fumata nera arrivata da Roma, lo descrive colmo di disappunto. Di più: irritato per un partito incapace di rappresentare la volontà e le richieste dei territori, che si nasconde dietro il paravento dello ius scholae agitato da Forza Italia. «Antonio Tajani non parlava di riforma della cittadinanza da tempo, questa è sola una manovra per far fuori i governatori. Perché è chiaro che dopo Zaia salterebbe anche Fedriga» ragionano alcuni lighisti.
Il clima, in casa Lega, sarebbe teso almeno dall’ultimo consiglio federale, quello in cui è apparso chiaro che nonostante l’apertura di Fratelli d’Italia per bocca di Giovanni Donzelli, Salvini non si
sarebbe certo stracciato le vesti per portare a casa il terzo mandato. C’è addirittura chi sospetta che sia stato un uccellino leghista a suggerire a Forza Italia di tornare a parlare di ius scholae, così da far saltare il tavolo delle trattative. E poi c’è la goccia che ha fatto traboccare il vaso: il messaggio diffuso dal responsabile Enti locali del partito Stefano Locatelli, subito rilanciato dalle chat ufficiali di via Bellerio.
«Prendiamo atto con grande rammarico che Forza Italia non intende ragionare sul terzo mandato, e di certo sono irricevibili scambi con cittadinanza facile o ius scholae. A questo punto, auspichiamo che il centrodestra scelga al più presto i candidati migliori». […] Che fretta c’era di voltare pagina?
Ora Zaia attende di sapere come finirà il vertice fra i leader del centrodestra convocato per lunedì Roma. Il giorno dopo scade il termine per presentare l’emendamento che consentirebbe al Doge di correre ancora e, considerato che le regionali si terranno a novembre, il tempo della tattica è finito.
Un minimo spiraglio perché Giorgia Meloni tiri fuori una soluzione pro-Zaia dal cilindro, considerate anche le ricadute su Campania e Puglia sfavorevoli al Pd e al centrosinistra, ci sarebbe ancora. Il governatore lo sa e, tra le righe, fa capire che vada come vada non resterà con le mani in mano. «Non passo le mie giornate a far telefonate, sfido chiunque a trovare chi ha ricevuto telefonate da me per avere informazioni – ci ha tenuto a sottolineare -. Quello che accadrà a Roma si vedrà, e io mi comporterò di conseguenza».
Una frase che suona un po’ come una minaccia. In molti lo starebbero chiamando per chiedergli di presentare comunque una lista a suo nome slegata dal partito, forte del 44% raccolto cinque anni fa. Ma è un’ipotesi che difficilmente si concretizzerà.
In primis, perché a porre il veto potrebbero essere gli stessi Fratelli d’Italia. E poi è facile che sarà lo stesso Zaia a negare il suo nome, a sostegno del candidato per il quale il suo partito ha deciso di sacrificarlo. Più facile, eventualmente, immaginare il “Doge” correre come capolista della Lega in tutte le province. Ma pure questa è un’eventualità tutta da scrivere. Zaia, in ogni caso, non è solo. Schierati con lui, oltre a Fedriga, ci sono i colleghi Maurizio Fugatti e Attilio Fontana. E nella base, nonostante la recente rielezione di Salvini nel congresso senza sfidanti di Firenze, c’è già chi sogna una Lega guidata dai governatori capace di risalire nei sondaggi fino al 20% e di ridare fiato a un partito spompatopato alle ultime elezioni dall’effetto Vannacci.
(da agenzie)
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Giugno 21st, 2025 Riccardo Fucile
“A UN CERTO PUNTO DISSE SOLO: “RICORDATI CHE TI AMO, ORA CI SARAI TU COME GUIDA PER I NOSTRI FIGLI”
«Dopo la morte di Sinisa ho finto di stare bene, ma era solo un modo per sopravvivere».
Arianna Mihajlovic rompe il silenzio e per la prima volta racconta pubblicamente il dolore per la perdita del marito, Sinisa Mihajlovic, ex calciatore e allenatore scomparso nel 2022 a soli 53 anni, a causa di una leucemia mieloide acuta. Lo fa ospite di Monica Setta, nella puntata di Storie al bivio show, in onda martedì 24 giugno alle 21.30 su Rai 2. Un racconto toccante: «Il primo anno è stato durissimo – confessa Arianna –. Pubblicavo di continuo sui social per sentirmi viva, per cercare conferme, per affrontare il dolore. Solo adesso ho capito che lui vorrebbe vedermi andare avanti».
L’incontro con Sinisa
L’incontro con Sinisa fu un vero colpo di fulmine: «Ci conoscemmo in un ristorante romano, al Gianicolo. Non ci siamo più lasciati. Mi chiese di andare a vivere con lui, ma io gli risposi: “Solo da sposata”. Un anno dopo eravamo marito e moglie». Insieme hanno costruito una famiglia numerosa, che oggi continua a essere il suo rifugio e la sua forza: «Ora sono anche nonna di due nipoti. L’affetto dei figli mi aiuta a non soccombere alla sofferenza», confessa Arianna.
