“DODICI ORE NEI CAMPI E POI RINCHIUSI IN UN CONTAINER”: BRACCIANTI IN SCHIAVITU’ ALLE PORTE DI ROMA
LA STORIA DI DUE RAGAZZI ARRIVATI IN ITALIA CON LA PROMESSA DI UN LAVORO NEI CAMPI PAGATO 5 EURO L’ORA: SONO FINITI A LAVORARE PER MESI SENZA STIPENDIO IN CONDIZIONI DI VITA DISUMANE
Fino a dodici ore di lavoro nei campi senza la possibilità di uscire e senza ricevere uno stipendio. Una condizione ai limiti della dignità umana quella raccontata, e documentata attraverso alcuni video, da due ragazzi indiani. La loro testimonianza parte dall’arrivo all’aeroporto di Fiumicino, partendo dall’India. Un viaggio per trovare un lavoro e condizioni di vita migliori: invece alle porte di Roma.
Il viaggio e la promessa di un lavoro
L’arrivo in Italia di questi dodici lavoratori, grazie la Decreto flussi, ha dei contorni da subito poco chiari. Per prima cosa la richiesta alla Prefettura non arriva da uno studio legale nei paraggi ma addirittura dal Veneto. Poi l’arrivo in Italia è garantito dietro una cifra parecchio maggiore a quella davvero necessaria (16 euro di marca da bollo) ovvero circa 10mila euro.
Le speranze dei due ragazzi svaniranno ben presto. Finiscono in una struttura agricola alle porte di Roma e avrebbero lavorato per mesi senza ricevere nessuno stipendio (la paga promessa dal contatto che li ha portati in Italia era di 5 euro l’ora). “Siamo stati trattati come degli schiavi – sussurra uno dei due protetto dall’anonimato – vivevamo in un container dove non c’era neanche l’acqua corrente”. Le immagini raccolte dai due ragazzi con il loro telefonino lasciano poco spazio all’immaginazione. In un filmato si vede il prefabbricato dove trascorrevano il resto della giornata i braccianti, dopo aver trascorso ore e ore nei campi. I letti non sono altro che materassi accatastati per terra uno accanto all’altro, una piccola cucina con un fornello collegato ad una bombola e un bagno inutilizzabile. “Andavamo in campagna per fare i nostri bisogni – spiega l’altro ragazzo – e non essendoci neanche l’acqua pure la doccia dovevamo farla all’aperto utilizzando dei secchi riempiti al pozzo”. Un lucchetto veniva poi utilizzato per chiudere tutte le sere il cancello d’ingresso dei campi quindi nessuno di loro aveva la possibilità di uscire.
Dopo mesi vissuti in quelle condizioni i due ragazzi decidono di fuggire scavalcando il cancello.
L’esposto in Procura del sindacato
La loro testimonianza è stata raccolta dalla Cgil Flai di Latina ed è finita in un esposto presentato alla Procura di Roma i primi di settembre. “Sono trascorsi quasi due mesi dalla nostra segnalazione – ammette con un po’ di amarezza Laura Hardeep Kaur segretaria generale della Flai Cgil di Latina e Frosinone – non sappiamo ad oggi se la Procura si è attivata in qualche modo, sicuramente nessuno ha contattato i due ragazzi per ascoltarli”. E continua: “Stiamo parlando di persone rinchiuse con un lucchetto ridotte in una condizione di schiavitù, se neanche questo riesce a smuovere qualcosa poi veramente non conta niente”.
(da Fanpage)
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