IL MINISTRO DELL’ESTERNO ANGELINO JOLIE
LA SUA INCONSISTENZA DANNEGGIA INEVITABILMENTE CHIUNQUE LO CIRCONDI
Poco più di 25 anni fa —29 giugno 1989- moriva Mario Melloni, alias Fortebraccio, ferocissimo corsivista dell’Unità .
E non ci è mai mancato come in questi ultimi giorni di cronache estive così vuote di contenuti da lasciare spazio persino ad Angelino Alfano.
Gli sarebbe piaciuto, Angelino Jolie. Per trovare un simile concentrato di niente, un tale cervello sottovuoto-spinto, Fortebraccio era costretto ad assemblare le cervici di decine di politici democristiani e socialdemocratici: oggi Alfano gli semplificherebbe il lavoro.
Da solo, fa contemporaneamente le veci di tutti i principali bersagli della sua satira. Tanassi, “uomo dalla fronte inutilmente spaziosa”. Ma non solo: “Una grossa auto blu si fermò davanti a palazzo Chigi. L’autista corse a spalancare la porta posteriore destra. Non ne scese nessuno. Era Nicolazzi”.
E pure Cariglia: “Si vanta, giustamente, di essere ‘venuto su dal nulla’ e quando parla lo fa per dimostrare che c’è rimasto”.
Ecco, sostituite il suo nome a quelli di quei politici ancien regime, tutti peraltro infinitamente meno inutili di lui, e avrete il ritratto dell’attuale — pare impossibile, ma è così — ministro dell’Interno.
Lo scorso anno, per giustificare il sequestro e la deportazione della Shalabayeva e della figlioletta, ordinati dal Viminale cioè dal suo ufficio, non trovò di meglio che dire di non averne saputo nulla.
Un po’ come l’imputato colpevole che, per evitare la sicura condanna, estrae il certificato di totale incapacità di intendere e volere.
Solo che poi non fu avviato al trattamento sanitario obbligatorio, ma restò ministro dell’Interno.
Il governo era quello di Enrico Letta, infatti Renzi infierì: “Se Alfano sapeva, ha mentito e questo è un piccolo problema. Se non sapeva davvero, è molto peggio”. Sante parole, se non fosse che poi Renzi diventò premier e chi nominò, anzi rinominò ministro dell’Interno? Angelino Jolie, naturalmente.
Quello che non c’era mai e, se c’era, dormiva (tipo la sera della finale di Coppa Italia, con le forze dell’ordine in ginocchio ai piedi del vero ministro: Genny ‘a Carogna). Quello che — direbbe oggi Fortebraccio — se scompare nessuno se ne accorge.
E, se va al cinema, tutti si siedono dove già c’è lui e, per non esserne schiacciato, è costretto a tenere in mano per tutto il film un grosso cartello con su scritto “Poltrona occupata da Alfano”.
Il dramma è che la sua inconsistenza, ai limiti dell’inesistenza, danneggia invariabilmente chiunque lo circondi.
Dopo una breve parentesi nella Dc, non a caso di lì a poco estinta, nel 1994 s’iscrisse giovanissimo a Forza Italia, ove militò all’insaputa dei più come segretario di B.: rispondeva alle lettere e leccava i francobolli.
Nel 2005 divenne segretario siciliano del partito, che non a caso nell’isola del 61 a zero colò subito a picco.
Un po’ come il trapianto di capelli, abortito per il fermo rifiuto opposto da questi ultimi di ricrescere sul suo capino.
Nel 2008 fu promosso ministro della Giustizia, la quale non se n’è più riavuta.
Nel 2013, neosegretario nazionale, trascinò il partito al minimo storico di tutti i tempi. Poi, dopo un’estate passata a strillare contro la condanna di B. e a chiedere la grazia a Napolitano (con l’esito a tutti noto), dovendo scegliere fra B. e Letta optò per il secondo, che infatti di lì a poco spirò, mentre B. si sentì subito meglio.
Ora, profittando delle ferie degli altri ministri, cerca di strappare qualche titolo di giornale con due battaglie epocali, e soprattutto nuove: contro l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e contro i “vu’ cumprà ” (nel 2014 lui li chiama ancora così).
A suo avviso, in un paese senza domanda dunque senza lavoro, le aziende assumeranno milioni di giovani se potranno licenziarli e se i venditori di collanine saranno cacciati dalle spiagge per dedicarsi finalmente a furti e rapine.
Ciò che lascia sempre ammirati è la faccia pensosa con cui l’acuto ministro dell’Esterno espettora le sue idee geniali.
Torna in soccorso Fortebraccio, che però parlava di Forlani: “Se qualcuno non avesse avuto l’ardire di offrirglielo fritto al ristorante, non avrebbe mai saputo dell’esistenza del cervello”.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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