ALLA CENA A SAN FRANCISCO CON I MILIARDARI AMERICANI (40MILA DOLLARI A TAVOLO) XI JINPING HA RICEVUTO APPLAUSI E STANDING OVATION
TIM COOK, LARRY FINK, ELON MUSK E GLI ALTRI NON VEDONO L’ORA DI TORNARE A VENDERE IN CINA, E APPROFITTARE DELLA MANODOPERA A BASSO COSTO DEL PAESE
L’esperienza «indimenticabile » dei suoi viaggi giovanili in terra americana, il ritorno della diplomazia dei panda, la rassicurazione che la sua Cina non ha intenzione di combattere guerre «né calde né fredde con nessuno» e «non scommette mai contro gli Stati Uniti », che il suo Paese è un grande mercato desideroso di ritornare al business as usual, come direbbe la platea che lo ascolta. Dell’America «vogliamo essere un partner e un amico».
Prova a giocarsi le carte migliori Xi Jinping alla cena all’Hyatt Regency di San Francisco dove il National Committee on US-China Relations e lo US-China Business Council hanno riunito il gotha degli imprenditori a stelle e strisce apposta per lui. Grandi applausi e standing ovation per il leader cinese, arrivato qui a parlare al loro cuore, ma soprattutto al loro portafogli.
Quarantamila dollari per avere il privilegio di sedersi al tavolo del segretario generale comunista, duemila bigliettoni verdi a portata invece se ci si accontentava di un posto tra i circa 400 in sala.
C’erano tutti quelli che contano: da Tim Cook di Apple a Larry Fink di BlackRock, il boss di Tesla Elon Musk (solo per il cocktail e non per la cena), i Ceo di Boeing, FedEx, Visa, Mastercard, Pfizer, Nike, solo per citarne alcuni. Tutti desiderosi di vendere più iPhone, auto, aerei e prodotti farmaceutici alla seconda economia mondiale.
In ventuno erano seduti al tavolo del leader, ben controllato dai suoi bodyguard nel caso qualcuno tra una portata di verdure di stagione con vinaigrette allo champagne, bistecca di Angus nero e crostata alla vaniglia, avesse incautamente deciso di avvicinarlo.
Separarsi è impossibile: lo sa bene Pechino, ma pure Washington. L’anno scorso il commercio bilaterale tra i due Paesi è stato di 760 miliardi di dollari. Però i manager sono sempre più diffidenti verso Pechino a causa dei recenti casi di divieti di uscita dal Paese, della nuova legge anti-spionaggio, delle indagini e delle detenzioni di dipendenti di alcune società. Tensioni che minano la fiducia degli investitori.
La Cina ha registrato una perdita di 11,8 miliardi di dollari in investimenti esteri nel terzo trimestre: segno rosso che non si registrava da un quarto di secolo. Un sondaggio della Camera di Commercio americana a Shanghai ha mostrato che solo il 52% degli intervistati si è dichiarato ottimista sulle prospettive aziendali per i prossimi cinque anni, il livello più basso dall’inizio delle rilevazioni. Xi deve fermare l’emorragia. Usando parole concilianti per riguadagnare la fiducia. Per rimettere in sesto la sua economia in crisi, che stenta a riprendersi dopo la pandemia.
Il Dragone rappresenta circa un quinto delle vendite di Apple. I prodotti di società come Qualcomm e Broadcom, tra i maggiori produttori mondiali di chip per cellulari, sono utilizzati in milioni di telefoni venduti in Cina. Quella con la Tesla di Musk è sicuramente una delle cooperazioni più vincenti: l’hub di Shanghai ha sfornato 710mila auto l’anno scorso, più della metà della produzione globale dell’azienda. Non perdere tutto ciò è fondamentale per Xi.
(da la Repubblica)
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