AREZZO, DA RACCOFORTE DEL RENZISMO A EMBLEMA DELL’INSUCCESSO PD
NELLA CITTA’ NATALE DELLA BOSCHI LA SINISTRA EXTRA DEM NON VOTA IL RENZIANO
È successo tutto quello che non ti aspetti nella città toscana, è successo che al primo turno Matteo Bracciali il trentunenne candidato renzianissimo si è visto trascinare al ballottaggio dal suo competitor Alessandro Ghinelli alla guida di una coalizione composta dalla sua lista civica e poi dalla Lega, Fratelli d’Italia, e Forza Italia. L’ingegnere aretino è riuscito nell’impresa di riunire tutto il centrodestra, impresa che in tanti oggi vorrebbero poter replicare.
E chissà che non voglia esportare il brand vincente. Già assessore fino a nove anni fa in un governo di centrodestra conclusosi bruscamente a seguito di un’inchiesta giudiziaria sulla svendita di varianti urbanistiche, che non lo toccò assolutamente, ma che aprì la strada al nipotissimo, quel Giuseppe Fanfani del Pd che ha governato Arezzo fino allo scorso anno quando supportato dalla spinta renziana e dal ministro Boschi in prima linea, si accomodò al Csm.
Tirava una bella aria in quel periodo, il renzismo era al suo apice ed Arezzo ne era uno dei migliori interpreti.
Alle elezioni europee del 2014, nella cittadina toscana, il Pd aveva toccato quota 55, una vetta bulgara che avrà fatto pensare al ministro Boschi e al Pd romano che conta: ”andiamo pure alle elezioni anticipate, tanto qui si vince comunque”.
E invece a Bracciali, leopoldino della prima ora, è toccato sorbirsi la peggiore delle brevi stagioni renziane: la vittoria monca nelle regioni, l’impopolare riforma della scuola, il conflitto di trincea con il sindacato. Tanto che Matteo Renzi ad Arezzo non si è visto proprio, tanto che alla fine qualcuno ha pensato che in fondo era meglio che non venisse proprio.
E poi il ballottaggio. Bracciali ci arriva 8 punti sopra con 3mila e passa voti in più, ma con un avversario che nel frattempo aveva resuscitato, rinvigorito tutte le anime del centrodestra cittadino, di una città che poi alla fine all’illuminazione renziana non ci ha mai creduto convintamente.
Arezzo, la città dell’oro, abituata ai fasti del secolo scorso ed ora investita da un crisi che nelle proporzioni è anche meno devastante di quella che ha coinvolto tutto il paese, ma che nei fatti ha generato un sentimento di sfiducia ed insicurezza.
Un senso di decadimento. È stato un testa a testa, sezione per sezione, ma alla fine Ghinelli ce l’ha fatta con il 50,8 recuperando 8 punti in 15 giorni e prendendo 2mila voti in più rispetto al primo turno.
Una rivoluzione in salsa perugina, perchè tutto sommato lo spettro della città umbra aleggiava anche da queste parti.
Il giovane trentenne non ha sfondato, non ha convinto, il fascino rottamatore si è sciolto come neve al sole e per paura di osare è finito per essere il secondo di due. Vittima anche di quella sinistra che ha corso fuori dal Pd e che prima si è adoperata in una scissione interna candidando due sindaci alternativi e poi non ha dato nessuna indicazione a favore del candidato del Pd.
Pensare che quei voti della sinistra extra dem sarebbero bastati ed avanzati a Bracciali. E poi la solita mina vagante del movimento 5 stelle che aveva raggiunto l’8 al primo turno e che ha deciso di non dare indicazioni.
Ed ecco che questa mattina Matteo Renzi si è svegliato con un fortino in meno, con un suo fedele della prima ora azzoppato a soli trent’anni e con la coscienza che il partito liquido va come una schioppettata sulle autostrade nazionali, ma quando imbocchi le provinciali son dolori.
Si fora nemmeno le ruote fossero di cartone.
(da “Huffingtonpost”)
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