Giugno 27th, 2025 Riccardo Fucile
MOSCA LAVORA SOTTO TRACCIA PER FAVORIRE GLI SBARCHI, RENDENDO DISPONIBILI AI TRAFFICANTI DOCUMENTI FALSI, TRASPORTI E PERSINO SCORTE SU ALCUNE ROTTE … L’OBIETTIVO È METTERE SOTTO PRESSIONE GLI STATI E “SEMINARE LE DIVISIONI”
Il flusso migratorio verso il Regno Unito stenta a calare, a dispetto di anni di
promesse su una stretta post Brexit ai confini sbandierate a suo tempo dai governi conservatori e riproposte ora dal premier laburista moderato Keir Starmer, e il Sun ha un nemico esterno da additare come colpevole: Vladimir Putin, denunciato quanto meno nei panni di sospetto corresponsabile
del fenomeno.
Il tabloid della destra populista britannica, di proprietà di Rupert Murdoch, lancia la sua accusa in prima pagina, “in esclusiva”.
E si richiama ai sospetti di fonti anonime interne agli apparati di sicurezza dell’isola: sospetti che vanno ad aggiungersi alle accuse ricorrenti sui mancati controlli della Francia, Paese alleato da dove parte il grosso delle ‘piccole imbarcazioni’ di scafisti nell’ultima tappa delle traversate della Manica verso l’Inghilterra.
Il titolo si regge sul solito gioco di parole: “From Russia with shove”, a ricordare il “From Russia with love” di uno dei film più noti della saga di James Bond, l’agente 007.
Mentre nel testo si avanza la tesi che Mosca, direttamente o indirettamente, lavori sotto traccia per favorire il flusso migratorio clandestino verso Paesi sgraditi al Cremlino rendendo disponibili ai trafficanti documenti falsi, trasporti e persino scorte su alcune rotte: con l’obiettivo di mettere sotto pressione “le difese di confine” e di “seminare le divisioni” nelle società delle nazioni ‘nemiche’.
Il Sun cita in particolare un misterioso “alto funzionario della sicurezza” che peraltro si esprime in modo più vago, imputando genericamente a “Stati ostili e attori maligni di usare l’immigrazione illegale per testare le difese di frontiera, causare perturbazioni e destabilizzare Paesi come la Gran Bretagna”. Non senza aggiungere che è per questo che “la Nato sta ora mettendo la questione dei confini al centro della difesa collettiva”.
(da agenzie)
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Giugno 27th, 2025 Riccardo Fucile
“NON SI RENDONO CONTO CHE FANPAGE E DAGOSPIA SONO SOLO L’INIZIO? PENSANO CHE STANDO ZITTI E BUONI SARANNO AL RIPARO NEI PROSSIMI MESI? IO NON STO DIFENDENDO UNA SINGOLA REDAZIONE, STO DIFENDENDO LA COSTITUZIONE, LA DEMOCRAZIA, LO STATO DI DIRITTO. PROVO IMBARAZZO PER MELONI. SCAPPA PERCHE’ NON SA COSA DIRE”
In Senato abbiamo ascoltato e risposto alle considerazioni di Giorgia Meloni. Io ho fatto quattro domande alla Premier. Giorgia Meloni ha scelto espressamente di rispondere agli altri e
non a me.
Da un lato la capisco: scappa, perché non sa che cosa dire. Dall’altro provo imbarazzo per lei: nella storia della Repubblica italiana mai il Capo del Governo si era rifiutato di rispondere a domande dell’opposizione in Aula. Si dice che domandare è lecito, rispondere è cortesia. In Parlamento rispondere è un obbligo costituzionale: il Governo viene in Parlamento per rispondere all’opposizione, non per fare una passeggiata, non per sgranchirsi le gambe, non per prendere una boccata d’aria”.
Così nella sua enews il leader di Iv Matteo Renzi. “Amici cari, viviamo tempi strani. Intercettano i giornalisti e stanno tutti zitti, anche molti giornalisti. Quasi tutti. Pensano che stando buoni nessuno faccia loro nulla? Non si rendono conto che Fanpage e Dagospia sono solo l’inizio?
