IL “CERCHIO MAGICO†NON BASTA PIÙ: COSÌ CROLLA L’AUTORITÀ DEL VECCHIO CAPO
PER OLTRE VENTI ANNI BOSSI HA SISTEMATICAMENTE MORTIFICATO I SUOI RIVALI E CONTESTATORI…ORA SCOPPIA LA RIVOLTA
Non doveva succedere ed è successo.
Inesorabili, però, questi fischi.
Fischi padani, fischi di cuore, fischi fatti in casa, a Varese, culla della Lega, quindi specialmente simbolici.
Fischi a lungo temuti, oltretutto, e sventati in extremis neanche due mesi fa quando attorno al loro destinatario, fino a quel momento barricato in un salottino dietro un muro di guardie del corpo, si avvertì che in Cadore c’era aria di contestazione, piccoli capannelli si formavano per la strada, voci che si rincorrevano e allora — «Brutto, brutto, meglio andare» — via di corsa nottetempo dall’hotel Ferrovia di Calalzo.
E insomma, nonostante tutti gli scongiuri e le operative cautele del caso l’energia non soltanto sonora di questi benedetti fischi ha finalmente perforato la barriera incantata del Cerchio Magico e adesso Bossi è un po’ meno Bossi.
A riprova che il carisma non è dato per sempre, e che non esiste re a cui il destino non rechi prima o poi in cortese o meno cortese dotazione una qualche forma di bambino che come nella famosa fiaba di Andersen a un certo punto se ne esca: il re è nudo, appunto — e a vederli, questi sovrani vecchi, infermi e denudati non sono mai spettacoli piacevoli, ma istruttivi sì, altrochè se lo sono, e per tutti, a cominciare da loro stessi.
Inutile adesso ricordare con quanta superba e fragorosa efficacia per vent’anni e più Bossi ha sistematicamente mortificato coram populo i suoi rivali e contestatori, sollecitando gli istinti meno misericordiosi della folla leghista.
Chiedere a Bobo Maroni, qualificato, pensa un po’, «braccio debole da amputare», l’unico peraltro su cui poi si esercitò la magnanimità del Senatùr, anche se per estrema beffa spedito con tanto d’incarico a diffondere il verbo della Lega nel Mezzogiorno d’Italia (maggio 1995).
Ma almeno a quei tempi i congressi non si svolgevano a porte chiuse.
Mentre invece ieri i giornalisti, i fotografi e le telecamere, soprattutto, hanno trovato sbarrata la sala dell’Ata hotel e l’unica inconfessabile motivazione di questo inaudito divieto è che non dovevano trasmettere non già lo spettacolo irresistibile del dissenso, ma quello ancora più irresistibile e definitivo della dissacrazione.
Vana speranza, al giorno d’oggi: e non solo perchè, a differenza della televisione, che per sua natura e vocazione consacra il potere di chi ce l’ha, i nuovi media della rete hanno già ampiamente contribuito a profanare l’autorità del leader padano mostrandone in via seriale i segni sempre più evidenti della malattia, le frasi sconnesse, quelle che non si capiscono, le carezze di Berlusconi, l’imboccamento della Polverini, le pernacchie e gli altri frequentissimi gestacci.
E’ che nulla ormai, nessun Cerchio o Circo magico può contro quella “Bestia apocalittica” (Ceronetti) che è la comunicazione,e così come negli ultimi due mesi l’operazione alla cataratta o la misteriosa caduta dalle scale o dal letto hanno colpito l’immaginazione del pubblico, ieri si è subito saputo lo stesso che Bossi era stato tenuto prudentemente al riparo in un’altra sala, e i fischi prima durante e dopo il suo intervento si sono ben sentiti,e poi sulla rete s’è visto il clip dei delegati che uscivano fuori furenti, e magari domani ci fanno il remix con la musica e la partecipazione straordinaria del Trota, dell’altro figlio Riccardo, il rallysta, della signora Manuela e della vicepresidente badante del Senato Rosy Greco, doppiata mentre mette ai voti qualche emendamento.
Questo per dire che se nel mondo delle visioni a distanza il precario stato di salute di Bossi ne ha eroso il carisma, e più velocemente il disinganno lo sta facendo svanire, la sconfitta politica e l’assenza di prospettive creano le premesse per la sua più violenta e rumorosa abolizione.
Ora, va da sè che il processo non si risolve in un pomeriggio, ma per la prima volta è apparso chiaro che l’icona ha perso tutto o quasi il suo smalto dorato e che il totem si è incrinato nel luogo da cui è partita la straordinaria avventura leghista e nel tempo in cui quello strambo agitatore dell’autonomismo è ormai divenuto un ministro della Repubblica, anzi l’uomo nelle cui mani stanno le sorti della maggioranza, del governo, di Tremonti, dello stesso Berlusconi e del suo impero.
Colpisce che tale esito vada manifestandosi poco dopo che il ritratto di Bossi è stato appeso — privilegio unico per un uomo di governo — alle pareti delle sedi distaccate dei ministeri padani nella villa di Monza.
Eppure, in quella strana sequenza di eventi che per convenzione o apatia si continua a definire politica, non sarebbe la prima volta che l’inizio della fine coincide con il suo apparente contrario. E’ una lezione che vale per tutti.
Nei partiti carismatici l’obbedienza è terribile perchè abitua chi comanda a sentirsi infallibile e chi obbedisce prima a non avere idee, e poi solo fiato da buttare fuori con rabbiosi sibili.
Filippo Ceccarelli
(da “la Repubblica“)
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