BONAFEDE CAPO DELEGAZIONE M5S NEL GOVERNO
MA IN PARLAMENTO E SUI TERRITORI CRESCE IL FRONTE PER UN’ALLEANZA CON IL PD ALLE PROSSIME REGIONALI
Nel segno della continuità con il passato. Anche se il passato non è stato glorioso. La scelta di Alfonso Bonafede come nuovo capo delegazione M5s va nella direzione di sempre e si tratta di una vera e propria controffensiva, che respinge l’offerta arrivata dal premier Conte di creare un campo progressista insieme al Pd.
Il ministro della Giustizia, fedelissimo di Luigi Di Maio nonostante qualche frizione nei mesi scorsi, rappresenterà quindi il Movimento nel governo. È stato scelto lui e non Stefano Patuanelli, il ministro per lo Sviluppo economico che ha invece ha aperto alla proposta del premier Giuseppe Conte di creare un campo progressista di centrosinistra. Ha vinto quindi la linea conservatrice, quella dell’ex capo politico. E anche Vincenzo Spadafora, con un passato nella Margherita, che più di chiunque altro ha lavorato all’alleanza con il Pd, non ha avuto la meglio.
Così hanno deciso, per acclamazione, i viceministri e i sottosegretari grillini riuniti a Largo Chigi dal ‘reggente’ Vito Crimi. Sarà dunque Bonafede a ragionare con il premier, con il quale c’è da sempre un buon rapporto, e con Dario Franceschini del Pd e con Roberto Speranza di Leu sulla cosiddetta fase due dell’esecutivo, a partire dalla verifica necessaria per stilare il cronoprogramma con cui le forze di maggioranza mirano ad arrivare a fine legislatura.
Il segnale è chiaro e non è certo quello del rinnovamento. Non rappresenta certamente la spinta verso il centrosinistra che inizia ad arrivare dai territori dopo la batosta in Emilia Romagna e Calabria. “Adesso riapriamo il tavolo di confronto con il Partito democratico in vista delle prossime regionali”, è la richiesta che arriva, anche in assemblea dei deputati e senatori, dai filo progressisti M5s che chiedono la riapertura del dossier alleanze.
In prima fila c’è il presidente della Commissione Cultura Luigi Gallo, uno dei parlamentari più vicini al presidente della Camera Roberto Fico, convinto del fatto che il M5S non possa farcela “da solo” nelle regioni. La pensano così anche colleghi come Paolo Lattanzio e Giorgio Trizzino. Il M5S ha già scelto tre candidature su sei: Alice Salvatore in Liguria; Irene Galletti in Toscana; Antonella Laricchia in Puglia.
Tutte confermate da Crimi, anche se in teoria si tratta di una candidatura “eventuale” da mettere in campo solo nel caso in cui venga scartata l’ipotesi di una candidatura esterna e civica da concordare con eventuali altre forze politiche. Tanto che nel caso della Liguria si starebbe ragionando su una candidatura sul modello Umbria, cioè un candidato civico da sostenere con il Pd. Ammesso che il Pd sia d’accordo e rinuncia a una candidatura politica.
Mancano all’appello la Campania, il Veneto e le Marche, regione, quest’ultima, dove i pentastellati hanno già annunciato di voler correre da soli: “Non ci sono le condizioni politiche per pensare a un patto civico che comprenda anche i partiti”, si legge in una nota del M5S del 16 gennaio, diramata al termine di un incontro tra l’ex leader Luigi Di Maio, il responsabile delle campagne elettorali Danilo Toninelli e i due referenti marchigiani.
In Campania il processo è in via di definizione: per questa domenica è prevista una riunione di tutti gli attivisti locali per decidere come muoversi, se andare con un candidato targato M5s o cercare una candidatura esterna in accordo con i dem. Un’ipotesi, questa, che ha parecchi sostenitori. Ma anche tanti detrattori, non ultimi i vertici grillini, vecchi e nuovi.
(da “Huffingtonpost”)
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