INSIEME AL REDDITO DI CITTADINANZA E’ SPARITA LA FORMAZIONE
AL GOVERNO NON INTERESSANO I CORSI DI FORMAZIONE PER AVVIARE AL LAVORO, L’IMPORTANTE ERA TOGLIERE IL PANE AI POVERI
La cancellazione del Reddito di Cittadinanza e la sua sostituzionecon due diverse misure rivolte ad una platea più ridotta, con criteri più restrittivi e importi più modesti, è stato il primo atto del Governo Meloni, con l’approvazione della legge di stabilità per il 2023.
Una velocità decisionale che tuttavia si è arenata, prima nella mancata messa a punto dei corsi di recupero dell’obbligo che avrebbero dovuto frequentare i giovani privi della licenza media e dei corsi di formazione cui avrebbero dovuto partecipare i disoccupati in grado di lavorare, poi nel ritardo nel predisporre gli strumenti previsti per accedere, a seconda dei casi, all’Assegno di inclusione (Adi) o al sostegno per la formazione e lavoro (Sfl) che dal primo gennaio sostituiranno il Rdc.
Si è arrivati a fine anno senza che nulla fosse pronto: le procedure per presentare la domanda, gli accordi con gli istituti (Caf, patronati) che possono aiutare chi ha difficoltà a districarsi in procedure complesse e che comunque richiedono come minimo l’accesso ad internet, la piattaforma per firmare il patto di inclusione, per non parlare dei corsi di formazione.
In questi giorni si cerca di correre affannosamente ai ripari, come se non ci si fosse stato tempo di preparare quanto necessario e previsto, creando un’emergenza dal nulla e creando gravi disagi ad una parte degli aventi diritti che, a motivo di questi ritardi, non riusciranno a completare l’iter per avere il sussidio a gennaio e dovranno vivere in apnea, o indebitarsi o ricorrere alla carità in attesa di ricevere a febbraio anche la mensilità perduta.
Ancora peggio, se possibile, è la situazione per quanto riguarda i corsi di formazione e aggiornamento professionale che sia i beneficiari adulti non disabili dell’Adi, sia i beneficiari del molto più modesto e temporaneo Sfl dovrebbero frequentare per continuare ad avere il sussidio.
Sembra che basti che gli enti più vari carichino su una piattaforma la propria offerta formativa, senza alcuna verifica non solo sulla loro serietà, ma sulla loro corrispondenza ad una domanda di lavoro effettiva. Ovvero, dopo aver imposto una obbligatorietà, il governo non si prende alcuna responsabilità rispetto alla sua utilità.
Lo hanno già sperimentato sulla propria pelle coloro che già ad agosto sono stati espulsi dal Reddito di cittadinanza, perché, adulti, non avevano minorenni, o anziani, o persone con disabilità in famiglia e non erano disabili o anziani essi stessi. Non è forse un caso che non si trovi traccia, a sei mesi dalla loro decadenza dal Reddito di Cittadinanza, di che cosa è successo a queste persone, quali servizi siano stati offerti loro e con quale risultato.
Quando era in vigore il Reddito di Cittadinanza, Inps ed Anpal fornivano notizie trimestrali sia sulle caratteristiche dei beneficiari, sia sui flussi in entrata e in uscita e, nel caso dell’Anpal, anche su quanti erano coinvolti in percorsi formativi, quanti avevano un contratto di lavoro più o meno intermittente.
Proprio questi dati avevano consentito di cogliere le criticità del Rdc e di avanzare proposte di riforma. Il governo attuale sembra invece non solo aver fatto tabula rasa del Rdc, sostituendolo con un sistema in netto contrasto con l’ultima raccomandazione europea in tema di garanzia di reddito minimo, ma anche aver calato un sipario sulla disponibilità di dati di monitoraggio, forse per togliere dal tavolo ogni possibilità di valutazione empiricamente fondata della promessa di scambiare il sussidio con il sostegno alla «occupabilità» e l’accesso a occupazioni dignitose.
Promessa un po’ azzardata, almeno nel breve periodo, viste le caratteristiche dei beneficiari attuali del Reddito di cittadinanza che, nella maggioranza dei casi, è a bassissima istruzione e in circa la metà dei casi, specie se non si tratta di giovani, è lontana dal mercato del lavoro da diversi anni.
La pretesa che accettino una e una sola offerta di lavoro su tutto il territorio nazionale è solo un po’ indegno modo di mostrare che la povertà è solo la conseguenza della mancanza di voglia di lavorare, nascondendo il fatto che si tratta di persone che nella loro vita hanno incontrato ben poche opportunità di sviluppare i loro talenti e che non sono molto appetibili per un potenziale datore di lavoro.
Opportunità che continueranno ad essere loro negate nell’approccio burocratico e puramente formale al tema della formazione adottato da questo governo , in perfetta continuità, in questo, con ciò che non ha funzionato nel Reddito di cittadinanza.
Eppure la presidente del consiglio nel chiudere la festa di Atreju ha dichiarato di essere fiera di aver cancellato il Reddito di cittadinanza, perché era una questione di equità. Dichiarazione indubbiamente forte e a suo modo coraggiosa in un paese in cui i poveri assoluti, tra cui anche molti lavoratori e le loro famiglie, continuano ad aumentare. Ma forse la Presidente del Consiglio è fiera di aver in questo modo fortemente ridotto l’esborso di denaro pubblico, dirottando quanto risparmiato verso flat tax, Ponte sullo stretto ed altro.
(da La Stampa)
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