Novembre 18th, 2011 Riccardo Fucile
DA “DEMOCRAZIA SOSPESA” A “BUONA PARTENZA”… DA UN GOVERNO “LACRIME E SANGUE” DA CACCIARE E UNO CHE “MERITA ATTENZIONE”… NELLE CONTRASTANTI DICHIARAZIONI DI BERLUSCONI E DELLA LEGA IL SEGNO DELLA PROFONDA CRISI DELLA BECERODESTRA
Sì dal Pdl e no dalla Lega. In apparenza tutto chiaro e semplice, ma le cose stanno davvero
così?
A leggere la girandola di dichiarazioni che hanno fatto da sfondo all’insediamento del governo di Mario Monti farsi venire qualche dubbio è più che legittimo.
Per capire davvero la posizione della ex-coalizione di governo occorre infatti leggere, anche tra le righe, le tante esternazioni arrivate da Silvio Berlusconi e dagli stati maggiori del Carroccio.
E il quadro che emerge è decisamente più articolato e movimentato.
Quanto ripetuto in queste ore dall’ex presidente del Consiglio ha in apparenza dello schizofrenico.
Da un lato il governo Monti rappresenta una “sospensione della democrazia”, dall’altro “ha iniziato bene”.
Da un lato durerà solo il tempo concesso dal Pdl perchè “possiamo staccare la spina quando vogliamo” (espressione poi smentita da Berlusconi, ma che nella sostanza era stata illustrata dallo stesso segretario Alfano in occasione delle consultazioni con Napolitano), dall’altro “opererà in maniera tale da essere utile al Paese per tutto il tempo che rimane”.
Contraddizioni che segnalano le difficoltà in cui si dibatte il Cavaliere, stretto dal desiderio di apparire un politico responsabile, ma allo stesso tempo intimamente proiettato verso una nuova campagna elettorale in grado di cancellare con i suoi toni urlati una legislatura trascorsa, tra problemi politici, economici, giudiziari e privati, come un autentico calvario.
Un desiderio di correre al voto che si scontra però con la consapevolezza che accelerare troppo i tempi rischia di spingere gli ex-malpancisti del Pdl dritti dritti nelle braccia di Casini.
Uno scenario che Umberto Bossi non si nasconde.
Mario Monti? “Durerà – dice il Senatur – fino a quando faranno il partito dietro di lui”.
E non c’è nessun dubbio che quel “faranno” sia riferito a Casini e Fini, pronti ad attingere a piene mani tra gli ex Dc del Popolo della Libertà .
“Sì – dice ancora il leader della Lega – (Monti, ndr) l’hanno messo loro lì”.
Berlusconi sa quindi che il tempo rischia di lavorare contro di lui, ma in questo momento non è in grado di forzare la mano e in pubblico ostenta quindi lealtà verso Monti e un inedito spirito repubblicano.
Paradossalmente all’interno della Lega la situazione è però esattamente speculare.
Anche nel Carroccio covano infatti da tempo tensioni scissionistiche.
Così per un Bossi che parlando del neo presidente del Consiglio dice “lo cacceranno quando la gente si incazzera”, lo scalpitante Roberto Maroni appare molto più cauto.
“Mi aspetto da Monti che faccia una cosa che non siamo riusciti a fare per l’opposizione del ministro dell’Economia: se rivede il patto di stabilità per far spendere soldi ai Comuni virtuosi, noi voteremo sì”.
E per un Roberto Calderoli che inveisce a più riprese contro il Professore, concludendo con la chicca “mi aspettavo lacrime e sangue, non mi aspettavo che ci fregassero anche il fazzoletto”, Flavio Tosi si spinge pesino più in là di Maroni: “Se Monti propone misure condivisibili nulla vieta che le si possa sostenere senza alcun problema”, dice il sindaco di Verona, aggiungendo quella che sembra essere una pietra tombale sulla possibilità di una ricucitura con il Pdl.
“Per esempio una patrimoniale sui grandi patrimoni sarebbe – sottolinea – di assoluto buonsenso, piuttosto che colpire in modo generico le famiglie o i Comuni come ha fatto anche Berlusconi”.
Come avrebbe detto Mao, “grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente”. Resta solo da capire per chi.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 16th, 2011 Riccardo Fucile
MONTI HA FINALMENTE ELIMINATO LA MARCHETTA LEGHISTA, MANGIATOIA PER LE TRUPPE PADAGNE… ORA CI SARA’ UN MINISTERO ALLA COESIONE TERRITORIALE COME IN TUTTI I PAESI CIVILI
Scompare con il nuovo governo di Mario Monti il ministero più caro a Umberto Bossi, il
ministero del Federalismo, sostituito con un più ecumenico dicastero per la Coesione territoriale.
