IL CAPPELLO A SONAGLI HA SMESSO DI TINTINNARE
DARIO FO, UNA VITA CONTRO I PUPAZZI DEL POTERE DA “GIULLARE DELLA SOCIALITA'”
Quando è nato Dario Fo? L’anagrafe dice nel 1926, in realtà , visto quel che poi è successo, bisognerebbe indicare il 1968, l’anno in cui Dario Fo scopre il berretto a sonagli del giullare, se lo ficca in testa e ad ogni scrollata di campanelli fa tremare le questure, i tribunali, la borghesia, il partito (comunista).
Coloro che hanno riso come matti alle sue farse adesso vorrebbero buttargli una buccia di banana tra i piedi, ma lui non se ne dà per inteso.
Scrolla la testa e, come un gallo indisciplinato, lancia con quella sua voce adenoidea un chicchirichì tremendo che riempie le piazze più d’un comizio.
Un comico che voleva fare il pittore
Prima del 1968 Dario Fo è stato soltanto un comico che avrebbe voluto fare il pittore. Era smilzo, tutto naso e bocca, il corpo snodabile come una marionetta.
Faceva il piccolo cabotaggio macchiettistico ai microfoni della Rai, scriveva e interpretava i monologhi del Poer nano, e in una rivista degli anni Cinquanta, che si intitolava Cocoricò, lo si poteva vedere con Giustino Durano in passerella.
Paglietta in testa, bastoncino in mano, gesti gemelli, i due inauguravano una comicità asimmetrica e un po’ pazza.
Poi a loro si unì Franco Parenti e nel ’53 fecero Il dito nell’occhio e l’anno successivo Sani da legare. Erano riviste da camera in cui l’apporto mimico era fondamentale, non per nulla vi collaborò Jacques Lecocq e significativamente a Sani da legare prese parte anche un formidabile allievo di Lecocq, Giancarlo Cobelli. Preistoria.
Dario e Franca
Nel ’54 Dario incontra Franca Rame, bionda e splendida discendente di comici raminghi. La sposa in chiesa e con lei forma una coppia artistica che riempie i teatri borghesi, prima con quelle farse riprese dal vecchio repertorio ottocentesco rinnovate però da una straordinaria inventiva mimica, poi con le commedie, sette, una all’anno o quasi.
E’ un teatro dai toni clowneschi e di immaginarie torte in faccia: Non tutti i ladri vengono per nuocere, Gli arcangeli giocano a flipper, Aveva due pistole con gli occhi bianchi e neri, Chi ruba un piede è fortunato in amore, Isabella, tre caravelle e un cacciaballe, Settimo: ruba un po’ meno, La colpa è sempre del diavolo.
Lei fa la svampita, lui è l’istrione un po’ circense che, oltre a scrivere i testi, disegna le scene e i costumi. Il conto in banca cresce con le risate delle platee, ma in quelle risate, chissà come, vibra una specie di campanello d’allarme.
Un nuovo inizio
Forse Dario sente che c’è un equivoco alla base di quel successo. Fa ridere la borghesia prendendola a schiaffoni e la borghesia lo ricambia con gli applausi.
Ma quando, nella Canzonissima del ’62, si mette a parlare di omicidi bianchi e di mafia, il meccanismo salta.
Lo cacciano dalla televisione, i grandi teatri gli chiudono le porte e lui capisce di dover ricominciare. «Ero diventato l’alka seltzer della borghesia» spiegherà .
Ed è così che tende l’orecchio ai boati della contestazione giovanile, ma soprattutto ascolta il rombo smorzato di un soffio che viene da lontano, dalla cultura popolare, dalle storie di piazza e di campo: cose che lui ha già trasformato in spettacolo nel ’66 con Ci ragiono e canto, ma che adesso lo invadono con forza irresistibile, lo obbligano a rispecchiarsi nelle voci del dissenso fino a farvi coincidere la propria natura di interprete-non-attore, di giullare della socialità salito su una pedana in mezzo a una piazza.
Da qui la scelta del non-teatro, della balera, della casa del popolo, del palazzetto dello sport, della palazzina diroccata.
I pupazzi del Potere e il giorno più duro
Comincia a costruire i suoi pupazzoni satirici. Gli escono come un’esplosione liberatrice della fantasia. Sono i pupazzi del Potere.
Fo gli sfonda la pancia e ne cava re canuti, generali, capitalisti, prelati; vengono anche fuori lo Jesus dei giullari medievali, l’ubriaco delle nozze di Cana, il Matto che si fa passare per magistrato e conduce un’allucinante inchiesta farsesca sul caso Pinelli e sull’attentato di piazza Fontana.
Unifica testi remoti in una lingua padana vagamente quattrocentesca con lampi ruzantiani e nel ’69 ci dà il meraviglioso sproloquio di Mistero buffo, che reciterà , trasformandolo, per il resto della vita, mentre altri lo interpreteranno ovunque nel mondo, anche in Cina.
I suoi spettacoli sono tendenziosi e tumultuosi (Il Fanfani rapito, Storia di una tigre, La marijuana della mamma è sempre più bella) e provocano lo scontro: incursioni della polizia, sequestri e l’episodio più odioso e tremendo: Franca sequestrata dai neofascisti, violentata e seviziata. Un clima orrendo.
Nel ’91 nasce Johan Padan a la descoverta de le Americhe ed è un nuovo modo di stare in scena. Dario racconta sfogliando disegni. Parola e immagine sono tutt’uno, una soccorre l’altra e una completa l’altra. Seguono questo schema Lu santo jullare Francesco e le lezioni-spettacolo a cui Dario volge ormai la propria attenzione.
Lo “scandalo” del Nobel
L’ultima svolta è del ’97, quando Dario riceve il Nobel per la Letteratura. Che putiferio. I letterati gridano allo scandalo: il Nobel a un giullare? gemono.
E il giullare incassa con orgoglio, devolve una parte dell’assegno agli handicappati, acquista per loro pulmini speciali, dopo di che mette un po’ in ombra la coccarda dell’attore e dipinge, scrive libri (La figlia del papa, Razza di zingaro, Dario e Dio) mentre riceve lauree honoris causa alla Sorbona di Parigi e alla Sapienza di Roma.
Fa notare che prima di lui Roma ha concesso l’onorificenza a due soli teatranti: Pirandello e Eduardo.
«Attento te…» ammonisce. Sa di essere diventato un monumento e la cosa non gli dispiace: crede di aver creato l’ultima «opera dello sghignazzo» e l’ha scritta su se stesso.
Osvaldo Guerrieri
(da “La Stampa”)
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