INTERVISTA AL COMANDANTE DELLA CIGALA FULGOSI, LA NAVE MILITARE CHE HA SBARCATO I MIGRANTI A GENOVA
MICHELE FABIANO: “IN MARE SOCCORRO SEMPRE CHI E’ IN DIFFICOLTA’, E’ SANCITO DAL DIRITTO INTERNAZIONALE, MA ANCHE UN OBBLIGO MORALE PER UN MARINAIO”
ll capitano di fregata Michele Fabiano, comandante del pattugliatore della Marina “Cigala Fulgosi”, quasi si batte il petto.
E dice con orgoglio, dieci ore dopo la manovra di ingresso a Calata Bettolo: «Il diritto internazionale stabilisce che, quando in mare si incontrano persone in pericolo di vita, bisogna soccorrerle».
Una regola che troppo spesso si dimentica. Ma non c’è solo la legge: «È anche un dovere morale, come marinai e soprattutto come uomini, comportarsi in questo modo. Se io davanti a me ho un uomo in difficoltà , intervengo».
Così è successo, quando al largo di Lampedusa quattro giorni fa il pattugliatore ha incontrato un gommone alla deriva con cento migranti a bordo.
La legge del mare, come doveroso in casi del genere, ha prevalso su qualsiasi altra considerazione politica, su qualsiasi speculazione sovranista tanto di moda oggi in Italia
A raccontare le fasi concitate del soccorso, la vita di bordo insieme ai migranti e l’arrivo a Genova, è lo stesso capitano.
Quando ormai gli “ospiti” della nave, stremati ma assistiti con cura da medici e militari durante la navigazione, hanno lasciato la Cigala Fulgosi pronti a un nuovo viaggio, per chissà quale luogo e per chissà quanto tempo.
Un colloquio, quello con il comandante della nave, in cui per precise disposizioni della Marina il capitano è stato autorizzato a parlare soltanto dell’intervento di soccorso.
Niente politica insomma, niente discussioni su porti aperti oppure chiusi, o sul motivo per cui sia stato scelto proprio il porto di Genova, che fra gli scali italiani è uno dei più lontani dalle acque intorno a Lampedusa, per poi ritornare in pullman nel Lazio.
Capitano Fabiano, come è avvenuto il soccorso?
«Siamo intervenuti quando il mare era già mosso. Eravamo al limite con i nostri mezzi ma abbiamo imbarcato tutti e 100 i naufraghi. Quando abbiamo visto che il gommone era vuoto, ci siamo preoccupati di verificare le loro condizioni di salute».
Ha spiegato uno dei medici saliti a bordo qui a Genova che diversi migranti hanno raccontato di morti durante la traversata.
«Noi non abbiamo evidenza di questo, anzi ci dispiace se ci sia stato un decesso durante la traversata. Ma nemmeno abbiamo avuto indicazioni in tal senso da parte dei naufraghi, in tutti e due giorni di navigazione. Noi tutte le persone a bordo le abbiamo salvate, e ripeto, abbiamo verificato che a bordo del gommone non ci fosse più nessuno».
In che condizioni avete trovato i migranti?
«C’erano sei donne in gravidanza, una al settimo mese. In casi normali si fanno le valigie per l’ospedale, qui invece qualcuno ha fatto un viaggio».
E c’erano i bambini.
«Sì, alcuni di un anno, un anno e mezzo. Abbiamo cercato di familiarizzare con loro nonostante le difficoltà linguistiche, il personale di bordo è giovane, abbiamo tutti bambini e figli, e abbiamo provato a dare loro un po’ di serenità , il “repertorio italiano” è ricco di giochi. Il preferito? Il girotondo».
Come sono passate le 48 ore a bordo?
«Direi rapidamente, abbiamo imbarcato rinforzi durante la navigazione, due infermieri, viveri e altro materiale necessario per affrontare in tranquillità il viaggio verso il porto di Genova. Ai migranti, soprattutto alle donne in gravidanza, sono stati dati farmaci, pasti, e abiti puliti e soprattutto asciutti, erano tutti zuppi quando li abbiamo imbarcati, in particolare i bambini con temperatura corporea un po’ bassa. Dobbiamo ringraziare la dottoressa di bordo, che ha fatto un lavoro straordinario».
(da “La Repubblica”)
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