Pensano che stando zitti e buoni saranno al riparo nei prossimi mesi? Io non sto difendendo una singola redazione, sto difendendo la Costituzione, la democrazia, lo Stato di diritto. E mi sconvolge essere l’unico a farlo. È vero che sono tra i pochi a poterselo permettere perché non ho paura delle conseguenze personali. Ma mi domando: dove siete finiti tutti? Quando sarà chiaro che cosa sta succedendo in questo Paese come giustificherete il fatto che siate stati così tanto in silenzio?
Lasciano che la Meloni ignori i suoi doveri costituzionali in Parlamento perché tanto non ha risposto a Renzi e non si rendono conto che, indipendentemente da me, questo diviene un precedente. Oggi non risponde a me, domani non risponderà ad altri. Ieri ha fatto una legge ad personam contro di me, domani la farà contro altri”, aggiunge.
(da agenzie)
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Giugno 27th, 2025 Riccardo Fucile
“IL MIO SOGNO E’ TORNARE IN ITALIA E APRIRE UN RISTORANTE ITALO-PALESTINESE”
Nel cuore di Gaza devastata da venti mesi di genocidio, sotto i bombardamenti
incessanti, gli spari e l’artiglieria pesante israeliana, in mezzo a scaffali, forni e mercati vuoti qualcuno continua a impastare resistenza e farina. Si chiama Mohammed Al-Amarin, ha 34 anni, e nella vita è pizzaiolo e pasticcere. Da qualche settimana ha ripreso a fare pizzette per i bambini di Gaza, con la poca farina che riesce a trovare.
“Salam Alaykum! Sono lo chef Mohamed Al-Amarin di Gaza”, dice con voce pacata ma decisa al telefono con Fanpage.it. “La guerra mi ha tolto tutto ma pizzaiolo e pasticcere ero prima della guerra e pizzaiolo e pasticcere sono ancora. Continuo a fare il mio lavoro per sostenere la mia gente, in particolare i bambini affamati. Sorridere oggi per loro è un sogno e per me è fare in modo che possano farlo”, continua.
A Gaza City assediata dalle bombe, dove l’acqua potabile è ormai un miraggio e la fame è quotidiana, cucinare è un gesto di resistenza. Con un piccolo forno, ingredienti ridotti all’osso e il supporto dei vicini, Mohamed ha riaperto il suo laboratorio improvvisato nel giorno dell’Eid. “Ho appena riaperto il
ristorante durante l’Eid al-Adha, voglio provare a portare gioia ai bambini”, ci aveva scritto lo scorso 8 giugno, “ho cucinato pane ripieno di cioccolato, spinaci e patate, e croissants. Vorrei poter fare i cannoli italiani, ma non ci sono uova per fare il biscotto e non c’è formaggio”, così continuava il messaggio. Poi il silenzio nei giorni del totale blackout nella Striscia di Gaza e solo qualche giorno fa la conferma che Mohammed ce l’ha fatta: continua a regalare sorrisi ai bambini con la sua cucina.
“Qui a Gaza non conosciamo la resa, ma piuttosto la fermezza, la determinazione e la resistenza. Siamo aggrappati alla vita e non la molleremo fino all’ultimo respiro”, continua il pizzaiolo.
A renderlo ancora più straordinario è la sua storia. Mohamed ha imparato a fare la pizza nel 2013 da uno chef italiano, Maurizio, arrivato a Gaza da Cagliari. Insieme hanno lanciato la prima attività di pizza italiana a Gaza City. Poi, nel gennaio 2023, è riuscito a viaggiare in Italia per la prima volta. A Palermo ha seguito un corso di formazione con lo chef Pasqualino Barbasso, leggenda della pizza acrobatica, e ha studiato per due mesi i segreti della cucina italiana e italo-siciliana.