La malattia del marito
Arianna ripercorre anche i momenti più duri della malattia che ha colpito il marito: la diagnosi di leucemia nel 2019, durante una vacanza in Sardegna. «Fu un dolore improvviso, lancinante. Gli esami ci restituirono una diagnosi terribile. Ma stringemmo un patto: affrontare tutto insieme. E per un po’, ci siamo davvero illusi di avercela fatta». Il colpo più duro arrivò con la recidiva. «Sinisa mi chiedeva: “Ce la farò?”. Io gli rispondevo sempre di sì. Mai una lacrima davanti a lui, anche quando morivo dentro. Sapevo che osservava le mie reazioni per capire quanto fosse grave».
Il legame con i figli
Fino all’ultimo istante, il legame tra loro è stato fortissimo, saldo, intimo. «Durante il viaggio da Bologna a Roma, lui era silenzioso. A un certo punto disse solo: “Mi dispiace non vedere crescere i miei figli”. In ospedale, poco prima di andarsene, mi disse: “Ricordati che ti amo. Ora ci sarai tu come guida per i nostri figli”. Mi lasciò la mano dolcemente, ed è andato via così. Sereno, perché aveva affidato a me il suo amore e la nostra famiglia».
(da Open)
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Giugno 21st, 2025 Riccardo Fucile
IL RACCONTO DI UN INVESTIGATORE: LE TRAME DEL GENERALE INDAGATO A FIRENZE
Uno scoop che farà discutere quello annunciato da Report per la puntata di domenica dal titolo “Mori va alla guerra”: il generale dei carabinieri in pensione è stato intercettato dalla Dia di Firenze (per altri fatti) mentre parlava con ex collaboratori, avvocati, giornalisti e soggetti legati alla politica per influenzare le mosse della Commissione Antimafia, guidata dalla presidente FdI, Chiara Colosimo.
Report ricostruisce il contenuto delle conversazioni risalenti al 2023-24 grazie alle dichiarazioni di un investigatore anonimo. Mario Mori è indagato per le stragi del 1993 con l’aggravante della finalità mafiosa e terroristica. Per Mori vale la presunzione di non colpevolezza e va ricordato che è stato già processato altre tre volte per accuse diverse e sempre assolto. I pm di Firenze, coordinati allora dall’aggiunto Luca Tescaroli, gli hanno inviato a maggio 2024 un invito a comparire nel quale l’accusa era così riassunta: “Pur avendone l’obbligo giuridico, non impediva, mediante doverose segnalazioni e/o denunce all’autorità giudiziaria, ovvero con l’adozione di autonome iniziative investigative e/o preventive, gli eventi stragisti di cui aveva avuto plurime anticipazioni” eventi poi verificatisi a Firenze, Roma e Milano tra maggio e luglio 1993. In particolare, secondo l’accusa, Mori era stato “informato, dapprima nell’agosto 1992, dal maresciallo Roberto Tempesta, del proposito di Cosa Nostra, veicolatogli dalla fonte Paolo Bellini, di attentare al patrimonio storico, artistico e monumentale della nazione e, in particolare, alla Torre di Pisa” e, qualche tempo dopo, anche dal pentito Angelo Siino “il quale [il 25 giugno 1993] gli aveva espressamente comunicato che vi sarebbero stati attentati al Nord”
Per questa indagine Mori era intercettato nel 2023-2024 mentre commentava con gli ex collaboratori Mauro Obinu e Giuseppe De Donno le dichiarazioni del senatore Roberto Scarpinato del M5S, secondo il quale dietro le mosse della presidente Colosimo c’era proprio il generale. E, secondo quanto riferito a Report dall’investigatore anonimo a conoscenza del fascicolo, Mori nelle conversazioni non avrebbe negato questa tesi. Anzi. “Lo rivendica ridendoci su con i due ufficiali. Tanto è vero”, spiega l’anonimo investigatore, “che briga per inserire tre consulenti da lui segnalati, visto che quelli segnalati dalla politica non sanno di quel che parlano”. Prosegue l’investigatore: “(Mori) indica il professor Giovanni Fiandaca, ma poi decade probabilmente perché il professore dichiara pubblicamente (in un articolo su Il Foglio dell’agosto 2024, ndr) di non essere convinto del dossier mafia appalti come movente dell’omicidio Borsellino. Poi Mori segnala il magistrato calabrese Alberto Cisterna al quale – sempre secondo Report – confessa di essere un nemico dell’ex Procuratore nazionale antimafia Federico De Raho, (ora deputato M5S e vicepresidente dell’Antimafia). Ma soprattutto di