CONDANNATO PER ‘NDRANGHETA TIENE IN OSTAGGIO QUATTRO DONNE IN UN UFFICIO POSTALE : “VOGLIO PARLARE CON SALVINI”
IL MINISTRO POTREBBE FARSI UN SELFIE CON LUI, COSA ASPETTA A PRESENTARSI OFFRENDOSI IN CAMBIO DEI QUATTRO OSTAGGI?
“Vi ammazzo tutti”. E’ la minaccia con cui Francesco Amato, l’imputato condannato nel processo Aemilia, è entrato nell’ufficio e ha preso in ostaggio cinque donne, quattro impiegate e la direttrice, nella filiale delle Poste di Pieve Modolena (Reggio Emilia). Una di loro ad un certo punto si è sentita male e Amato l’ha fatta uscire perchè fosse soccorsa: si tratta della cassiera Annalisa Coluzzo, 54 anni, che ora sta bene. Restano in ostaggio altre 4 donne.
I contatti sarebbero tenuti con l’uomo dai carabinieri, in particolare da un militare, sulla soglia dell’edificio, che fa da tramite.
Amato, condannato a 19 anni e un mese pochi giorni fa nel maxi-processo di ‘ndrangheta ‘Aemilia’, da allora irreperibile, si è asserragliato dentro l’ufficio postale d con un coltello.
“Sono quello condannato a 19 anni in Aemilia”, avrebbe pronunciato il ricercato entrando nell’ufficio postale.
Dai primi accertamenti avrebbe fatto uscire tutti i clienti, tenendo in ostaggio cinque dipendenti, tra i quali la direttrice. Sul posto le forze dell’ordine che hanno hanno avviato trattative, ma Amato, a quanto si apprende, “non collabora” e si starebbe valutando l’intervento di forze speciali.
La parte della via Emilia dove si trova la filiale delle Poste è stata evacuata, e sono stati creati due punti di sbarramento ai lati.
Il pregiudicato ha chiesto, tra le altre cose, di poter parlare con il ministro dell’Interno Matteo Salvini.
Un’azione dimostrativa contro una condanna ingiusta. Sarebbe questo il motivo che ha spinto Francesco Amato. Lo ha spiegato un fratello di Amato, giunto sul posto, durante le trattative con le forze dell’ordine. Si tratta di un familiare che non è stato imputato nel processo Aemilia. Sono vari i familiari del bandito radunatisi all’esterno delle Poste. “Diciannove anni sono un’ingiustizia – dice la nipote – e lui è questo che vuole dire col suo gesto, del quale non so nulla e che sicuramente è sbagliato. Ma non è andato dentro per far del male”
Amato era cliente dell’ufficio postale, andava a pagare le bollette, lo conoscevano anche a causa di una menomazione fisica che ha a una mano.
Francesco Amato, 55 anni, è stato condannato il 31 ottobre a 19 anni e un mese di reclusione nel processo Aemilia, con l’accusa di essere uno degli organizzatori dell’associazione ‘ndranghetistica.
E’ originario di Rosarno, in provincia di Reggio Calabria. Fu arrestato, nell’ambito dell’operazione “Aemilia”, il 28 gennaio del 2015. Assieme al fratello Alfredo, secondo i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Bologna era “costantemente in contatto con gli altri associati (e della famiglia Grande Aracri) in particolare per la commissione su richiesta di delitto di danneggiamento o minaccia a fini estorsivi, commettendo una serie di reati”.
In passato, peraltro, era incappato in analoghe inchieste giudiziarie contro la ‘ndrangheta cutrese in Emilia, come quelle denominate “Grande Drago” e “Edilpiovra”. Insieme ad altri suoi congiunti, tutti originari del Reggino, Amato aveva costituito un sodalizio che veniva considerato il braccio armato della cosca Grande Aracri.
(da agenzie)
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