FRATELLI D’ITAGLIA: VIAGGIO NEL PAESE SCARICATO DAL GOVERNO DEI PATRIOTI
DALL’ABOLIZIONE DEL RDC ALLA SFORBICIATA SULL’ACCOGLIENZA AI MIGRANTI, DAI 3,5 MILIARDI TOLTI AL SUD ALLE RISORSE DIMEZZATE PER I COMUNI
Per i “patrioti” che governano il Paese c’è un’Italia di serie b. È quella di chi è povero, di chi accoglie i migranti, di chi si rivolge alla sanità pubblica, di chi aspetta invano un sistema ferroviario decente al Sud, ma anche di quei sindaci costretti a barcamenarsi per far tornare i conti del loro Comune.
Passare in rassegna i tagli di bilancio decisi dall’esecutivo restituisce una fedele cartina di tornasole per comprendere quali siano gli ambiti che per la destra non meritano attenzione. Uno – ed è una gran sorpresa – sembra essere la famiglia: per il 2024 Palazzo Chigi ha tagliato il budget a disposizione della ministra Eugenia Roccella del 9% rispetto al 2023.
L’anno scorso erano stati stanziati 166 milioni di euro, quest’anno 151 milioni. E dire che la premier Giorgia Meloni in passato ha definito la famiglia come la «priorità assoluta dell’azione di governo». Figurarsi se non lo fosse stata
La sforbiciata più netta, però, la Presidenza del Consiglio l’ha riservata ai fondi per il sostegno all’editoria, che crollano dai 204 milioni di euro del 2023 ai miseri 84 milioni di quest’anno. Il tutto mentre, al contrario, la premier si guadagna il poco sobrio primato di avere lo staff più costoso della storia della repubblica.
Per gli uffici di diretta collaborazione di Meloni, infatti, nel 2024 si prevedono spese per quasi 22 milioni di euro, mentre con Mario Draghi la cifra massima fu di 18,8 milioni, con Giuseppe Conte non si superarono mai i 16,8 milioni e con Matteo Renzi si era addirittura a quota 12 milioni. E chissà quanto potrebbero lievitare ancora i costi se andasse in porto la riforma del premierato
Intanto, una delle poche promesse mantenute dalla destra è stata la guerra ai poveri. Dallo scorso primo gennaio il Reddito di Cittadinanza non esiste più. Al suo posto il Governo ha introdotto due nuove forme di sussidio, distinguendo tra indigenti occupabili e indigenti non occupabili: secondo Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia, chi ha in famiglia un disabile, una persona sopra i 60 anni o un minorenne va considerato “non occupabile”, mentre tutti gli altri sono dei potenziali «divanisti» che potrebbero comodamente trovarsi un lavoro.
Ebbene, adesso per i non occupabili c’è l’Assegno di Inclusione, con requisiti analoghi a quelli del Reddito di Cittadinanza: il direttore generale dell’Inps ha reso noto di recente che l’importo medio sarà di 630 euro al mese e che finora ne hanno fatto richiesta circa 500mila famiglie.
Per gli occupabili, invece, dallo scorso settembre è prevista solo un’indennità, chiamata Supporto per la Formazione e il Lavoro, pari a 350 euro mensili ricevibili per un massimo di un anno. In base agli ultimi dati disponibili, le domande per questo tipo di sostegno sono state finora 160mila, solo un terzo delle quali tuttavia provenienti da ex percettori del Reddito.
Secondo una stima fatta dalla Banca d’Italia, l’abolizione del Rdc ha privato del salvagente circa 900mila famiglie, che rischiano ora di annegare nel mare della povertà. In particolare, la platea di potenziali beneficiari dell’Assegno di Inclusione è pari a 1,2 milioni di nuclei famigliari, contro i 2,1 milioni di nuclei a cui si rivolgeva potenzialmente il Reddito.
Il risparmio per le casse dello Stato, per giunta, sarà molto inferiore rispetto alle cifre sbandierate dal centrodestra quando era all’opposizione: appena un miliardo di euro all’anno, a fronte di una spesa che non scenderà sotto i 7 miliardi annui.