Scarpinato. E intende proporre anche il suo avvocato Basilio Milio. Inizialmente Mori vorrebbe infilare come consulente il giornalista Damiano Aliprandi ma questi gli segnala che essendo stato condannato per diffamazione nei confronti di Scarpinato quel posto non lo può occupare. E Aliprandi – prosegue l’investigatore – suggerisce a Mori che Scarpinato dovrebbe essere sollevato dalla Commissione Antimafia”. Mondani ricorda che effettivamente si sta discutendo una proposta di legge del centrodestra che va in questa direzione. Aliprandi, dopo essere stato contattato da Report, ha spiegato giovedì sul suo giornale, Il Dubbio: “È vero che, nel corso del 2023, il generale Mori ha manifestato
l’idea di propormi come consulente della Commissione parlamentare Antimafia. Ed è vero che ho rifiutato, soprattutto perché, per una mia inchiesta a puntate del 2018, sono stato querelato dal dottor Scarpinato, condannato in primo grado e attualmente in attesa di appello. Quanto alla questione del senatore Scarpinato, ho semplicemente espresso – come peraltro già scritto pubblicamente in diversi articoli su Il Dubbio – l’esistenza di un possibile conflitto d’interessi (…) tra i firmatari della richiesta di archiviazione del 13 luglio 1992 – relativa a quell’indagine (Mafia-appalti, ndr) – figurava anche l’allora sostituto procuratore Roberto Scarpinato, oggi membro della Commissione”.
Mondani chiede chi, dei consulenti proposti da Mori, alla fine passi. L’investigatore replica: “Be’, sicuramente il magistrato Cisterna. Ma si riprometteva di segnalarne altri. Poi Mori – prosegue l’investigatore – racconta all’avvocato Milio di aver parlato con due componenti della Commissione per delle consulenze e aggiunge che attende un incontro con Colosimo che ha autorizzato i due componenti al colloquio con lui. Poi aggiunge che saranno i parlamentari a chiamare i consulenti da lui segnalati e loro dovranno far finta di nulla che tanto i parlamentari lo sanno che c’è dietro lui”. Non solo: Mori per l’investigatore “dice a tutti: sono passato all’offensiva. E prepara le sue audizioni in Antimafia con l’avvocato Milio e con l’avvocato Trizzino”.
Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino e avvocato di parte civile dei tre figli di Paolo Borsellino, è stato sentito a partire dal settembre 2023 più volte dall’Antimafia. Le sue audizioni hanno di fatto stabilito il percorso investigativo principale della Commissione Colosimo. Trizzino sostiene l’importanza del filone mafia-appalti e svaluta le piste politiche in particolare quella nera. Nel dicembre
2024 ha esposto le sue tesi, gradite a Mori e alla destra, anche sul palco della manifestazione di FdI, Atreju. Secondo l’investigatore, dalle conversazioni di Mori emerge un dato: “Sono certi che passerà la loro linea: quella di Borsellino isolato dalla Procura di Palermo che gli avrebbe impedito di fare le indagini sul rapporto mafia-appalti. Mori con Milio discute di come coinvolgere i magistrati della Procura di Palermo nella morte di Borsellino. Dicono che sarà difficile dimostrare una loro diretta responsabilità, ma vogliono arrivare a dire che ci fu un concorso morale dei colleghi”. Mondani chiede l’epoca delle conversazioni, e l’investigatore replica: “siamo nell’autunno del 2023”. E alla fine dell’intervista butta lì “poi Mori e De Donno incontrano anche un alto magistrato per parlare di un problema serio”. Niente nomi, “per ora”.
Mori ha guidato prima il Ros dei carabinieri negli anni 90 e poi il Sisde, il servizio segreto civile, nell’era Berlusconi dal 2001 al 2006. Report ricorda le conversazioni intercettate nel 2012 nelle quali De Donno gioiva con Marcello Dell’Utri per l’annullamento (con rinvio) in Cassazione della sentenza di condanna in appello per concorso esterno in associazione mafiosa. De Donno e Mori erano felici per la ‘mazzata’ presa dai pm di Palermo. Chiamati a commentare dal senatore Walter Verini del PD, in Commissione quando sono stati auditi, non si sono tirati indietro. De Donno ha confermato l’amicizia al condannato Dell’Utri e Mori ha confermato la disistimare per i pm di Palermo. Insomma la puntata diReport, sembra fatta apposta per accendere lo scontro politico.
