CON L’AUTO BLU CONTRO I VITALIZI: UNA GIGANTESCA RIMOZIONE AVVOLGE LA PIAZZA M5S
LO ZOCCOLO DURO CHE URLA “O-NE-STA’!” COME LITANIA DI UN ESORCISMO CHE NON RIESCE A FUGARE I DEMONI DI UNA CLAMOROSA CRISI IDENTITARIA
In piazza con le auto blu, per contestare i vitalizi degli altri.
Qualcuno che, per non farsi vedere, si fa lasciare nelle vie accanto e arriva a piedi, col vestito che pare ritirato dalla stireria.
Luigi Di Maio che, alla fine, attraversa tutta la folla per concedere selfie proprio come fa Matteo Salvini. Ci mette mezz’ora, ma all’angolo con piazza Venezia c’è la macchina che lo aspetta: blu.
Simbolo di un potere diventato privilegio, quando si accomodano gli altri. Veicolo per la rivoluzione contro la Casta, quando trasporta le terga pentastellate.
Che poi è la stessa logica dei vitalizi, oggetto di questa manifestazione: in verità sono stati già aboliti nel 2011, quando si è passati a un sistema “contributivo” come nel resto del mondo, ma in mancanza di altri argomenti adesso ci si scaglia contro i diritti acquisiti col precedente sistema, tanto riguardano gli altri.
Eccola, piazza Santi Apostoli diventata per un pomeriggio la piazza di Nostra Signora dell’Ipocrisia.
Piazza piena, nulla a che vedere con le dimensioni di quelle di una volta, tipo San Giovanni e Circo Massimo, riempita non spontaneamente, ma con pullman da tutta Italia, come facevano gli odiati partiti di massa.
Piazza del rigurgito identitario, “incazzata”, in un clima da ritorno alle origini. Piazza di uno zoccolo duro rabbioso che vuole urlare il suo “non siamo morti”.
Poca musica, assordanti trombette da stadio, “o-ne-stà o-ne-stà ”, come litania di un esorcismo per fugare i demoni di una clamorosa crisi identitaria.
Pochi giovani, cartelli “non ci arrendiamo”, “no alle alleanze”. Fischi per Salvini, Renzi odiato più di lui, insofferenza per il Pd, innominato Conte, l’animal spirit del popolo è “contro”: è la pulsione prepolitica ad aggrapparsi a irrinunciabili bandiere, col manicheismo di chi non vuole vedere ciò che è successo.
È il “noi siamo noi”, nè di destra nè di sinistra, col paradosso che proprio il motivo della crisi diventa zavorra a cui aggrapparsi.
“Colpa degli altri”, sempre e comunque, se ciò che è giusto non è stato compreso dagli italiani. E ritorna la rabbia verso i giornalisti, alcuni in particolare come chi scrive, la collega di Repubblica o l’inviato delle Iene: “pennivendoli” che non scrivono la “verità ”, perchè così vogliono i loro padroni.
Torna la sindrome del complotto, da parte delle televisioni che “oscurano il Movimento”, e poco importa che il servizio pubblico è ancora governato secondo la spartizione attuata dal Governo gialloverde.
Anche questa è cultura dell’odio e dell’invidia sociale, per cui non esiste libertà di pensiero o lavoro intellettuale, ma solo privilegi di ben remunerati servi di opachi padroni.
In questa piazza di “resistenza”, che già ha lo spirito della ridotta identitaria, c’è un istinto prepolitico che non è un’idea di paese, e con esso l’illusione, anzi l’autoillusione, che si possa essere “contro” il Sistema una volta che si è diventati Sistema, senza cadere nella trappola di essere contro se stessi, sia pur a propria insaputa.
Guardateli i ministri e i sottosegretari che arrivano da una via laterale, tutti con l’abito blu e la camicia bianca, gli unici senza cravatta Di Maio e Bonafede, imborghesiti dalla Roma del potere che sa rivestire i barbari con le griffe dei padroni.
Mentre i ragazzi delle scorte vigilano discreti.
Indugiano compiaciuti nella selva di telecamere, ormai avvezzi a parlare senza dire, a giustificare e a giustificarsi in nome dell’imperituro “bene del paese”.
Loro tutta questa rabbia non ce l’hanno più, ma hanno la necessità di mobilitare il popolo per arginare una crisi spaventosa. Non è vero che il potere logora chi non ce l’ha. Logora anche chi ce l’ha nella paura di perderlo.
I ministri più filo Pd, da Patuanelli a D’Incà , vengono tenuti sotto il palco, Bonafede e Di Maio, in fondo, non forzano neanche più di tanto. Però sventolano con orgoglio le bandiere storiche, contro i vitalizi e a difesa dell’abolizione della prescrizione, il che consente di gonfiare il petto identitario, ma senza scuotere più di tanto il fragile equilibrio governativo.
Parliamoci chiaro: una gigantesca rimozione avvolge il tutto, affogata nella retorica del “siamo una forza che non si può abbattere” e del “si cambia passo dopo passo, dopo 50 anni di politica che ci ha distrutto”.
La rimozione della sconfitta, delle scelte fatte e di quelle da fare, degli alleati passati e di quelli presenti, del Conte 1 e del Conte 2, e più in generale di Conte, rimasto pressochè innominato. E, come diceva Peppino, “ho detto tutto”.
A questa piazza e a questo palco, che non ha ancora digerito il “tradimento” di Salvini, si capisce che il nuovo quadro non piace, come non piace la politica delle alleanze.
E questa “terza fase” del Movimento, aperta dopo le dimissioni di Di Maio, vissuto ancora come il Capo dal suo popolo a piazza Santi Apostoli, appare come il tentativo di congelare il travaglio, nell’evocazione del grande futuro alle spalle, sotto forma di battaglia contro i vitalizi.
Il travaglio di una forza dentro la quale si è aperta una confusa dialettica tra destra e sinistra. Di Maio scravattato che richiama i principi fondamentali, sia pur ammaccato è il simbolo non di una “evoluzione”, ma dell’equivoco costitutivo che si ripropone, il non essere nè di destra è di sinistra, che incrocia un sentimento popolare. Di quel popolo.
La piazza racconta questa “connessione sentimentale” conl’ex capo del Movimento. Chi è rimasto si aggrappa all’identità , ai miti della sua non lunga storia, alle sue bandiere.
Il Governo viene dopo, non scalda, è vissuto come uno stato di necessità più che come l’incubatore di una prospettiva.
Il “noi” c’era, gli “altri” neanche nominati.
(da “Huffingtonpost”)
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