Settembre 1st, 2011 Riccardo Fucile
GRANATA DICHIARA CHE FUTURO E LIBERTA’ SOSTERRA’ I QUESITI REFERENDARI…POCO DOPO BOCCHINO LO SMENTISCE E SI ALLINEA A CASINI PARLANDO DI “VIA PARLAMENTARE” PER LE MODIFICHE… ANCHE NEL PD FRATTURA TRA BERSANI E FRANCESCHINI…DIO CI SALVI DAGLI ETERNI PRUDENTI (E INCONCLUDENTI)
Si allarga il fronte del referendum abrogativo della legge elettorale. 
E arriva a spaccare, dopo il Pd, anche Fli.
Mentre Pierferdinando Casini imbocca decisamente con la sua Udc la via parlamentare, invitando Pier Luigi Bersani a discutere lì della cancellazione del Porcellum, a partire dalla proposta di legge Pd.
Ma tra i democratici si allargano di ora in ora le fila di chi vorrebbe un sostegno esplicito del partito ai quesiti.
E Dario Franceschini, nella riunione del coordinamento, chiederà al segretario di cambiare rotta: «Lanciamo tutto il Pd nella battaglia referendaria».
Le divisioni tra i finiani sul fronte elettorale emergono in serata.
Al termine di una riunione dell’ufficio politico, Fabio Granata dichiara infatti che Fli «sosterrà » i quesiti.
Ma il deputato viene a stretto giro corretto dal vicepresidente Italo Bocchino, che spiega che tra i dirigenti sono emerse «posizioni diversificate».
E aggiunge che «c’è il convincimento» che il Porcellum vada cambiato, ma «non è il referendum lo strumento più adatto in una materia dove partiti e Parlamento dovrebbero prendersi le proprie responsabilità ».
Su quest’ultimo punto non ha dubbi l’Udc, che non ci pensa proprio ad avallare l’abolizione referendaria del Porcellum e tornare così al Mattarellum.
«Stiamo parlando del nulla – taglia corto Pier Ferdinando Casini – la Consulta non potrà mai accettare un referendum con questa impostazione».
Il leader Udc abbraccia dunque la via di una riforma parlamentare della legge elettorale.
E offre una sponda a Bersani, dichiarando la disponibilità del suo partito a discutere nelle commissioni di Camera e Senato la proposta presentata dal Pd
Perplesso sul referendum anche Massimo D’Alema, che definisce la proposta parlamentare del Pd «un buon punto di partenza».
La posizione del Pd sarà comunque discussa e definita domani, in una riunione del coordinamento del partito.
Bersani ancora ieri si è detto convinto che sul referendum bisogna «lasciare lavorare la società civile».
Ma Dario Franceschini ribatte che «nessuno capirebbe una prudenza del Pd ad appoggiare un’iniziativa che vuol restituire ai cittadini il diritto di scegliersi chi deve rappresentarli».
Dunque il capogruppo alla Camera, deciso a firmare i quesiti, chiederà al segretario di lanciare da subito l’intero partito nella campagna referendaria.
Ma sul punto i democratici sono divisi, perchè se Piero Fassino oggi fa seguire la sua firma a quelle di Romano Prodi e Walter Veltroni, c’è chi, come i fioroniani, chiede invece di seguire la via parlamentare.
Intanto Antonio Di Pietro, che i banchetti referendari li ha inaugurati da settimane, usa l’arma dell’ironia: «Ringraziamo le grandi personalità che finalmente hanno apposto le loro firme del giorno dopo, però vengano a raccogliere con noi le altre 499.999 sottoscrizioni necessarie».
argomento: Berlusconi, Bossi, Casini, elezioni, Futuro e Libertà, governo, LegaNord, Parlamento, PdL, Politica | Commenta »
Agosto 31st, 2011 Riccardo Fucile
VIA LA STRETTA SU LAUREA E NAIA, ORA SI TORNA ALL’AUMENTO DELL’IVA E AL CONTRIBUTO DI SOLIDARIETA’…. LITI INTERNE ALLA LEGA TRA CALDEROLI E MARONI… LA “PADANIA” OGGI DICE L’OPPOSTO DI QUANTO SOSTENUTO IERI
Alla fine, dopo le proteste piovute sul governo da opposizione, sindacati, società civile e anche da ambienti della stessa maggioranza, la stretta sulle pensioni è saltata.
E’ bastato un faccia a faccia tra Calderoli e Sacconi per far suonare il de profundis sulla contestata norma.
E meno male che la manovra doveva essere “più equa”, come garantito dal premier.
L’unica cosa distribuita equamente, per il momento, è l’insoddisfazione.
A cominciare dalle pensioni, su cui tutto pare essere tornato in alto mare.
La decisione di intervenire sul riscatto degli anni della laurea e del militare ha cominciato ad insinuare dubbi non solo nella Lega, ma anche nel Pdl, tanto che ieri, fino a tarda sera, il ministro Sacconi e alcuni tecnici della maggioranza si sono attardati al lavoro con i vertici dell’Inps per ritoccare la proposta del governo; così come è emersa a Villa San Martino, infatti, la norma rischia di essere incostituzionale.
C’è subbuglio anche nella Lega, con i senatori del Carroccio che avrebbero come obiettivo addirittura quello di eliminarla.
Il problema è che il gettito previsto (650 milioni il primo anno e circa 1200 l’anno successivo) andrebbe coperto con un’altra misura che al momento non c’è.
A risultare particolarmente attivo nelle ultime ore è stato il ministro dell’Interno Maroni, che si è smarcato di nuovo dal ritrovato asse Tremonti-Bossi Berlusconi.
