I PRECARI IN ITALIA SONO ORMAI 2.812.700, AUMENTATI IN 5 ANNI DEL 16,9%
I PRECARI SONO IL 12% DEL TOTALE DEGLI OCCUPATI… NEGLI ULTIMI 5 ANNI SONO AUMENTATI 5 VOLTE DI PIU’ DEI LAVORATORI A TEMPO INDETERMINATO, FERMI AL 3,1% … A FINE DICEMBRE SONO STATI MIGLIAIA I POSTI DI PRECARIATO “TAGLIATI”
I dati ufficiali dicono che i precari in Italia, a fine settembre, hanno raggiunto quota 2.812.700. Negli ultimi 5 anni sono aumentati del 16,9%. Sono più numerosi al Sud: 940.400 e secondo i dati nelle regioni del Mezzogiorno sono il 33,4% del totale nazionale.
I precari sono ormai il 12% del totale degli occupati e il loro aumento, in un lustro, è 5 volte di più dell’incremento registrato dai lavoratori dipendenti a tempo indeterminato che sono cresciuti, nello stesso periodo, del 3,1%.
A dimensionare il mondo dei lavoratori flessibili in Italia è la Cgia di Mestre che ha analizzato il mercato del lavoro concentrando l’attenzione sul mondo dei cosiddetti flessibili costituito da dipendenti a tempo determinato ( che include anche gli ex lavoratori interinali), da lavoratori assunti con collaborazioni coordinate e continuative a progetto ( i famosi co.co.co) e da prestatori d’opera occasionali.
Secondo la Cgia di Mestre “la maggior presenza di precari al sud è dovuta al fatto che in quell’area sono più diffuse che altrove le attività stagionali che per loro natura richiedono contratti a tempo determinato come l’agricoltura, il turismo, la ristorazione e il settore alberghiero. Inoltre non va dimenticato che una buona parte di questi precari sono assunti nel pubblico che nel Mezzogiorno continua ad essere un serbatoio occupazionale ancora molto significativo”.
Se i 940.400 precari occupati nel Sud sono il 33,4% del totale nazionale, a Nordovest sono 692.600 ( 24,6%) contro una media di 6 milioni e 252 mila lavoratori tipici.
Nel Centro sono 606.000 ( 21,5%) rispetto a 4 milioni e 240mila dipendenti a tempo indeterminato. Nel Nordest sono 573.700 (20,4%) su un plafond di lavoratori con contratti “veri” che supera i 4 milioni e 544mila.
L’elaborazione dell’identikit dei precari è stata fatta dall’ufficio studi della Cgia di Mestre sulla base dei dati Istat.
Analizzando l’orario medio settimanale di alcune di queste figure, se un co.co.pro lavora mediamente ogni settimana 31 ore, un prestatore d’opera occasionale è occupato per 23, contro una media settimanale di un operaio assunto a tempo indeterminato pari a 37 e di un impiegato sempre con il posto fisso pari a 35 ore.
Emerge un altro dato interessante: tra gli impiegati e gli operai con un posto di lavoro stabile oltre il 50%, cioè 7.669.000 occupati su un totale di 15.181.000, lavora effettivamente più di 40 ore settimanali, contro una media delle due categorie messe insieme pari a 36 ore.
Da parte di alcuni si sostiene che ci sarebbero le condizioni, per alcuni settori produttivi, di ragionare sull’ipotesi di introdurre la settimana corta in funzione anticrisi.
Una cosa è certa comunque: che a fine anno migliaia di posti di precari in scadenza di contratto sono stati “tagliati”, soprattutto nel pubblico e non solo nel privato, creando un ulteriore ampliamento delle fasce dei “non protetti” e di coloro in cerca di una occupazione il più possibile stabile.
Il rischio è che questo “precariato a vita” determini una fascia di giovani ed ex giovani che, di lavoro precario in lavoro precario, arrivino alla mezza età senza occupazione stabile, con forti riverberi negativi per una società dove la insicurezza sociale la fa da padrone e impedisce di assumere impegni ( vedi mutui casa) e crearsi una famiglia.
Per tagliare posti basta una firma, è facile… ma allora occorre creare lavoro vero, a tempo indeterminato, altrimenti è solo un gioco al massacro.
Senza investimenti e legalità , rischio imprenditoriale e facilitazioni fiscali, presenza e coordinamento dello Stato, detassazioni e incentivi, si sta solo “costruendo” una generazione a rischio “fallimento economico, sociale e morale”.
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