“INCOERENTI E INAFFIDABILI”: LA RETROMARCIA DELL’ITALIA SUL PATTO DI STABILITA’ CON I TRE PARTITI DI GOVERNO CHE SI ASTENGONO E NON APPOGGIANO L’ACCORDO CONCLUSO (A DICEMBRE) DA MELONI E GIORGETTI FA INCAZZARE L’EUROPA
IL PPE, DI CUI FA PARTE FORZA ITALIA, SENZA PAROLE. IL GRUPPO DEI CONSERVATORI, DI CUI LA MELONI È PRESIDENTE, ACCOGLIE “CON MALUMORE” LA SCELTA DI FDI (IN PARTICOLARE I POLACCHI) – ORA IL TESTO TORNA IN CONSIGLIO E SERVE L’UNANIMITÀ (IN PRATICA L’ITALIA DEVE DIRE SI’ O NO)
«La cosa più importante è che i due terzi del Parlamento approvano il nuovo Patto di Stabilità ». Durante la riunione della Commissione Ue, solo un breve riferimento è stato rivolto al via libera alla riforma delle regole economiche dell’Unione. La presidente Ursula von der Leyen lo ha fatto con queste parole. Ma si tratta di una soddisfazione piena di “non detti”. Colma di sorpresa per il mancato voto favorevole dei partiti che sostengono il governo italiano.
Perché l’intesa siglata a dicembre scorso sulle procedure di rientro dal deficit e dal debito eccessivi è passata anche attraverso il dialogo tra “l’amica Ursula” e Giorgia Meloni. E il fastidio nei confronti del nostro centrodestra e di Palazzo Chigi è stato piuttosto palpabile fin dalla mattina.
Due le accuse principali: «Incoerenza e inaffidabilità». Il Ppe, di cui fa parte Forza Italia, e che con il suo presidente, il tedesco Manfred Weber, ha sempre cercato un feeling con la leader di Fratelli d’Italia, è rimasto senza parole. E persino l’Ecr, di cui proprio Meloni è presidente, ha accolto con malumore la scelta di Fdi. In particolare i polacchi lo hanno detto chiaramente durante la riunione serale del gruppo.
Bastava allora ascoltare Markus Feber, il popolare tedesco responsabile del Ppe in Parlamento per l’economia, per capire quanto l’Italia stesse perdendo credibilità nelle istituzioni europee. «Non vedo alcun motivo – diceva – per cui gli eurodeputati italiani dovrebbero astenersi. Il risultato è equilibrato e riflette molti dei problemi che l’Italia ha avuto in passato con le regole fiscali.
Soprattutto dal punto di vista italiano, le nuove regole non possono che essere considerate un grande miglioramento rispetto a quelle vecchie. Le traiettorie di riduzione del debito sono molto più favorevoli, è più facile soddisfare le specificità nazionali e la politica anticiclica diventerà più semplice».
Il punto è che di recente il governo italiano si è nascosto per troppe volte dietro il “gioco delle tre carte”. Lo ha fatto anche su un provvedimento considerato una concessione a Roma, il Patto Migranti e Asilo.
Dare cioè il via libera in Consiglio, ossia con i membri dell’esecutivo, e poi nascondere la mano al momento del voto palese in Parlamento.
Tutti ricordano quello che dicevano a dicembre scorso sia la presidente del consiglio sia il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti.
«È’ importante – spiegava la premier – che sia stato trovato tra i 27 Stati membri della Ue un compromesso di buonsenso per un accordo politico sul nuovo Patto di stabilità e crescita.
Tra l’altro il “giochetto” rischia di essere smascherato rapidamente.
Nelle procedure europee infatti il testo approvato dal Parlamento deve comunque tornare al Consiglio per una rapida ratifica. E in quell’occasione l’Italia dovrà dire sì o no, e serve un voto all’unanimità. Inevitabilmente la “squadra meloniana” dovrà ribadire il sì esponendo il Paese a un’oscillazione imbarazzante.
E anche inspiegabile.
In questo contesto, allora, se il Ppe non nascondeva il suo imbarazzo, anche dentro i Conservatori di Ecr non sono mancate le critiche.
Non è un caso che la parte largamente maggioritaria di questo gruppo ha votato a favore del nuovo Patto. Tutti i rappresentanti del nord e dell’est Europa erano favorevoli isolando di fatto Fratelli d’Italia.
È dunque evidente che la campagna elettorale abbia valicato i confini nazionali. E tutti i partiti italiani, anche quelli d’opposizione, si sono dimenticati dove si trovassero e per cosa stessero votando. Il Pd è riuscito persino a mettersi contro il suo commissario europeo, Paolo Gentiloni
Da Roma il centrodestra ha cercato di difendersi. E di certo l’unico che avrebbe preferito soluzioni diverse da questa è proprio Giorgetti che ha trattato, discusso e poi accettato la formulazione definitiva. «Io – ha ribadito ieri riservatamente – ho sempre saputo che si trattava di un compromesso e come tale scontentava tutti. Ma era l’unico possibile».
E poi ha riversato sul Pd le critiche ricevute: «Chiediamoci se è una sconfessione per Gentiloni che ha definito la riforma la migliore possibile. Il Pd però si è astenuto».
(da la Repubblica)
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