I GIORNI DELL’ANARCHIA
REGIONI CHE VOGLIONO FARE QUELLO CHE GLI PARE, RENZIANI E PD INSOFFERENTI, COMMERCIANTI CHE SVENTOLANO LE CHIAVI COME SE MORISSERO DI FAME PER DUE MESI DI BLOCCO IN UN PAESE DOVE LE FAMIGLIE HANNO 9.700 MILIARDI DI RISPARMI IN BANCA, PRIMI IN EUROPA
“Propongo un metodo: ordinanze regionali coerenti con il dpcm″, dice un volenteroso Francesco Boccia ai governatori riuniti davanti a lui nei piccoli schermi in videoconferenza, temendo l’anarchia delle ordinanze, annusando il caos di spostamenti, la confusione nei dettagli sul chi, come, cosa, dove e quando che mutano di comune in comune, di regione in regione.
E così da un lato ci sono le opposizioni e un pezzo sempre più nutrito di maggioranza che puntano il dito contro il Conte autoritario, primus supra partes che fa e disfa senza chiedere nulla a nessuno che non siano i 450 tecnici arruolati nelle innumerevoli task force.
Dall’altro c’è un suo educato ministro che chiede quasi il favore di rispettare un decreto del presidente del Consiglio che in quanto tale è un atto perentorio e inemendabile.
L’interessato, Conte, domani si difenderà in Parlamento: “Ho agito secondo la legge, una menzogna che la costituzione sia stata sospesa”, mentre i governatori di destra scrivono a Mattarella ritenendo lese le proprie prerogative, Salvini occupa l’aula del Senato, fino alle 23 e anche più, “resistendo” e costringendo la capigruppo a riunire per capire il da farsi che giovedì il capo del governo è in aula.
Mentre il Pd tiene molto a far sapere che sul dpcm è molto critico, ma il premier non si tocca.
Domenica sera qualcosa si è rotto nel filo che Conte aveva annodato con il paese. Non che prima si andasse d’amore e d’accordo. Le speranze e le aspettative che il paese gli aveva consegnato volentieri fra le mani inseguito alle calcagna dal coronavirus sono state disilluse.
Troppo confusa quella conferenza stampa, troppa delusione per le norme. Di “congiunti” da poter vedere ma solo con la mascherina nel salotto ha parlato il capo del governo. “Anche fidanzati e rapporti stabili” ha precisato una nota di Palazzo Chigi, in attesa che una circolare interpretativa del Viminale chiarisca cosa diamine si intenda con quello “stabili”. Ma niente passeggiate con gli amici, ha puntualizzato il pur aperturista ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli. Macchè, ha ribadito il compagno di partito Pierpaolo Sileri, che tra le altre cose è anche viceministro della Salute, “anche un’amicizia è un affetto stabile”.
Un caos comunicativo difficile da arginare, un mix di insoddisfazione e incomprensione che si è dilatato a macchia d’olio nel paese.
Non che finora tra Roma e le Regioni sia andato tutto bene, di sicuro rischia di andare peggio. Attilio Fontana ha con il suo inconfondibile piglio lanciato l’allarme sul caos che saranno i trasporti. Luca Zaia ha già aperto quel che doveva aprire. Massimiliano Fedriga ha chiesto candidamente copia del report del comitato tecnico scientifico sui disastri in caso di riapertura di tutto e subito, del quale evidentemente i governatori erano tenuti all’oscuro, prima che uscisse sui giornali.
Jole Santelli è andata dritta: in Calabria domani riaprono bar, ristoranti e agriturismi. Ma solo all’aperto, per far vedere che non si forza troppo.
Il piano “omogeneo nazionale”, frame sul quale hanno battuto il tasto incessantemente Conte e i suoi più fidati ministri, rischia di rimanere tale solo sulle quaranta pagine del dpcm. “Perchè noi dobbiamo rimanere chiusi con un contagio minimo sul nostro territorio?”, ha chiesto l’abruzzese Marco Marsilio.
State buoni fino al 18 maggio, la risposta di Boccia, che ha minacciato di impugnare tutte le ordinanze che in queste due settimane andranno contro i principi stabiliti da Palazzo Chigi, ma che ha aperto la regionalizzazione delle scelte a partire da quella data.
Per lo stress test basterà aspettare lunedì. Il Mattino informa che treni e aerei da Milano a Napoli sono già sold out, e basta ricordare la corsa in stazione centrale di inizio marzo, o la minaccia sghemba di De Luca una manciata di giorni fa: “Chiudiamo i confini della Campania”.
L’Inps ha svolto in un mese il lavoro di cinque anni, ha spiegato il premier come se fosse normale
I prefetti e il meccanismo di silenzio assenso per le riaperture chieste dai singoli imprenditori hanno puntellato di macchie il leopardo della penisola, mentre i commercianti al dettaglio rimangono al palo.
Onorina Gasparotto dopo quarant’anni che apre ogni mattina la saracinesca della sua bottega è chiusa da 7 marzo, il timore di non riaprire mai più.
Ieri sera a Vicenza ha sventolato con orgoglio e malinconia le chiavi del suo negozio, una sorta di flash mob improvvisato che ha percorso trasversalmente tante città italiani, da Roma (annunciata una “marcia” per il primo maggio) a Milano, da Palermo a Napoli (pizzaioli in rivolta), da Parma a Courmayeur.
Se si entra nel Palazzo, poi, ci si ritrova in una puntata di Sons of anarchy. Matteo Renzi sfreccia come un motociclista della fortunata serie americana. Accreditano fonti a lui vicine la voglia di un cambiamento nella tolda di comando, mentre l’occupante gli risponde “Tocca a me decidere” e le opposizioni insorgono perchè non può fare tutto da solo, intestarsi tutte le decisioni e tutti zitti e muti, come se poi fosse vero.
Michele Anzaldi e Stefano Fassina, che fino a prova contraria della maggioranza che sostiene Conte fanno parte, scalpitano, e propongono che il Parlamento dia con almeno sette giorni di anticipo un parere obbligatorio ma non vincolante ai dpcm, quelli annunciati all’ultimo minuto utile con tanto di ritardo fisso delle conferenze stampa, che chissà che fine farebbero.
Però forse andrà veramente bene, nonostante la pandemia e la crisi, il contagio e le chiusure, le terapie intensive e la cassa integrazione.
O forse no, sbatterà tutto contro l’anarchia intrinseca del Leviatano italiano
(da “Huffingtonpost”)
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