A tentare di tenere insieme tutti i pezzi del Carroccio che si stanno nuovamente sgretolando il ministro Calderoli che ha infatti annunciato un incontro per stamattina con Sacconi e i tecnici del Tesoro in cui si valuterà “l’impatto sociale” dell’intervento sulle pensioni.
Del resto, il clima tra i leghisti non è certo dei migliori.
Non fosse per il fatto che la promessa del titolare del Viminale ai Comuni (“I tagli agli enti locali saranno almeno dimezzati”) rischia di non poter essere mantenuta: “Vista la confusione sui numeri della manovra, e vista la fumosità del meccanismo per i Comuni, qualche timore ce l’abbiamo”, hanno spiegato alcuni deputati vicini a Maroni.
Che hanno messo l’accento sull’attivismo di Calderoli che “di fatto ha intestato anche alla Lega una manovra che non ci piace affatto”.
Insomma, il risultato è che in molti, tra gli uomini di Maroni, sono più che preoccupati per come la Lega rischia di uscire dalla manovra, tanto che il Consiglio dei ministri di giovedì ha il compito di blindare il decreto proponendo un voto di fiducia alle Camere.
Una avvisaglia di quel che potrebbe succedere in casa leghista l’ha data questa mattina la Padania, chiamata a fare da pompiere su una base sempre più insofferente, per non dire di peggio.
E così piovono titoli rassicuranti come “nuove riflessioni sulla manovra” o “manovra in discussione”.
I leghisti insomma, non hanno gradito per niente il colpo al riscatto del militare.
E dire che solo poche ore prima del nuovo intoppo, Berlusconi si era dichiarato “molto, ma molto soddisfatto” per la ritrovata concordia e per un accordo che, a suo dire, aveva migliorato la manovra “senza modificare i saldi”.
All’appello, comunque, mancherebbero diversi miliardi di euro e li dovrà tirare fuori Tremonti, un ministro dell’Economia con il quale il Cavaliere giura di aver ritrovato il feeling di un tempo (“lo scontro è un romanzo d’agosto”) .
Tanto che l’altra sera era ricominciato a girare il nome di Vittorio Grilli come suo successore.
Nella migliore delle ipotesi, il buco nella manovra si aggira attorno ai 5 miliardi di euro.
Nella peggiore previsione si arriva invece a 20 miliardi.
Come si arriva alle cifre?
Nel primo caso il conto è ormai risaputo.
Dal vertice di Arcore, infatti, la manovra è uscita senza contributo di solidarietà (a parte gli statali, sui quali la vessazione rimane) e con i tagli agli enti locali dimezzati.
Cioè con quasi sei miliardi di gettito in meno. Recuperato solo in parte grazie alla norma ammazza-riscatto sulle pensioni, che nella migliore delle previsioni (e se dovesse sopravvivere) porterà nelle casse dello Stato non più di un miliardo e mezzo di euro. Poco. Troppo poco, se si considera che le stime sul Pil italiano nel frattempo sono crollate rispetto al +1,1% su cui il governo ha impostato i propri conti.
Per il Fondo monetario internazionale il nostro paese si dovrà accontentare dello 0,7% quest’anno e lo 0,8% l’anno prossimo.
Risultato: a conti fatti altri 15 miliardi da recuperare nel rapporto con il deficit per arrivare all’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013.
E potrebbe non finire qui.
Ieri lo spread con i Bund tedeschi ha ricominciato a crescere e si è avvicinato alla soglia dei 300 punti. Se dovesse continuare così (nonostante l’acquisto di titoli italiani operato dalla Bce) nessuno può escludere che a breve si parli di una nuova, ennesima manovra correttiva.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Berlusconi, Bossi, Costume, economia, emergenza, governo, la casta, LegaNord, PdL, Politica, radici e valori | 3 commenti presenti »
Agosto 31st, 2011 Riccardo Fucile
IL PREMIER: “SALDI A RISCHIO, AUMENTIAMO L’IVA”…LE NUOVE MISURE NON BASTANO, SECONDO I CALCOLI DELLA RAGIONERIA… DUBBI DEL COLLE SUL VOTO DI FIDUCIA…LA LEGA, CONTESTATA DAI SUOI ELETTORI PER LE PENSIONI, CAMBIA IDEA PER LA TERZA VOLTA
“Se ci ritroviamo spalle al muro, allora rimettiamo mano all’Iva e con quel punto recuperiamo i 5 miliardi, con buona pace di Giulio”.
All’indomani del vertice di Arcore Silvio Berlusconi è un uomo assalito da dubbi.
Un premier che a collaboratori e ministri sentiti a più riprese in giornata confida incertezza e preoccupazione.
E una profonda irritazione nei confronti di Tremonti, ancora una volta.
Perchè sarebbe stato proprio il ministro delle Finanze, nel lungo summit di due giorni fa, ad assicurare che pur dimezzando i tagli ai comuni e abolendo il contributo di solidarietà , altre misure di lotta all’evasione e all’elusione avrebbero garantito il mantenimento dei saldi.
Il conto dei 45 miliardi sarebbe comunque tornato, insomma.
Ieri a Palazzo Chigi si sono accorti che le cose stavano diversamente, a sentire la stessa presidenza del Consiglio.
Il Cavaliere l’ho appreso da Gianni Letta, che ha tenuto i contatti con la Ragioneria dello Stato: l’organismo contabile avrebbe informato in via informale che le entrate previste con le nuove misure post-vertice lascerebbero uno scoperto di circa 6 miliardi di euro rispetto alla manovra del 12 agosto.