“Il mio sogno ora è tornare in Italia, imparare ancora altre cose, altre ricette e aprire un ristorante italo-palestinese”, racconta. Ma intanto, a Gaza, Mohamed ha scelto di non fermarsi, anche perché finora tutte le sue richieste di evacuazione in Italia non hanno ricevuto alcuna risposta. “Nonostante il deterioramento delle condizioni e la limitata disponibilità di cibo, continuo a fare la pizza. Per i bambini e per far rivivere la cultura italiana qui a in mezzo alle bombe”.
Venerdì scorso, con una manciata di ingredienti, ha distribuito
150 pizzette calde tra i piccoli del quartiere e nei prossimi giorni, se ci sarà abbastanza farina, vuole rifarlo. Il sogno di tornare in Italia, un forno in mezzo a quel che resta di Gaza City e una teglia di pizzette calde: nella Striscia anche questo è resistenza.
(da Fanpage)
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Giugno 27th, 2025 Riccardo Fucile
SONO DIVENTATI DEGLI EROI IN PATRIA: GRAZIE AL PAREGGIO 1-1 CONTRO IL BOCA JUNIORS, LA SQUADRA HA INCASSATO UN MILIONE DI DOLLARI… I CALCIATORI, CHE GUADAGNANO 84 EURO A SETTIMANA, HANNO DOVUTO PRENDERSI LE FERIE DAI LORO LAVORI PER PARTECIPARE AL TORNEO
La Cenerentola del Mondiale per club la sua vittoria l’ha conquistata: pareggiando ieri contro gli argentini del Boca Juniors i dilettanti dell’Auckland City hanno compiuto una impresa che ha portato con sè un’iniezione economica senza precedenti: 930.000 euro (un milione di dollari il premio stabilito dalla Fifa), esattamente 11.111 volte più di quello che ogni giocatore percepisce settimanalmente e cioè appena 84 euro.
In un calcio governato dal denaro, la storia dell’Auckland City balza agli onori della cronaca perchè la modesta squadra neozelandese aveva già salutato ogni sogno di proseguire al Mondiale per Club dopo le pesanti sconfitte nelle prime due gare (10-0 col Bayern, 6-0 col Benfica) ma aveva l’obiettivo di conquistare almeno un punto in classifica. Missione compiuta
grazie al pareggio di ieri sera con il Boca che è valso il premio milionario “che sarà diviso tra tutto lo staff e la squadra”, ha spiegato Sebastián Ciganda in un’intervista a DSports Radio.
“In Nuova Zelanda pulisco piscine e vasche idromassaggio – ha spiegato – Ho chiesto un periodo di ferie, come hanno fatto tutti i miei compagni. Me li hanno dati, altrimenti mi sarei licenziato. Non sono stato pagato per il periodo in cui siamo stati negli Stati Uniti e così al mio ritorno, tornerò al lavoro”. Il premio rappresenta per Auckland City il più grande guadagno della sua storia ed è arrivatoo grazie al gol di Christian Gray, un attaccante che, come molti altri nella squadra, divide il suo tempo tra i campi di gioco e l’insegnamento.
In squadra c’è chi fa il muratore, chi pulisce piscine, chi fa il professore: tutti uniti sotto la bandiera dell’Auckland City che – a discapito di altri club oceanici più prestigiosi – al Mondiale per Club ci è andato.
A rendere più unica la storia è che Auckland City non è nemmeno il club principale della città: quel posto è occupato dall’Auckland FC, che compete nella A-League australiana e offre stipendi base di circa 65.000 euro all’anno.
I Navy Blues, invece, giocano un campionato regionale nell’Isola del Nord della Nuova Zelanda, in condizioni semi-amatoriali, e i loro calciatori di solito ricevono circa 93 euro a partita. Al nuovo Mondiale per club sono pero’ andati loro per aver vinto la Champions di Oceania. Ora, contro i ‘giganti’ del Boca l’Auckland City ha compiuto la sua impresa: arrivati negli States com umità e tanti sogni tornano acasa con 930.000 ragioni per continuare a crederci.
