IL PIL NEGATIVO SCARDINA LA MANOVRA: DOPO 4 ANNI TORNA IL SEGNO MENO
RISCHIO EFFETTO TRASCINAMENTO E CRISI DI FIDUCIA PER IL 2019, ECCO PERCHE’ IL GOVERNO RISCHIA GROSSO (E STAVOLTA NON PER L’EUROPA MALVAGIA)
Immaginate una macchina che prova a prendere velocità su una salita e all’improvviso scivola indietro senza controllo. Il conducente è l’Italia, intesa come economia, forza produttiva, lavoro.
Il freno a mano è saltato e a certificarlo è l’Istat: dopo 14 trimestri consecutivi di crescita ritorna il segno negativo.
Accanto al conducente siede il copilota, cioè chi ha la responsabilità di guidare il Paese: il governo gialloverde. Il volante, ora, è estremamente scivoloso, difficile da raddrizzare perchè quel -0,1% registrato dal Pil nel terzo trimestre inverte un trend positivo che durava dal 2014.
È un blocco psicologico pesante nei numeri come nelle prospettive politiche. Più che la trattativa con l’Europa, sterilizzata seppure ancora fragile, è la caduta del Pil l’elemento di disturbo che può fare saltare in aria la strategia disegnata con la manovra.
Per capire il peso specifico elevato che ha questo elemento di disturbo sul governo occorre guardare ai numeri.
Cosa dicono? Una cosa essenzialmente e cioè che la retromarcia del Pil è dovuta principalmente a quanto sta accadendo dentro i confini nazionali.
La domanda interna si è incrinata e la crepa ha assunto una fisionomia trasversale, andando a intaccare sia i consumi che gli investimenti. Basta guardare alla spesa delle famiglie, in calo dello 0,1%, ma anche alla discesa degli investimenti, dove le spese per impianti e macchinari si sono ristrette del 2,8 per cento.
Tutte queste voci, insieme ad altre, rimandano alla spesa produttiva, quella cioè su cui si innesta la crescita del futuro. È qui che risiede il rischio per Lega e 5 Stelle.
Perchè se è vero che il freno a mano ha iniziato a cedere nel periodo compreso tra luglio e settembre – cioè quando il governo era in carica da pochi mesi – è altrettanto evidente che questo dato può innestare un effetto trascinamento duraturo come apprende Huffpost da fonti vicine a chi ha elaborato questi dati.
Quanto lungo questo effetto valanga? Nella prospettiva più breve, cioè fine anno – e anche meno problematica per l’attuale governo dato che la strategia della manovra parte dal 2019 – la crescita acquisita si fermerà allo 0,9%, lontana dall’1,2% previsto dall’esecutivo.
Guardando però al calendario che conta, cioè quello del prossimo anno, gli effetti potrebbero essere devastanti.
Perchè il disegno economico di Luigi Di Maio e Matteo Salvini poggia sulla crescita ipertrofica, fissata a +1,5 per cento. Raggiungere questa soglia è ora un obiettivo ancora più ambizioso. L’hanno detto e ripetuto le organizzazioni nazionali e internazionali, da Confindustria al Fondo monetario internazionale, lo ribadisce oggi l’Istat.
Fin qui l’argine del governo, secondo i due vicepremier, può reggere nel senso che la replica è “noi ce la faremo”. Lo ha sottolineato anche oggi il premier Giuseppe Conte proprio dopo la pubblicazione dei dati da parte dell’Istat: “Lo faremo crescere”. A ruota Salvini: “Nel 2019, con la nostra manovra fondata su più lavoro e meno tasse, l’Italia tornerà a crescere”.
Oltre la diatriba sul Pil c’è pero un effetto concatenato che si può sviluppare e a determinarlo è lo stesso schema messo a punto dal governo.
Nei numeri e nelle considerazioni politiche ribadite alla luce delle critiche alla manovra, infatti, Lega e 5 Stelle hanno sempre sottolineato il fatto che il deficit e soprattutto il debito caleranno proprio grazie al super Pil.
È la matematica perchè il rapporto debito-Pil e deficit-Pil è un rapporto tra numeratore e denominatore: se il denominatore cresce, impatta sul numeratore e il risultato finale è un calo del valore numerico. Quindi più il Pil cresce, più scendono debito e deficit. Se il Pil, però, si inceppa ecco che a saltare è l’intero schema.
Oltre ai numeri c’è anche un altro rischio.
I malumori delle forze produttive emersi nei territori, soprattutto al Nord, potrebbero deflagrare ulteriormente.
I dati del Centro studi di Confindustria parlano di un calo della produzione, a novembre, dello 0,5% su ottobre e dello 0,7% sull’anno. Il cuore del problema si evince dalle considerazioni che accompagnano i numeri: “Il calo dell’attività è coerente con l’andamento negativo del clima di fiducia degli imprenditori manifatturieri”. È un quadro che non può lasciare indifferente soprattutto la Lega, che al Nord ha il suo bacino elettorale più ricco.
In questo clima di pericoli e numeri negativi, il governo non intende smuoversi dalla sua strategia. Avanti con la considerazione che il reddito di cittadinanza e la quota 100 per le pensioni, insieme agli investimenti, spingeranno il Pil in su. Basterà aspettare insomma.
Per ora – e questa linea accomuna tanto Salvini quanto Di Maio – occorre sgomberare il campo dalle responsabilità del crollo del Pil nel terzo trimestre: la colpa è del governo Gentiloni, del Pd.
La ricetta alternativa è appunto la manovra ultraespansiva, ma i dubbi espressi nelle scorse settimane dall’Ufficio parlamentare di bilancio, come dalla Banca d’Italia piuttosto che dalla Commissione europea, restano.
Il prezzo economico che il governo ha messo nel conto per difendere la sua strategia è l’extra deficit che vuole strappare a Bruxelles.
Quello politico è ancora più largo nel senso di un disegno economico tutto puntato sulle due misure care a Salvini e Di Maio.
In questo clima si inserisce la trattativa con Bruxelles e le modifiche che si vuole concedere per provare ad evitare la procedura d’infrazione.
I lavori in corso sono limitati a un cantiere ristretto, dove la massima concessione può arrivare a uno 0,2% in meno di deficit. Salvini ha di fatto già portato a termine il suo lavoro con lo sgonfiamento imminente della quota 100, che costerà circa 5 miliardi invece di 6,7: non un grosso problema slittare di qualche mese le norme che permetteranno di andare in pensione con 62 anni di età e 38 anni di contributi.
Di Maio, dal canto suo, annaspa.
Perchè depotenziare il reddito di cittadinanza significa arrivare forzatamente a una riduzione della platea dei beneficiari o a uno slittamento tardivo, troppo per i tempi imposti dalle elezioni europee di maggio, una dead line che i pentastellati non vogliono e non possono permettersi di superare.
Salvini è tentato di accelerare, inglobando quota 100 nella manovra con un emendamento al Senato. Così, però, lascerebbe Di Maio con il cerino in mano perchè il reddito di cittadinanza è ancora da confezionare.
Tentazioni, trattative nelle trattative, punzecchiature sibilline. Tutto dentro una strategia che però già scricchiola sotto i colpi di un Pil in caduta libera.
(da “Huffingtonpost”)
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