CAOS ARMATO A TRIPOLI (PORTO SICURO PER SALVINI)
BATTAGLIA IN CORSO, SERRAI SEMPRE PIU’ DEBOLE… FARNESINA: “PRONTI A OGNI EVENIENZA”
Più che un caos armato, ormai è un tentativo di golpe. Obiettivo praticato: far cadere il governo guidato da Fayez al-Serraj.
La battaglia di Tripoli ha questo come posta in gioco. Il premier cerca di resistere e ha dato mandato alla milizia Forza Anti Terrorismo di Misurata, guidata dal generale Mohammed Al Zain, di entrare nella capitale per organizzare un nuovo cessate il fuoco e far terminare le violenze nella periferia sud della città .
Ma a pochi chilometri dal centro sono ripresi gli scontri.
Tripoli resta un campo di battaglia con “violenti scontri fra la 7/a Brigata e la sicurezza centrale» in corso nell’area Abu Salim: lo riferisce un tweet dell’emittente Al Ahrar citando una “fonte della sicurezza” e riferendosi alla milizia ribelle che sta attaccando Tripoli e ad una (che la sta affrontando in un zona a meno di 6 km in linea d’aria da Piazza dei Martiri, il centro della capitale libica, situato sul mare).
Il bilancio degli scontri scoppiati la scorsa settimana è di almeno 47 morti, tra cui numerosi civili, e 130 feriti. Lo ha comunicato il ministero della Sanità libico, secondo quanto riferito dai media locali.
Gli scontri sono iniziati quando la Settima Brigata, di stanza a Tarhouna (città a 60 km da Tripoli), ha attaccato alcune aree della zona sud della capitale in mano a milizie che sostengono il governo di concordia nazionale. La 7/a brigata per quasi un anno e fino all’aprile scorso era stata dipendente dal Governo di accordo nazionale (in particolare il suo ministero della Difesa) ma poi era stata sciolta come ricordato di recente dallo stesso Serraj. La milizia è guidata dai fratelli Kany (da qui l’altro nome con cui è nota: Kaniyat).
Dalla settima brigata di Tarhouna dicono di volere riconquistare Tripoli per spazzare via i miliziani di Serraj, che accusano di essere corrotti, per formare un nuovo esercito nazionale unificato.
Dicono anche di avere rifiutato il denaro offerto loro da Serraj stesso (circa 250 dollari a testa) per convincerli a ritirarsi dalla capitale. In questa fase degli scontri, stando alla fonte di Al Ahrar, acombattere la 7/a è dunque la “Forza di sicurezza centrale Abu Salim”, una milizia guidata da Abdul-Ghani Al-Kikli, detto “Ghneiwa” da cui l’altro nome della formazione.
Assieme alle Brigate Rivoluzionarie di Tripoli (Tbr, note anche come “Prima Divisione” del Ministero dell’Interno, gestite da Haitham al-Tajouri), al gruppo islamista fortemente anti-Haftar e anti-Isis detto “Nawasi” (o “Ottava Divisione”) e alle Forze Speciali Radaa (di cui è leader Abdel Raouf Kara), le Abu Salim sono uno dei quattro pilastri dell’attuale controllo del territorio a Tripoli. L’obiettivo dei miliziani — secondo il Consiglio presidenziale, altro nominativo del governo Serraj – —”è quello di interrompere il processo pacifico di transizione politica” cancellando “gli sforzi nazionali e internazionali per arrivare alla stabilizzazione del Paese”.
Approfittando dei combattimenti, almeno 400 detenuti sono evasi dal carcere nella periferia sud di Tripoli a seguito di una rivolta, ha annunciato la polizia giudiziaria. “I detenuti sono riusciti a forzare le porte e uscire” dopo “un tumulto e una rivolta” dovuti a combattimenti tra milizie rivali in prossimità del carcere di Aine Zara, secondo la polizia. Non è stato chiarito per quale genere di reati fossero in carcere i detenuti evasi.
Molti dei detenuti del carcere di Ain Zara sarebbero sostenitori dell’ex leader libico Muammar Gheddafi, condannati per le violenze durante la rivolta del 2011.
Un colpo ulteriore alla capacità di Serraj di garantire la sicurezza nel Paese è arrivato con la scomparsa di Mohamed al Haddad, comandante della Zona militare centrale. Pare sia stati sequestrato dalle milizie rivali nella sua città natale, a Misurata. Haddad era stato nominato da Serraj stesso con il compito di garantire il rispetto del cessate il fuoco tra le milizie.