“A questo punto Giulio deve darci le cifre, misura per misura” sarebbe sbottato il premier coi suoi.
Tanto più che il tempo stringe, il governo deve mettere a punto gli emendamenti correttivi, stavolta nero su bianco per davvero, entro domani.
Perchè in commissione Bilancio al Senato si entra nel vivo con le votazioni. Ministri pidiellini in fermento contro il ministro del Tesoro, ma lui non c’è, irreperibile.
È ritornato sui monti della sua Lorenzago. “Il Professore Tremonti non è a Roma, il telefono non ha campo e quindi non prende” fa sapere a tutti il portavoce di via XX Settembre.
E tanto basta per irritare ancor più il Cavaliere. “Mi aveva assicurato che avremmo potuto rivedere i tagli ai comuni e cancellare il contributo di solidarietà perchè le sue misure anti evasioni sarebbero state sufficienti, se non è così, allora torniamo ad aumentare il punto Iva” hanno sentito dire ieri al presidente del Consiglio, a questo punto determinato a tutto.
Anche allo scontro finale con Tremonti, pur di non far precipitare la situazione.
Sembra che tra i contatti avuti da Berlusconi, ve ne siano stati nelle ultime ore anche con il governatore di Bankitalia – futuro presidente Bce – Mario Draghi. Tra i due potrebbe esserci un incontro a Roma la prossima settimana.
Le perplessità del premier nelle ultime 24 ore sono le stesse dei ministri leghisti.
La “Padania” se ne fa portavoce, con tanto di titolo che oggi minaccia la riapertura del confronto sulla manovra. “Inaccettabile” fa già sapere il capo del governo.
Berlusconi preferisce presentarsi davanti a una delle tv del gruppo di famiglia (Studio Aperto) per difendere il “successo” della sera prima.
Ma è una mossa difensiva, studiata nelle stesse ore in cui l’accordo è già sotto assedio.
Tra medici e magistrati e soprattutto dipendenti pubblici sul piede di guerra, mentre la tenuta dei sindacati più vicini – Uil e Cisl – viene rimessa in discussione non appena si è diffusa la notizia che il contributo di solidarietà resta in vigore proprio per gli statali.
È la norma sulla cancellazione del riscatto degli anni di laurea e di servizio militare a mandare su tutte le furie Calderoli e i parlamentari leghisti.
Per il Carroccio le pensioni non andavano proprio toccate. I senatori del gruppo minacciano di bocciare l’emendamento.
Gli uffici legislativi del Colle, che stanno seguendo con attenzione gli sviluppi sul decreto, pur non avendo ancora esaminato gli emendamenti, avrebbero lasciato trapelare già i loro dubbi. Suffragati da quelli di autorevoli costituzionalisti: la norma sul riscatto rischierebbe di violare l’articolo 3 della Costituzione, tanto per cominciare.
Sotto attacco in questo caso, oltre a Tremonti, finisce il ministro del Welfare Sacconi, artefice della trovata.
Non è un caso se questa mattina proprio il ministro pidiellino si vedrà con Calderoli e i tecnici del Tesoro, con l’intento di rimettere mano alla norma.
Tra le ipotesi, il salvataggio del riscatto per il solo anno di militare. Ma non viene escluso un passo indietro su tutto, che lasci intatto il riscatto.
Troppo trasversale e diffusa la protesta scatenata già ieri dalla novità in tema di pensioni.
Ma sono anche i colleghi pidiellini di governo a lamentarsi di Sacconi, che lunedì a Villa San Martino aveva garantito della tenuta dei sindacati, su pensioni e contributo di solidarietà per gli statali.
Si è scoperto ieri che non era così. Che le confederazioni “amiche” adesso minacciano pure loro la mobilitazione. Caos su più fronti, mentre l’esame della manovra al Senato entra nel vivo.
Domani il Consiglio dei ministri si riunirà per discutere dell’eventuale fiducia al maxi emendamento che sarà presentato per scavalcare le 1.300 proposte di modifica depositate.
Il Quirinale lascia trapelare più che qualche perplessità e puntualmente il presidente del Senato Schifani se ne fa interprete auspicando un confronto aperto con le opposizioni e scongiurando il ricorso alla fiducia.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
argomento: Berlusconi, Bossi, Costume, denuncia, economia, emergenza, finanziaria, governo, LegaNord, PdL, Politica, radici e valori | Commenta »
Agosto 31st, 2011 Riccardo Fucile
È SCONTRO, ECCO PERCHà‰: I NODI DA SCIOGLIERE… OGGI SI PREVEDE IL RITIRO DEL PROVVEDIMENTO CHE ANNULLA GLI ANNI DI SERVIZIO MILITARE E DI UNIVERSITA’… ENNESIMA FIGURACCIA DEL GOVERNO
Gli interventi sul sistema previdenziale ipotizzati ieri nel vertice di maggioranza saranno
con tutta probabilità modificati se non addirittura eliminati: è quanto emerge in ambienti Pdl dopo il polverone che sui è alzato sull’impatto sociale della manovra e sui rischi di una valanga di cause in particolare per quanto riguarda le norme sul riscatto degli anni di laurea e sull’anno di servizio militare.
Ieri sera il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi ha incontrato i vertici degli entri previdenziali e per oggi è previsto un incontro con il ministro della semplificazione Roberto Calderoli proprio sull’impatto «sociale» degli interventi in materia previdenziale.