(da Fanpage)
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Giugno 27th, 2025 Riccardo Fucile
IL COSTO TOTALE È STATO DI 186 MILIARDI DI EURO (9 PUNTI DI PIL), CHE NE HANNO GENERATO 116 DI INVESTIMENTI AGGIUNTIVI. IL “PESO MORTO” È DI 70 MILIARDI
Il Superbonus, la più grande politica industriale e il più grande sperpero della storia
della Repubblica, è un caso di studio
interessante.
Sono quindi tanti i lavori che cercano di quantificare la magnitudo di questo disastro finanziario.
Nei giorni scorsi, il dipartimento delle Finanze del Mef ha pubblicato un working paper che cerca di quantificare alcuni effetti della stagione dei bonus edilizi.
I due autori, Carlo Cignarella e Paolo D’Imperio, nello studio prendono in considerazione i due incentivi più grandi (Superbonus 110% e Bonus facciate 90%), che nel periodo che va dal 2020 al 2023 sono costati 186 miliardi di euro (9 punti di pil) per stimare che impatto hanno avuto sugli investimenti nell’edilizia residenziale.
I due economisti utilizzano il metodo del “controllo sintetico”, che consiste nel confrontare l’andamento degli investimenti nell’edilizia residenziale con quello di una sorta di gruppo di controllo (composto da diversi paesi europei) che emula quale sarebbe stato l’andamento in Italia in assenza di Superbonus: in questo modo si riesce a stimare qual è stato l’impulso aggiuntivo degli incentivi e quanti investimenti si sarebbero fatti comunque (ma con i soldi dei privati, invece che con quelli pubblici).
La conclusione è che i due bonus hanno generato nell’edilizia residenziale investimenti aggiuntivi, che cioè altrimenti non si sarebbero fatti, per circa 116 miliardi di euro. Ciò vuol dire però che 70 miliardi di euro spesi dallo stato sarebbero stati sborsati comunque dai proprietari: il cosiddetto “peso morto” degli incentivi è pari al 38% del totale.
Il paper del Mef si aggiunge ad altre analisi analoghe, fatte sempre usando il metodo del “controllo sintetico”, che vanno
nella stessa direzione: secondo la Banca d’Italia il “peso morto” del Superbonus e del Bonus facciate è pari al 27%; mentre secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) è pari al 33%: la misura dello spreco va quindi da un euro su 4 a un euro su 2,5.
Ciò che ci si aspetterebbe dal Mef è un report sul tema dove ha un ovvio vantaggio competitivo rispetto alle altre istituzioni: spiegare com’è stato possibile sbagliare le stime di spesa sui bonus edilizi ripetutamente e per 150 miliardi di euro.
Si tratta del buco di bilancio – ovvero della spesa non prevista e quindi non autorizzata dal Parlamento – più grande della storia italiana. Le relazioni tecniche dei vari bonus edilizi (Superbonus, Bonus facciate, riqualificazione, etc.) prevedevano costi per 71 miliardi di euro. Il costo reale è stato circa il triplo: 220 miliardi di euro, per 150 miliardi di sforamento.
Il dipartimento delle Finanze del Mef, a cui spettavano le stime dei costi, ha semplicemente preso le relazioni tecniche dei vecchi bonus e ipotizzato un raddoppio dei costi, senza considerare che il Superbonus aveva due caratteristiche nuove e che lo rendevano particolarmente pericoloso: un’aliquota al 110% (quindi nessun contrasto di interessi tra compratore e venditore) e la cessione del credito (quindi nessun vincolo di liquidità per il richiedente).
La Ragioneria generale dello Stato (Rgs), il cui compito istituzionale è controllare i costi e valutare la credibilità delle coperture, ha “bollinato” la misura, certificando così che i conti sbagliati del dipartimento delle Finanze invece erano giusti.
Oltre a questi errori madornali, il Mef (Finanze e Rgs) non ha
previsto un tetto alla spesa, come invece accade abitualmente per tutti gli altri crediti d’imposta (soprattutto quelli automatici come il Superbonus).