Un scelta annunciata da parte di Mario Monti («Cerco la coesione tra nord e sud» aveva dichiarato nei giorni scorsi) e quasi scontato con il passaggio della Lega all’opposizione.
«Se il buongiorno si vede dal mattino allora è notte fonda e sarò felice di votare contro la fiducia al prossimo esecutivo», ha commentato il coordinatore delle segreterie nazionali della Lega Nord, Roberto Calderoli.
«Nulla da eccepire sulla qualità e sul livello delle singole persone nominate ma il riscontrare la nascita di un ministero per la coesione territoriale significa aver creato il ministero del centralismo- ha aggiunto Calderoli – ovvero che ancora una volta il Nord verrà spremuto per garantire a qualcuno di continuare a mangiare a sbafo”.
Fa sorridere che sia proprio lui, campione del mangiare a sbafo da anni con un ministero patacca, quello della Semplificazione del nulla, che solo Berlusconi poteva creare per assicurare uno stipendio a lui e alle decine di dipendenti al seguito, a parlare di roditori.
Il povero (si fa per dire) marito della signora Gancia evidentemente si intende più di spumantini che di spremute, visto che ci stanno pensando gli elettori a spremere i voti leghisti (dal 13% all’ 8% in pochi mesi) mentre lui continua a farneticare di “centralismo” e “federalismo” come se il problema non fosse invece tra “corretta e non corretta amministrazione”.
Il suo federalismo patacca sta solo producendo aumenti delle tasse locali, altro che soluzione miracolistica.
L’ex ministro dimentica persino che un dicastero simile esisteva già nel governo Berlusconi: Raffaele Fitto infatti era a capo del ministero per gli Affari regionali e la coesione territoriale. La denominazione della seconda parte è identica.
Forse lo stare lontani dal potere e dalle banche sta già determinando una crisi di astinenza in via Bellerio e Calderoli era sprovvisto di metadone.
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Novembre 16th, 2011 Riccardo Fucile
LA VOCE FUORI DAL CORO: “BASTA CON TUTTA QUESTA GENTE CALATA DALL’ALTO ANCHE NELLA LEGA”
“Ma quali elezioni subito! Non si può andare a nuove elezioni con questa porcata di legge
qui! Ben venga invece il governo di Monti, sperando che cambi finalmente anche questa schifosa legge elettorale perchè il popolo possa tornare a scegliere chi mandare in Parlamento. Basta con tutta ‘sta gente calata dall’alto. Certo, parlo anche della Lega”.
Pensi a un grillino, invece a parlare così è lo ‘Sceriffo’ di Treviso, Giancarlo Gentilini.
Un bastian contrario per definizione: se i vertici del Carroccio dicono bianco, lui dice nero.
Del tutto coerente quindi il suo gradimento per Monti, a dispetto della posizione ufficiale di Bossi. “La Lega starà all’opposizione? Beh, pazienza, per me doveva andarci anche prima — risponde secco — Non aspettare tre anni inutili in cui non è stato fatto niente. La Lega è nata per essere una sentinella, se non altro ora tornerà ad esserlo”.
In realtà per lo Sceriffo la ‘quadra’, in gergo leghista, sarebbe stata un governo guidato da Maroni, la sua nuova passione politica in perfetta sintonia con Flavio Tosi, l’altro eretico veneto, da lui ribattezzato lo Sceriffino.
“Mi sarebbe piaciuto vedere all’opera Maroni, perchè sarebbe stato l’unico in grado di guidare un governo politico di transizione in questa fase difficilissima. Non è stato possibile e allora mi va bene anche un Monti, purchè faccia le cose che deve fare e rimetta le cose a posto in questo Paese”.
Ma l’appoggio dell’alpino Gentilini all’ ministro dell’Interno va ben oltre, arrivando fino alla soglia del portone di via Bellerio.
“Lui è il vero delfino di Bossi ed è ora che prenda le redini del comando della Lega, finora è stato troppo penalizzato” dichiara senza indugio, osando sfidare già nella prossima giunta (com’è accaduto un paio di mesi fa) le ire del sindaco Gobbo, il fidatissimo uomo di Bossi in Veneto: “Non m’importa niente. Io dico quello che penso perchè non faccio il politico, faccio il sindaco e sto tutto il giorno in mezzo alla gente e so quello che il mio popolo vuole”.
Tradotto: la base leghista, in cui il gradimento per lo Sceriffo rasenta livelli di pura idolatria, vuole un vigoroso cambio di marcia del movimento.
“Io interpreto la volontà popolare — continua Gentilini — e la Lega deve tornare a sentire la gente da cui invece si è allontanata pericolosamente, stando troppo tempo a Roma fra pennichelle, ponentini e abbacchi”.
