CONTE E ZINGARETTI ACCELERANO PER LA COSTRUZIONE DI UN FRONTE ANTI-SALVINI
IL PREMIER CONFIDA: “IN EMILIA AVREI FATTO VOTO DISGIUNTO”… MA IL M5S E’ ALLO SBANDO
“Il bipolarismo fra Lega e 5 stelle è finito. Da alleato mi auguro ne prendano atto”, dice Nicola Zingaretti.
“Dobbiamo rinforzare un ampio fronte progressista. Auspico un’area innovatrice dove trovi spazio anche il Movimento”, commenta Giuseppe Conte.
Se tra le due affermazioni trovate consonanze e affinità è perchè ce ne sono. Il segretario del partito democratico e il presidente del Consiglio preparano armi e bagagli per entrare nella fase 2 del governo.
Una corrispondenza di politici sensi che arriva al suo apice quando il premier risponde alla domanda di Lilli Gruber su come avrebbe votato in Emilia Romagna: “Mi sarei affidato al voto disgiunto”. Poi aggiunge di corsa: “Ma non dico quale”.
Senza voler fare all’avvocato del popolo un processo alle intenzioni, il solo voto disgiunto di cui si è parlato e che ha preso una certa consistenza nelle urne è quello di coloro i quali hanno votato la lista M5s e come presidente il democratico Stefano Bonaccini. L’equazione è presto fatta.
I due consoli marciano spediti verso un cronoprogramma che, idealmente, li accompagnerà per i prossimi tre anni.
Ma devono fare i conti con un avversario temibile: la crisi del Movimento. I 5 stelle si trovano al cospetto di uno dei guadi più pericolosi della loro pur breve vita senza una guida.
Luigi Di Maio si è trincerato dietro un rumorosissimo “no comment”. “Ha provato in tutti i modi a dire che non si doveva correre”, dice un parlamentare a lui molto vicino. E aggiunge: “Ha fatto poi ben presente che a seguito di questa decisione le responsabilità sarebbero state di tutti”.
L’interim è assunto da Vito Crimi, che i suoi definiscono “un perfetto uomo macchina”, ma non è di certo lui alla guida.
Le due anime della creatura di Beppe Grillo sono lacerate tra chi vorrebbe dare seguito alle parole di Conte, e iniziare un percorso di avvicinamento all’area riformista, e chi continua a perseguire la via dell’isolazionismo come tattica e strategia, dal ministro degli Esteri ad Alessandro di Battista, con tutte le sfumature del caso.
Un guado dal quale non si sa quando si potrà uscire, visto che gli stessi Stati generali sono a rischio, con un probabile slittamento di alcune settimane, a dopo il referendum sul taglio dei parlamentari fissato per il 29 marzo.
Una situazione confusa e limacciosa, dalla quale Conte in tandem con Zingaretti cercano di uscire ancor prima di esservi entrati.
Il vicesegretario Dem Andrea Orlando ha chiesto un “riequilibrio” dell’agenda di governo alla luce dei risultati elettorali. Un modus operandi che al presidente del Consiglio non piace. “Conte sta lavorando sui temi da mettere al centro da ben prima di Natale — spiegano dal suo staff — Per lui non ci sono proposte del Pd o proposte M5s. Tutti gli spunti interessanti e le idee valide troveranno terreno fertile”.
Il premier ai suoi interlocutori parla della “necessità di un nuovo slancio”, in pubblico spiega che “non bisogna essere ingenerosi con i 5 stelle”.
La verità è che in questo tempo di sede vacante il premier vuole cogliere l’opportunità da un lato di inchiodarsi sulle spalline i galloni di trait d’union fra il mondo pentastellato e quello del centrosinistra, operazione per la quale in passato è già stato oggetto delle critiche dei fedelissimi dell’allora capo politico:
“Solo in quel ruolo ha una minima probabilità di futuro politico”. Dall’altro pensa a un’accelerazione sulle cose da fare come miglior viatico possibile per superare questa fase piena di insidie.
Ancora le modalità del tagliando non sono state definite. Si partirà con tutta probabilità la settimana prossima, con uno o più incontri tra i vertici e, forse, a seguire alcuni tavoli tematici.
Operazione sulla quale il capo del governo trova sponda fertile in Zingaretti. L’approccio del segretario del Pd è cauto e punta a lavorare ai fianchi l’alleato. Al centro i temi del lavoro, dell’equità sociale, della distribuzione della ricchezza.
Il Nazareno non ha nessuna intenzione di piantare le rivendicazioni sui decreti sicurezza, sullo ius soli o sulla prescrizione in faccia all’alleato.
Vuole arrivarci, sì, ma attraverso quella politica dei piccoli passi che ha condotto fino al post regionali, fino a una situazione per la quale l’opzione progressista è diventata non solo digeribile, ma anzi auspicabile per un buon pezzo dei 5 stelle.
Un bacino che Zingaretti punta ad ampliare per stabilizzare il nuovo ma vecchi quadro bipolare tra destra e sinistra.
Crimi ha già risposto “picche”, usando la più consueta (e un po’ logora) argomentazione dei pentastellati: “Parliamo di temi, non della nostra collocazione”. Difficile nascondersi dietro un dito. Di questo si sta parlando.
(da “Huffingtonpost“)
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