Alla fine c’è spazio per un approccio in strada di Mondani a Mori. Il giornalista chiede se ha proposto il magistrato Cisterna e chi erano i due parlamentari dell’Antimafia che, secondo la fonte di Report, sarebbero stati “autorizzati dalla presidente Colosimo a incontrare
Mori per recepire le sue proposte di consulenti”. Mori replica con una battuta “Non vi rispondo perché sono cattivo e mi siete antipatici”. A quelle domande forse dovrebbe rispondere anche qualcun altro.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Giugno 21st, 2025 Riccardo Fucile
L’IDEA DI CULTURA CHE HANNO I SOVRANISTI
Dall’alto del Collegio Romano dove l’ha issato l’ex camerata Meloni, il possente ministro
Giuli scaglia fulmini contro tutti i nemici. “Non tolleriamo rendite e parassitismi, i soldi dei contribuenti sono sacri!”, tuona il Giove pluvio, contro i giganti che
osano scalare l’Olimpo. Le ultime due saette piovono improvvise. La prima colpisce Stefano Massini, turpe fustigatore della fascistissima destra al comando e fetido frequentatore dell’odiatissima “Piazza Pulita”: bisogna lavare quest’onta, e così il Teatro della Toscana che dirige va declassato, e dunque de-finanziato.
La seconda incenerisce Nicola Borrelli, infido responsabile della Direzione cinema e audiovisivo, quella che dispensa generose prebende agli amici della parrocchietta di sinistra e — si scopre ora — ha foraggiato persino il criminale Francis Kaufmann, il presunto assassino di Villa Pamphili.
Due vicende totalmente sconnesse l’una dall’altra, ma che riflettono la medesima, becera idea di “egemonia culturale” di questa improbabile Banda Bassotti chiamata Fratelli d’Italia. Che da quando è entrata nella stanza dei bottoni ha solo un imperativo categorico, che non ha nulla a che vedere con i valori della res publica, con la maestà della sua Costituzione e con la dignità delle sue istituzioni: epurare e punire quelli che c’erano prima, occupare e sottomettere tutte le “casematte del potere”.
Alla faccia di Gramsci — che alle masse diceva “istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza” — i patrioti dicono “dominate, perché dobbiamo coprire tutta la nostra incompetenza”. Va avanti così, ormai da quasi tre anni. Poltrone ministeriali e commissioni scientifiche, fondazioni culturali e musei, teatri ed enti lirici, premi letterari e bande musicali: è tutta Cosa loro, dall’informazione al cinema, dalla Treccani alla Rai. Hanno fatto una mostra penosa su Tolkien e una dignitosa sul futurismo. Valditara ha difeso il patriarcato, Mollicone ha attaccato Peppa Pig, La Russa ha commemorato i “musici altoatesini in pensione” sterminati dai partigiani vigliacchi a Via Rasella. E questo, sulle
politiche culturali, è più o meno tutto.
Siamo passati dall’intellettuale della Magna Grecia Sangiuliano — che discettava della “Times Square di Londra” e premiava i libri dello Strega senza averli letti — al divo Giuli che scrive dotti pamphlet proprio su Gramsci. A rileggerlo oggi non viene da piangere. Volava altissimo, il non ancora ministro dei Beni artistici e culturali: “Fuor dalla metafora orfico-tolkeniana, è giunta l’ora che la destra italiana, ormai adulta, celebri il proprio ingresso nell’età matura, e si lasci alle spalle … ogni lacerto di nostalgia per un’identità illusoria animata da fantasticherie revansciste, reazionarie, regressive… La Repubblica è per antica definizione res sacra”, e dunque “esige un’adesione scevra da qualsiasi condizionamento confessionale brandito come strumento di dominio o di esclusione”.
Poi invitava la destra a non “vedere la cultura come il terreno di una guerra di trincea, in cui eserciti contrapposti si contendono posizioni di potere” e in piena trance classicista la spingeva a valorizzare “ciò che ci unisce, più importante di ciò che ci divide”, perché “passando attraverso dei logoi che mettono a contesa una verità, si può arrivare ad annodare i fili di una condivisione”.
Capite allora lo sgomento, nel constatare come nel giro di un solo anno quei “fili annodati” si siano sciolti in manganelli e olio di ricino contro il “culturame” della sinistra woke e radical chic. Forse Giuli, come presentiva nel suo colto libello, si è accorto che “l’agente collassante di un’onda quantica è la coscienza”. E la coscienza deve avergli rigurgitato addosso tutto il suo passato di militante missino vissuto con la “calimera” Giorgia: “Il Signore degli Anelli” e i riti pagani sul Soratte, il Meridiano Zero e l’aquila tatuata sul petto. Fatto sta che adesso il ministro fa l’opposto di
quello che predicava da inquieto dandy del Gianicolo. E lo rivendica con orgoglio: “Stiamo governando la cultura veramente da patrioti”. Qui, davvero, non mente.