L’immagine di un certo lassismo da Palazzo “che corrompe” è dura a morire ma è anche una delle accuse più frequenti della base leghista verso onorevoli e senatori spediti in Parlamento: partono con il piglio di Attila, dopo due giorni sono già degli agnellini dimentichi.
“Anche per questo — insiste lo Sceriffo — la gente vuole tornare a scegliere i suoi rappresentanti, non limitarsi a votare quelli che vengono imposti dall’alto. C’è una grave crisi economica da risolvere e dare prospettive di lavoro ai nostri giovani, andare a votare in questo momento sarebbe molto peggio”.
Inutile sottolineare che anche stavolta la posizione di Gentilini sia praticamente unica nel panorama del Carroccio veneto, dove l’ordine di Bossi — “tutti all’opposizione” — è passato senza colpo ferire condiviso da tutti. Anche da Gentilini, anche lui in fondo sta all’opposizione.
Massimiliano Crosato
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 15th, 2011 Riccardo Fucile
BOSSI AL DIRETTIVO; “MI HA CHIESTO DI ENTRARE, CHE NE PENSATE?… DI FRONTE ALL’IPOTESI CHE POSSA ADERIRE UNA PERSONA NORMALE TRA I CAPETTI DELLA PADAGNA DEL MAGNA MAGNA SCENDE IL GELO
Era il pidiellino più amato dai leghisti, e un po’ anche anche a questo si deve la cordiale antipatia coltivata nel partitone azzurro nei confronti di Giulio Tremonti.
Ma adesso che è crollato tutto lo molla anche il Carroccio.
E a ben vedere, non è neppure una sorpresa.
Fa testo quel che è successo ieri in via Bellerio: dopo aver disertato l’incontro con Mario Monti e aver ribadito la linea dell’opposizione, Umberto Bossi guarda un faccia i suoi colonnelli, uno a no: «Tremonti mi ha chiesto di entrare nella Lega, che cosa ne pensate?».
Ne pensano malissimo, a rendere l’idea bastano gli occhi sgranati di tutti quanti, da Maroni a Reguzzoni (che non sono proprio amici), da Calderoli a Cota.
Le battute si sprecano, qualcuna è irriferibile, il leit motiv uno solo: «Non se ne parla nemmeno».
E ci si mette pure Giancarlo Giorgetti, segretario della Lega Lombarda, a distillare altro veleno: «Vuole venire da noi? Bene, presenti domanda per diventare socio ordinario alla sezione della Lega più vicina a casa sua».
Socio ordinario: presentarsi con il modulo, please.
Così trattano adesso l’«amico Giulio», la sponda inossidabile di Bossi dentro il partito di Berlusconi.
Una presa di distanza che certifica le difficoltà crescenti del superministro, in questi anni protagonista di memorabili scontri con i suoi colleghi, specialmente quelli pidiellini, titolari di dicasteri con portafogli.
Che si sono visti sistematicamente rifiutare ogni richiesta di riduzione dei tagli voluti dal Tremonti custode del rigore. Come la Mariastella Gelmini, sempre costretta a mordere il freno e a fare in pubblico buon viso a cattivo gioco di fronte all’irremovibilità del successore di Quintino Sella.
E a beccarsi gli insulti di studenti e genitori in piazza.
Questa la sostanza, ma c’è anche la forma: quella di Tremonti a volte risulta sgradevole, come quando, nell’altro esecutivo Berlusconi, rispose così alla Moratti che si lamentava per i tagli: «Letizia, il governo non è tuo marito».
Al pari della Moratti e la Gelmini, troppi altri hanno patito.
Per non parlare di Berlusconi, entrato in un’irrimediabile rotta di collisione negli ultimi mesi, con la crisi prima negata (da entrambi) e poi arrivata a un punto di non ritorno che tuttavia non è bastato a rendere meno acute le divergenze sulla medicina da proporre al Paese.
E a diradare i dubbi di intelligenza con il nemico, se si pensa a come, anche dalle parti dell’opposizione, si è guardato a Tremonti come alternativa possibile al Cavaliere Leggendari, e non da adesso, gli scontri con il governatore lombardo Formigoni, e le liti con Brunetta così omaggiato in un ormai famoso fuorionda: «È un cretino».
Agli annali rimane anche il lamento feroce di Mario Mantovani, coordinatore del Pdl in Lombardia, che a inizio ottobre così parlava all’assemblea regionale del suo partito, disertata dal titolare dell’Economia: «Tremonti va solo alle feste della Lega, vorremmo che qualche volta venisse anche alle nostre iniziative, l’abbiamo sempre invitato ».
Già , anche in piena tempesta finanziarie, un paio di settimane fa, Tremonti non ha rinunciato alla tradizionale festa della zucca di Pecorara, nel Piacentino.
Presentandosi insieme a Bossi e agli stati maggiori della Lega.
Ma adesso lo mollano anche loro, i padani.