In Libia ci sono due governi: uno è quello riconosciuto dall’Onu, guidato a Tripoli dal primo ministro Serraj, appoggiato Turchia e Qatar. L’altro è quello del generale Khalifa Haftar, comandante della Cirenaica, sostenuto dagli Emirati Arabi Uniti e dall’Egitto, in modo esplicito, e “sottotraccia” ma neanche tanto dalla Francia.
Ognuno dei due governi ha una propria banca centrale e una compagnia petrolifera nazionale.
In più, nel resto del Paese imperversano centinaia di milizie armate, che si combattono per ottenere più potere e ricchezza, anche alleandosi con i trafficanti di esseri umani o sviluppando il contrabbando di armi o di petrolio.
Per resistere al golpe orchestrato da Haftar, Serraj deve pagare pegno alle milizie rimastegli fedeli, le quali hanno guadagnato nel tempo molto potere sull’esecutivo di Serraj, diventato col tempo sempre più debole.
Secondo gli analisti, in cambio della difesa del governo sostenuto dall’Onu, i miliziani fedeli avrebbero ottenuto risorse sempre maggiori, a cui ora anche le altre milizie, quelle finora escluse, puntano con forza. E Serraj non è riuscito a smobilitare le forze irregolari e a integrarle nel suo sistema di difesa e in un apparato di sicurezza, suscitando la reazione delle altre milizie che si sono coalizzate nel corso degli ultimi mesi e ora — con la scusa di ribaltare un sistema corrotto che “affama i libici” — pretendono “una fetta della torta”, in particolare derivanti dai pozzi petroliferi.
Dagli scontri di Tripoli agli appelli di Bruxelles. Un portavoce della Commissione europea è intervenuto per chiedere ” a tutte le parti in Libia di cessare immediatamente le ostilità .
Non c’è soluzione militare per la situazione nel Paese, solo politica. L’escalation della violenza sta minando una situazione che è già fragile. La violenza porterà solo altra violenza a svantaggio dei libici”. L”Onu ha convocato per domani, 4 settembre, un vertice d’emergenza sulla sicurezza a Tripoli.
Si legge in una nota: “Sulla base delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza e dell’offerta del Segretario generale delle Nazioni Unite di mediare e di rispondere alle richieste delle varie parti, compreso il governo di accordo nazionale riconosciuto a livello internazionale, Unimil (la missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia, ndr) invita le varie parti interessate a un incontro allargato”, recita un comunicato del Palazzo di Vetro. Unsmil ha convocato per domani alle 12 “in un luogo che verrà annunciato in seguito” le varie parti coinvolte nella recente escalation di violenza a Tripoli. Nella nota diffusa da Unsmil si legge che l’obiettivo dell’incontro è quello di avviare un “dialogo urgente sull’attuale situazione della sicurezza a Tripoli”. La convocazione segue quanto scritto nelle “pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza Onu”.
La battaglia di Tripoli è seguita con particolare attenzione, e inquietudine, da Roma. Anche se l’ambasciata italiana ufficialmente resta aperta, sono stati fatti evacuare alcuni diplomatici mentre dalla Farnesina fanno sapere che “siamo pronti ad ogni evenienza”.
Restano invece sul territorio i dipendenti dell’Eni. L’azienda ha infatti dichiarato, contrariamente alle notizie circolate precedentemente, che allo stato attuale “non c’è personale espatriato presente a Tripoli e che le attività nel paese al momento procedono regolarmente”. Attraverso una nota il governo italiano “smentisce categoricamente la preparazione di un intervento da parte dei corpi speciali italiani in Libia. L’Italia continua a seguire con attenzione l’evolversi della situazione sul terreno e ha già espresso pubblicamente preoccupazione nonchè l’invito a cessare immediatamente le ostilità assieme a Stati Uniti, Francia e Regno Unito”, si legge in una nota di Palazzo Chigi.
Al di là delle bordate polemiche e dei rimpalli di responsabilità , una cosa è certa: la Libia è oggi più che mai un Paese senza guida, precipitato nel baratro di un caos armato fomentato dall’esterno. L’incubo che torna a materializzarsi è quello di una “nuova Somalia” alle porte dell’Italia. Una terra di nessuna dove a dettar legge siano milizie, tribù e signori della guerra spacciati per statisti.
(da “Huffingtonpost”)
Leave a Reply