Dopo aver deriso la sinistra che “non ha più intellettuali ma solo comici”, dopo aver offeso attori e registi che al Quirinale chiedono ascolto su una dissennata riforma del tax credit, dopo aver preso a pesci in faccia Elio Germano come “rappresentante di una minoranza rumorosa che ciancia in solitudine”, è veramente “da patrioti” cavalcare l’onda ideologica di una tragedia di cronaca nera per chiudere i conti con quel covo di loschi bolscevichi del cinema che campano grazie all’amichettismo di Stato.
Giuli schiuma “sgomento e rabbia”: di fronte al delinquente Kaufmann che prima di massacrare a Villa Pamphili la compagna Anastasia e la figlioletta di 6 mesi avrebbe incassato indirettamente 836 mila euro dal ministero per un film mai girato, ma soprattutto “di fronte a un sistema di finanziamenti al cinema che ha consentito in passato leggerezze e sprechi”. E lo giura col sangue: “Non permetteremo più che questo accada”.
Non dice che a presentare la domanda di finanziamento è stato il titolare di una società in perfetta regola. E nemmeno che a dare il via libera è stato proprio quel Borrelli, capo della Divisione Cinema, insediato al ministero da Sandro Bondi nel Berlusconi IV del 2008, confermato dai cinque ministri successivi e al quale lui stesso ha rinnovato l’incarico tre giorni fa. Se ci ha ripensato, lo cacci. Se no, taccia. E rinunci alla caccia alle streghe comuniste: esistono solo nella mente dei volonterosi carnefici del nuovo Minculpop, convinti come il duce che “il cinema è l’arma più forte”
Dopo il repulisti sovranista agli Uffizi di Firenze e alla Pinacoteca di Brera, dopo la rimozione forzata del noto anarco-insurrezionalista Tomaso Montanari al Museo Ginori di Sesto Fiorentino, dopo il blitz sullo statuto dell’Accademia del cinema italiano per far decidere al ministro della Cultura anche i David di Donatello e sulla governance del Centro sperimentale cinematografico per far nominare i vertici dall’esecutivo, è veramente “da patrioti” sparare a zero su Stefano Massini e i tre teatri toscani che dirige, tagliandogli venti punti di qualità per togliergli qualche milione di finanziamento.
E pazienza se nel programma della prossima stagione il pericoloso agit-prop della splendida “Trilogia Lehman” porterà sul palco Trump, i femminicidi, le guerre, con compagnie nazionali e internazionali. A dimostrare che non merita quei soldi provvederanno i novelli Pavolini del Collegio Romano. Come l’apposito Gianmarco Mazzi, sottosegretario pupillo di Fazzolari: toccherà a lui eseguire l’ordine. Massini è “rosso”, quindi deve pagare. Come Saviano e Scurati, come Augias e Benigni, come Gruber e Fazio. Come tutti i sovversivi e i dissidenti dell’infinita “lista dei nemici” squadernata magistralmente al Senato da Filippo Sensi. Questa è la “destra reale”, che gestisce dossier a Palazzo Chigi con lo stesso spirito di vendetta di quando covava rancori a Colle Oppio. Stanno f
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Giugno 21st, 2025 Riccardo Fucile
LOS ANGELES ALL’ITALIANA
Una Los Angeles all’italiana, perché c’è la trasgressione (diecimila metalmeccanici sulla tangenziale di Bologna), c’è la nuova legge che la punisce (l’ultimissimo decreto sicurezza contro i blocchi stradali),
c’è la Questura che dovrebbe utilizzarla, ma manca tutto il resto: come si fa a identificare, denunciare, mandare a processo un numero così enorme di lavoratori? E se davvero si potesse, converrebbe al governo portare in tribunale, possibile condanna da sei mesi a due anni, quel che resta della nostra working class per tre quarti d’ora di traffico bloccato? Non scherziamo.
E infatti, salvo rare eccezioni, il centrodestra ieri si è disinteressato della potenziale Los Angeles alla romagnola, nè esercito nè Guardia Nazionale, e nemmeno dichiarazioni alle agenzie perché poi bisognerebbe anche spiegare l’ovvia decisione della polizia di lasciar passare il corteo sul percorso non autorizzato anziché caricarlo a manganellate.
La trappola del law and order è scattata sulla destra quando meno se lo aspettava, perché la previsione era che le nuove norme sarebbero state battezzate da minoranze senza consenso, i ragazzi dell’estremismo ambientalista, qualche esagitata formazione Pro Pal, i rivoltosi dei centri per immigrati o delle carceri: tutte categorie che è facile trascinare a giudizio col più largo consenso dell’opinione pubblica. Nessuno aveva pensato a un battesimo del fuoco di questo tipo, una grande manifestazione sindacale per il contratto, in una giornata di sciopero nazionale unitario, senza alcuna possibilità di tacciare la piazza di estremismo visto che c’erano pure i moderati della Cisl. Il dilemma è squadernato, entrambe le opzioni sono scivolose. Da una parte si potrebbe (dovrebbe?) applicare la legge e incassare le giuste denunce dell’opposizione sulla repressione del dissenso, di chi lavora, tira avanti il Paese e rivendica il legittimo diritto al rinnovo del contratto. Dall’altra parte c’è la ritirata, il far finta di niente, lasciar perdere le denunce e subire l’onta della pagliacciata: ma allora questo decreto cosa lo avete fatto a fare? A
cosa serve?