E le ragioni sono più o meno le stesse, come sa benissimo Maroni, l’uomo del Viminale che più volte si è lamentato per i tagli al suo ministero.
Fosse solo lui, si capirebbe, ma di recente, e per motivi più politici, è sceso il gelo anche con Calderoli, considerato fino all’altro ieri il più tremontiano dei leghisti.
Ma nonostante la terra bruciata che gli stanno facendo tutto intorno, il ministro dell’Economia non ha alcuna intenzione di abbandonare la politica.
Anche se non sa bene il “come”, e soprattutto il “dove”, non ci sta a farsi cancellare tutto d’un botto.
Rodolfo Sala
(da “La Repubblica“)
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Novembre 15th, 2011 Riccardo Fucile
lL CARROCCIO HA ORMAI PERSO IL SUO POPOLO E NON SARA’ UN MAQUILLAGE A RESTITUIRGLI CREDIBILITA’…NON HA SAPUTO INTERPRETARE IL CAMBIAMENTO DELLA SOCIETA’, FINENDO PER DARE VITA AL PEGGIOR CLIENTELISMO FAMILISTA DELLA REPUBBLICA
Se l’astuto Di Pietro cerca spazio mascherandosi da improbabile succedaneo dell’anticapitalismo indignado, mentre il trio Ferrara-Feltri-Sallusti strattona il suo Oligarca di riferimento affinchè guidi un’improbabile rivolta contro la tecnocrazia europea, tocca invece alla Lega vivere il risveglio più amaro.
Contro il governo Monti «ci rifacciamo la verginità », è scappato detto a Umberto Bossi. Una metafora che si presta a fin troppo facili controdeduzioni.
Perchè quella metafora riconosce la perdita dell’innocenza; e il rimpianto in politica è sinonimo d’impotenza.
Non è un caso se la forza più accreditata a guidare l’opposizione sociale contro le ricette amare del risanamento, cioè la sinistra critica di Vendola, fornisce una prudente apertura di credito a Monti e preserva l’alleanza col Pd: la sfida globale al monetarismo e alla grande finanza nulla hanno a che spartire con la goffa convergenza populista Di Pietro-Bossi-Ferrara, destinata al flop.
Benchè ostenti sollievo, l’uscita dal governo nazionale rappresenta per la Lega una grave sconfitta; difficilmente rimediabile asserragliandosi nelle tre grandi regioni del Nord. Rifarsi una verginità non è dato in natura.
E neanche in politica.
Per quanto l’Italia rifugga il puritanesimo de La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne, il popolo ti chiederà sempre perchè, e con chi, hai sacrificato l’illibatezza di cui menavi gran vanto.
Questo è il punto: gli elettori vanno e vengono, ma la Lega ha perduto il popolo mitico, trasfigurato, della sua fondazione.
Nel governo di Roma e degli enti locali ha consolidato un ceto politico desideroso di perpetuarsi, ma l’età dell’oro, la Lega delle origini, esiste solo nel passato remoto di quelle biografie.
Un dramma simile si era consumato allorquando i post-comunisti si distaccarono non solo dall’ideologia, ma anche dall’universo proletario che li aveva generati. Mai più l’ha ritrovato.
Magari bastasse il revival, la scimmiottatura dei linguaggi, perfino un’improbabile rottura dell’alleanza col Pdl senza cui peraltro decadrebbero le amministrazioni leghiste.
Il ceto politico del Carroccio ha rivelato notevoli capacità manovriere di allargamento delle sue quote di potere, ma intanto la storia correva: nessuna delle opzioni politiche leghiste — il federalismo, la xenofobia, la rivolta fiscale, il paganesimo, il cattolicesimo reazionario — è stata in grado di preservare nei tempi nuovi la sintonia con quel popolo. Nel mondo in subbuglio, da una parte l’imprescindibile Unione europea e dall’altra l’imprevisto delle rivoluzioni mediterranee svelavano la fragilità delle soluzioni localiste. Semmai restavano da giustificare i troppi compromessi imbarazzanti con la malapolitica, l’ultimo dei quali — sostituire Berlusconi con Alfano — è apparso solo un espediente maldestro.
Il progetto di travasare nella Lega l’elettorato berlusconiano deluso al Nord ha subito una battuta d’arresto alle amministrative di primavera, non solo a Milano.
Mirava a completare con la conquista della regione Lombardia una supremazia padana che, giunti a questo punto, si rivela problematica.
Il ceto politico leghista non si può permettere di andare da solo a elezioni nazionali col premio di maggioranza, nè può separarsi dal Pdl in Piemonte, Veneto e Lombardia.
Il bluff di Bossi — la parola al popolo, subito al voto — ormai è scoperto.
La carta Tremonti è divenuta inservibile.
Il banchiere Ponzellini? Meglio far finta di non conoscerlo.