Per giunta la norma non prevedeva alcuna procedura di autorizzazione preventiva, e questo ha reso impossibile il monitoraggio della spesa (che è compito istituzionale del Mef). Come se non bastasse, tutti questi gravi errori genetici sono stati ripetuti a ogni proroga degli incentivi
In tanti hanno gli elementi per spiegare che il Superbonus è stato un disastro economico, ma solo il Mef può spiegare perché è stato anche un fallimento amministrativo.
(da Il Foglio)
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Giugno 26th, 2025 Riccardo Fucile
IL MOTIVO? LO SMARTPHONE VIENE COSTRUITO DALL’AZIENDA CINESE “WINGTECH”… NON SOLO: IL TELEFONINO È PIÙ PICCOLO DI QUANTO INIZIALMENTE INDICATO E ANCHE LE CARATTERISTICHE TECNICHE SONO CAMBIATE (AL RIBASSO)
Il T1 Phone, primo smartphone prodotto dalla Trump Organization, non sarebbe davvero “made in Usa” come pubblicizzato dall’operatore a metà giugno. A scriverlo è il sito The Verge, che ha individuato la rimozione dal sito della compagnia di ogni riferimento precedente alla costruzione del dispositivo sul territorio nazionale.
Un esempio è il banner “Made in the Usa”, che compariva all’accesso alla prima pagina di Trump Mobile, ma anche la dicitura, nella pagine delle specifiche del telefono, “prodotto americano”. Al loro posto ci sono i termini “design americano” e “progettato pensando ai valori americani” con “mani americane dietro ogni dispositivo”. Ma non è l’unica cosa che sembra
essere cambiata dal lancio del T1 Phone la scorsa settimana.
Lo smartphone era stato presentato con un display da 6,78 pollici, che ora si sono ridotti a 6,25 pollici. Il sito indicava che il telefono aveva 12 gigabyte di memoria ram, non più presenti nella descrizione online. Secondo The Verge, il motivo dietro questi cambiamenti potrebbe essere un nuovo fornitore per la compagnia, con la rivisitazione al ribasso delle caratteristiche tecniche. “Quando ha svelato il T1 Phone, Trump Mobile ha promesso che il telefono sarebbe stato disponibile a settembre. Ora, l’unica tempistica presente è ‘più avanti quest’anno’. Un altro motivo per dubitare che lo smartphone sia autentico” sottolinea The Verge.
(da agenzie)
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Giugno 26th, 2025 Riccardo Fucile
INOLTRE, SE L’URANIO NON FOSSE STATO SPOSTATO, SI SAREBBE REGISTRATA UNA FORTE CONTAMINAZIONE DEL TERRENO, DI CUI NON C’E’ TRACCIA
Le valutazioni preliminari di intelligence fornite ai governi europei indicano che le riserve di
uranio dell’Iran arricchito ad alti livelli rimangono sostanzialmente intatte dopo gli attacchi statunitensi ai suoi principali siti nucleari. Lo hanno riferito due funzionari al Financial Times, sottolineando che per l’intelligence i 408 chilogrammi di uranio arricchito al 60%, prossimo al livello per uso militare, non fossero concentrati nel sito di Fordow al momento dell’attacco americano dello scorso fine settimana.
Le fonti hanno precisato che i governi dell’Ue sono ancora in attesa di un rapporto di intelligence completo sugli effetti dei raid sull’impianto di Fordow, che è stato costruito in profondità sotto una montagna vicino alla città santa di Qom. Un rapporto iniziale indicava “danni estesi, ma non una completa distruzione strutturale”. Funzionari iraniani hanno ipotizzato che le scorte di uranio siano state spostate prima del bombardamento dell’impianto.
Queste valutazioni mettono in discussione quanto sostenuto dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, secondo cui il bombardamento con le Moab condotto nella notte tra sabato e domenica scorsi ha “annientato” il programma nucleare iraniano.