Si scommette sulla seconda ipotesi, visto che i capi-piazza del blocco stradale, cioè i capi del sindacato che ieri guidavano la manifestazione, sono stati convocati per oggi dal governo allo scopo di fare il punto sulle trattative, e dunque questi potenziali indagati, rinviati a giudizio, condannati, in ventiquattr’ore cambieranno ruolo e torneranno controparte legittimata.
La nostra Los Angeles all’italiana finirà probabilmente come quella vera, il modello originale della caccia all’immigrato nell’America trumpiana. Pure lì dopo le retate, i fuochi, le mobilitazioni armate, ci si è accorti che senza stranieri i cantieri si fermano e la frutta marcisce sui campi: i ministri-pasdaran del Presidente hanno implorato (e ottenuto) di lasciar perdere i clandestini dell’edilizia e soprattutto dell’agricoltura.
E’ il duro destino del sovranismo realizzato, che può mantenere le promesse del sovranismo immaginato solo al prezzo di distruggere se stesso, davanti a tavoli sindacali senza più interlocutori o a tavoli da pranzo dove non c’è più niente da mangiare, per mancanza di materie prime.
(da lastampa.it)
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Giugno 21st, 2025 Riccardo Fucile
VUOLE IMPEDIRE CHE VENGA INDAGATO “IL TUTORE DELL’ORDINE CHE FERISCA O UCCIDA CHI SI E’ RESO PROTAGONISTA DI UN FATTO DELITTUOSO”… LA NORMA E’ INCOSTITUZIONALE
Matteo Salvini non si smentisce mai. Quando si tratta di fomentare la parte più
sottosviluppata del popolo è sempre in prima linea. L’ultima perla del capo del Carroccio cavalca il caso dell’omicidio del brigadiere Carlo Legrottaglie, ucciso durante una sparatoria con due rapinatori. Nell’0perazione successiva, condotta dal viceispettore Ivan Lupoli e dal sovrintendente Giuseppe Cavallo, uno dei due malviventi è stato ucciso. Come da prassi, la Procura ha aperto un’inchiesta indagando i due per omicidio colposo. Nulla di scandaloso, come si vorrebbe far credere: quando muore qualcuno in queste circostanze i giudici accertano l’accaduto e poi, nella quasi totalità dei casi, assolvono gli imputati
Matteo Salvini e il sogno del poliziotto “intoccabile”
Poche ore dopo, palesando per l’ennesima volta una certa “allergia” ai valori della nostra Costituzione, il vicepremier ha lanciato la proposta: “La Lega – ha scritto Matteo Salvini sui social – sta formalizzando una proposta da portare in Parlamento, secondo cui un tutore dell’ordine che, nell’esercizio della sua professione, colpisca, ferisca o uccida chi si è reso protagonista di un atto delittuoso, non può e non deve essere indagato”.
A studiare un testo normativo per portare in Parlamento questa genialata, ci starebbe pensando il sottosegretario all’Interno, Nicola Molteni, un fedelissimo del leader leghista. Non è la prima volta che i leghisti e i fratellini d’Italia propongono una sorta di “scudo penale” per gli agenti, già nel contestato decreto Sicurezza era stata inserita una norma che prevedeva l’impunità, una norma poi rimossa perché lo stesso ministero dell’Interno aveva giudicato il provvedimento incostituzionale.
Il sogno delle frange estremiste dell’attuale governo, ben rappresentate da Matteo Salvini, è quello di avere un poliziotto “intoccabile”, un giustiziere protetto da un’immunità che possa utilizzare tutti i mezzi a disposizione per combattere il crimine, ma anche chiunque infastidisce il potere costituito, magari con una manifestazione pacifica.
Una follia se si pensa al recente passato del nostro Paese, dal caso Cucchi (Salvini ancora non si è scusato con la famiglia, ndr) alla barbarie che si consumò al G8 di Genova. Una follia se si pensa anche al presente, se si guarda ai tanti reati commessi da uomini in divisa, ai tanti delitti consumati con armi d’ordinanza. Nel pacchetto Sicurezza approvato non c’è una norma sull’immunità, ma lo Stato paga fino a 10 mila euro di spese legali per gli agenti che vanno a
processo: una follia.
