FREQUENZE, REGALI E CONFLITTI D’INTERESSE : CONFRONTO TRA LA POSIZIONE DI MEDIASET E LE OBIEZIONE DI CHI VORREBBE UN’ASTA
LA STORIA DELLE FREQUENZE GRATUITE TV: UN FAVORE A MEDIASET O UNA LEGITTIMA OPERAZIONE?
Mettiamo a confronto le osservazioni di Gina Nieri, consigliere di amministrazione Mediaset, e quella di chi vede nella normativa un regalo gratuito concesso a Mediaset e Rai
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In tutta Europa e negli Stati Uniti il processo di digitalizzazione delle
frequenze televisive si è verificato tramite l’assegnazione di nuove frequenze gratuite agli operatori già esistenti e agli interessati che rispondevano ai requisiti di legge.
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È vero che a seguito della digitalizzazione in Europa e Usa le frequenze tv sono state assegnate gratis alle tv che già operavano sull’analogico. Il problema è il quantum. Mediaset, come Rai, ha avuto in cambio di tre reti ben 4 mux che corrispondono a più di venti canali, una dozzina se si trasmette in alta definizione. Ciononostante ora Mediaset vuole un altro mux, cioè altri sette canali, gratis.
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In pari tempo in tutta Europa le frequenze destinate alle tlc, ci ricordiamo quelle per Umts, sono invece state assegnate in gara. Come deciso recentemente dalla Commissione europea, parte delle frequenze già televisive, precisamente la banda 800 mhz, è stata posta in alcuni Paesi, o sarà posta negli altri, a gara economica, tramite aste riservate agli operatori di telefonia mobile. Su questo secondo versante l’Italia è già a posto. Nel settembre scorso il ministro Romani ha infatti indetto l’asta per gli operatori mobili che, partendo da una base di 2,4 miliardi di euro, ne ha fatti incassare oltre quattro.
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È vero, come dice Nieri, che all’estero le società di telefonia hanno pagato per l’assegnazione delle frequenze liberate a seguito del passaggio della tv sul digitale.
Ma anche qui è un problema di quantum.
Le frequenze cedute all’asta a Wind, Tim e Vodafone con incassi miliardari per lo Stato rappresentano solo una parte dello spettro liberato dallo switch-off. Il governo ha riservato le altre frequenze alle tv e ha previsto di assegnarle gratuitamente.
Il bando, secondo gli esperti del settore, avvantaggia Rai e Mediaset, che già avevano ottenuto quattro mux gratis. È questa l’anomalia italiana.
Nulla vieterebbe all’Italia di mettere all’asta anche queste residue frequenze permettendo ai colossi telefonici (come la 3) o a quelli televisivi (come Sky) di aggiudicarsele a caro prezzo. E nulla vieterebbe di riservare invece alcune frequenze all’assegnazione gratuita o all’affitto a canone basso per realizzare una vera apertura del mercato, agevolando davvero i soggetti nuovi, come chiede l’Europa;
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Quanto al beauty contest, questa modalità “equa, trasparente e non discriminatoria” ha soddisfatto le prescrizioni Ue in tema di assegnazione delle frequenze televisive. È un processo che si basa su due delibere dell’Agcom, di cui una addirittura legificata, che hanno dettato le regole per l’assegnazione delle frequenze, sul bando e sul disciplinare approvati dal ministero dello Sviluppo economico. L’intero iter del beauty contest è stato condiviso e approvato dalla Commissione europea.
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È vero che il processo del beauty-contest si basa su due delibere dell’Agcom, ma parliamo di un’Autorità screditata (remember Trani?) e a maggioranza berlusconiana. Non è vero che l’Unione europea ha approvato il beauty contest. Ha solo sospeso la procedura di infrazione e sta alla finestra, ma potrebbe intervenire ancora di fronte a questo pasticcio tutto italiano;
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Da noi si parla di regalo, anzi di “scandaloso regalo” ovviamente a Mediaset. Dove sta il regalo? Dove lo scandalo? Nella partecipazione consentita anche agli operatori già esistenti come Rai, Mediaset o La7?
No, perchè tali operatori avevano già perduto una frequenza proprio a favore di un dividendo da riassegnare con il beauty contest.