La Lega che nel 2008 raddoppiò i suoi voti presentandosi come interprete di un territorio, tre anni dopo si mette in cerca della verginità perduta in un passato irripetibile perchè non ha saputo corrispondere alle incognite dei tempi nuovi.
Serpeggiano ancora per il “suo” territorio le inquietudini da cui fu generata, ma un ceto dirigente compromesso col peggior potere italiano non ha più nemmeno le credenziali per incarnare l’antipolitica.
È probabile che debba presto fronteggiare nuovi competitori a destra, sul suo stesso terreno.
Se anche l’operato di un eventuale governo Monti susciterà reazioni anti-èlitarie, non tutte fondate su istanze di giustizia sociale, ma invece esasperate nel solco della protesta localista, pare improbabile che si affidino ai vecchi “leghisti romani”.
Reduci da una stagione indecorosa di cui sono stati fra i peggiori protagonisti. Comprendo la sofferenza di Bossi, un uomo che non si è arricchito con la politica, anche se si è macchiato del peggiore clientelismo familista.
Ma nessun popolo potrà riconoscergli l’innocenza, la verginità perduta.
Gad Lerner
(da “La Repubblica“)
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Novembre 15th, 2011 Riccardo Fucile
VIAGGIO TRA GLI ABITANTI DI UNA VALLE CHE HA DATO IN PASSATO ANCHE L’80% DEI CONSENSI ALLA LEGA… “SONO STATI A ROMA PER ANNI: SI SONO RIEMPITI LE TASCHE E LA PANCIA, TANTE PROMESSE MA NON ABBIAMO VISTO NIENTE, ALTRO CHE ROMA LADRONA, E’ LA LEGA LADRONA”…”QUA BOSSI E MARONI NON SI FANNO PIU’ VEDERE, TIRA BRUTTA ARIA PER LORO”…E LA LEGA HA GIA PERSO TANTI COMUNI
Troppo tardi. “Non si può scendere dal treno quando è deragliato”. 
Con il buio in Val Seriana c’è un freddo che fa male.
Dai monti scende un vento scuro e la vita si rifugia nelle case con le finestre illuminate di chiaro e di violetto: la televisione.
Si guarda il telegiornale dopo cena — perchè qui ci si alza all’alba per lavorare — e si commenta in dialetto.
Soprattutto quando sul video passano loro, Umberto Bossi, Roberto Maroni.
Siamo nel cuore del Nord leghista, nella valle bergamasca dove il Carroccio sfiorò l’80 per cento: addio alla vecchia Dc, la svolta che prometteva di cambiare l’Italia partiva da queste valli dimenticate da Dio.
Qui nel 1990 il Senatùr e i suoi conquistarono il loro primo sindaco, Franco Bortolotti di Cene.
Eccolo, “il Roberto”, perchè Maroni anche se è ministro lo chiamano per nome, che dalla tivvù annuncia la linea: “Se il Parlamento deciderà di votare la fiducia a un nuovo governo passeremo all’opposizione”.
Lo conferma Umberto Bossi: “Faremo opposizione al governo Monti”.
Insomma, si torna alla Lega di lotta.
Ma la reazione è tiepida: “Troppo tardi. Sono stati a Roma per anni, si sono riempiti le tasche e la pancia. Delle promesse che ci hanno fatto non abbiamo visto neanche l’ombra. E adesso si credono di fare finta di niente…”, sibila Elvira Ferrari mentre con un orecchio ascolta la televisione e intanto prepara il cestino che domani il marito porterà in cantiere.
Aggiunge: “Da queste parti Bossi e soci non si fanno più vedere perchè tira una brutta aria. La Lega non ha il coraggio di mettere un chiosco”.
Elvira non è una politologa.
E, però, per capire che aria tiri da queste parti valgono più le sue parole che i discorsi di un pezzo grosso di partito.
Perchè in Val Seriana la politica è roba concreta, “mica tante balle”.
Si fa nelle case, nei bar affacciati sui vicoli. Frasi calate tra una carta e l’altra di una partita a briscola. Valeva ai tempi dei trionfi della Lega, quando in Val Seriana piombavano i reporter del New York Times.
E vale anche oggi: “Altro che Roma ladrona, bisogna dire Lega ladrona”, tuona Giovanni Ongaro, 53 anni.
È stato uno dei leghisti della prima ora, dal 1987 con Bossi, poi in Parlamento. Ma adesso è un nemico giurato del Carroccio: “Bossi, Maroni e company sono diventati più romani dei romani. E i risultati si vedono, stanno perdendo tutta la valle”.
E giù a enumerare i comuni che la Lega ha perso in una manciata di anni: “Gandino, Castione della Presolana, Leffe, Ardesio… perfino Albino, la nostra ‘città ‘ che ha quasi ventimila abitanti”.
