IL CAPO DELLA PROTEZIONE CIVILE ATTACCA I SINDACI: “MA CHI DOVEVA INTERVENIRE, LE GIUBBE BLU, LA CAVALLERIA?â€.
NEL DAY AFTER DELLA SARDEGNA, CON 16 MORTI E UN DISPERSO
Si contano i morti, 16, più un disperso, uomini e donne, giovani e anziani, bambini, gente travolta dal fango e dall’acqua.
Come succede da sempre in Italia, il Paese che non riesce a imparare una lezione, una sola, dalle tragedie.
L’evento è sempre eccezionale, imprevedibile, catastrofico. Questa volta a ferire a morte la Sardegna è una pioggia mai vista. “In ventiquattro ore è caduta l’acqua che cade in sei mesi”, dicono alla Protezione civile.
È stato sempre così nell’Italia che dal 1960 al 2012 conta 541 inondazioni, 812 frane, 4 mila morti, esclusi quelli della madre di tutte le tragedie, il Vajont.
E allora scoppiano le polemiche. Il fenomeno era previsto, certo, ma la gente è stata avvisata in tempo?
A Olbia, nei comuni più colpiti, tra il fango che ha devastato città e villaggi della Sardegna, c’è chi urla la sua risposta. “No, nessuno ci ha detto che correvamo dei pericoli. Siamo stati abbandonati per ore. I soccorsi sono arrivati in ritardo”.
Ci sarà tempo per chiarire al millimetro gli orari delle allerte. Per Franco Gabrielli, il prefetto Capo della Protezione civile, “il sistema di allertamento nazionale ha funzionato”.
Le accuse sui ritardi “sono infondate, e chi ha lanciato anatemi infondati ne risponderà . Qui si farnetica per qualche clic sul web in più”.
Lasciamo da parte clic e polemiche e tentiamo di ricostruire i tempi dell’allarme. A lanciarlo, con un “avviso di criticità n. 13072” inviato alla Protezione civile sarda è il Dipartimento nazionale, domenica 17.
Si comunica che “dalla mattinata di domani, lunedì 18 novembre 2013, e per le successive 24-30 ore, si prevede il livello di elevata criticità per rischio idrogeologico localizzato sulle seguenti zone…”.
Segue elenco di comuni interessati, e allarme rivolto ai sindaci, ai vari dipartimenti e assessorati regionali, agli enti responsabili della vigilanza sulle dighe in tutta la Sardegna, per le successive 24-30 ore, chiarisce un secondo comunicato, il livello di criticità diventa “moderato” ma solo per la zona di Logudoro, Sassari, per il resto l’allarme è alto e fino alle 18 di oggi. Fin qui la Protezione civile e la difesa del sistema di “allertamento”.
Nella sua visita in Sardegna per coordinare i soccorsi, Gabrielli non ha gradito le critiche provenienti da alcuni sindaci.
“A chi dice di essere stato lasciato solo, rispondo così: ma chi doveva intervenire, le giubbe blu, la cavalleria? Chi doveva intervenire se non il territorio?”.
Una domanda che in una regione come la Sardegna apre una prateria sconfinata di riflessioni, critiche e accuse.
I danni sono enormi e certamente sono insufficienti i 20 milioni annunciati da Enrico Letta nella sua rapida visita all’Isola, nè la fuoriuscita dal patto di stabilità per i sindaci dei comuni colpiti, per affrontare l’emergenza, meno che mai per programmare la ricostruzione di quanto acqua e fango hanno distrutto.
Perchè la Sardegna è da anni devastata da cementificazioni selvagge, sulla costa e nelle aree interne, ferita dall’uso indiscriminato dei fiumi, da un sistema di governo di acque e dighe dove si sovrappongono burocrazie e competenze.
Ironia della sorte, proprio lunedì mattina, il governatore Ugo Cappellacci avrebbe dovuto iniziare un tour sull’Isola per raccontare a sindaci e popolazione i dettagli del Pps, pomposamente definito Piano paesaggistico dei sardi.
Una babele che ha in sè un solo obiettivo: stracciare il vecchio piano approvato dal governatore Renato Soru e dal centrosinistra. Sulla contestazione a quel piano giudicato zeppo di vincoli, troppo rigido e quindi ostile alle lobby dei cementificatori, Cappellacci ha vinto le elezioni.
Gli ambientalisti, invece, sono sul piede di guerra.
“Da oggi, da quando il Piano è stato approvato — spiega Vincenzo Tiana di Legambiente — l’istituto di tutela paesaggistica viene fortemente ridotto se non addirittura cancellato. Un vero pasticcio che aiuterà i furbi e gli speculatori a tirar fuori progetti di edificabilità selvaggia che avevano nel cassetto da vent’anni”.
Maria Paolo Morittu, di Italia Nostra. “La verità è che non ci sono più tutele, è caduto il vincolo dell’edificabilità dei 300 metri dalla battigia, hanno ritagliato un piano a misura del Piano casa e della legge per il golf aggirando ogni salvaguardia del territorio”.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
Leave a Reply