Non solo. I tecnici di Bankitalia hanno anche rilevato che «le caratteristiche socio-demografiche dei componenti dei nuclei percettori di Rdc lasciano presagire difficoltà di (re)inserimento lavorativo»: tra gli ex percettori del Reddito, infatti, circa l’80% possiede al massimo la licenza media e circa la metà dei disoccupati lo era da oltre cinque anni.
Sindaci in mutande
Detto dei poveri, l’altro nemico pubblico numero uno per il Governo Meloni sono i migranti. E anche qui si è andati di mannaia. Il Fondo per l’accoglienza dei migranti e dei minori stranieri non accompagnati è stato depotenziato per finanziare un incremento delle risorse destinate alle forze di polizia, alle forze armate e ai vigili del fuoco: un «esempio di come questo governo sia impegnato nei confronti degli uomini e delle donne in divisa», ha sottolineato il ministro della Difesa, Guido Crosetto.
Il Fondo per i migranti è stato alleggerito di 17 milioni di euro per il 2024, di 21 milioni per il 2025 e di 15 milioni per il 2026. Non è ancora noto come sarà ripartito il taglio sul territorio nazionale, ma – come ha spiegato qualche giorno fa, durante il Consiglio comunale di Bologna, l’ assessore alle Nuove cittadinanze Luca Rizzo Nervo – è già «possibile affermare che ridurre le risorse per l’accoglienza significa ridurre i servizi per l’integrazione dei migranti, con il rischio concreto di favorire condizioni di grave marginalità, il lavoro sommerso e lo sfruttamento delle persone da parte della criminalità».
I Comuni sono – e non da oggi, a onor del vero – tra i più tartassati quando lo Stato centrale ha bisogno di denaro fresco. Le risorse assegnate direttamente agli enti locali dall’ultima legge di bilancio ammontano a circa 1,1 miliardi di euro: sono inferiori di un terzo rispetto agli 1,6 miliardi del 2023 e addirittura dimezzate rispetto ai 2 miliardi del 2022. Lo ha calcolato il Centro Studi Enti locali, secondo cui, «come evidenziato dall’Anci, dopo sette anni di stop, lo spettro della spending review si è ufficialmente riaffacciato sul mondo dei Comuni».
A questa sforbiciata vanno sommati i 13 miliardi di euro di progetti municipali che il ministro Raffele Fitto ha escluso dal Pnrr e spostato sul Piano energetico europeo RepowerEu. Sulla rimodulazione dei fondi, peraltro, il presidente dei sindaci Antonio Decaro, primo cittadino di Bari, ha recentemente lamentato poca chiarezza da parte del Governo.
Retromarce
La revisione del Pnrr elaborata dal ministro Fitto lo scorso agosto aveva escluso 3,3 miliardi di euro destinati a progetti per la riqualificazione delle periferie. A ottobre, però, il Governo ha fatto marcia indietro e stabilito che per i Comuni che si impegnano a concludere i lavori entro il 30 giugno 2026 le risorse saranno confermate.
Nella nuova versione del Pnrr, invece, è confermata la riduzione dei nuovi posti negli asili nido da 264mila a 150mila: una modifica che secondo la segretaria del Pd Elly Schlein «smaschera la vera natura di un governo che si muove contro le donne e contro i bambini e le bambine».
Molto clamore ha poi suscitato nei giorni scorsi la mancata proroga in legge di bilancio del Fondo per il contrasto dei disturbi alimentari. Il Fondo era stato istituito nel 2021 e per il biennio 2022-2023 erano stati stanziati complessivamente 25 milioni di euro. Lo stop ai finanziamenti deciso dall’esecutivo ha provocato la sollevazione di quaranta associazioni dei familiari dei pazienti, preoccupate dal rischio di veder chiudere decine di centri per la cura di anoressia, bulimia e altri disturbi di questo tipo, di cui in Italia soffrono circa 3 milioni di persone.
E la protesta si è rivelata efficace, tanto che la scorsa settimana il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha annunciato un emendamento al decreto Milleproroghe che rifinanzierà il Fondo con 10 milioni di euro.