Forse lo scandalo sta nell’assegnazione gratuita anzichè attraverso un’asta competitiva? No di certo: se l’Italia avesse scelto questa seconda modalità , avrebbe discriminato illegittimamente le tv italiane rispetto a quelle degli altri paesi dello stesso mercato europeo.
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Lo scandalo sta nel fatto che un mux che copre il 95 per cento del territorio vale sul mercato circa 200 milioni di euro.
In questo momento di sacrifici il governo sta regalando questo valore al gruppo Berlusconi. Il bando è stato scritto dal ministero diretto da Paolo Romani, un ex dipendente di Berlusconi, in modo da privilegiare l’assegnazione delle frequenze migliori agli operatori più forti, come Mediaset.
Le frequenze saranno assegnate gratis ai protagonisti dell’oligopolio televisivo che così si perpetuerà .
Per implementare la copertura nazionale del nuovo mux assegnato gratis dal governo Monti al gruppo Berlusconi (che già possiede le torri) basteranno una ventina di milioni di euro.
Tra cinque anni quel mux potrà essere venduto a 200 milioni di euro. Non solo: da subito, potrà essere affittato.
A quanto? Il tetto del canone “equo”, fissato dalla stessa Agcom a maggioranza berlusconiana che vuole regalare il mux a Mediaset si aggira sui 2 milioni di euro a megabyte, all’anno.
Ebbene, basta far di conto, come dice Nieri per capire dove sta lo scandaloso regalo: un mux trasmette circa 20 megabyte.
Il suo affitto quindi costa a un nuovo operatore che voglia entrare nel mercato italiano ben 40 milioni di euro. La tv Dahlia pagava 20 milioni di affitto all’anno a Telecom e, proprio per questo onere insostenibile, ha dovuto chiudere;
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Non è vero quindi che per trasformare le frequenze in ricavi reali servono investimenti ingentissimi. Non bisogna confondere la produzione di contenuti con l’attività di trasmissione. Nieri dà per scontato che i due ruoli, come accade in Italia, debbano essere svolti dallo stesso operatore. Non è così all’estero. E non è così sempre nemmeno da noi. Si è visto che Telecom trasmetteva a pagamento i contenuti di Dahlia e lo stesso fa il gruppo Repubblica con Sky e persino con Mediaset.
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Non è vero quindi che per trasformare le frequenze in ricavi reali servono investimenti ingentissimi. Non bisogna confondere la produzione di contenuti con l’attività di trasmissione. Nieri dà per scontato che i due ruoli, come accade in Italia, debbano essere svolti dallo stesso operatore. Non è così all’estero. E non è così sempre nemmeno da noi. Si è visto che Telecom trasmetteva a pagamento i contenuti di Dahlia e lo stesso fa il gruppo Repubblica con Sky e persino con Mediaset.
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Esiste poi una differenza sostanziale di valore e di redditività tra frequenze utilizzate per la tv e frequenze utilizzate dagli operatori tlc. Lo dimostra lo stesso andamento delle due procedure: all’asta tlc le frequenze sono state oggetto di rilanci e tutti gli operatori, già in possesso di altre frequenze, sono stati disposti a grandi esborsi di danaro per assicurarsi un diritto d’uso che di per sè porterà immediatamente ricavi miliardari agli assegnatari; al beauty contest gratuito per le frequenze tv hanno aderito solo operatori già presenti nel business televisivo. E sa perchè? Perchè per trasformare quelle frequenze in ricavi reali servono investimenti ingentissimi, sia per costruire le reti sia per creare contenuti di qualità , visto che con il digitale la concorrenza di oltre 50 canali impone offerte editoriali ricche, sfidanti e molto costose.
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Non è vero quindi che per trasformare le frequenze in ricavi reali servono investimenti ingentissimi. Non bisogna confondere la produzione di contenuti con l’attività di trasmissione. Nieri dà per scontato che i due ruoli, come accade in Italia, debbano essere svolti dallo stesso operatore. Non è così all’estero. E non è così sempre nemmeno da noi. Si è visto che Telecom trasmetteva a pagamento i contenuti di Dahlia e lo stesso fa il gruppo Repubblica con Sky e persino con Mediaset.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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