‘A CAROGNA DOPO UN PO’ PUZZA: PRIMA TRATTANO, ORA LINEA DURA
LA PROCURA VALUTA SE INDAGARE DE TOMMASO…ALFANO NEL PALLONE RILANCIA IL “DASPO A VITA”… NAPOLITANO: “NON BISOGNA FARE PATTI CON I FACINOROSI”
Il ministro Angelino Alfano è nel pallone. Con Genny ‘a carogna, assicura a mezzo stampa, non c’è stata nessuna trattativa.
Ma il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, in qualche modo lo smentisce: “Con quel tipo abbiamo solo interloquito”.
E ancora di più è la Procura della Repubblica che rimette tutto in gioco e vuole capire il livello della interlocuzione, quale ruolo ha svolto il capo degli ultrà Gennaro De Tommaso, se ci sono state minacce, ricatti alle società sportive, oltraggi ai pubblici ufficiali presenti.
Le telecamere sono state impietose e hanno registrato le immagini di responsabili delle società sportive e funzionari dell’ordine pubblico che trattavano col signor Genny ‘a carogna da potenza a potenza, come si fa nei teatri di guerra.
Scene che non sono piaciute al capo dello Stato.
“Nessuna trattativa con i facinorosi — ha detto Giorgio Napolitano —, quello visto fuori e dentro lo stadio Olimpico ha a che vedere con il peggio degli odi, della violenza e perfino della criminalità e bisogna trattarlo in modo diverso dal mondo del calcio”. Sulla tribuna vip c’erano il presidente del Consiglio Matteo Renzi, il presidente del Senato Pietro Grasso, la Presidente dell’Antimafia Rosy Bindi.
Nessuno di loro ha capito cosa stesse succedendo, i loro volti attoniti li abbiamo visti in tv durante quei lunghi 45 minuti in attesa di una decisione o, forse, dell’esito della trattativa.
Intervistato da Repubblica, il prefetto Pecoraro afferma che lui la partita l’avrebbe fatta giocare “comunque”.
E allora a cosa è servito quell’interminabile rinvio?
Sugli spalti c’erano almeno 50 mila tifosi lasciati in balia delle notizie trasmesse dai siti e dalle radio private. Benzina pronta a infiammarsi.
Alla fine, la soluzione si è trovata, ma solo dopo il lungo colloquio con Genny ‘a carogna fasciato in quella sua t-shirt nera e con lo slogan “Speziale libero”.
Libero l’ultrà del Catania condannato per l’uccisione dell’ispettore Filippo Raciti durante una giornata di follia calcistica del febbraio 2007.
Nessuna autorità , nè sportiva, nè di polizia, gli ha impedito di esibire quella scritta che offende il sacrificio di un poliziotto.
E così anche quella maglietta è diventata il simbolo della disfatta dello Stato su un campo di calcio.
Ora Angelino Alfano continua a negare ogni evidenza, si ricorda di essere anche ministro dell’Interno e fa la voce grossa.
Minaccia il Daspo a vita per gli ultrà che si sono già resi responsabili di devastazioni, risse, invasioni di campo e altri reati da curva assatanata.
Gli uffici del Viminale starebbero già studiando il dossier, le indiscrezioni parlano di una estensione delle misure anche alle manifestazioni non sportive. Pugno duro negli stadi, ma anche nelle piazze infiammate dalla disperazione sociale, come chiede la parte più dura del sindacalismo di polizia.
Sarà per queste prime indiscrezioni circolate che il ministro della Giustizia Andrea Orlando mostra cautela. “Voglio capire”, si è limitato a dire (vago anche Renzi: “Ne discuteremo”).
Angelino dovrà riferire in Parlamento, lo chiedono Fi, Sel, e MoVimento Cinque Stelle, e anche nel Pd ci sono diversi maldipancia per il sabato nero all’Olimpico.
Ma il nodo vero è il Viminale. Alfano è un ministro part-time, diviso com’è dalla sua funzione di segretario del Ncd e dalla responsabilità di governo. Il ministero appare senza testa, come mai è stato nella storia della Repubblica.
Neppure negli anni bui di Antonio Gava, ministro per due volte, neppure negli anni neri di Francesco Cossiga. Alfano è prima segretario, poi ministro.
Ora deve pensare alla campagna elettorale e al raggiungimento del quorum, ne va della sopravvivenza del suo minuscolo partito.
Ieri ha dovuto mettere il timbro su liste piene di impresentabili, soprattutto al Sud. Ma gli effetti di un ministro a mezzadria si vedono soprattutto sulla tenuta della Polizia. Mai c’era stato tanto malcontento nel corpo, e mai il Capo della Polizia era stato così contestato dagli agenti. Alessandro Pansa, colmando anche i vuoti lasciati da Alfano, ha generosamente stigmatizzato gli applausi al congresso del Sap ai poliziotti condannati per la morte di Aldrovandi, e criticato duramente l’agente che a Roma calpestò una manifestante già bloccata a terra.
Prese di posizione che gli hanno procurato gli attacchi dei sindacati di destra.
L’ultimo quello del Coisp: “Non c’è bisogno di lasciare la poltrona per non essere più riconosciuti”.
Spinte e malesseri profondi che rischiano di trasformarsi in vere e proprie voragini e che il ministro doppio lavorista non sa e non ha il tempo di governare.
Enrico Fierro
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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