INTERVISTA A GIULIANO URBANI: “SE SI FA TRAINARE DA MELONI E SALVINI, BERLUSCONI SI SUICIDA”
“C’E’ SPAZIO PER UN PARTITO LIBERALE DEL 20%, MA MANCA L’OFFERTA POLITICA. E DRAGHI NE E’ IL LEADER NATURALE”
“Finché Berlusconi ne resta il capo Forza Italia non si emanciperà mai perché è tuttora un partito personale, e parlare di scissioni oggi è velleitario. Tutto quello che leggo sui giornali riguarda il dopo Berlusconi”.
Giuliano Urbani, classe 1937, forzista dal ’94, è stato ministro della Cultura nel governo del 2001, oltre che parlamentare e consigliere di amministrazione della Rai. Politologo, docente all’università Alfieri e alla Bocconi, coordinatore scientifico del Centro Einaudi, ha fatto parte del “gruppo dei professori” – con Colletti, Melograni, Martino, Marzano, poi Tremonti, Pera – provando a vestire il partito “di plastica” con l’ideologia di una formazione liberale di massa.
E adesso dice: “C’è lo spazio per un partito liberale del 20%, il Paese è maturato, ma manca l’offerta politica”. Tuttavia, l’elettorato azzurro è draghiano: “Il premier è il leader naturale di quel bacino. Non entusiasma le folle perché è freddo, ma oggi incarna meglio di chiunque altro il liberalismo moderato”.
Professore, una domanda secca per chi è stato tra gli ideologi di Forza Italia: è scoccata per quel partito l’ora dell’emancipazione da una leadership trentennale?
Ho responsabilità persino maggiori in Forza Italia: Berlusconi l’ha inventata, io l’ho progettata insieme ad amici come Del Debbio e il compianto Gianfranco Ciaurro. Ed era targata rivoluzione liberale, si parva licet, echeggiando Gobetti. Ahimé, purtroppo quella rivoluzione non c’è stata. Il fondamento liberale in Fi è debolissimo perché Berlusconi lo ha interpretato più come parola che come insieme di istituzioni.
E adesso? Brunetta vuole una nuova coalizione europeista intorno a Draghi, scomporre il quadro, tagliare il cordone ombelicale con i sovranisti.
È illuminante che l’abbia detto Brunetta, uomo che da giovane ha dato vita all’importante ala liberal-socialista del Psi con De Michelis. È sintomatico che sia lui a sentirne il bisogno. Ritiene evidentemente che il partito vada rifondato e ricostruito.
Partendo da dove?
Berlusconi non ha mai seriamente pensato alla rivoluzione liberale. Prenda la legge elettorale: noi proponevamo il doppio turno del maggioritario, poi è arrivato Pannella con il sindaco d’Italia e Silvio, per i pochi voti pannelliani, ha mollato la formula francese per quella anglo-italiana… Ma era illusorio, fece i conti senza l’oste: le riforme istituzionali devono essere valide ex se, non come traino elettorale. E ricordo che a un certo punto Silvio aveva pensato a una Fondazione del pensiero liberale, che è ricco ma sparpagliato. Io e Petroni gli indicammo autori del calibro di Einaudi, premi Nobel. Lui invece pensò a Putin. Ora, conosco bene il presidente russo, ho passato sei mesi a Mosca: ha molte doti ma non quella di essere un liberale.
Anche sulla legge elettorale ci risiamo con i possibili tornaconti. Nel 1998 Berlusconi con un blitz entrò nel Ppe e da lì riuscì a rendere “presentabili” la Lega secessionista e i postfascisti. Adesso, anche se va a Bruxelles a proporsi come garante, i rapporti di forza sono cambiati. Non rischia che siano Salvini e Meloni a rendere “impresentabile” lui?