(da agenzie)
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Giugno 26th, 2025 Riccardo Fucile
PER LA DUCETTA È UNA MANNA: PUÒ SPOSTARE IL DOSSIER, INDIGESTO AGLI ITALIANI, A DOPO LA FINE DELLA LEGISLATURA…. L’ITALIA GIÀ È UN COLABRODO E PRATICAMENTE NON HA DIFESE AEREE
C’è un dettaglio tecnico nella faccenda dell’aumento delle spese militari che spegnerà sul nascere ogni malumore interno alla maggioranza. Giancarlo Giorgetti, con abile fiuto politico, aveva iniziato a porre il problema in sede europea molte settimane prima del vertice dell’Aja
Proviamo a riassumerlo: l’Italia è sotto procedura di infrazione per deficit eccessivo, dalla quale conta di uscire nei primi mesi dell’anno prossimo. In base alle regole europee previste dal nuovo patto di Stabilità, finché non torna sotto al fatidico tre per cento nel rapporto fra deficit e ricchezza prodotta, non può escludere dal calcolo del disavanzo pubblico alcuna spesa aggiuntiva.
Lo scorso 6 marzo il Consiglio europeo ha introdotto la possibilità di chiedere una «clausola di salvaguardia» per escludere dal computo la nuova spesa militare, ma quella clausola non è d’aiuto ai Paesi sotto procedura.
È per questa ragione che ieri Giorgia Meloni ha confermato la linea tenuta fin qui da Giorgetti: «Nel 2026 non chiederemo l’attivazione della clausola». Il riferimento temporale al 2026 conferma l’intenzione di farlo, ma solo dopo.
L’Italia prima riporterà il deficit sotto controllo poi, a partire dal 2027, pianificherà l’aumento progressivo della spesa imposto dall’accordo firmato all’Aja. «Quest’anno l’aumento della spesa in armamenti sarà simbolico», conferma una fonte di governo che chiede di non essere citata.
«Dobbiamo chiarire la portata e durata della clausola di salvaguardia», aveva detto Giorgetti durante la riunione dei ministri finanziari europei lo scorso 11 marzo. I partner che nel frattempo ne hanno fatto richiesta sono tredici, alcuni dei quali nelle stesse condizioni dell’Italia.
Fra gli altri hanno chiesto lo scorporo Belgio, Ungheria, Polonia e Slovacchia, non la Francia. Dunque è davvero un impedimento tecnico a spingere l’Italia a rinviare gli impegni con la Nato?
La risposta del Tesoro a questa domanda conferma come il dettaglio tecnico costituisce l’alibi perfetto di una scelta politica: «L’Italia a differenza di altri sarà presto sotto al tre per cento, e questa per noi è una priorità».
Se viceversa nel frattempo l’Unione dovesse risolvere il problema, allora Meloni e Giorgetti valuteranno il da farsi. La realtà è che il governo non ha nessuna fretta di aumentare la spesa in armamenti, e il perché è facilmente inutibile: i malumori interni alla Lega.
Che l’accordo dell’Aja aiuti i governi a spostare in là il costo politico dell’obiettivo di far salire la spesa al 5 per cento del Pil è evidente: la prima verifica tecnica del suo rispetto sarà nel 2029, quando tutti o quasi gli attuali premier o presidenti della Nato (sono trentadue) saranno scaduti.
Per Giorgia Meloni la scadenza è nel 2027, e dunque solo nei prossimi mesi si capirà se deciderà di spostare compiutamente il problema oltre l’orizzonte della legislatura. Più attenderà, più difficile sarà rispettare l’impegno per chi le succederà, posto che non rivinca le elezioni.
Il governo dice di essere vicino al 2 per cento di spesa, ma per arrivarci è stata fatta una riclassificazione delle spese per ricomprendervi ad esempio quella per la Guardia costiera, e in effetti l’accordo firmato all’Aja sembra tenere conto delle voci per la protezione dei confini.
