GRILLO COME TRUMP, SPARARLE GROSSE RENDE ECONOMICAMENTE E POLITICAMENTE
PIU’ L’ACCUSA AGLI AVVERSARI E’ VIOLENTA ANCORCHE’ SENZA PROVE, PIU’ GLI UTENTI PLANANO A FROTTE E PIU’ SOLDI ARRIVANO DALLA PUBBLICITA’
Se il ridicolo non risparmia la Casa Bianca di Washington, figuriamoci la Casa Rosa di Bibbona.
Donald Trump attribuisce spesso agli avversari reati gravissimi. Lo fece più volte con Hillary Clinton, con risultati positivi.
Il 4 marzo ha “rivelato” con un tweet che Barack Obama aveva spiato le comunicazioni in entrata e uscita dal quartiere generale newyorkese del trumpismo, sulla Quinta Strada, durante la fase finale della campagna elettorale.
Quand’è stato accertato che qualcosa del genere non è mai accaduto, il presidente ha fatto dichiarare al suo portavoce Sean Spicer di “non aver mai pensato che Obama abbia agito personalmente”.
Il consigliere per le comunicazioni Kellyanne Conway ha aggiunto che si può sorvegliare qualcuno anche attraverso un forno a microonde opportunamente modificato. Ecco pertanto la nuova versione presidenziale della presunta aggressione telematica alla Trump Tower: Obama spiava il suo successore quando, appena sveglio, tostava il pane da imburrare.
Riesce a fare di meglio un professionista come Beppe Grillo, che sul ridicolo ha costruito una carriera e una fortuna.
Solito com’è a lanciare da Villa Corallina accuse sanguinose ai poteri palesi e occulti, s’è posto per tempo il problema di come evitare la sciagura che più teme: pagare di tasca propria eventuali condanne per diffamazione o calunnia per quanto postato sul blog beppegrillo.it.
La soluzione è stata dichiarare, tramite i propri legali, di non essere “responsabile, nè gestore, nè moderatore, nè direttore, nè provider, nè titolare del dominio del blog, nè degli account Twitter” e di non avere “alcun potere di direzione nè di controllo sul blog, nè sugli account Twitter, nè sui tweet e tanto meno su ciò che ivi viene postato”. Testuale.
L’impunità assoluta gli è garantita dall’onnipresente e ingegnosa Casaleggio & Associati, che lo protegge con un sistema di scatole cinesi digitali, e da alcuni prestanome disposti a immolarsi al posto suo.
Così può negare di aver scritto sul blog, riguardo alla vicenda dei pozzi d’estrazione in Basilicata, che nel PD sono “tutti collusi. Tutti complici. Con le mani sporche di petrolio e denaro”.
Dice, ora, di non c’entrare alcunchè con quelle parole pubblicate a sua insaputa. Ridicolo come il corregionale Claudio Scaiola al quale qualcuno comprò a tradimento una casa vista Colosseo, ridicolo come la grillina Virginia Raggi che si scoprì inconsapevole intestataria di polizze regalatele da un adorante funzionario comunale.
Ma non è solo questione di ridicolo.
Il fatto è che, sia nel caso di Trump sia in quello di Grillo, spararle grosse è una strategia raffinata che nell’ecosistema della comunicazione digitale e social rende politicamente e, soprattutto, economicamente.
La costellazione di siti di notizie inventate (le cosiddette “fake news”) che ruota intorno al sole Breitbart.com (il sito controllato da Steve Bannon, potentissimo consigliere ultraconservatore di Trump) e quella che trae energia dalla luce della stella beppegrillo.it si sostengono grazie alla pubblicità .
Per ottenerne a sufficienza bisogna convogliare tanto traffico.
Breibart.com, beppegrillo.it e migliaia di attivisti smanettoni possono contare sulle legioni di fan e creduloni pronti a bersi ogni storia verosimile – “Trovato il bunker da dove Obama trama contro Trump” oppure “Controllano ciascuno di noi con microspie che ci inoculano nelle vene” – e a sottoscrivere ogni invettiva facendo gara a commentare e darsi digitalmente di gomito.
Più l’accusa agli avversari politici è violenta ancorchè senza prove, più gli utenti planano a frotte sui siti e sulle pagine di Facebook che la rilanciano, più soldi arrivano dalla pubblicità .
È un circolo informativamente truffaldino eppure lucroso.
Per Trump, per la Casaleggio e per gli aspiranti autocrati di mezzo mondo, le notizie false e le ingiurie diffuse via Internet sono oggi il mezzo più efficace per autofinanziarsi e per finanziare i siti sostenitori.
Ma prima o poi l’inganno non funzionerà più.
Questione di tempo.
(da “Huffingtonpost”)
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