Se Berlusconi si fa trainare da loro è finita perché gli elettori scelgono gli originali. Se Forza Italia lo accetta si suicida, e un po’ lo sta facendo. Il rischio di impresentabilità è molto realistico. Silvio pecca di superbia: crede di trainare lui, ma sono i rapporti di forza che dettano l’agenda. Certo, può accadere il miracolo del piccolo che traina il grande, ma dovrebbe avere una proposta politica di oro e brillanti che non vedo.
Torniamo alla prima domanda: un’emancipazione di Forza Italia dal fondatore lei la vede all’orizzonte?
Penso di no. È vero che ci sono gli elettori per un partito liberale del 20%, il Paese è maturato, ma manca un’offerta politica. Ci abbiamo provato con tutte le nostre forze, ma quando Berlusconi ha rincorso tutti i sistemi elettorali e identificato sempre di più Forza Italia con il suo comitato elettorale senza lavorare a un futuro e un eredità, me ne sono andato via.
Si è sempre detto che Berlusconi come Crono divora i suoi figli politici. La leadership, però, bisogna prendersela, o no?
Le iniziative di Brunetta e di Calenda mi appaiono credibili. Ma non credo che tutto questo sia possibile finché c’è Berlusconi in campo. Finché rimane il capo, Forza Italia continuerà a corrispondergli. Nonostante gli sforzi miei e di altri resta un partito personale. Il richiamo di Silvio è fideistico, personalistico e carismatico. Lui e i suoi seguaci si erano convinti che il maggioritario sfavorisse i moderati: era un’enorme sciocchezza, ma ha precluso il dialogo con la sinistra di D’Alema e Veltroni. Se fosse andata diversamente, Forza Italia si sarebbe già emancipata dall’abbraccio pericoloso di Lega e FdI, ma quel tram è passato.
Un’altra Forza Italia non è possibile? La battaglia per “cambiarle pelle” e smettere di appiattirsi sugli alleati non ha chances?
Stiamo parlando del dopo Berlusconi. Solo da quel momento in poi questa roba sarà possibile. Oggi un’ipotesi di scissione è velleitaria: nessuno dei nomi che leggo sui giornali è competitivo con Silvio.
Ma perché dopo avere addomesticato lo spauracchio della secessione trasformandolo in federalismo, oggi Berlusconi non riesce a domare l’afflato anti-vaccini e green pass di Salvini? La risposta è solo anagrafica?
Per addomesticarlo, come dice lei, dovrebbe fagli una proposta alternativa. Come ha fatto a Bossi con il federalismo, che è una riforma istituzionale importante e positiva. Invece, mi sembra che per il populismo di Salvini non ne abbia. E se sei privo di parole d’ordine, in politica non vai lontano, non hai voce in capitolo.
Eppure, dovrebbe essere più facile oggi: o stai con Draghi o con la Meloni.
Berlusconi avrebbe dovuto convincere la Meloni a sostenere il governo, perché l’elettorato di Forza Italia è draghiano. Il premier è il leader naturale di quel bacino. Draghi non entusiasma le folle perché è freddo, ma oggi incarna meglio di chiunque altro il liberalismo moderato.
Dopo Berlusconi, quindi, non il diluvio?
Beh, abbiamo appena svelato l’assassino… (ride, ndr). Dopo l’uscita di Berlusconi dalla politica o si convince Draghi ad assumersi una leadership strutturata o si dovrà ricominciare da capo.
Ce la farà il Cavaliere a salire sul Colle?
Che ci provi è legittimo, e in questo vuoto assoluto di leader, anche sensato. Poi, secondo me non ci riuscirà perché non vedo tutti, nel centro e nel centrodestra, mettere il suo nome nell’urna. Pensano che abbia fatto il suo tempo, invece ne hanno bisogno come il pane. La federazione era una buona idea però è sparita. Serve un federatore del centrodestra: il migliore sarebbe Draghi, ma non lo farà mai perché vuole restare super partes. A Meloni e Salvini non resta che Silvio, e sarebbe un’ottima mossa di marketing elettorale.
(da Huffingtonpost)
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