Chi l’avrebbe detto? Ha vinto il centrosinistra, mentre il Pdl ha cacciato il sindaco del Carroccio e ha imposto un suo candidato.
Pier Giacomo Rizzi, l’ex sindaco ha corso da solo: “L’ho fatto per far perdere la Lega, e ci sono riuscito. Al ballottaggio ho appoggiato il centrosinistra, perchè hanno ideali diversi, ma sono gente di cui mi fido. Questo governo ha fatto solo danni: più tasse locali, tagli selvaggi e un federalismo che è una patacca. Ad Albino nel 2011 arriveranno 60 mila euro in meno e il prossimo anno ci toglieranno addirittura 600 mila euro. Eccola la Lega al governo!”, non ha dubbi Rizzi.
Spiega: “Il segreto della Lega era la buona amministrazione che partiva dal territorio. Ma poi hanno cominciato a fare affari. Io avevo bloccato le nuove costruzioni perchè qui rischiamo di mangiarci la nostra terra con il cemento… e così sono stato cacciato via perchè non ho seguito la politica palazzinara. Ma la gente non è stupida e ha abbandonato la Lega”.
Alla fine ha vinto Luca Carrara (centrosinistra): “Abbiamo fatto una proposta seria e gli elettori ci hanno premiato. Nella Lega c’era un malumore fortissimo, il partito si era fatto imporre perfino un candidato del Pdl”.
L’imputato numero uno è lui, Bossi.
E pensare che fino a pochi anni fa quando pronunciavi il suo nome quasi si toglievano il cappello. A Pontida, che sta a due passi, correvano tutti ad applaudirlo.
Invece adesso il Senatùr meglio che non si faccia vedere: “Lui e il suo familismo: prima il clan della famiglia Marrone, la moglie. Poi addirittura il figlio, il Trota. Vergogna…”, sbotta Ongaro. Certo, ormai è un avversario politico, con la sua Unione Padana.
Ma tanti la pensano così: “Noi siamo gente che lavora. Bossi ha sempre campato senza lavorare”. I vecchi slogan si ritorcono contro il leader.
La lega non è morta. Se qualcosa, però, sopravvive non è merito dei leader, ma dei sindaci, dei consiglieri comunali.
Cesare Maffeis, il sindaco leghista di Cene, all’inizio mostra sicurezza: “Io ho preso il 67 per cento dei voti. Qui in 20 anni la Lega ha dato un buon esempio di governo. Noi abbiamo un legame personale con la nostra gente”.
Ma poi i problemi vengono fuori: “La Val Seriana aveva il Pil pro capite più alto d’Europa e adesso ogni giorno c’è un’azienda che chiude. Io sto lottando per tenere l’ambulanza medicalizzata qui… non esiste che in trenta chilometri di valle non ci sia un’ambulanza. Non esiste”.
Ecco, la Lega di lotta, ma è dura quando al governo ci sono i tuoi.
Alla fine anche Maffeis ammette: “La base leghista avrebbe desiderato una rottura anticipata, molto anticipata. Ci sono dei problemi, c’è tensione”.
Si sale per la valle, tra le case color pastello, discrete come il carattere degli abitanti.
Tra i capannoni delle fabbriche tessili, delle grandi officine meccaniche.
Sono passati venticinque anni da quando “l’Umberto” saliva su per di qua con la sua Citroà«n Pallas scassata.
Altri tempi: “Adesso ha l’auto blu e pensa alla sua famiglia. Ma noi vogliamo solo che le nostre fabbriche non chiudano e che le nostre tasse non finiscano tutte al Sud”.
Ferruccio Sansa e Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 14th, 2011 Riccardo Fucile
BUFFONI PADANI: ALLA FINE DEL PRIMO GOVERNO BERLUSCONI, PER IL SENATUR “MONTI ERA IL MIGLIORE”, “UNO AUTONOMO E CHE PARLA CHIARO”…E BOSSI AUSPICAVA “UN GOVERNO DI TECNICI, CON ALTE PERSONALITA”
La Lega dice no a Monti, invocando il rispetto del voto popolare: “Come si fa a sostenere un governo che farà portare via tutto, che privatizzerà le municipalizzate?” si è chiesto Bossi alla Camera.
Eppure nel 1995, alla fine del primo governo Berlusconi, la pensava diversamente sul’economista della Bocconi.
Erano i giorni in cui l’allora presidente della Camera, Carlo Scognamiglio, sembrava vicino all’incarico che poi andò a Dini. “Non mi fido di chi può essere condizionato da Berlusconi, il quale disprezza la democrazia. Io preferisco Mario Monti: parla chiaro e non deve rispondere a nessuno”.
Ecco l’intervista pubblicata allora sul Corriere della Sera
Onorevole Bossi, Forza Italia indica Lamberto Dini come premier. Lei gli darebbe la fiducia?
