DALLE PERIFERIE DI ROMA INSIEME ALLA COMUNITÀ DI SANT’EGIDIO ALLA GUIDA DEI VESCOVI: RITRATTO DEL NUOVO PRESIDENTE DELLA CEI MATTEO ZUPPI, L’ARCIVESCOVO DI BOLOGNA RIMASTO SEMPRE UN PRETE DI STRADA
QUANDO NEL 2019 IL PAPA LO CREÒ CARDINALE DISSE: “IL CARDINALE È ROSSO PERCHÉ DEVE TESTIMONIARE FINO AL SANGUE” – “LA CHIESA DEVE ESSERE DI TUTTI MA PARTICOLARMENTE DEI POVERI”
Chi lo conosce bene racconta che non ci sperava più di tanto nella nomina alla guida della Cei, pur sapendo di essere insieme al cardinale Paolo Lojudice tra i favoriti.
Eppure, il Papa l’ha scelto dopo che il suo nome è stato quello più votato dai confratelli vescovi nella terna. Matteo Zuppi, “don Matteo” per tutti, 66 anni, romano, arcivescovo di Bologna, è sempre rimasto fedele alla semplicità che ha contraddistinto il suo sacerdozio prima, l’episcopato poi.
Quando nel 2019 Francesco lo creò cardinale non a caso disse: “Il cardinale è rosso perché deve testimoniare fino al sangue. Speriamo di essere buoni testimoni del Vangelo: quello di oggi è chiarissimo”. E ancora: “Dobbiamo cercare di essere sempre ultimi nell’amore e mettersi sempre al servizio degli altri”
Appartenente alla Comunità di Sant’Egidio fin dagli Anni del liceo, al Virgilio di Roma (qui conobbe Andrea Riccardi, “un ragazzo poco più grande di me – ha raccontato – che parlava del Vangelo a tanti altri ragazzi in maniera così diretta e nello stesso tempo con tanta conoscenza”), una laurea in lettere, quindi la scelta del sacerdozio a Roma, per anni vicino agli ultimi e ai poveri, viene scelto dal Papa anche per la sua capacità di unire le differenti anime presenti nella sua comunità, da quelle più vicine al pontificato in corso, fra queste la scuola dossettiana, a quelle più conservatrici che avevano visto nei vescovi suoi predecessori una loro espressione.
Ne sono un esempio, in qualche modo, gli attestati di stima che gran parte del mondo politico e religioso gli tributa in queste ore.
Zuppi, che è stato anche viceparroco di Vincenzo Paglia a Santa Maria in Trastevere, si è sempre distinto per l’instancabile azione a sostegno dei più poveri, degli immigrati, dei rom, senza escludere l’attività di diplomazia esercitata con Sant’Egidio. Arrivare a Bologna da Roma non era cosa scontata.
Ancor più non lo era diventare cardinale e poi, oggi presidente dei vescovi italiani, tenuto anche conto che da anni sulla cattedra di San Petronio si erano succeduti vescovi non contigui alla linea conciliare messa in campo dall’innovatore Giacomo Lercaro dal 1952 al 1968. Significative, in questo senso, le prime parole che Zuppi rivolse alla diocesi. Disse, citando il Concilio Vaticano II, monsignor Oscar Romero e Giovanni XXIII, che la Chiesa deve essere “di tutti, proprio di tutti, ma sempre particolarmente dei poveri”.
A Bologna Zuppi sa interpretare al meglio quella Chiesa dei poveri che ebbe in don Paolino Serra Zanetti, in padre Marella e nelle Case della carità una sua espressione. Non fin dall’inizio Zuppi ha deciso di non vivere nell’arcivescovado, ma nella casa del clero. “Ho sempre vissuto insieme ad altri – disse tempo fa – Abitare in una casa dove vivono altri sacerdoti è per me occasione di confronto in un cammino nel quale sento il bisogno di condividere”.
In lui Francesco rivede forse sé stesso, negli anni di Buenos Aires. Come il Papa, infatti, Zuppi ha sempre valorizzato quella pietà popolare che altri sacerdoti faticano a comprendere.
A Trastevere, i primi anni, fu tentato di considerare queste manifestazioni come sopravvivenze del passato. E invece, disse, “vi ho scoperto tanta profondità spirituale”.
(da La Repubblica)
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