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DUE ANNI FA RENZI DIVENNE SEGRETARIO DEL PD, PER DISTRUGGERLO

DA OBAMA A CORBYN: ALTROVE I LEADER HANNO UNA DIALETTICA ANCHE DURA CON I PROPRI GRUPPI PARLAMENTARI, SOLO IN ITALIA C’E’ UN CLIMA DA CASERMA

L’8 dicembre di due anni fa Renzi è diventato il segretario del Pd.
Per chi della velocità  aveva fatto un mito, e dall’energia creativa del corpo del capo aveva ricavato l’attestato della garanzia di successo, due anni di potere sono un tempo enorme, valido per sopportare una verifica.
Una radiografia l’ha fornita il rapporto Censis con la metafora bruciante del paese in «letargo».
Quando Renzi concluse la sua marcia trionfale tra i gazebo, raccolse, oltre al sostegno di ambienti esterni pronti a finanziare una scalata ostile, anche un’ansia di successo, sfumato nel 2013, e un bisogno di rinnovamento delle classi dirigenti.
Un biennio di leadership incontrastata basta però per lasciar appassire i sogni di gloria e per smentire ogni attesa di ricambio effettivo nelle pratiche e nei volti del ceto politico locale.
Il governo della mancia per tutti non attira un voto in più al Pd.
E le sue disinvolte e creative misure economiche non agganciano la ripresa, anzi aggravano il divario con il passo spedito di altri partner europei.
Le esclusioni sociali crescono, l’evasione fiscale e contributiva regna incontrastata, il differenziale territoriale si acuisce, i servizi pubblici, la sanità  deperiscono.
Galleggia l’illegalità , solerte è la misura per il salvataggio delle banche amiche
Le imprese, incassato l’oro delle decontribuzioni e dei tagli Irap, continuano a rigettare ogni strategia competitiva fondata sull’innovazione e la qualità .
Con la libertà  di licenziamento, sancita dalle nuove leggi sul mercato del lavoro varate dal governo, le aziende si sentono protette da una irresistibile corazza. E pensano di proseguire nella strada della competizione al ribasso, tramite la marginalizzazione del sindacato, la precarietà  camuffata dalle tutele crescenti.
Il basso costo del lavoro è loro garantito in eterno dal potere di licenziare con modico indennizzo monetario.
Presto il nero diventerà  la figura dominante nei rapporti contrattuali perchè, dopo 40 anni di lavoro e con una pensione che non sarà  di molto superiore a quella sociale, al dipendente risulterà  più conveniente chiedere di essere pagato in nero, così almeno potrà  racimolare qualche spicciolo in più dal mancato versamento dei contributi. Senza una politica degli investimenti, e senza una crescita dei salari pubblici e privati (altro che mance graziosamente elargite, senza alcun progetto di società ), il sistema si avvita in una spirale regressiva e catastrofica.
Questo biennio perduto lascerà  ferite sociali e politiche difficili da rimarginare.
La volontà  del capo di governo di presentarsi come il generoso protettore di tutta la nazione, che distribuisce bonus e mance ai ragazzi, ai carabinieri, agli insegnanti, non solo disperde risorse preziose, perchè scarse, senza alcun risultato tangibile nell’inclusione sociale ma non viene premiato nella sua spericolata raccolta del consenso clientelare due punto zero.
Ha un bel dire Paolo Mieli che Renzi non è un capo divisivo, ma vive nella splendida condizione di chi ha la felice fisionomia di un leader vincente che scavalca mirabilmente gli steccati e pesca fiducia ovunque.
Ascoltando meglio gli umori reali, non mancherà  la percezione di un vivo sentimento di inimicizia, e anche di odio politico, che cresce e impedisce allo statista di Rignano di sfondare, nonostante l’infinita presenza in video, il sostegno generale dei media, il gradimento dei poteri che influenzano, la smobilitazione della destra.
Non basta, per rimediare alla deriva, raccogliere l’invito a costruire il partito, senza il quale, in effetti, tra il capo e il territorio esiste solo un solidissimo vuoto.
Il problema è che Renzi non può costruire un partito, per ragioni strutturali.
Ha distrutto quel poco di organizzazione che rimaneva, costringendo alla fuga gli illusi che fingevano di ritrovare nei gazebo i residui di vecchie simbologie e nei comitati elettorali degli affaristi in carriera i detriti di memorie, e non può edificare una nuova struttura, con gli eventi fuggevoli dei mille banchetti.
A Renzi il partito serve solo come fonte di legittimità  per ordinare lo «stai sereno» e per continuare ad abitare a palazzo Chigi finchè vuole.
Non ha una cultura moderna della leadership, ma sprigiona solo una caricaturale infatuazione per i simboli esteriori del comando da caserma.
Non è vero quello che ha raccontato Eugenio Scalfari a Otto e mezzo, e cioè che Renzi comanda da solo perchè in tutte le democrazie avviene così.
Ovunque esistono gruppi dirigenti rispettati e non trattati come subalterni inoffensivi con cui il capo scherza nelle direzioni in diretta streaming.
Ogni capo convive con oligarchie agguerrite, con gruppi parlamentari non arrendevoli. Persino Obama ne sa qualcosa.
E il nuovo leader laburista Corbyn ha avuto l’investitura del partito ma i gruppi parlamentari, espressioni di un’altra cultura politica, non si piegano, e resistono anche platealmente alle sue direttive in politica estera.
Non fanno come i deputati del Pd, designati per l’ottanta per cento come seguaci di Bersani, e poi tutti inginocchiati a riverire il nuovo padrone senza mai un cenno di disobbedienza.
Se ci fosse stato un partito, Renzi non lo avrebbe mai scalato, e se avesse, dopo la conquista, ricostruito un partito, proprio i suoi dirigenti lo avrebbero già  disarcionato, per una manifesta inattitudine alla leadership autorevole.
Altrove a togliere di mezzo un capo che ha perso le regionali, ha liquidato il nucleo organizzativo del partito, costretto alla diserzione la membership, manifestato una palese inadeguatezza al governo e naviga in chiaro affanno nei sondaggi, sarebbe il suo stesso partito.
Ma la fortuna di Renzi è di non avere un partito.
E può accontentarsi di un simulacro che gli dà  i gradi di comandante di giornata.
Due anni terribili di deconsolidamento della democrazia costituzionale e del lavoro sono trascorsi e c’è poco da festeggiare con banchetti unitari in prossimità  della catastrofe.

Michele Prospero

This entry was posted on domenica, Dicembre 6th, 2015 at 22:44 and is filed under Renzi. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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