Disabili nel limbo
Più complessa la situazione per i diversamente abili. Nel 2023 il Governo Meloni ha azzerato il Fondo da 350 milioni di euro per le politiche in favore delle persone con disabilità dirottando le risorse sui bonus edilizi.
Stessa cosa – va detto – aveva fatto il Governo Draghi l’anno precedente, quando i 300 milioni destinati al Fondo in favore dei disabili erano stati spostati altrove, in particolare per pagare i vaccini anti-Covid, gli straordinari degli agenti di polizia penitenziaria e le bollette energetiche del terzo settore. Il problema stava nel fatto che quello stanziamento per le persone diversamente abili restava lettera morta, in mancanza dei decreti attuativi alla legge delega sulla disabilità connessa al Pnrr.
Nel 2023, quindi, le persone disabili hanno potuto contare solo su altre singole forme di finanziamento previste dallo Stato, per un totale di circa 280 milioni di euro.
Anche per il 2024 il Fondo per le politiche in favore delle persone con disabilità è stato quasi interamente svuotato: in legge di bilancio si legge che è ridotto di 320 milioni di euro. La buona notizia, però, è che questi 320 milioni sono andati a ingrossare un nuovo Fondo, denominato Fondo unico per l’inclusione delle persone con disabilità, che da quest’anno sostituisce tutte le altre precedenti forme di sostegno economico ai disabili.
Questo nuovo Fondo parte con una dotazione complessiva di 552 milioni di euro, ma dal 2025 sarà più che dimezzato, scendendo a quota 232 milioni. A quel punto sarà fondamentale vedere a che punto saremo con l’attuazione della legge delega sulla disabilità, che teoricamente l’anno prossimo avrà a disposizione circa 450 milioni di euro.
Il divario Nord-Sud
E veniamo ora al Sud lasciato annaspare nei suoi problemi. La manovra firmata Meloni-Giorgetti ha aspirato quasi tutte le risorse del Fondo di perequazione infrastrutturale, che era stato introdotto dal Governo Conte 2 per ridurre il divario infrastrutturale fra le varie aree del Paese: lo stanziamento previsto da 4,6 miliardi di euro è stato ridotto a meno di 800 milioni.
La maxi-sforbiciata è stata denunciata dall’ex ministra del Sud, Mara Carfagna (Azione), ma sulle barricate è salito anche il governatore della Puglia, Michele Emiliano, che ha preso carta e penna e scritto al presidente delle Regioni, il leghista Massimilano Fedriga, lamentando «effetti particolarmente negativi per l’equità del sistema infrastrutturale per tutte le regioni e in particolare per quelle del Sud».
La questione è ancor più seria se si considera che queste risorse avrebbero potuto fungere anche da contrappeso rispetto al progetto dell’Autonomia differenziata a cui sta lavorando il ministro leghista Roberto Calderoli: un piano che lo Svimez (Associazione per lo Sviluppo Industriale del Mezzogiorno) ha definito «anacronistico», anche alla luce degli choc economici degli ultimi anni, perché rischia di portare a una «frammentazione insostenibile delle politiche pubbliche».
Ma soprattutto, avverte lo Svimez, «a questo quadro di frammentazione si aggiungono i rischi di un “congelamento” dei divari territoriali di spesa pro capite già presenti e di un indebolimento delle politiche nazionali redistributive (tra individui) e di riequilibrio territoriale».
Infine, a proposito di divari infrastrutturali, durante l’esame della legge di bilancio alla Camera, la maggioranza ha bocciato un emendamento presentato dal deputato del Pd Andrea Casu insieme al pentastellato Antonino Iaria e a Francesca Ghirra di Alleanza Verdi Sinistra per potenziare il Fondo nazionale del Trasporto pubblico locale. La proposta era di incrementare gli stanziamenti di 700 milioni di euro nel 2024, di un miliardo nel 2025 e di 1,5 miliardi di euro nel 2026 utilizzando risorse attualmente destinate ai sussidi ambientalmente dannosi. Ma la destra ha detto no. Per i “patrioti” del nuovo millennio, evidentemente, è meglio continuare a incentivare petrolio e gas che investire in bus ecologici e tram.
(da TPI)
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