IL ROGO A TIVOLI POTREBBE NON ESSERE UN INCIDENTE ISOLATO: IN ITALIA UN OSPEDALE SU TRE NON RISPETTA LE NORME ANTINCENDIO
PER LA MESSA IN SICUREZZA DEGLI EDIFICI SONO STATI STANZIATI 24 MILIARDI DI EURO (NEL LONTANO 1988) MA NE SONO STATI UTILIZZATI SOLO IL 40%… IL 60% DELLE STRUTTURE È A RISCHIO: LA MAGGIORANZA RISALE A INIZIO ‘900 E, PER I LAVORI DI ADEGUAMENTO, È NECESSARIO PASSARE ATTRAVERSO UN LABIRINTO BUROCRATICO
Un ospedale su tre non rispetta le norme antincendio, una delle presunte cause del gravissimo episodio avvenuto al San Giovanni Evangelista di Tivoli. La federazione delle aziende ospedaliere, Fiaso, ha svolto quest’anno un’indagine a campione sul 10% delle Asl affiliate, in preparazione di un rapporto nazionale che possa offrire una panoramica sulle circa mille strutture sanitarie. Il risultato non si discosta molto da quello che sarebbe stato ottenuto all’inizio di questo millennio. Il presidente della federazione, Giovanni Migliore, analizza le cause.
Al primo posto «la complessità delle norme». Quella che riguarda l’adeguamento degli impianti è del 2015 e dava tempo alle aziende di presentare un piano di rifacimento entro l’anno successivo e di realizzarlo entro la fine del 2022. Poi sono subentrate altre proroghe di fronte alle difficoltà di ottemperare alle regole. Il parco ospedaliero italiano è antiquato, il 50% dei nosocomi risale al periodo 1900-1980, il 22% al secolo precedente e fra questi c’è appunto il San Giovanni di Tivoli.
Il 72%, quindi, ha più di 43 anni. Così se un direttore generale vuole procedere all’adeguamento deve scontrarsi con le autorizzazioni rilasciate da una sequela di enti, fra i quali la Sovrintendenza ai beni architettonici. Per non dire dei finanziamenti. La legge nel 2015 ne è sprovvista. A Tivoli il bando per i lavori strutturali era stato assegnato nel 2017, dopo oltre 10 anni. I lavori avrebbero dovuto finire dopo 18 mesi. Fino alla scorsa estate c’erano ancora le impalcature.
Da dieci anni la spesa per investimenti pubblici in conto capitale è ferma per carenza cronica di risorse e rispetto a quelli privati siamo oramai ultimi in Europa, ci batte solo la piccola Irlanda. Tutto questo nonostante un Piano di investimenti per l’edilizia sanitaria da oltre 24 miliardi di euro, messi a disposizione dallo Stato con l’articolo 20 della Finanziaria del lontano 1988, ma utilizzato solo al 40%, denuncia la Corte dei conti.
Che individua le colpe nelle procedure farraginose e nell’incapacità di realizzare progetti da parte delle amministrazioni locali. Gli stessi mali che ci fanno perdere decine di miliardi di cofinanziamenti europei. La relazione pubblicata dalla Corte del Conti nel 2018 tratteggia un quadro impietoso che tale è rimasto in questi anni, tanto che sempre a quella montagna di denaro inutilizzata ha deciso di attingere ora il governo Meloni per finanziare case e ospedali di comunità depennati dalla lista dei lavori finanziati con il Pnrr perché in ritardo nella messa a terra.
I 90 milioni stanziati per le misure antincendio vengono poi giudicati “assolutamente insufficienti”, visto che ne occorrerebbero 3 miliardi. Peggio ancora va se ci spostiamo sul campo dell’adeguamento antisismico, poiché a riguardo “nessuna dotazione risulta essere stata destinata”. Non un piccolo particolare se si considera che il ministero della Salute, sottolineano ancora i magistrati contabili, ha stimato in non meno di 12 miliardi lo stanziamento necessario per la messa in sicurezza delle strutture ospedaliere.
Poi ovviamente regione che vai situazione che trovi. Perché se alcune si sono date da fare per sottoscrivere gli accordi di programma, avviando così le ristrutturazioni, altre, come Lazio e Campania, “non hanno utilizzato circa il 68% delle risorse disponibili”. Pari a 1,1 miliardi nel primo caso, a 563 milioni nel secondo.
Ora, per dare una rammodernata ai nostri nosocomi arriva il Pnrr, che per la loro messa in sicurezza anche dal punto di vista antisismico e del rischio incendi mette sul piatto 1,6 miliardi, ai quali va aggiunto un miliardo e 450 milioni stanziati per gli stessi fini dal Fondo nazionale per gli investimenti complementari.
Del resto, basta incrociare i dati della Commissione parlamentare d’inchiesta sul nostro sistema sanitario e quelli della Protezione civile per rendersi conto di come stiano messi i nostri ospedali. Il 9% delle strutture (ovvero 75) risalgono all’Ottocento, nel 15% dei nostri nosocomi la prima pietra è stata messa quando i nostri bisnonni combattevano la prima guerra mondiale, mentre il 35% è stato costruito prima che finisse il secondo conflitto mondiale.
In pratica 6 ospedali su 10 hanno più di 70 anni di vita alle spalle. E nemmeno ben portati. La Protezione civile denuncia che di manutenzione se ne fa ben poca, al punto che il 60% rischia di venire giù con un terremoto nemmeno troppo violento.
(da Corriere della Sera)
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