GAZA, IL PACIFISTA ITALIANO RAPITO E’ STATO UCCISO PRIMA DELL’ULTIMATUM
VITTORIO ARRIGONI E’ STATO UCCISO SENZA ASPETTARE LA SCADENZA DELL’ULTIMATUM DAGLI ESTREMISTI ISLAMICI…UN RITRATTO DEL CRONISTA CONOSCIUTO E STIMATO PER LA COERENZA DELLE SUE IDEE E DELLA SUA VITA
L’hanno assassinato senza aspettare la scadenza dell’ultimatum che loro stessi avevano dato.
Vittorio Arrigoni, l’attivista pacifista rapito ieri a Gaza City da un commando di estremisti salafiti che minacciava di ucciderlo se non avesse ottenuto dal governo di Hamas il rilascio di un gruppetto di suoi militanti, è stato trovato morto questa notte in una casa abbandonata di Gaza City.
A ritrovare il corpo del giovane militante pacifista italiano le forze di sicurezza di Hamas che avevano scatenato una furibonda caccia all’uomo dopo l’annuncio del rapimento con un video su Youtube ieri pomeriggio.
Con uno scenario ispirato al feroce rituale iracheno, nel video Arrigoni appariva sanguinante, con gli occhi bendati, tracce di sangue sul volto ed evidenti segni di un pestaggio.
Militante dell’International Solidarity Movement (Isn) che comprende militanti di tutto il mondo che partecipano ad atti di protesta non violenta contro l’occupazione israeliana, Arrigoni era conosciuto da tutti a Gaza per il suo impegno e viveva nella Striscia dal 2008.
Il ritratto
Vittorio Arrigoni, 36 anni, era il solo cronista sul campo quando nel dicembre 2008 scoppiò la guerra.
La voce tremava ancora. In sottofondo, si sentivano i botti.
«Sto in casa! Non ho sentito arrivare aerei, elicotteri, niente! Solo il primo scoppio. Poi gli altri. Per la prima mezz’ora, non ho capito bene che cosa stesse succedendo. Ci siamo accucciati, ognuno si rifugia dove può. Intorno esplode tutto…».
Prima di Al Jazeera, prima dell’agenzia palestinese Ramattan.
La mattina del 27 dicembre 2008, quando Israele scatenò su Gaza la guerra di Piombo fuso, la prima cartolina dall’inferno ce la mandò lui.
Vittorio Arrigoni stava in un appartamento vicino alle due caserme di polizia colpite dal raid, non lontano dalla vecchia casa di Arafat.
Per terra fra un tavolo e un letto, la finestra spalancata sul porto, Vik guardava fuori e intanto descriveva, lui l’unico dentro: «Sapevo di venire a vedere cose terribili, non cose così terribili…».
Chiamare Arrigoni. Da quel giorno, e per 22 giorni, diventò un impegno fisso per chiunque volesse sapere che cosa si vedeva in quel lenzuolo di terra sigillato al mondo.
Vittorio era arrivato nella Striscia da qualche mese soltanto, via mare da Cipro, assieme a una delle navi Free Gaza Movement che due anni dopo gli israeliani avrebbero deciso di fermare a ogni costo.
Cominciò a scrivere corrispondenze per il Manifesto, sofferte, partecipi, molto lette, che ogni giorno finivano con la stessa frase: «Restiamo Umani, Vik da Gaza City» (titolo pure del suo libro, tradotto in quattro lingue).
Lecchese, pacifista «per vocazione» prim’ancora che giornalista «per dovere di testimonianza», sul suo profilo di Facebook e sul suo blog guerrillaradio.iobloggo.com, Vik ha sempre detto con chiarezza da che parte stava: «Non credo ai confini e alle barriere, credo che apparteniamo tutti, indipendentemente dalle latitudini, alla stessa famiglia umana».
E anche in questi mesi, mentre il Medio Oriente s’infiammava e nessuno parlava più di Gaza, lui ha sempre continuato a testimoniare il «criminale assedio israeliano», i 300 palestinesi morti nei tunnel scavati al confine con l’Egitto, la rivolta dei blogger contro Hamas…
Schierato, sta con l’International Solidarity Movement, il gruppo che pagò la resistenza ai bulldozer israeliani con la vita della pacifista americana Rachel Corrie.
Da Israele lo curavano con attenzione: nel 2008 era stato arrestato ed espulso mentre cercava con un peschereccio palestinese di forzare il blocco navale e di raggiungere la Striscia.
Per maggio, Arrigoni si stava preparando all’ennesima flottiglia degli attivisti di Free Gaza.
Di sinistra, il pacifista-giornalista non fa sconti: mesi fa ha attaccato anche Roberto Saviano per l’appoggio a una manifestazione romana pro-Israele. «Nelson Mandela – disse allo scrittore – sono anni che denuncia il razzismo d’Israele. Sto parlando di Nelson Mandela, non di Fabio Fazio».
Il 26 marzo – quando nelle piazze di Gaza City erano di nuovo scese in piazza migliaia di giovani, un’imitazione delle rivolte di quest’inverno arabo, subito manganellata e repressa dal governo di Hamas – Vik era lì: «Aveva appena cambiato casa, ma era molto prudente e davanti ad altri non diceva mai quale fosse il nuovo indirizzo – racconta Aldo Soligno, fotoreporter di Emblema, che ha lavorato con Arrigoni nelle ultime due settimane -.
Era eccitato da questa prova di ribellione. Ci sperava molto.
Siamo andati insieme a trovare i blogger che criticavano Hamas.
E quando Hamas li ha arrestati, è riuscito ad assistere ai loro interrogatori: la presenza d’uno straniero, questa era l’idea, avrebbe evitato abusi».
Che i salafiti se la prendano con uno così, è per certi versi inspiegabile: «Sono dei veri stupidi – dice da un carcere israeliano Marwan Barghouti, leader palestinese condannato a cinque ergastoli -. Chi può avere interesse a rapire un cooperante italiano che lavora in un contesto difficile come Gaza?».
Francesco Battistini
(da “il Corriere della Sera“)
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