La corsa a fomentare la pancia del popolino
Ormai da molto tempo, nel nostro Paese, una parte politica utilizza casi di cronaca per agitare il popolino, sdoganando un linguaggio aggressivo e proponendo norme folli. Se poi il caso di cronaca vede coinvolto un immigrato, ancora meglio: con un unico proclama si fomenta rabbia sociale, odio verso gli stranieri e razzismo. Nel caso che dell’omicidio del brigadiere Legrottaglie, ad aprire le danze ci ha pensato il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che ha ricevuto al Viminale i due agenti e ha proposto di intitolare loro una medaglia al valore. Perché solo a loro e non a tutti gli altri agenti che ogni santo giorno assicurano alla giustizia dei malviventi? Probabilmente perché gli altri non sono utili a creare un caso mediatico e quindi si devono accontentare delle loro paghe da fame, senza neanche mezza medaglia al valore o un post celebrativo sui profili social di Matteo Salvini.
(da agenzie)
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Giugno 21st, 2025 Riccardo Fucile
“VITTIME DELLA NOSTRA OMISSIONE DI AIUTO”
Alcune centinaia di persone hanno partecipato venerdì sera alla veglia di preghiera Morire di speranza della Comunità di Sant’Egidio nella basilica dell’Annunziata, a Genova, per ricordare le donne e gli uomini che hanno perso la vita nei viaggi verso l’Europa.
Don Maurizio Scala, di Sant’Egidio, ha commentato il Vangelo con parole molto nette: “I migranti morti nel Mediterraneo, nei deserti, nei campi profughi, non sono vittime del destino – ha detto – ma dell’omissione del nostro aiuto”.
Di fronte alla grande croce realizzata con i remi ritrovati a Lampedusa su un’imbarcazione usata nei viaggi della speranza, sono state portate alcune foto che testimoniano il dramma delle migrazioni e sono stati letti i nomi e le storie di alcune delle oltre 70mila persone morte dal 1990 a oggi nel Mar Mediterraneo o nelle rotte via terra dell’immigrazione verso l’Europa.
Secondo i dati diffusi durante la veglia, oltre il 38% dei migranti morti o dispersi negli ultimi cinque anni sono donne e bambini. Un dato che rende ancora più drammatica una tragedia silenziosa. Nonostante gli arrivi siano diminuiti, la percentuale di morti è cresciuta, a fronte di un’assenza di canali sicuri e di missioni di salvataggio in mare. Da qui l’invito pressante a riattivare vie legali di accesso, come i corridoi umanitari, che rappresentano un modello efficace di protezione e integrazione.
Molti dei presenti in basilica erano migranti giunti in Italia proprio grazie ai corridoi umanitari. Accanto a loro, anche parenti e amici di chi ha perso la vita in mare, testimoni di un dolore che continua a interrogare le coscienze
“Quante fragili vita non trovano approdo – ha detto ancora don Scala – in mare, sui camion nel deserto, nei campi profughi dove la vita non vale nulla. Le loro storie testimoniano come la voglia di dare speranza ai propri cari possa essere più forte persino dell’amore per sé. Noi non ci vogliamo abituare o girare dall’altra parte, ma vogliamo farci prossimi, trasformare l’amore in preghiera, in scelte, in una società più umana ed accogliente”.
(da Genova24)
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Giugno 21st, 2025 Riccardo Fucile
ORMAI E’ POVERO ANCHE CHI HA UN LAVORO
“Siamo quelli che ti fanno le radiografie quando hai male. Quelli che ti accompagnano a fare
una Tac quando stai cercando una risposta. Siamo quelli bardati con camici pesanti in sala angiografica, restando ore in piedi accanto ai medici, nel silenzio teso di una procedura delicata. Ti teniamo per mano ogni giorno durante le lunghe settimane di radioterapia, piangiamo e gioiamo con te. Comunque vada, siamo lì. Sempre. Anche se non si parla mai di noi.
Lavoriamo ogni giorno in un ospedale pubblico di Milano, in silenzio, senza riflettori. E da troppo tempo, anche senza voce. In questi anni abbiamo vissuto turni massacranti, carichi crescenti, stipendi che non crescono e riconoscimenti che evaporano. Durante
la pandemia ci chiamavano ‘eroi’. Oggi siamo diventati invisibili.
Mentre il costo della vita a Milano cresce vertiginosamente, il nostro stipendio netto da professionisti laureati resta spesso inferiore a 1.400 euro al mese. A questo si aggiunge l’eliminazione progressiva delle ore straordinarie per l’abbattimento delle liste di attesa, che erano l’unico modo per portare a casa qualche soldo in più a fine mese.
Nel frattempo, la direzione sanitaria continua ad aumentare i carichi di lavoro. Meno personale, più prestazioni. Come se fossimo numeri, e non persone. Come se la qualità dell’assistenza non contasse. Come se la nostra salute fisica e mentale fosse sacrificabile. Il nuovo contratto collettivo, presentato come una conquista, è nei fatti una presa in giro: qualche euro in più sulla carta, nessun reale miglioramento delle condizioni. Una mancia che mortifica il nostro ruolo e ignora le nostre competenze.