L’esclusione dei periodi di laurea e di servizio militare riscattati dal calcolo dei 40 anni di anzianità contributiva per uscire dal lavoro senza limiti di età annunciata ieri, infatti, potrebbe riguardare circa 100.000 lavoratori l’anno (secondo i calcoli più prudenti, 130.000 secondo stime sindacali) persone che a fronte di aspettative «tradite» potrebbero decidere di avviare un contenzioso con buone possibilità di vincere la causa.
I nodi sul tappeto sono diversi e renderanno difficile mantenere in campo l’intervento aprendo la via a modifiche.
In particolare le ipotesi avanzate dalla maggioranza danneggiano chi ha riscattato gli anni di laurea.
Chi va in pensione con il metodo retributivo e 40 anni di anzianità , infatti, può ricevere al massimo l’80% della media delle retribuzioni degli ultimi anni.
In questo caso l’esclusione degli anni di laurea dal conteggio dei 40 anni varrebbe non solo per i tempi di pensionamento (con un rinvio di 4 anni) ma anche per il calcolo dell’assegno dato che il rendimento massimo non può superare l’80%.
Chi ha riscattato gli anni di laurea sarebbe quindi doppiamente beffato perchè avrebbe pagato per non ottenere nulla in cambio.
L’accordo inoltre non chiarisce quale sarà la sorte dei lavoratori che avevano più di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995, fino ad ora rassicurati dal calcolo della loro pensione su base retributiva (chi ne aveva meno ricadeva nel misto mentre gli assunti dal 1996 hanno il metodo contributivo).
Non è chiaro se lo scorporo degli anni di servizio militare e di laurea andrà a decurtare quel «pacchetto» facendo rientrare una parte di loro tra coloro che avevano meno di 18 anni di contributi e quindi inseriti nel gruppo del calcolo «misto», retributivo-contributivo.
Appare infine a rischio anche il fronte della differenziazione tra chi va in pensione con le quote (60 anni di età e 36 di contributi nel 2011, dei quali nel caso 32 di effettivo lavoro oltre agli anni di laurea), che mantiene il diritto a fare valere gli anni riscattati, rispetto a chi va con 40 che si troverebbe invece a lavorare 40 anni effettivi (non valendo ai fini dell’uscita gli anni riscattati).
Ecco i nodi sul tappeto
CHI VA IN PENSIONE CON IL METODO RETRIBUTIVO A 40 ANNI DI ANZIANITà€ PUà’ AL MASSIMO RICEVERE L’80% DELLA MEDIA RETRIBUZIONE DEGLI ULTIMI ANNI: di fatto quindi non solo queste persone dovranno restare un anno in più (o cinque nel caso del riscatto anche della laurea), ma perderanno quanto versato come riscatto di questi periodi, poichè nel calcolo della pensione con questo metodo il rendimento massimo è l’80%.
NODO RIFORMA DINI: cosa succederà di coloro che a fine 1995 avevano più di 18 anni di contributi e quindi mantenevano il metodo di calcolo retributivo (chi ne aveva meno ricadeva nel misto mentre gli assunti dal 1996 hanno il metodo contributivo)? L’anno di servizio militare e gli anni di laurea verranno considerati al di fuori di quegli anni?
STATALI: C’è una norma nel decreto 78/2010 che prevede la possibilità per le amministrazioni pubbliche di interrompere il rapporto con i lavoratori che hanno 40 anni di anzianità . Gli anni adesso esclusi saranno considerati o no nel calcolo per arrivare a 40?
40 ANNI E QUOTE, RISCHIO INIQUITà€: appare a rischio anche il fronte della differenziazione tra chi va in pensione con le quote (60 anni di età e 36 di contributi nel 2010, dei quali nel caso 32 di effettivo lavoro oltre agli anni di laurea), che mantiene il diritto a fare valere gli anni riscattati, rispetto a chi va con 40 che si troverebbe invece a lavorare 40 anni effettivi (non valendo ai fini dell’uscita gli anni riscattati).
argomento: Berlusconi, Bossi, Costume, economia, governo, LegaNord, PdL, Politica, radici e valori | Commenta »
Agosto 31st, 2011 Riccardo Fucile
ITALIANI INDIGNATI SU BLOG E NETWORK DOPO LA NOTIZIA CHE GLI ANNI DEL SERVIZIO MILITARE E QUELLI UNIVERSITARI NON POTRANNO PIU’ ESSERE CONTEGGIATI PER CALCOLARE L’ETA PENSIONABILE… “IL GOVERNO SCARICA IL COSTO DELLA MANOVRA SUI PIU’ DEBOLI”…”CHE FINE FARANNO QUEI 18 MILIONI SPESI PER RISCATTARE LA LAUREA?”
Un anno di vita militare “buttato al vento”. 
Abbiamo servito la patria e “adesso ci ripagano così”. Per il nostro governo “lo studio e l’università sono solo tempo sprecato”.
E’ un gioco di specchi.
Non appena si diffonde la notizia che gli anni dell’università e del servizio militare non potranno più essere conteggiati per calcolare l’età pensionabile, in rete scatta l’indignazione dei cittadini.
In migliaia criticano con durezza l’ultima scelta dell’esecutivo guidato da Silvio Berlusconi.
“Mi state rubando quattro anni di riscatto di studi universitari e un anno di servizio militare mentre i vostri privilegi restano gli stessi”.
La rabbia è diffusa.
Per un governo “che protegge sempre e comunque gli interessi dei più ricchi”.
Che scarica il “costo della manovra finanziaria sui più deboli, su chi ha fatto enormi sacrifici per studiare e assolvere ai doveri nei confronti del Paese”.
Facebook e i social network diventano veicolo di una protesta che mette insieme migliaia di cittadini.