“Ho sempre detto che penso ad un economista. Pero’ ci vorrebbe un economista vero, che abbia un minimo di visione politica: nelle mani di un ragioniere, finiamo nel marasma”.
Nel toto premier c’ e’ il presidente del Senato Scognamiglio. Le pare una scelta migliore?
“Non mi fido di chi puo’ essere condizionato da Berlusconi, il quale disprezza la democrazia. Io preferisco Mario Monti: parla chiaro e non deve rispondere a nessuno”.
E chi vorrebbe in questo governo?
“Io vedo due ipotesi: o un governo con quattro o cinque ministri politici, alla Giustizia, agli Interni…”.
E l’ altra ipotesi?
“Un governo di tecnici, di alte personalita’ con, che so, Di Pietro alla Giustizia”.
Torniamo al governo. Lei ha fatto i conti, c’ e’ una maggioranza per sostenerlo e non andare alle elezioni?
“Ho fatto la mia battaglia, quando nessuno capiva, ho fatto cadere un peronista, uno che ogni sera, dal suo balcone, entrava in ogni casa a fare il lavaggio del cervello alla gente”.
Il governo trovera’ i voti anche su leggi come l’ antitrust o la riforma della Mammi’ ?
“Quando arrivera’ in aula uno di questi provvedimenti, un pezzo di Forza Italia votera’ contro e un altro a favore. Magari dovremo fare qualche mediazione, la legge non sara’ severa come voglio io”.
Non e’ che se bocciate il presidente del Consiglio di Forza Italia, alla fine si fa un ribaltone?
“Non ce ne fotte niente. C’ e’ solo una cosa che e’ “ribaltata”: la banda del buco, la banda di Bettino. Dovra’ spiegare da dove vengono i soldi, le societa’ anonime, i miliardi. Io ho venti volumi di documenti sulla P2, ci sono i nomi di Berlusconi e di tal avvocato Previdi”.
Berlusconi l’ ha accusata di averlo minacciato: o ti togli dalla politica o ti rovinero’ . E’ vero?
“Ridicolo. Io sono molto diretto, esplicito. L’ ho sempre detto che il suo monopolio, creato da Craxi, e’ antistorico. Piuttosto il golpe l’ ha fatto lui: che cosa fanno i golpisti come primo atto? Occupano la tv”.
4 Gennaio 1995
Corriere della Sera
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Novembre 14th, 2011 Riccardo Fucile
LA SOLITA FIGURA DI MERDA: I MILIONI SONO 70, MA VANNO AD ALTRI OSPEDALI… IL SOTTOSEGRETARIO LIGURE, ORMAI EX, DOVRA’ TROVARE UN NUOVO PARCHEGGIO PER LA SUA PORSCHE CAYENNE CHE SISTEMAVA NEGLI SPAZI GRATIS DELLA QUESTURA
Francesco Belsito, leghista, sottosegretario per la semplificazione normativa, nell’ultimo venerdì del governo Berlusconi, sognava l’ultimo momento di gloria, ma gli è andata malissimo e ha fatto l’ultima brutta figura, prima di salutare la dorata poltrona.
L’occasione era ghiotta, soldi all’ospedale Gaslini: chi riesce a far arrivare 35 milioni di euro e a metterci il cappello sopra ha gloria e riconoscenza garantita.
Anche perchè sono ormai due anni che l’ospedale aspetta 50 milioni di euro da Roma.
Il Gaslini deve rassegnarsi: quei 35 milioni sono stati un sogno di appena mezz’ora.
La beffa brucia ancora di più perchè i fondi stanziati sono 70 ma finiranno ai rivali del Bambin Gesù, al Gemelli e al San Raffaele.
Il venerdì delle beffe inizia alla due del pomeriggio quando Belsito manda un comunicato stampa: “Ancora una volta, grazie all’intervento della Lega Nord, abbiamo ottenuto un importante risultato a difesa del nostro territorio e degli interessi della nostra gente. Grazie al leghista Garavaglia sono stati stanziati 35 milioni a favore dell’ospedale Gaslini, eccellenza in termini di sanità pediatrica a ivello nazionale. Una conferma che la Lega alle parole antepone i fatti”.
Alle 15 però il direttore del Gaslini commenta: “Magari, non mi ha detto niente nessuno”.
Cerca Belsito, non lo trova ma quando telefona al ministero un funzionario lo rassicura: “Tutto a posto, se vuole le inviamo il provvedimento”.
Il presidente del Gaslini va a fondo, non si fida: due telefonate e la beffa è chiarita. “Il finanziamento è per altri, per il Gaslini non c’è un centesimo”.
E Belsito?