Sempre più colleghi lasciano la sanità pubblica per il privato, perché non si può vivere di sola vocazione. E ogni addio è una perdita per tutti: per i pazienti, per la collettività, per il diritto alla salute universale. Siamo stanchi: siamo professionisti laureati, formati, aggiornati. Chiediamo un Chiediamo un contratto dignitoso per tutti i professionisti sanitari ed investimenti reali nella sanità pubblica, non solo slogan”.
(da Fanpage)
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Giugno 21st, 2025 Riccardo Fucile
LE OPPOSIZIONI CHIEDONO LE DIMISSIONI, IL SINDACO DI CENTRODESTRA: “MORALMENTE INACCETTABILE”… POI COME AL SOLITO ARRIVANO LE SCUSE PER NON RISCHIARE IL POSTO
“La bandiera non segue il popolo, è il popolo che deve seguire la bandiera. Joseph Goebbels,
ministro della Propaganda del Terzo Reich”. È polemica per il post del conigliere comunale di Fratelli d’Italia a Bolzano, Diego Salvadori, che si è scagliato contro l’esposizione della bandiera arcobaleno al Noi TechPark, il parco scientifico e tecnologico della città, citando Joseph Goebbels, braccio destro di Adolf Hitler durante il regime nazista.
“Come coordinatore di Forza Italia voglio esprimere sdegno e totale distanza dalle affermazioni del consigliere Diego Salvadori. Nel linguaggio e nei comportamenti tali affermazioni sono inaccettabili e lesive per l’intera coalizione, e Forza Italia, anche a nome dei propri consiglieri comunali non accetta tale bassezza culturale”, ha commenta l’assessore provinciale Christian Bianchi. Secondo la consigliera verde Cornelia Brugger “questa è apologia del nazismo”.
Il sindaco Corrorati : “Condanno con fermezza, inaccettabile”
Il sindaco di Bolzano, Claudio Corrarati, di centrodestra, ha preso le distanze dal post, che ha condannato “con assoluta fermezza”. “Rigetto senza esitazione quanto affermato. È moralmente inaccettabile. Appena appresa la notizia della pubblicazione, ho chiesto la rimozione immediata del post e ho convocato il
consigliere Salvadori per un incontro urgente.” Corrarati ripudia “nella maniera più assoluta ogni riferimento – diretto o indiretto – a ideologie che negano la dignità umana, promuovono odio, razzismo, discriminazione sistemica o evocano le pagine più tragiche del Novecento”. “Anche in campagna elettorale ancor prima di diventare Sindaco ho sempre affermato con chiarezza che vanno escluse in modo totale e categorico rivendicazioni, citazioni o riferimenti riconducibili alle pagine più nere della nostra storia. Non ci può essere alcuna ambiguità su questo”.
Il primo cittadino, eletto lo scorso 19 maggio, ha inoltre chiesto al consigliere Salvadori di presentare “pubbliche scuse e ad attivare ogni percorso utile per riparare al danno arrecato da un post profondamente lesivo dei principi democratici”. “Chi rappresenta le istituzioni ha il dovere di rispettare i valori fondanti della nostra Costituzione. All’interno del Consiglio comunale di Bolzano non può esserci spazio – e non sarà mai tollerata – alcuna posizione che anche solo lontanamente richiami l’ideologia nazista.” Il sindaco, infine, ribadisce che “sarà garante con ogni mezzo affinché questo non accada e non si ripeta. La comunità di Bolzano ha il diritto di riconoscersi in un’istituzione che difende i diritti fondamentali, la memoria storica e i principi di inclusione, rispetto e dignità per tutti”.
Dopo la polemica, Salvadori ha precisato di ripudiare “nel modo più assoluto qualsiasi tipo di regime totalitario”. Il consigliere meloniano ha detto di essersi reso conto “che la citazione sia poco opportuna e si presti a malintesi. Mi scuso con chiunque si sia sentito offeso nella sua sensibilità”.
Il vice governatore e presidente provinciale di Fdi, Marco Galateo, ha parlato invece di “una bruttissima scivolata da parte del nostro consigliere comunale che non va però letta come adesione a principi legati alle dittature del passato e mi scuso io a nome del partito con tutte le persone che dovessero essersi sentite urtate dalla citazione”. Lo stesso vicegovernatore però, sembrava in un primo momento aver gradito il post di Salvadori, a cui aveva messo ‘mi piace’. L’apprezzamento è stato immortalato in uno screenshot poco prima che il post venisse eliminato. “Il mio like è un refuso tecnico, sicuramente non voluto e non condiviso”, si è giustificato il collega di partito.
(da Fanpage)
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