Nel mirino, finiscono tutti i privilegi non scalfiti dalle misure della manovra di Ferragosto.
L’amarezza emerge da numerosi commenti. Tra gli altri: “Vivevo in Inghilterra, dovetti abbandonare tutto per fare il militare e adesso non me lo conteranno nemmeno”.
E ancora: “Che fine faranno quei diciotto milioni spesi per riscattare la mia laurea?”.
Sotto accusa la scarsa lungimiranza del governo, che “compie scelte incredibili solo perchè ha negato per tre anni l’esistenza della crisi”.
C’è chi scrive: “Attaccarsi al riscatto della laurea e del servizio militare, non mi sembrano proprio grandi pensieri… Ma perchè non intervenire sui grandi patrimoni?”.
Non manca chi scatena la polemica politica, puntando il dito contro gli elettori del centrodestra: “Chi devo ringraziare per aver dato il voto a chi oggi vuole togliermi l’anno di servizio militare – oltretutto obbligatorio – ai fini pensionistici?”.
E la classe politica diventa destinataria della maggior parte delle critiche.
“Perchè io devo aspettare sempre di più per andare in pensione e a un parlamentare bastano cinque anni, e anche meno, per poter percepire un vitalizio d’oro?”.
E poi: “Come al solito loro non pagano: non hanno nemmeno la forza di fare quello che avevano promesso: le province non saranno più abolite”.
C’è chi entra nel merito della questione, portando alla luce iniquità e ingiustizie: “Faccio presente che il servizio militare fino agli anni 80, durava 18 mesi. Io andrò in pensione un anno e mezzo più tardi dei miei colleghi che non hanno fatto il militare”.
C’è chi approfitta per sottolineare l’importanza dello sciopero generale dichiarato dalla Cgil per il 6 settembre.
“Tra una settimana tutti in piazza, per difendere tutto quello che ci stanno rubando, giorno dopo giorno”.
E un duro attacco arriva da Cgil-Medici, che denuncia come l’esclusione degli anni di università dal conteggio dell’anzianità per la pensione “determinerà proprio nei confronti dei medici il maggior taglio che oscilla tra i dieci e i dodici anni, considerando che ai sei anni per la laurea vanno aggiunti dai quattro ai sei anni per la specializzazione”.
E si annunciano pesanti ripercussioni anche sugli insegnanti: la riforma, infatti, costringerà 350 mila docenti di scuola media e superiore ad andare in pensione a 65 anni, anzichè prima.
Carmine Saviano
(da “La Repubblica“)
argomento: Berlusconi, Bossi, Costume, economia, emergenza, governo, la casta, LegaNord, PdL, Politica, radici e valori | Commenta »
Agosto 31st, 2011 Riccardo Fucile
LO STOP AL CONTRIBUTO DI SOLIDARIETA’ RIPRISTINA LE NORME IN VIGORE PER IL PUBBLICO IMPIEGO CHE NON PREVEDEVANO LA DEDUCIBILITA’… RIMANGONO LO SLITTAMENTO DELLE TREDICESIME E IL POSTICIPO DELLA LIQUIDAZIONE
Cancellato il contributo di solidarietà . Sì, ma per chi?
Lavoratori del privato e autonomi, sicuramente.
Almeno quelli che presentano regolare dichiarazione dei redditi.
Perchè la supertassa ora sparita dalla manovra bis, dopo mille polemiche e proteste (una “follia”, la definizione della presidente di Confindustria, Marcegaglia), in realtà risparmia solo alcuni dei 511 mila contribuenti dall’obbligo alla solidarietà di Stato, che ora festeggiano lo scampato obolo.
Rimangono fuori, difatti, dipendenti pubblici e pensionati “d’oro”, per i quali il prelievo straordinario era già scattato.
Dal primo gennaio di quest’anno per i primi (in base alla manovra 2010).
Dal primo agosto per i secondi (in base alla manovra di luglio).
La solidarietà , quantificata in 3,8 miliardi di euro in tre anni, dunque non evapora del tutto e, ironia o beffa, si addensa sulle buste paga dei soliti noti.
Lo diceva anche la manovra di Ferragosto.
Estendiamo a tutti il contributo, perchè sia più giusto ed equo, e in più lo rendiamo deducibile.
Ora, dopo il colpo di spugna, il cerino scotta nelle mani di chi invece attendeva uno storno di quanto già versato, da mesi, sperando poi di recuperare qualcosa dalla deducibilità .
Ed è un cerino che riporta tutti al punto di partenza.
I malumori riprendono a correre. Molti dipendenti pubblici avevano presentato, o erano in procinto di farlo, una serie di ricorsi alla Corte Costituzionale.
Ricorsi contro una misura giudicata irrazionale e discriminatoria che ora ripartiranno.
Il prelievo, dunque, rimane, identico per dipendenti pubblici e pensionati: il 5% da applicare sulla parte che eccede i 90 mila euro e il 10% su quella sopra i 150 mila euro. Senza deduzioni e senza carichi familiari.
E senza più nessuno che si stracci le vesti contro la tassa che colpisce gli onesti.
Alla fine, la manovra bis, rinnovata dal vertice di Arcore, sembra abbattersi con decisione sul comparto pubblico.
Rimangono in piedi lo slittamento delle tredicesime, se il dicastero non centra gli obiettivi di risparmio, il posticipo di due anni della liquidazione per chi anticipa il pensionamento, i tagli ai ministeri (6 miliardi nel 2012 e 2,5 miliardi nel 2013), l’inefficacia delle promozioni sul calcolo del Tfr se maturate da meno di tre anni, i trasferimenti facili di dirigenti e prefetti.
