“CARO MATTEO, NON CI SERVE LA TUA LAVAGNA”
SETTEMILA LETTERE IN 48 ORE SOMMERGONO PALAZZO CHIGI
Matteo Renzi ha un nuovo problema con la riforma della scuola: trovare spazio negli uffici di Palazzo Chigi per le lettere ricevute dai docenti di tutta Italia.
Negli scorsi giorni il premier aveva deciso di scrivere agli insegnanti per provare a spiegare il contenuto del tanto contestato ddl “buona scuola”.
In appena 48 ore alla presidenza del Consiglio sono arrivate oltre settemila risposte. Quasi tutte negative.
Molte riguardano i criteri delle 100 mila assunzioni, che sono riusciti a non accontentare nessuno.
Ma c’è chi protesta per i poteri affidati ai “super presidi”, le detrazioni concesse agli istituti paritari, e la valutazione dei professori.
Agli insegnanti della riforma non piace praticamente nulla. E tanti hanno deciso proprio di rispedire al mittente la missiva ricevuta.
“Caro presidente, la ringrazio per averci scritto e per aver voluto semplificare i concetti”, scrive Anna Elisa Carrisi. “Ma stia sereno. Noi docenti non abbiamo bisogno di schemi alla lavagna per comprendere la sua riforma”.
“La sua lettera è perfettamente inutile: non siamo stupidi, siamo perfettamente in grado di valutare ciò che vediamo realizzarsi sotto i nostri occhi”, aggiunge Catia Di Camillo.
La lettera e la lezioncina alla lavagna sono servite a poco.
La delusione nella scuola italiana è molto alta: e per ribadirla tanti docenti hanno deciso di pubblicare su Internet, sui social network o siti specializzati (come Orizzonte Scuola) le risposte indirizzate al premier.
Così il dialogo sulla riforma della scuola si sta trasformando in una corrispondenza fitta e tutt’altro che amorosa.
Il dibattito più acceso è sulle assunzioni.
Dagli abilitati del Tirocinio formativo attivo (Tfa) a quelli dei Percorsi abilitanti speciali (Pas), sono centinaia di migliaia i precari che resteranno fuori dal piano di assunzioni. “Sono una ‘giovane’ insegnante di 33 anni — scrive Vincenza Morfeo — ma non so quanto sia esatto l’aggettivo, dettato dal momento storico e dalla precarietà a tempo indeterminato che ci imponete. Io ho superato tre prove selettive per prendere il titolo del Tfa, ora forse resterò disoccupata. Ma con questo non voglio dire che chi verrà assunto non lo merita. Non cadrò nel trabocchetto squallido di voi potenti, che cercate di scatenare una lotta fra poveri per spaccare la scuola”.
Marta Collina il premier l’ha anche conosciuto di persona: era una delle “contestatrici” ricevute da Renzi a Bologna.
E forse per questo è ancora più delusa degli altri: “Caro presidente, non le credo più. Mi aveva giurato che avreste tolto la facoltà del dirigente scolastico di poter assumere su classi di concorso per le quali non si possiede l’abilitazione. Invece è ancora lì”.
Ma sono un po’ tutti i punti della riforma ad essere contestati.
“Caro Renzi, se lo lasci dire da un’insegnante che nelle private ha insegnato per anni. Gli sgravi per le paritarie sono ingiusti, perchè tante famiglie non hanno più nulla da cui detrarre. È un aiuto per chi non ha bisogno di aiuto”.
I poteri discrezionali affidati ai presidi fanno paura: “Presidente, una buona scuola dev’essere innanzitutto giusta. Io voglio punteggi certi e uguali per tutti, voglio l’assegnazione di cattedre in maniera trasparente, non arbitraria”.
Per non parlare dello spauracchio della valutazione dei docenti: “Ci chiedete di essere giudicati? Ma valutatevi voi prima, riformate la politica, fatevi scegliere voi. E poi parliamo di come scegliere gli insegnanti”.
La corrispondenza si è trasformata nell’ennesima forma di protesta perchè in fondo i professori non credono alla buona fede del governo.
“Presidente, la smetta di intasarci la casella di posta. Dite di volerci ascoltare ma non è vero: abbiamo scritto per mesi, abbiamo partecipato alle consultazioni e ai dibattiti. Vi abbiamo detto forte e chiaro cosa non ci piaceva”, afferma Rosalinda Lo Presti.
“La verità è che a lei e ai suoi ministri ascoltare non interessa. Voi al massimo ‘sentite’, ma è un’altra cosa”.
Chissà se Renzi deciderà di rispondere.
Lorenzo Vendemiale
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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