Riappare solo alle 18.53 con un comunicato retromarcia dove la parola Lega scompare due volte su tre: “In merito al precedente comunicato in cui riferivo una notizia avuta dal sen. Garavaglia di uno stanziamento di 70 milioni riferiti alla legge Mancia, metà dei quali destinati al Gaslini, preciso che saranno ripartiti tra San Raffaele, Bambin Gesù e Gemelli. Rimane l’impegno mio e della Lega Nord a sostenere il Gaslini”.
Parole dopo la figuraccia, ma niente Mancia.
L’unica notizia positiva è che a giorni l’ex buttafuori da discoteca non sarà più sottosegretario e dovrà trovarsi un parcheggio a pagamento sottocasa per la sua Porsche Cayenne che piazzava in quelli gratuiti riservati alla Questura.
Magari avrà più tempo per cercare la sua sedicente laurea e produrne finalmente l’originale alla stampa.
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Novembre 12th, 2011 Riccardo Fucile
AL SENATO NEL DDL SULLA STABILITA’ ARRIVANO GLI ULTIMI REGALI
Passano gli anni, le crisi si sommano alle crisi, ma lei è sempre lì: l’eterna legge mancia,
spuntata ieri persino nel disegno di legge Stabilità con cui Silvio Berlusconi saluta Palazzo Chigi, 150 milioni che i parlamentari potranno spendere sul territorio come gli detta l’uzzolo del momento.
Spiegare davvero cos’è, al di là dell’espressione giornalistica, è più complesso: è spesa pubblica improduttiva, soprattutto, e contemporaneamente la plastica rappresentazione della subalternità del Parlamento all’esecutivo.
Nella Prima Repubblica, per dire, la legge mancia non c’era: deputati e lobbisti s’arrangiavano da sè, senza chiedere il permesso a nessun ministro, spendendo e spandendo dopo un paio di mesi di estenuanti trattative, blandizie e ricatti, spesso notturni, nei corridoi fumosi del Parlamento.
Conoscevano l’arte, loro, di strizzare la Finanziaria fino a farne zampillare fuori soldi per una miriade di favori di collegio, privati o di cricca.
Il nuovo millennio, come si sa, è un tempo più ingrato e triste e pure piazzare l’emendamento giusto al momento giusto dentro la legge di bilancio è diventato troppo difficile.
Per evitare malumori, però, Giulio Tremonti — eterno pure lui — nel 2003 fece un patto coi suoi affamati parlamentari: voi votate la manovra com’è e io vi lascio qualche centinaio di milioni per farvi gli affari vostri o, volendo, dei vostri elettori.
La legge mancia, appunto.
Anche il governo di Romano Prodi se ne concesse una al debutto, anche se poi la abolì con la Finanziaria 2008.
Ma la legge mancia è rimasta morta solo per un annetto: nel 2009 Silvio Berlusconi e il “rigorista” Tremonti già l’avevano fatta risorgere.
Ci si fa di tutto: ponti, strade, chiese, teatri, finanziamenti per società sportive, progetti culturali e scuole.
Ne sa qualcosa la signora Manuela Marrone in Bossi, che s’è vista arrivare 800 mila euro per la sua “Bosina”, una scuola privata.
La legge mancia è l’unica funzione davvero imprescindibile di un Parlamento svuotato dalla sua funzione di legislatore dai mille decreti con mille fiducie del governo. Quest’anno, per dire, ce n’era già stata una piccola piccola a marzo, quando era stata distribuita la miseria di due milioni e seicentomila euro (parrocchie, conventi, monasteri e associazioni cattoliche l’avevano fatta da padroni).
Adesso però — tra spread, crescita zero, commissariamento internazionale, rischio default — si pensava che non ci sarebbe stato spazio per lasciare pure gli spiccioli ai parlamentari. Grosso errore: ieri alle 18 in punto il relatore del ddl Stabilità in Senato, Massimo Garavaglia, leghista, ha depositato in commissione il suo bell’emendamento.
Questo il contenuto : si rifinanzia per 100 milioni nel 2012 e 50 nel 2013 il fondo per “interventi urgenti finalizzati al riequilibrio socio-economico e allo sviluppo dei territorio e alla promozione di attività sportive e culturali e sociali ” istituito con la Finanziaria 2010, cioè la legge mancia di un anno fa.
Non si sa ancora, però, per quali decine di interventi verranno utilizzati questi soldi: ci penserà un decreto del Tesoro che recepirà la lista della spesa votata dalle commissioni Bilancio (storicamente si tratta di un voto bipartisan).
Bisogna pure ricordarsi che nel 2012 o nel 2013 si vota e non ci si presenta a casa degli amici a chiedere un favore senza portare almeno un regalino: tre milioni, per dire, nel ddl stabilità li ha rimediati pure Radio Radicale, le basteranno per finanziarsi fino a marzo, in attesa del nuovo governo.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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