A queste misure si aggiungono gli effetti della manovra 2010 come il blocco di salari, contratti, carriere.
Blocco allungato di un anno dalla prima manovra di luglio.
A preoccupare, c’è pure la stretta sulle pensioni, decisa ieri: 700 mila docenti, 200 mila medici, e poi prefetti, magistrati, poliziotti, dirigenti pubblici hanno già pagato per riscattare la laurea.
Valentina Conte
(da “La Repubblica“)
argomento: Berlusconi, Bossi, Costume, denuncia, economia, emergenza, la casta, LegaNord, PdL, Politica, radici e valori | Commenta »
Agosto 30th, 2011 Riccardo Fucile
TOLGONO IL CONTRIBUTO DI SOLIDARIETA’ MA ATTACCANO LE PENSIONI E I DIRITTI ACQUISITI, MENTRE GLI ONOREVOLI SI PRIVANO SOLO DI SPICCIOLI… IL GIOCO DELLE TRE CARTE E DEI TRE FALSARI
Tagli di carta, più che di casta.
Il governo ha usato le forbici contro la sua stessa manovra, la versione ferragostana varata il 13: niente abolizione per le Province con meno di 300mila residenti, niente accorpamento per i Comuni sotto i mille abitanti (solo servizi condivisi).
Salve 50mila poltrone dorate, molte di potere e tanto, tanto leghiste.
Il pranzo di Arcore vale soltanto due buoni propositi, pura fantasia per una legislatura al tramonto e un governo a brandelli: un disegno di legge costituzionale per cancellare le Province (107 enti) e per dimezzare il numero dei parlamentari (945 in totale).
La rinascita dei presidenti di Provincia ha del miracoloso.
A ferragosto 37 di loro erano praticamente disoccupati, ovviamente al prossimo turno elettorale.
Una settimana fa, conteggiando la scomparsa dei gonfaloni provinciali con l’estensione del territorio, i mal capitati erano 26.
Adesso sono zero.
Il sacrificio di casta rinforzava la manovra con 1,5 miliardi di euro di tagli, subito.
Non c’è una cifra definitiva.
Perchè il testo del governo più che una riforma era un proclama, dunque la relazione dei tecnici del Senato si è fermata all’evidenza: “Non è possibile quantificare i benefici”.
Il ministro Roberto Calderoli ha provocato la resurrezione dei politici locali da quel di Rimini, tra le tavole rotonde di Comunione e Liberazione: “Castronerie. Comuni e Province hanno già dato tanto”.
Stavolta la mira di Tremonti-Berlusconi, la coppia scoppiata per eccellenza, punta altissimo: via le Province, tutte.
Quando? Chissà .
Un Parlamento virtuoso può modificare la Costituzione in un paio di anni — dicono il Pd e l’Idv — qui la situazione è un po’ diversa e i tempi sono lunghi, ma davvero lunghi.
In teoria, il governo promette risparmi per 4 o 5 miliardi: in pratica, la speranza è già troppa.
Anche i paesini sono risorti, capitanati dal combattivo Osvaldo Napoli (Pdl), presidente facente funzione Anci e primo cittadino di Valgioie, paesino di 700 abitanti in provincia di Torino.
L’unificazione coatta di mille e cinquecento campanili era possente come un soffio: decine di milioni di euro, non di più.
Con il volontariato per quei consiglieri e assessori che guadagnano un gettone di presenza di 20 euro.
Senza toccare la burocrazia amministrativa con un dipendente comunale ogni cento abitanti.
L’Italia dei Valori propone di concentrare la macchina di spesa dei centri inferiori ai 20mila abitanti, allora il saldo — per dirla con Calderoli — sarebbe evidente: 3 miliardi di euro.
Il comunicato stampa di Arcore crea un po’ di panico tra deputati e senatori: confermato il contributo di solidarietà .
Che può diventare, secondo preferenze, un obolo per sedare i cittadini o una presa in giro di un paio di giorni.
Tolta la tassa per i redditi oltre i 90mila euro, resta il prelievo con aliquota doppia ai parlamentari con un’indennità che supera i 90mila euro (10%) o i 140mila (20%).
Escluse diaria e rimborsi, veri e propri stipendi, la spuntatina all’indennità su base mensile pesa dai 2mila ai 5mila euro l’anno per una volta sola.
Un buffetto addolcito con la promessa impossibile di ridurre gli scranni di Montecitorio e palazzo Madama per via costituzionale.
Le intenzione erano chiare già con la tassa per i parlamentari con doppio lavoro: chi ha uno stipendio superiore al 15% dell’indennità , comprese le altre entrate parlamentari, intasca metà indennità .
L’ipotetica rinuncia, che non colpisce nessuno, sarebbe intorno ai 2mila euro.
La manovra ha prodotto abbondanza di cavilli e articoli per intimorire i politici, peccato che nei fatti sia innocua.
C’è un comma tra i tanti che obbliga i parlamentari a volare in classe economica.
Sarà così.
Anche perchè i voli nazionali non prevedono posti di pregio. Solo privilegi.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Berlusconi, Bossi, Costume, denuncia, economia, emergenza, governo, la casta, LegaNord, Parlamento, PdL, Politica, radici e valori | Commenta »
Agosto 30th, 2011 Riccardo Fucile
UNA MANOVRA DEPRESSIVA SUL PIANO DEI REDDITI, DEI CONSUMI, DEGLI INVESTIMENTI E DELL’OCCUPAZIONE…E I CONTI NON TORNANO: CHE DIRA’ L’EUROPA?
