EXPO’, UNA RETE DOVE TUTTI TRAFFICANO CON TUTTI
UNA NEBULOSA DI RAPPORTI PERSONALI E TRASVERSALI HA SOSTITUITO LE VECCHIE STANZE DI COMPENSAZIONE FRA AFFARI E POLITICA
Unite i puntini, come se fosse il giochino della Settimana Enigmistica.
Uniteli pure tutti con tutti e non sbaglierete. Ne verrà fuori l’immagine di un sistema dove tutti parlano con tutti, e le conversazioni scivolano dalla politica agli affari, dal destino della nazione alle sorti di un’azienda, da una riforma istituzionale a un grosso appalto.
Nella Prima Repubblica il sistema era centralizzato, le stanze di compensazione erano le segreterie dei grandi partiti, e tutto era regolato secondo quote soppesate al grammo: tanto alle aziende di area Dc, tanto agli imprenditori amici di Bettino Craxi, tanto ai mitici privati della galassia Fiat-Mediobanca, tanto alle cooperative rosse. Dopo il Big Bang di Mani Pulite la galassia partitocratica è esplosa e si sono formate le nebulose delle relazioni e dei poteri personali: nessuno vive una vita autonoma, tutti sono intersecati.
Dimenticate i reati e le inchieste giudiziarie, qui si parla rigorosamente di amicizie e di fatti non penalmente rilevanti.
I tre faccendieri arrestati per l’inchiesta Expo (Greganti, Frigerio e Grillo) sono teoricamente complementari: il compagno G copre a sinistra attraverso le grandi cooperative rosse, Frigerio (ex democristiano ed ex italoforzuto) copre a destra insieme a Grillo, anche lui democrastiano passato alla corte di Berlusconi nel 1994 in cambio di un posto al governo nel settore “aree urbane” sua vecchia passione.
Però il riferimento forte di Frigerio e Grillo è Vito Bonsignore, un tempo andreottiano, poi fervente berlusconiano e infine alfaniano irriducibile come del resto i suoi amici arrestati e gli stessi Maurizio Lupi e Roberto Formigoni.
Bonsignore è anche un importante imprenditore con amicizie anche a sinistra.
È il promotore della Nuova Romea, l’autostrada Mestre-Orte che è uno dei grandi affari lanciati dal ministro delle Infrastrutture Lupi.
Tra i politici da sempre impegnati a favore della nuova grande opera (una decina di miliardi) c’è Pier Luigi Bersani.
Ma Bonsignore è soprattutto grande amico di Massimo D’Alema.
Tutti i frequentatori del Transatlantico di Montecitorio ricordano l’imperdibile siparietto dei primi di maggio 2006, quando l’ex premier era sicuro di essere eletto presidente della Repubblica. Bonsignore gli sussurrò: “Sarò in grandissimo imbarazzo quando sarai presidente della Repubblica perchè come farò a venirti a trovare?”. D’Alema, felice, sorrise: “Ti invito”.
Non era ancora uscita l’intercettazione in cui D’Alema spiegava all’amico Gianni Consorte di Unipol di aver parlato con Bonsignore, azionista della Bnl, della scalata che l’assicurazione rossa stava tentando alla banca romana: “Ho parlato con Bonsignore, che dice cosa deve fare, uscire o restare un anno… Se vi serve, resta… Evidentemente è interessato a latere in un tavolo politico”.
Consorte è comprensivo: “Chiaro, nessuno fa niente per niente”. Poi la scalata finì male e Consorte cadde in disgrazia: a puntare il dito accusatore contro di lui ci fu, tra gli altri inamovibili del sinedrio cooperativo, Claudio Levorato, presidente della Manutencoop, indagato con gli altri anche se per lui il gup ha negato l’arresto richiesto dalla procura di Milano.
Ma tra gli accusatori di Consorte vi fu anche Greganti, che gli fece la morale per quei 50 milioni che si prese per aver agevolato la vendita di Telecom Italia da Roberto Colaninno a Marco Tronchetti Provera.
Anche Marcellino Gavio, morto nel 2009, aiutò Consorte nella scalata alla Bnl, investendo parte della montagna di denaro pubblico che Filippo Penati, presidente della provincia di Milano (e poi braccio destro di Bersani), gli aveva dato in cambio di un inutile pacchetto di azioni dell’autostrada Milano-Serravalle.
Ma non si tirò indietro neppure quando ci fu da investire della cordata dei “patrioti” per salvare l’italianità di Alitalia, voluta da B., organizzata da Corrado Passera allora a capo di Intesa Sanpaolo e guidata da Colaninno.
Gavio, socio di Bonsignore, ma anche della potente Coopsette, nella banca Carige, insieme a Grillo si schierò anche con Gianpiero Fiorani nella scalata della Popolare Lodi all’Antonveneta, finita in tribunale, come pure il successivo acquisto della banca padovana da parte del Monte dei Paschi del dalemiano Giuseppe Mussari.
Mussari era in amicizia e affari con Ruggero Magnoni, arrestato due giorni fa insieme ai fratelli Aldo e Giorgio per la bancarotta della finanziaria Sopaf.
Anche Magnoni è pieno di amici o quasi amici. È stato uno degli strateghi della scalata alla Telecom Di Colaninno, e ha sempre lavorato bene sia con Berlusconi sia con Carlo De Benedetti.
Il quale a sua volta è stato finanziato da Mussari per 1,2 miliardi di euro per le centrali elettriche di Sorgenia, gestite dal figlio Rodolfo. Si potrebbe continuare a lungo.
È quasi impossibile sbagliare.
Giorgio Meletti
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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