Ammettendo che la spesa è già a quella soglia, per arrivare al 5 per cento entro il 2035 significa programmare 54 miliardi aggiuntivi, da suddividere equamente in armamenti e una più generale voce «infrastrutture per la difesa» […] In ogni caso, per avere contezza delle intenzioni della maggioranza basterà attendere l’autunno e la bozza della legge di bilancio per il 2026, che dovrà dare le indicazioni sulla politica economica fino al 2030.
(da agenzie)
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Giugno 26th, 2025 Riccardo Fucile
LO SOSTIENE LA STESSA PROCURA SICILIANA, CHE HA DISPOSTO TRE PERQUISIZIONI, ESEGUITE DAL ROS, NELLE ABITAZIONI RICONDUCIBILI A TINEBRA, NELL’AMBITO DELL’INCHIESTA PER I DEPISTAGGI SULL’ATTENTATO MAFIOSO DEL 1992 IN CUI MORIRONO PAOLO BORSELLINO E CINQUE AGENTI DELLA SCORTA … OBIETTIVO DELLE PERQUISIZIONI È TROVARE L’AGENDA ROSSA DI BORSELLINO
L’ex procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra, morto 8 anni fa e responsabile delle
indagini immediatamente successive alla strage di via d’Amelio, avrebbe fatto parte di una loggia massonica. Lo sostiene la procura di Caltanissetta che ha disposto tre perquisizioni, eseguite dal Ros, nelle abitazioni riconducibili a Tinebra nell’ambito dell’inchiesta per i depistaggi
successivi alla strage di via D’Amelio.
La Procura, dice una nota, ha “acquisito una pluralità di elementi che hanno fatto emergere concreti indizi circa la presenza di una loggia massonica coperta a Nicosia (Enna), di cui avrebbe fatto parte anche Tinebra”.
La procura di Caltanissetta ha disposto perquisizioni, eseguite dai Ros, in tre abitazioni dell’ex procuratore della repubblica di Caltanissetta Giovanni Tinebra. Nelle abitazioni situate nelle province di Caltanissetta e di Catania, spiega la procura, si cerca l’agenda rossa di Paolo Borsellino, anche alla luce dell’appartenenza di Tinebra alla loggia massonica coperta di Nicosia, citta’ in cui il magistrato e’ stato in servizio presso la Procura della Repubblica di Nicosia ininterrottamente dal 1969 al 1992.
E’ stato acquisito agli atti del procedimento penale per strage e depistaggio, scrive la procura, un appunto 20 luglio 1992 firmato da Arnaldo La Barbera, a quel tempo capo della squadra mobile di Palermo.
“In data odierna, alle 12 – si legge nell’i’appunto citato dalla procura – viene consegnato al dr. Tinebra, uno scatolo in cartone contenente una borsa in pelle ed una agenda appartenenti al Giudice Borsellino”.
“Detto appunto privo di qualsiasi sottoscrizione per ricevuta di quanto indicato da parte del dott. Tinebra – scrive la procura oggi – non era mai stato trasmesso a quest’ufficio nell’ambito delle indagini per la strage di via D’Amelio, ne’ il dott. La Barbera ne aveva mai fatto menzione nel corso delle sue escussioni.
Gli specifici accertamenti svolti da quest’ufficio non hanno consentito di verificare che detta consegna sia effettivamente avvenuta nelle mani del dott. Giovanni Tinebra, ne’ che l’agenda in questione fosse effettivamente l’agenda rossa e non altra agenda appartenuta al dott. Borsellino poi effettivamente rinvenuta.
Non puo’ sottacersi che, in ogni caso, tale borsa sarebbe pervenuta nella disponibilita’ del dott. La Barbera il 19 luglio sera e, secondo la su indicata nota, sarebbe stata consegnata nella tarda mattinata del 20 luglio ’92, con la conseguenza che il detto La Barbera avrebbe avuto tutto il tempo di prelevare o estrarre copia della piu’ volte citata agenda rossa.
Nel corso delle perquisizioni e’ stata acquisita documentazione al vaglio di questa autorita’ giudiziaria”.
(da agenzie)
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