Una volta tanto il presidente del Consiglio è stato di parola.
“Ho messo da parte le bottiglie per brindare all’accordo”, ha detto durante il vertice di maggioranza ad Arcore.
Dopo oltre sette ore l’intesa è arrivata.
Ma dall’estenuante braccio di ferro di Villa San Martino è uscito esattamente quello che Berlusconi auspicava: una “manovra-champagne”.
All’apparenza, spumeggiante e piena di bollicine. Nella sostanza, sempre più inconsistente e piena di buchi.
La partita politica dentro il centrodestra si chiude con un esito chiarissimo. Ora tutti alzano i calici, fingendo di aver portato a casa il risultato.
La verità è ben diversa.
L’unico vincitore è il Cavaliere, che ha messo in riga Tremonti e Bossi.
“Non metto le mani nelle tasche degli italiani”, aveva tuonato il premier.
In nome di questo slogan da propaganda permanente, ha preteso e ottenuto la cancellazione del contributo di solidarietà sui redditi superiori ai 90 mila euro.
Così, almeno in parte, ha evitato quel bagno di sangue perpetrato soprattutto ai danni del ceto medio, che avrebbe avuto un costo elettorale per lui insopportabile.
Era l’unico obiettivo che gli stava a cuore. L’unico vessillo, psicologico e quasi ideologico, che voleva issare di fronte ai cittadini-elettori.
C’è riuscito. Ma ai danni dei suoi alleati. E anche ai danni del Paese.
La “manovra-champagne” è solo un’altra, clamorosa occasione mancata. È confusa nè più nè meno di quelle che l’hanno preceduta. È altrettanto povera di senso e di struttura.
Soprattutto, è altrettanto ininfluente sul piano del sostegno alla crescita, per la quale non c’è una sola misura di stimolo.
E dunque è altrettanto depressiva sul piano dei redditi, dei consumi, degli investimenti, dell’occupazione.
D’altra parte, non poteva non essere così.
Tre manovre radicalmente diverse, affastellate in un mese e mezzo, sono il segno inequivocabile del caos totale che regna dentro una maggioranza pronta a tutto, pur di galleggiare e di sopravvivere a se stessa.
Berlusconi ha ridicolizzato Tremonti. Il ministro dell’Economia aveva annunciato una prima manovrina all’acqua di rose a giugno, spiegando che l’Italia era a posto sul debito e sul deficit.
Travolto dalla crisi europea e dall’ondata speculativa dei mercati, ha presentato una manovra-monstre da 45 miliardi a luglio, spiegando che “in cinque giorni tutto è cambiato”.
Si è presentato ad Arcore chiedendo che quel pacchetto d’emergenza non fosse toccato, per evitare guai con la Ue e traumi sugli spread.
Ebbene, quel pacchetto, al vertice di Arcore, non è stato “toccato”: è stato totalmente distrutto.
Della manovra tremontiana di luglio non resta quasi più nulla. Salta il contributo di solidarietà , saltano i pur risibili tagli ai costi della politica, salta la cancellazione dei piccoli comuni.
Berlusconi ha umiliato Bossi. La Lega pretendeva la supertassa sugli evasori fiscali e la salvaguardia delle pensioni “padane”. Non ha spuntato niente.
La maxi-patrimoniale si è annacquata in un più tollerante giro di vite sulle società di comodo alle quali i lavoratori autonomi intestano spesso appartamenti, auto di lusso e barche.
Quanto alla previdenza, il Senatur non solo non salva le camice verdi, ma deve incassare un intervento a sorpresa sulle pensioni di anzianità dalle quali, ai fini del calcolo, verranno scomputati gli anni riscattati per la laurea e il servizio militare. Peggio di così, per il Carroccio, non poteva andare.
A dispetto dei trionfalismi di Calderoli, ormai ridotto a un Forlani qualsiasi.
La partita economica sul risanamento, viceversa, si chiude con un esito assai meno chiaro.
La rinuncia al contributo di solidarietà (congegnato in modo iniquo perchè non teneva in alcun conto i carichi familiari e il cumulo dei redditi) attenua solo in parte il grave squilibrio della manovra, che resta comunque fortemente sbilanciata sul fronte delle tasse.
L’aumento delle aliquote Iva è solo rinviato alla delega fiscale e assistenziale.
La riduzione di 2 miliardi dei tagli a comuni e regioni non impedirà l’aumento delle addizionali Irpef e l’abbattimento dei servizi sul territorio e del Welfare locale. L’intervento sulla previdenza è solo un’altra “tassa sul pensionato”, ed è lontano anni-luce dalla riforma che servirebbe al Paese per stabilizzare definitivamente la spesa, cioè il passaggio al sistema contributivo pro-rata per tutti.
Così riformulata, questa terza manovra berlusconiana è piena di buchi.
Come si arrivi ai 45 miliardi promessi resta un mistero, ancora più insondabile di quanto non lo fosse già la seconda manovra tremontiana.
Quanto valgono le misure anti-elusione contro le società di comodo?
Quanto frutteranno i maggiori poteri attributi ai comuni nella lotta all’evasione? Nessuno lo sa.
Le uniche certezze riguardano quelli che sicuramente pagheranno fino all’ultimo euro il costo di questo ennesimo compromesso al ribasso firmato dalla coalizione forzaleghista.
Gli enti locali, per i quali restano tagli nell’ordine dei 7 miliardi.
I dipendenti pubblici, per i quali restano lo stop degli straordinari, il differimento del Tfr e il contributo di solidarietà , oltre tutto non più deducibile.
