IN GINOCCHIO DA VOI: IL TOUR DELLA SPERANZA DI MATTEO
VEDE DRAGHI E NAPOLITANO: GLI SERVE SOSTEGNO PER LA MANOVRA D’AUTUNNO
Il nervosismo di Matteo Renzi si spiega facilmente: è partito per fare il battitore libero e si ritrova ingabbiato.
Funziona così quando si guida un paese debitore, a maggior ragione quando lo si fa non essendo neanche troppo ben visto da quei circoli internazionali che hanno fatto la fortuna dei suoi predecessori (del Paese un po’ meno).
La situazione s’è plasticamente disegnata agli occhi del pubblico in questi ultimi due giorni: martedì il viaggio in elicottero a Città della Pieve per fare una chiacchierata con Mario Draghi (sia ringraziato il Corriere dell’Umbria per averlo beccato), ieri sera il lungo colloquio a cena con Giorgio Napolitano.
Il menù è sempre lo stesso: la situazione economica e le intenzioni del governo sulle riforme.
In sostanza il premier ha dovuto ribadire ai suoi interlocutori che entro la prossima sessione di bilancio — cioè entro dicembre — i desiderata europei (dalla riforma del lavoro ai tagli di spesa pubblica) verranno portati a casa.
L’incontro con Draghi, in particolare, ha colpito la fantasia della stampa: per com’è avvenuto e perchè è seguito al pubblico scambio polemico sulla “cessione di sovranità ” (che entrambi, peraltro, negano).
Atterraggio nella città umbra in cui il governatore ha una casa alle 9 del mattino e in gran segreto, un paio d’ore di faccia a faccia e poi il ritorno a Roma, con decollo alle 11.30.
“Ho visto Draghi: è una cosa normale, lo faccio spesso. Vi assicuro che l’Italia non è un osservato speciale e che l’agenda di riforme di Draghi è anche la mia dalla A alla Z”, ha minimizzato Renzi una volta che la notizia è divenuta di pubblico dominio.
Non si sa se spesso, ma effettivamente tra i due — anche se il rapporto non è idilliaco e dalle parti di Francoforte ci sia una certa sfiducia nelle capacità dell’ex sindaco — c’è un certo livello di interazione.
Basti dire che Renzi chiese anche a Draghi un consiglio su chi nominare ministro dell’Economia (“meglio un politico”, la risposta).
Come che sia, l’incontro di martedì è stato chiesto con insistenza dallo stesso Renzi dopo le frecciate dei giorni scorsi: l’idea era capire se la Banca centrale europea è accanto all’Italia in questa fase così difficile oppure farà da spalla ai rigoristi (Germania, Commissione Ue) come spesso è capitato in passato.
C’è in ballo anche la partita sui nuovi soldi che la Bce dovrebbe cominciare a erogare in autunno alle banche (il cosiddetto “Quantitative easing” europeo) con meccanismi che però ne vincolino l’uso ai prestiti all’economia reale: Renzi punta molto — forse troppo — sull’effetto sugli investimenti (e quindi sulla crescita del Pil) di questa immissione di denaro.
Indirettamente, questa impostazione del colloquio è confermata anche da fonti della Bce: si è parlato solo di temi europei, anche perchè il governatore non ingerisce sulle politiche dei singoli paesi, fatto confermato anche dalla famosa conferenza stampa sulla “cessione di sovranità ”, che era appunto riferita a tutti gli stati europei.
Il minuetto, però, non deve aver rassicurato del tutto Matteo Renzi visto l’umor nero mostrato nella successiva intervista pomeridiana a Millennium (Raitre): nessun impegno preciso, ma l’invito a rispettare il programma — anche temporale – indicato dallo stesso governo su riforma del mercato del lavoro e consolidamento fiscale.
Tradotto: Jobs act e manovra. Sugli stessi temi, più uno, il nervoso premier ha dovuto relazionare pure Giorgio Napolitano a cena.
Partiamo da quello nuovo: il capo dello Stato ha già fatto sapere che è felice per l’approvazione delle riforme costituzionali in Senato, ma si aspetta qualche modifica nel passaggio alla Camera. In particolare, il Colle ritiene veramente troppo debole la riforma del Titolo V venuta fuori da palazzo Madama rispetto all’impianto originario della riforma: i poteri dello Stato centrale devono essere esplicitamente ampliati e meglio specificati per evitare l’enorme contenzioso con le regioni che è stato la croce della riforma voluta dal centrosinistra nel 2001.
Per il resto non ci sono particolari novità , se non la crescente preoccupazione del principale tutore internazionale del presidente del Consiglio (anche lui non esattamente simpatizzante col suo protetto).
Renzi, per parte sua, continua a garantire che nella legge di Stabilità ci saranno 16 miliardi di tagli (detti spending review) e che entro l’anno arriveranno pure la riforma della giustizia civile e quella del lavoro, oltre all’attuazione della delega fiscale.
È chiaro però che il timore principale di palazzo Chigi è per la reputazione del governo sui mercati internazionali.
Lo si nota dall’ossessiva frequenza con cui Renzi dichiara al Financial Times. Dopo l’intervista spavalda di lunedì, ieri ha fatto sapere ai lettori del quotidiano britannico che il suo esecutivo “spalanca le porte agli investitori esteri”: “Io sono più felice quando vedo arrivare qui un grande investitore straniero che non un normale investitore italiano. E non perchè io non sia patriottico, ma perchè per me conta il progetto industriale, non il passaporto”.
Marco Palombi e Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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