E adesso anche le cooperative, per le quali si profila una drastica riduzione della fiscalità di vantaggio.
Un blocco sociale ed economico vasto, ma con un denominatore comune: non appartiene alla constituency elettorale del centrodestra. È stato “selezionato” per questo. E per questo merita lacrime e sangue.
Certo, da consumato spacciatore di merchandising politico, nella “sua” manovra Berlusconi ha voluto anche le bollicine.
Il contributo di solidarietà solo per i parlamentari. La soppressione di tutte le province e il dimezzamento del numero dei parlamentari.
Misure che fanno un certo effetto mediatico e simbolico.
Sono rigorosamente affidate a disegno di legge costituzionali (dunque non si faranno in questa legislatura, e quindi probabilmente non si faranno mai).
Ma a sentirle annunciare, sembrano colpire al cuore la “casta” che il Cavaliere (pur facendone parte) finge di disprezzare.
Resta un problema, drammatico per il Paese, che misureremo nelle prossime ore e nei prossimi giorni.
La “manovra-champagne” la puoi far ingoiare a un po’ di pubblico domestico, meno informato o male informato dai bollettini di Palazzo Grazioli.
Ma fuori dai confini della piccola Italia, purtroppo, è tutta un’altra storia.
I finanzieri della business community, i tecnocrati della Bce e i partner dell’Unione Europea, sono la moderna “società degli apoti” di Prezzolini: loro non la bevono.
Massimo Giannini
(da “La Repubblica“)
argomento: Berlusconi, Bossi, denuncia, economia, emergenza, finanziaria, governo, Lavoro, LegaNord, Parlamento, PdL, Politica | Commenta »
Agosto 30th, 2011 Riccardo Fucile
GLI ANNI NON LAVORATI NON VALGONO PIÙ PER L’ANZIANITà€… SCOPPIA LA RIVOLTA DEI MEDICI, A RIPOSO ANCHE CON UN DECENNIO DI RITARDO
Non si sa se è colpa delle trame dell’odiato “nano veneziano” o dello stato confusionale dovuto alla caduta, ma è un fatto che Umberto Bossi e la Lega ieri sono usciti dal villone di Arcore dopo aver messo la loro firma proprio sotto quel sostanziale aumento dell’età pensionabile che avevano escluso in lungo e in largo durante i loro coloriti comizi agostani.
Nell’oscuro documento finale, infatti, si legge che il governo manterrà “l’attuale regime previdenziale già previsto per coloro che abbiano maturato quarant’anni di contributi con esclusione dei periodi relativi al percorso di laurea e al servizio militare, che rimangono comunque utili ai fini del calcolo della pensione”.
Cioè? All’ingrosso significa che tutti i lavoratori (maschi) della Repubblica si ritroveranno un anno in più di lavoro da fare prima della pensione: i mesi di servizio militare o civile infatti non contano più ai fini dell’età della pensione, anche se contribuiranno al calcolo dell’assegno.
Stesso discorso per la platea più piccola, ma non irrilevante, di coloro che hanno pagato conti assai salati per “riscattare” gli anni passati all’università : qui la correzione ammonterebbe a quattro anni, ma “oscilla tra i 10 e i 12 anni per i medici perchè si deve tener conto degli anni di specializzazione.
Niente paura, spiegano fonti di maggioranza, si andrà in pensione “contando gli anni effettivi di lavoro”.
In sostanza, si tratta di un nuovo — ma più subdolo — scalone previdenziale, che peraltro si va ad aggiungere a quell’anno e più che i pensionandi pagano già al sistema delle cosiddette “finestre.
Non si tratta, ovviamente, di una riforma del sistema pensionistico, ma di un provvedimento deciso per finanziare il ritocco cosmetico della manovra portato a termine ieri a Villa San Martino: a parte i ddl costituzionali sui costi della politica, che non valgono niente in termini di risparmi, le novità stanno nel fatto che è stato abolito il contributo di solidarietà (gettito previsto: 700 milioni l’anno prossimo, 1,5 miliardi nel successivo biennio) e che si riducono di due miliardi i tagli alle autonomie locali.
Il governo, insomma, da qui al 2013 deve trovare da qualche altra parte cinque miliardi e mezzo.
Questo blocco delle pensioni anche per chi ha già 40 anni di contributi serve a “mantenere invariati i saldi”, assicura Calderoli, anche con il concorso di provvedimenti meno pesanti come un taglio dei “privilegi” fiscali delle cooperative e alcune norme anti-elusione di dubbia efficacia.
“Non vedo come questi conti possano tornare”, diceva Pierluigi Bersani in serata.
In realtà non è ancora chiaro come sarà congegnato l’emendamento, ma nell’opposizione c’è chi ipotizza che in sostanza il governo Berlusconi voglia così arrivare – surrettiziamente – alla cosiddetta “quota 100” (65 anni + 35 di contributi oppure 64 + 36 eccetera) entro il 2015.
Come che sia, la platea interessata è vasta: secondo un calcolo a spanne sui dati 2010, che era servito ai cosiddetti “frondisti” del PdL per le loro proposte di modifica, i lavoratori penalizzati dovrebbero essere almeno 120 mila nel prossimo triennio.
In questo modo, fino al 2015, si dovrebbero risparmiare tre miliardi, che diventerebbero — a regime, cioè dal 2016 — altri due l’anno all’incirca.
Ma sono tutti calcoli da verificare.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Berlusconi, Bossi, Costume, denuncia, economia, emergenza, finanziaria, governo, la casta, LegaNord, PdL | Commenta »